“Sapore di Noemi” – Capitolo 39
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Vi invito a lasciare un commento oppure a scrivermi in privato.
Quella sera di piacere segnò profondamente Loretta, Mauro e Carlo. Tanto che, solo qualche giorno dopo, Loretta si impunto nel chiedere a Carlo di portare a cena Noemi. E così fu.
Una domenica sera, a cavallo tra il Natale e il Capodanno, Carlo e Noemi si presentarono assieme nella villetta della coppia.
La presenza di Noemi aveva il dono sottile di trasformare lo spazio ancor prima di attraversarlo. Portava un vestito corto, chiaro, con una scollatura che cadeva morbida sulle spalle e lasciava intravedere appena un tatuaggio all’altezza della clavicola. Tacchi alti, smalto perfetto su piedi e mani, orecchini piccoli ma scintillanti. Nessun eccesso, solo equilibrio.
Loretta li invitò ad entrare con un sorriso calmo, forse più intimo del solito. Indossava una camicetta nera trasparente su un reggiseno in pizzo scuro e una gonna a vita alta che lasciava scoperte le ginocchia. Dietro di lei, Mauro si affacciò dal corridoio, come sempre con un calice di vino già in mano.
«Ciao, flor do cerrado,» disse Noemi, avvicinandosi a Loretta con un abbraccio che fu più lento del necessario.
«Flor?»
«Un fiore selvaggio. Bello anche quando non lo sa.»
Loretta rise, ma il rossore sulla pelle tradiva qualcosa di più profondo. L’impatto di Noemi era dolce ma penetrante, come una spezia che si sente appena, ma poi resta nella bocca per ore.
Durante la cena si parlò poco del passato, quasi nulla del futuro. Era il presente che occupava lo spazio, con i suoi piccoli gesti: il modo in cui Noemi si leccava le dita dopo aver assaggiato la salsa, come Mauro la osservava senza parlare, l’ironia velata con cui Carlo lasciava che Loretta dominasse la conversazione.
Il vino scivolava tra loro come un filo invisibile. Noemi parlava un italiano musicale, leggermente impreciso, con parole che sembravano sempre scelte per il suono più che per la correttezza. Aveva un accento in cui la r vibrava più del necessario, e ogni tanto intercalava frasi in portoghese con la naturalezza di chi non chiede il permesso.
«Vivere qui… è come ballare una musica che non conosci,» disse ad un certo punto, guardando Loretta. «Ma se hai abbastanza corpo, la senti. Anche se sbagli i passi.»
Loretta la fissò a lungo, in silenzio. E fu in quello sguardo che accadde il primo vero gesto della notte. Più della tavola apparecchiata, più del vino, più delle parole. Solo uno scambio di silenzio che prometteva un dopo.
Terminato il pasto, con il dolce ancora sulle labbra, fu Loretta a guidare il passaggio. Portò Noemi per mano verso la camera da letto, lasciando Carlo e Mauro tra la cucina ed il soggiorno a sistemare. I due uomini si capirono con uno sguardo. Rimasero lì, come spettatori istruiti, consapevoli di dover ascoltare, non intervenire.
La camera era quella che Noemi aveva già immaginato. I toni neutri delle pareti, il letto grande con coperte color crema, la luce tenue della lampada sul comò. Ma ora non era l’ambiente a definire la scena. Era Loretta.
Appena la porta si socchiuse, Noemi si sentì chiamata senza parole. Loretta le slacciò il vestito con una calma misurata, e il tessuto cadde a terra come acqua.
Noemi rimase in piedi, alta, fiera. Il corpo slanciato, morbido nei fianchi, con seni pieni e pelle dorata che sembrava respirare sotto la luce calda. I suoi lineamenti erano delicati: occhi grandi, ciglia lunghe, zigomi marcati. E c’era qualcosa nel suo ventre, in quella linea verticale che divideva il corpo, che raccontava una storia di trasformazione, ma anche di scelta. Era donna, sì. Ma a modo suo. E lo era completamente.
Loretta si inginocchiò davanti a lei, prima ancora di toccarla. Solo lo sguardo. Solo l’aria che le separava. Poi portò le mani sulle gambe di Noemi, risalendo con lentezza. Non con timidezza, ma con cura.
«Tu sei… oltre quello che avevo immaginato,» mormorò Loretta.
Noemi chinò il capo, senza smettere di sorridere. «Non devi immaginarmi. Devi solo sentirmi.»
Il loro contatto fu un crescendo fatto di esplorazioni lente. Noemi si lasciava accarezzare con generosità, ma restava presente, attiva, guidava con piccoli gesti. Ogni carezza diventava uno spartito, ogni sussurro un invito a proseguire. E Loretta, che fino ad allora aveva guidato tanti incontri, ora si trovava sorpresa dalla naturalezza di Noemi, dalla sua capacità di non pretendere eppure ottenere.
Le loro bocche si cercarono come due onde che si riconoscono. Il bacio fu lungo, profondo, morbido. Non c’era fame. Solo riconoscimento.
Sul letto, le due donne si fusero come in una coreografia liquida. La pelle di Noemi aveva un odore diverso, una nota calda, quasi speziata. Loretta lo assaporava lentamente, passando dal collo al seno, dalla pancia all’interno delle cosce. E ogni gemito che Noemi lasciava cadere nell’aria era una conferma, una porta che si apriva ancora un po’.
Dalla soglia del corridoio, Mauro e Carlo osservavano. Non come voyeurs, ma come testimoni di qualcosa di raro. Mauro aveva una mano sullo stipite, l’altra poggiata al petto. Carlo, dietro di lui, respirava piano, come se ogni movimento potesse disturbare quella scena sacra.
La bellezza del momento non era solo erotica. Era onesta. Nessuna delle due cercava di apparire qualcosa che non fosse. Loretta rideva piano quando Noemi le sfiorava i fianchi con la punta della lingua. E Noemi tremava davvero quando Loretta la accoglieva tra le gambe, con la delicatezza di chi sta imparando un alfabeto nuovo.
Quando il piacere arrivò, non fu esplosivo, ma profondo. Silenzioso. Una vibrazione lunga, condivisa. Si strinsero, forti, il respiro all’unisono. Noemi le baciò la fronte. Loretta affondò il volto nel suo collo.
E poi, senza dire nulla, si coprirono con il lenzuolo e restarono lì. I respiri ancora irregolari. I cuori pieni.
Carlo si voltò per primo. Mauro lo seguì. Tornarono lentamente nel salotto, lasciando la porta della camera appena socchiusa. Il rispetto era parte integrante di quella notte.
Noemi si addormentò prima. Loretta le accarezzava i capelli, gli occhi aperti verso il soffitto. Non pensava. Sentiva. E in quel sentire, si riconosceva.
Perché in quella notte, con quella donna così libera da ogni categoria, Loretta aveva trovato una nuova parte di sé. Non più solo fuoco o controllo. Ma morbidezza. Desiderio senza dover dominare. Mauro e Carlo lo avevano visto.
L’intimità, capì Loretta, era fatta anche di saper lasciare andare.
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Quella sera di piacere segnò profondamente Loretta, Mauro e Carlo. Tanto che, solo qualche giorno dopo, Loretta si impunto nel chiedere a Carlo di portare a cena Noemi. E così fu.
Una domenica sera, a cavallo tra il Natale e il Capodanno, Carlo e Noemi si presentarono assieme nella villetta della coppia.
La presenza di Noemi aveva il dono sottile di trasformare lo spazio ancor prima di attraversarlo. Portava un vestito corto, chiaro, con una scollatura che cadeva morbida sulle spalle e lasciava intravedere appena un tatuaggio all’altezza della clavicola. Tacchi alti, smalto perfetto su piedi e mani, orecchini piccoli ma scintillanti. Nessun eccesso, solo equilibrio.
Loretta li invitò ad entrare con un sorriso calmo, forse più intimo del solito. Indossava una camicetta nera trasparente su un reggiseno in pizzo scuro e una gonna a vita alta che lasciava scoperte le ginocchia. Dietro di lei, Mauro si affacciò dal corridoio, come sempre con un calice di vino già in mano.
«Ciao, flor do cerrado,» disse Noemi, avvicinandosi a Loretta con un abbraccio che fu più lento del necessario.
«Flor?»
«Un fiore selvaggio. Bello anche quando non lo sa.»
Loretta rise, ma il rossore sulla pelle tradiva qualcosa di più profondo. L’impatto di Noemi era dolce ma penetrante, come una spezia che si sente appena, ma poi resta nella bocca per ore.
Durante la cena si parlò poco del passato, quasi nulla del futuro. Era il presente che occupava lo spazio, con i suoi piccoli gesti: il modo in cui Noemi si leccava le dita dopo aver assaggiato la salsa, come Mauro la osservava senza parlare, l’ironia velata con cui Carlo lasciava che Loretta dominasse la conversazione.
Il vino scivolava tra loro come un filo invisibile. Noemi parlava un italiano musicale, leggermente impreciso, con parole che sembravano sempre scelte per il suono più che per la correttezza. Aveva un accento in cui la r vibrava più del necessario, e ogni tanto intercalava frasi in portoghese con la naturalezza di chi non chiede il permesso.
«Vivere qui… è come ballare una musica che non conosci,» disse ad un certo punto, guardando Loretta. «Ma se hai abbastanza corpo, la senti. Anche se sbagli i passi.»
Loretta la fissò a lungo, in silenzio. E fu in quello sguardo che accadde il primo vero gesto della notte. Più della tavola apparecchiata, più del vino, più delle parole. Solo uno scambio di silenzio che prometteva un dopo.
Terminato il pasto, con il dolce ancora sulle labbra, fu Loretta a guidare il passaggio. Portò Noemi per mano verso la camera da letto, lasciando Carlo e Mauro tra la cucina ed il soggiorno a sistemare. I due uomini si capirono con uno sguardo. Rimasero lì, come spettatori istruiti, consapevoli di dover ascoltare, non intervenire.
La camera era quella che Noemi aveva già immaginato. I toni neutri delle pareti, il letto grande con coperte color crema, la luce tenue della lampada sul comò. Ma ora non era l’ambiente a definire la scena. Era Loretta.
Appena la porta si socchiuse, Noemi si sentì chiamata senza parole. Loretta le slacciò il vestito con una calma misurata, e il tessuto cadde a terra come acqua.
Noemi rimase in piedi, alta, fiera. Il corpo slanciato, morbido nei fianchi, con seni pieni e pelle dorata che sembrava respirare sotto la luce calda. I suoi lineamenti erano delicati: occhi grandi, ciglia lunghe, zigomi marcati. E c’era qualcosa nel suo ventre, in quella linea verticale che divideva il corpo, che raccontava una storia di trasformazione, ma anche di scelta. Era donna, sì. Ma a modo suo. E lo era completamente.
Loretta si inginocchiò davanti a lei, prima ancora di toccarla. Solo lo sguardo. Solo l’aria che le separava. Poi portò le mani sulle gambe di Noemi, risalendo con lentezza. Non con timidezza, ma con cura.
«Tu sei… oltre quello che avevo immaginato,» mormorò Loretta.
Noemi chinò il capo, senza smettere di sorridere. «Non devi immaginarmi. Devi solo sentirmi.»
Il loro contatto fu un crescendo fatto di esplorazioni lente. Noemi si lasciava accarezzare con generosità, ma restava presente, attiva, guidava con piccoli gesti. Ogni carezza diventava uno spartito, ogni sussurro un invito a proseguire. E Loretta, che fino ad allora aveva guidato tanti incontri, ora si trovava sorpresa dalla naturalezza di Noemi, dalla sua capacità di non pretendere eppure ottenere.
Le loro bocche si cercarono come due onde che si riconoscono. Il bacio fu lungo, profondo, morbido. Non c’era fame. Solo riconoscimento.
Sul letto, le due donne si fusero come in una coreografia liquida. La pelle di Noemi aveva un odore diverso, una nota calda, quasi speziata. Loretta lo assaporava lentamente, passando dal collo al seno, dalla pancia all’interno delle cosce. E ogni gemito che Noemi lasciava cadere nell’aria era una conferma, una porta che si apriva ancora un po’.
Dalla soglia del corridoio, Mauro e Carlo osservavano. Non come voyeurs, ma come testimoni di qualcosa di raro. Mauro aveva una mano sullo stipite, l’altra poggiata al petto. Carlo, dietro di lui, respirava piano, come se ogni movimento potesse disturbare quella scena sacra.
La bellezza del momento non era solo erotica. Era onesta. Nessuna delle due cercava di apparire qualcosa che non fosse. Loretta rideva piano quando Noemi le sfiorava i fianchi con la punta della lingua. E Noemi tremava davvero quando Loretta la accoglieva tra le gambe, con la delicatezza di chi sta imparando un alfabeto nuovo.
Quando il piacere arrivò, non fu esplosivo, ma profondo. Silenzioso. Una vibrazione lunga, condivisa. Si strinsero, forti, il respiro all’unisono. Noemi le baciò la fronte. Loretta affondò il volto nel suo collo.
E poi, senza dire nulla, si coprirono con il lenzuolo e restarono lì. I respiri ancora irregolari. I cuori pieni.
Carlo si voltò per primo. Mauro lo seguì. Tornarono lentamente nel salotto, lasciando la porta della camera appena socchiusa. Il rispetto era parte integrante di quella notte.
Noemi si addormentò prima. Loretta le accarezzava i capelli, gli occhi aperti verso il soffitto. Non pensava. Sentiva. E in quel sentire, si riconosceva.
Perché in quella notte, con quella donna così libera da ogni categoria, Loretta aveva trovato una nuova parte di sé. Non più solo fuoco o controllo. Ma morbidezza. Desiderio senza dover dominare. Mauro e Carlo lo avevano visto.
L’intimità, capì Loretta, era fatta anche di saper lasciare andare.
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