“Gioco delle coppie N.1” – Capitolo 41
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Vi invito a lasciare un commento oppure a scrivermi in privato.
La seconda mattina alla SPA si svegliò con lentezza misurata. Nella suite l’aria era ancora carica di tenzione sessuale e calore. La memoria del fuoco, il sentore dei corpi e delle mani che ancora si cercavano.
Loretta uscì per prima dal bagno. Il costume intero nero, tagliato alto, seguiva le curve senza ostentazione; lo scollo rivelava la pelle come una promessa discreta. I capelli le erano raccolti in uno chignon morbido che lasciava libero il collo: un invito silenzioso ai baci. Si avvolse il pareo con movimenti che mostravano abitudine a sedurre in quel contesto, e avanzò con passo misurato, come se ogni passo fosse pensato per non spezzare il filo che si era creato.
Noemi arrivò dopo, tutta luce e contrasto: due pezzi color oro che rifrangevano la luce del mattino, laccetti minimi e audaci che accentuavano la sua sicurezza. La sua pelle sembrava catturare la luce e restituirla più viva; il suo passo, felino, trasformava la stanza in un palcoscenico privato. Si fermò un attimo sulla soglia, guardandoli tutti, e lasciò che il sorriso completasse la presentazione.
Carlo e Mauro erano già nella vasca idromassaggio privata della stanza, immersi fino alle spalle. Il prosecco luccicava nei bicchieri; il rumore dell’acqua faceva da metronomo alle loro parole sospese. Quando le donne si avvicinarono, non fu necessario parlare: gli sguardi bastarono a dirsi dove voleva andare la giornata.
«Buongiorno,» sussurrò Loretta, la voce bassa come se non volesse rompere l’incanto. Mauro le offrì la mano; la prese con naturalezza, lo sguardo chiaro, e si abbassarono insieme nell’abbraccio caldo dell’acqua. Il pareo scivolò via adagiandosi sull’orlo della vasca, come una bandiera che dichiara la resa al momento.
Noemi si sedette accanto a Carlo, ma non subito: giocò ancora con l’aria, fece roteare un dito vicino al bicchiere e poi lo posò sul bordo. «Ieri hai fatto tardi,» gli disse, con quell’impulso di chi vuole ricordare e insieme riaprire la traccia. Lui rispose con un sorriso che aveva il sapore di complicità e di sfida: «Mi hai tenuto occupato.» Le parole erano leggere, ma l’intenzione era pesante e calda.
L’acqua salì sulle loro gambe, creò piccole onde che sembravano timide carezze. Noemi si avvicinò ulteriormente a Carlo, come a una fonte di calore; la mano sfiorò il petto di lui, appena, come per riconoscerne la presenza. Carlo le rispose chinando il capo, lasciando che le labbra cercassero la pelle. Il gesto fu un piccolo rito: baci corti, poi un trattenersi, un ripetere quel passo fino a farlo familiare.
Loretta osservava. C’era in lei una curiosità tenace, simile a una lente che ingrandisce il dettaglio più sottile: come si muovevano le mani, come si piegavano i fianchi nell’acqua, come i respiri si sincronizzavano. Non era gelosia; era partecipazione. Mauro, accanto a lei, percepiva ogni sua emozione e la traduceva in una pressione leggera sulla coscia, un gesto che diceva: «Sono qui, siamo qui.»
I quattro si lasciarono cullare dal ritmo delle bollicine. Le mani diventavano mappe. Non esplorazioni crude ma percorsi attenti, segnati dall’ascolto. Noemi e Carlo giocavano, guidavano il tempo, mandavano impulsi e ne ricevevano di ritorno. Ogni tanto Noemi volgeva lo sguardo verso Loretta, come se volesse includerla nel disegno. Loretta rispondeva con un sorriso lento, che diceva: sì, sto vedendo. Mauro allungava la mano, la poggiava sul bordo, e le dita incontravano il calore della sua coscia: era un contatto che confermava, non che pretendeva.
«Ti sta bene Noemi, così vicina» disse Loretta, senza fretta, a Carlo. «Ti dona!»
Lui rise, corto, e la osservò con nuovi occhi, come se in quel commento ci fosse più di quel che le parole riuscivano a portare. «E a te sta bene essere paziente,» rispose lui a Loretta, e il suono ebbe dentro un riconoscimento reciproco.
Il vapore si addensava, il tempo sembrava rallentare. Quando alla fine Noemi e Carlo si staccarono in un abbraccio, le loro fronti rimasero unite: un attimo di respiro condiviso prima che il mondo riprendesse a muoversi. Nessuno parlò per un po’. Non serviva. C’era un filo sottile, tremolante e saldo, che legava i quattro come una promessa non detta.
La giornata era ancora lunga. Ma già si percepiva, con dolce certezza, che la notte avrebbe chiesto il resto.
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La seconda mattina alla SPA si svegliò con lentezza misurata. Nella suite l’aria era ancora carica di tenzione sessuale e calore. La memoria del fuoco, il sentore dei corpi e delle mani che ancora si cercavano.
Loretta uscì per prima dal bagno. Il costume intero nero, tagliato alto, seguiva le curve senza ostentazione; lo scollo rivelava la pelle come una promessa discreta. I capelli le erano raccolti in uno chignon morbido che lasciava libero il collo: un invito silenzioso ai baci. Si avvolse il pareo con movimenti che mostravano abitudine a sedurre in quel contesto, e avanzò con passo misurato, come se ogni passo fosse pensato per non spezzare il filo che si era creato.
Noemi arrivò dopo, tutta luce e contrasto: due pezzi color oro che rifrangevano la luce del mattino, laccetti minimi e audaci che accentuavano la sua sicurezza. La sua pelle sembrava catturare la luce e restituirla più viva; il suo passo, felino, trasformava la stanza in un palcoscenico privato. Si fermò un attimo sulla soglia, guardandoli tutti, e lasciò che il sorriso completasse la presentazione.
Carlo e Mauro erano già nella vasca idromassaggio privata della stanza, immersi fino alle spalle. Il prosecco luccicava nei bicchieri; il rumore dell’acqua faceva da metronomo alle loro parole sospese. Quando le donne si avvicinarono, non fu necessario parlare: gli sguardi bastarono a dirsi dove voleva andare la giornata.
«Buongiorno,» sussurrò Loretta, la voce bassa come se non volesse rompere l’incanto. Mauro le offrì la mano; la prese con naturalezza, lo sguardo chiaro, e si abbassarono insieme nell’abbraccio caldo dell’acqua. Il pareo scivolò via adagiandosi sull’orlo della vasca, come una bandiera che dichiara la resa al momento.
Noemi si sedette accanto a Carlo, ma non subito: giocò ancora con l’aria, fece roteare un dito vicino al bicchiere e poi lo posò sul bordo. «Ieri hai fatto tardi,» gli disse, con quell’impulso di chi vuole ricordare e insieme riaprire la traccia. Lui rispose con un sorriso che aveva il sapore di complicità e di sfida: «Mi hai tenuto occupato.» Le parole erano leggere, ma l’intenzione era pesante e calda.
L’acqua salì sulle loro gambe, creò piccole onde che sembravano timide carezze. Noemi si avvicinò ulteriormente a Carlo, come a una fonte di calore; la mano sfiorò il petto di lui, appena, come per riconoscerne la presenza. Carlo le rispose chinando il capo, lasciando che le labbra cercassero la pelle. Il gesto fu un piccolo rito: baci corti, poi un trattenersi, un ripetere quel passo fino a farlo familiare.
Loretta osservava. C’era in lei una curiosità tenace, simile a una lente che ingrandisce il dettaglio più sottile: come si muovevano le mani, come si piegavano i fianchi nell’acqua, come i respiri si sincronizzavano. Non era gelosia; era partecipazione. Mauro, accanto a lei, percepiva ogni sua emozione e la traduceva in una pressione leggera sulla coscia, un gesto che diceva: «Sono qui, siamo qui.»
I quattro si lasciarono cullare dal ritmo delle bollicine. Le mani diventavano mappe. Non esplorazioni crude ma percorsi attenti, segnati dall’ascolto. Noemi e Carlo giocavano, guidavano il tempo, mandavano impulsi e ne ricevevano di ritorno. Ogni tanto Noemi volgeva lo sguardo verso Loretta, come se volesse includerla nel disegno. Loretta rispondeva con un sorriso lento, che diceva: sì, sto vedendo. Mauro allungava la mano, la poggiava sul bordo, e le dita incontravano il calore della sua coscia: era un contatto che confermava, non che pretendeva.
«Ti sta bene Noemi, così vicina» disse Loretta, senza fretta, a Carlo. «Ti dona!»
Lui rise, corto, e la osservò con nuovi occhi, come se in quel commento ci fosse più di quel che le parole riuscivano a portare. «E a te sta bene essere paziente,» rispose lui a Loretta, e il suono ebbe dentro un riconoscimento reciproco.
Il vapore si addensava, il tempo sembrava rallentare. Quando alla fine Noemi e Carlo si staccarono in un abbraccio, le loro fronti rimasero unite: un attimo di respiro condiviso prima che il mondo riprendesse a muoversi. Nessuno parlò per un po’. Non serviva. C’era un filo sottile, tremolante e saldo, che legava i quattro come una promessa non detta.
La giornata era ancora lunga. Ma già si percepiva, con dolce certezza, che la notte avrebbe chiesto il resto.
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