“Soli sotto gli occhi di tutti” – Capitolo 31

di
genere
confessioni

Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
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La voce si era sparsa sottotraccia: una festa elegante, su invito, in un attico riservato ai margini del centro storico. Non era la prima volta che Enrico, un vecchio amico di Mauro, organizzava serate così. Niente eccessi da rivista patinata, solo atmosfera, sguardi complici, libertà. Inviti selezionati, regole non scritte, e la certezza che tutto ciò che accadeva tra quelle pareti restava lì.
Mauro era appena rientrato in città e aveva accettato senza esitazione. Aveva bisogno di una serata così. Di osservare. Di stare nel mezzo, senza dover spiegare, né fingere.
Loretta accettò con un sorriso sottile quando lui le comunicò l’invito.
«Indosserò qualcosa che non potrai toccare. Ma che guarderai come fosse tuo.»
Carlo non chiese nulla quando la coppia gli propose l’invito. Disse solo: «Con voi, ovunque.»
L’attico era al sesto piano, interamente a vetri, con terrazze su due lati e un living open space inondato da luci basse e profumo di spezie. La musica era ovattata, deep house sensuale, e gli ospiti si muovevano con la grazia di chi sa esattamente dove mettere lo sguardo. Tutto sembrava sussurrare, mai dichiarare.
Loretta entrò per ultima, lasciando che Carlo e Mauro la precedessero di pochi passi. Indossava un vestito lungo blu notte, scollato sulla schiena, spacco fino alla coscia. Ogni passo rivelava più pelle, ma con eleganza. Il viso era truccato con cura, lo sguardo da attrice consumata. Attirò gli occhi di uomini e donne. Ma nessuno si avvicinò davvero.
Lei si accostò a Mauro e gli sussurrò: «Tu sai. Loro vedono.»
La serata si dipanò tra bicchieri di champagne e conversazioni sospese. Mauro si lasciava sfiorare dallo sguardo di Carlo, dai passaggi lenti di Loretta tra una stanza e l’altra. Ogni volta che lei lo guardava da lontano, lui sentiva la gabbia sotto i pantaloni stringere leggermente. Era come una carezza invisibile.
Ad un certo punto, mentre la musica diventava più lenta e lo spazio si faceva più rarefatto, Loretta si avvicinò a Enrico. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio, e lui annuì senza esitazioni. Indicò una stanza sul fondo del corridoio.
Loretta tornò da Mauro. «Vieni. Porta anche Carlo.»
La stanza era uno studio intimo: divano in velluto scuro, tende pesanti, una luce calda e una bottiglia di rum su un vassoio. Loretta chiuse la porta dietro di loro con gesto deciso.
«Siamo stati osservati abbastanza. Ora voglio che ci guardi tu.»
Si sedette sul divano, accavallando le gambe. Carlo restò in piedi, vicino a Mauro. Non c’erano parole. Solo il battito. Solo l’attesa.
Loretta si spogliò senza teatralità. Tirò giù le spalline del vestito e lo lasciò cadere sul tappeto. Non indossava nulla sotto. La sua pelle brillava come seta al buio. Si stese sul divano, aperta, fiera. Poi fece cenno a Carlo.
«Voglio che tu gli mostri cosa significa non trattenersi.»
Carlo si avvicinò a lei. I loro corpi si riconobbero subito. Si cercarono. Si fusero. Con lentezza, con precisione. Mauro restava in piedi, a un passo dal divano, il cuore che martellava sotto la camicia. Guardava tutto. Ogni respiro. Ogni tremore.
Loretta non distoglieva mai lo sguardo da lui.
«Soffri?»
«No. Prendo fiato e respiro.»
A un certo punto si voltò verso Carlo. «Adesso tocca a lui.»
Carlo si avvicinò a Mauro. Gli slacciò i pantaloni. La gabbia fu liberata con la chiave, che Loretta gli porse con un gesto pieno di grazia. Mauro si lasciò fare. Non c’era più resistenza. Solo bisogno. Appartenenza. Il piacere veniva dal gesto, ma anche dal contesto. Dal sapere che stavano compiendo qualcosa che non aveva bisogno di essere spiegato.
Il divano divenne il centro di un triangolo perfetto: Loretta guidava con lo sguardo, Carlo offriva con il corpo, Mauro riceveva. Ma non in silenzio. Ogni sua reazione, ogni vibrazione del corpo, era anche un dono a loro.
E quando finalmente si lasciò andare, fu lento, profondo, totale. Non come una liberazione, ma come una consacrazione. Sotto gli occhi della donna che amava. Tra le mani dell’uomo che ora considerava parte di sé.
Restarono lì, nel silenzio morbido dello studio. I rumori ovattati della festa tornavano solo come echi lontani.
Loretta si vestì per ultima. Accese una sigaretta elettronica e restò in piedi davanti a Mauro, ancora nudo.
«Hai visto, amore, quanto vali quando ti lasci guardare?»
Mauro annuì. Carlo gli accarezzò la nuca. Nessuno disse di più.
Quella notte uscirono dalla festa in silenzio. Ma ogni ospite, anche senza sapere cosa fosse accaduto in quella stanza chiusa, intuiva che qualcosa di importante era stato consumato. Con grazia. Con potere.
E con un amore che non chiedeva più permesso.
di
scritto il
2025-08-11
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