“Doppia riunione N.2 - l’amante” – Capitolo 28
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
La villetta sembrava sospesa, come in attesa di qualcosa di inevitabile.
Mauro era ancora nella stanza da letto, sdraiato, la gabbia sempre al suo posto. Il cuore gli batteva lento, ma profondo. Sapeva. Intuiva cosa sarebbe accaduto, e il suo desiderio non era nel controllo. Era nell'abbandono.
Poco più in là, nel salotto, Loretta e Carlo non fecero nulla per trattenersi.
Appena chiusa la porta, si baciarono con una fame lenta ma crescente. Le mani di lui sollevarono la vestaglia corta che lei aveva annodato con grazia, scoprendo le curve del suo corpo. La spinse con delicatezza sul piano del tavolo, mentre lei apriva la camicia di Carlo e lo guardava con un'intensità che non aveva bisogno di parole. Si conoscevano, ormai. E conoscevano anche i confini che non volevano avere.
Le loro voci, i sospiri, il rumore sordo dei corpi che si univano con forza controllata, raggiunsero la stanza da letto. Mauro ascoltava. Ogni suono era un colpo e un balsamo, insieme. Sapeva che Loretta gemeva solo così quando era completamente libera. Quando si sentiva padrona di sè.
«Guarda come tremi per me», sussurrava Carlo, affondando il viso tra le cosce di lei.
Loretta fremeva, stringendosi a lui, dominandolo anche mentre lo lasciava guidare.
Quando raggiunsero l’apice, lo fecero senza esitazione, intrecciati, sudati, ancora abbracciati. Il corpo di lei vibrava, quello di lui si tendeva. Il piacere che li attraversava non era solo fisico: era intesa, era appartenenza. Era un patto che non aveva bisogno di essere firmato.
Poi si ricomposero. Nudi. Senza fretta.
La doccia fu lunga, rilassata. L’acqua calda correva sui loro corpi come un nuovo abbraccio. Loretta lavava con gesti precisi il petto di Carlo, mentre lui le insaponava le spalle. I loro corpi erano pieni di stanchezza buona. Mauro, intanto, apparecchiava un piccolo vassoio: due calici, una bottiglia di vino bianco già fresco, qualche fragola. Lo portò nel bagno con discrezione, inginocchiandosi accanto al piatto doccia senza dire nulla.
Loretta lo guardò dall’alto, senza mostrare tenerezza. Solo consapevolezza.
«Torna a letto, amore. Togli la gabbia.»
Mauro ubbidì, lasciando la gabbia a terra come un animale domato, e si sdraiò sul letto ancora caldo. Il lenzuolo sotto di lui aveva il profumo della mattina, del corpo di Loretta.
Quando lei e Carlo lo raggiunsero, le luci erano più morbide, e il tempo sembrava rallentato.
Loretta salì per prima sul letto. Si inginocchiò sopra il viso di Mauro, le mani appoggiate con le unghie che gli segnavano il petto. Non c’era pietà nei suoi gesti. Solo padronanza. Con calma assoluta, si lasciò servire dalla bocca e dalla lingua del marito, lo guidò con lo sguardo e con la voce. Ogni suo respiro diventava un ordine sussurrato.
«Più piano… no, adesso lì. Così! Fallo per me.»
Mauro tremava, ma restava fermo. Si sentiva usato, eppure onorato.
Quando lei si sollevò, soddisfatta e bagnata, il suo sguardo non era più dolce. Era severo. «Ora tocca a lui.»
Carlo si avvicinò senza dire nulla. Quella nuova situazione lo aveva già rinvigorito. I suoi gesti furono forti, guidati da una decisione piena. Non ci fu violenza. Ma nemmeno indulgenza. Il corpo di Mauro, ora a carponi, si offriva senza resistenza. Qualche scossa, un gemito soffocato. Un dolore lieve, ma cercato. Il ritmo si faceva più intenso e serrato.
Loretta osservava tutto da un lato del letto, accarezzandosi i seni nudi con movimenti lenti. Ogni tanto sorrideva. Ogni tanto ordinava. Ma non interveniva. Guardava Carlo prendersi ciò che voleva. Guardava Mauro cedere e concedersi a qual piacere desiderato. E capiva che nessuno dei due stava recitando.
Quando il corpo di Mauro cedette del tutto, sudato, esausto, segnato dalla passione e dal ruolo, ci fu un momento di silenzio. I tre restarono stesi sul letto, nudi, vicini, come se il pomeriggio avesse riscritto una verità. Il sole stava calando, e nella stanza si era formata un’atmosfera che non pesava. Era la quiete dei ruoli compiuti, del desiderio espresso, della pace che segue una tempesta voluta.
Mauro prese fiato, seppur sfinito. Guardò prima Carlo, poi Loretta. E parlò.
«Grazie, per quello che mi negate e quello che mi date. Spero di poter essere ancora vostro. Ogni volta che lo vorrete.»
Loretta gli passò una mano tra i capelli, dolce per la prima volta. «Lo so, amore. E tu… sei perfetto quando sei così.»
Carlo si limitò ad annuire, già rilassato, con una mano sul ventre. «È sempre un piacere.»
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La villetta sembrava sospesa, come in attesa di qualcosa di inevitabile.
Mauro era ancora nella stanza da letto, sdraiato, la gabbia sempre al suo posto. Il cuore gli batteva lento, ma profondo. Sapeva. Intuiva cosa sarebbe accaduto, e il suo desiderio non era nel controllo. Era nell'abbandono.
Poco più in là, nel salotto, Loretta e Carlo non fecero nulla per trattenersi.
Appena chiusa la porta, si baciarono con una fame lenta ma crescente. Le mani di lui sollevarono la vestaglia corta che lei aveva annodato con grazia, scoprendo le curve del suo corpo. La spinse con delicatezza sul piano del tavolo, mentre lei apriva la camicia di Carlo e lo guardava con un'intensità che non aveva bisogno di parole. Si conoscevano, ormai. E conoscevano anche i confini che non volevano avere.
Le loro voci, i sospiri, il rumore sordo dei corpi che si univano con forza controllata, raggiunsero la stanza da letto. Mauro ascoltava. Ogni suono era un colpo e un balsamo, insieme. Sapeva che Loretta gemeva solo così quando era completamente libera. Quando si sentiva padrona di sè.
«Guarda come tremi per me», sussurrava Carlo, affondando il viso tra le cosce di lei.
Loretta fremeva, stringendosi a lui, dominandolo anche mentre lo lasciava guidare.
Quando raggiunsero l’apice, lo fecero senza esitazione, intrecciati, sudati, ancora abbracciati. Il corpo di lei vibrava, quello di lui si tendeva. Il piacere che li attraversava non era solo fisico: era intesa, era appartenenza. Era un patto che non aveva bisogno di essere firmato.
Poi si ricomposero. Nudi. Senza fretta.
La doccia fu lunga, rilassata. L’acqua calda correva sui loro corpi come un nuovo abbraccio. Loretta lavava con gesti precisi il petto di Carlo, mentre lui le insaponava le spalle. I loro corpi erano pieni di stanchezza buona. Mauro, intanto, apparecchiava un piccolo vassoio: due calici, una bottiglia di vino bianco già fresco, qualche fragola. Lo portò nel bagno con discrezione, inginocchiandosi accanto al piatto doccia senza dire nulla.
Loretta lo guardò dall’alto, senza mostrare tenerezza. Solo consapevolezza.
«Torna a letto, amore. Togli la gabbia.»
Mauro ubbidì, lasciando la gabbia a terra come un animale domato, e si sdraiò sul letto ancora caldo. Il lenzuolo sotto di lui aveva il profumo della mattina, del corpo di Loretta.
Quando lei e Carlo lo raggiunsero, le luci erano più morbide, e il tempo sembrava rallentato.
Loretta salì per prima sul letto. Si inginocchiò sopra il viso di Mauro, le mani appoggiate con le unghie che gli segnavano il petto. Non c’era pietà nei suoi gesti. Solo padronanza. Con calma assoluta, si lasciò servire dalla bocca e dalla lingua del marito, lo guidò con lo sguardo e con la voce. Ogni suo respiro diventava un ordine sussurrato.
«Più piano… no, adesso lì. Così! Fallo per me.»
Mauro tremava, ma restava fermo. Si sentiva usato, eppure onorato.
Quando lei si sollevò, soddisfatta e bagnata, il suo sguardo non era più dolce. Era severo. «Ora tocca a lui.»
Carlo si avvicinò senza dire nulla. Quella nuova situazione lo aveva già rinvigorito. I suoi gesti furono forti, guidati da una decisione piena. Non ci fu violenza. Ma nemmeno indulgenza. Il corpo di Mauro, ora a carponi, si offriva senza resistenza. Qualche scossa, un gemito soffocato. Un dolore lieve, ma cercato. Il ritmo si faceva più intenso e serrato.
Loretta osservava tutto da un lato del letto, accarezzandosi i seni nudi con movimenti lenti. Ogni tanto sorrideva. Ogni tanto ordinava. Ma non interveniva. Guardava Carlo prendersi ciò che voleva. Guardava Mauro cedere e concedersi a qual piacere desiderato. E capiva che nessuno dei due stava recitando.
Quando il corpo di Mauro cedette del tutto, sudato, esausto, segnato dalla passione e dal ruolo, ci fu un momento di silenzio. I tre restarono stesi sul letto, nudi, vicini, come se il pomeriggio avesse riscritto una verità. Il sole stava calando, e nella stanza si era formata un’atmosfera che non pesava. Era la quiete dei ruoli compiuti, del desiderio espresso, della pace che segue una tempesta voluta.
Mauro prese fiato, seppur sfinito. Guardò prima Carlo, poi Loretta. E parlò.
«Grazie, per quello che mi negate e quello che mi date. Spero di poter essere ancora vostro. Ogni volta che lo vorrete.»
Loretta gli passò una mano tra i capelli, dolce per la prima volta. «Lo so, amore. E tu… sei perfetto quando sei così.»
Carlo si limitò ad annuire, già rilassato, con una mano sul ventre. «È sempre un piacere.»
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