“Un tocco goloso” – Capitolo 35
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Nei giorni successivi Carlo tornò a proporlo. Con naturalezza. «Stasera? Piazzola?»
E Loretta rispondeva: «Sì! Metto solo la giacca lunga. Così sono più libera.»
Mauro non commentava. Guidava. Ogni volta con meno esitazione, con più lucidità. Come se accettare di osservare fosse ormai parte della sua identità.
Loretta, intanto, diventava sempre più magnetica. Era padronanza. Aveva trovato una dimensione in cui era guardata ma anche in controllo. La donna che bruciava al centro della scena.
Quel mercoledì sera l’aria era umida a causa della pioggia, densa, che vibrava anche senza vento. Carlo salì dietro. Loretta lo aspettava già lì questa volta. Come promesso, indossava solo una giacca lunga color cammello, le gambe nude, i capelli raccolti in uno chignon morbido che lasciava scoperto il collo.
Parcheggiati nella piazzola, Loretta si aprì la giacca. Il seno nudo. Il ventre liscio, le cosce lucide come velluto bagnato. La luce arancione del lampione la accarezzava senza pietà. Era un’opera offerta, ma non vulnerabile. Era lì perché voleva esserci.
Carlo non le si gettò addosso. La guardò. Prima. Come un oggetto sacro.
Poi le sfiorò la caviglia. Salì lento. Ginocchio. Coscia. Fianchi.
«Questa volta voglio che resti aperta davanti a tutti. Così,» disse, facendo scorrere la giacca dietro le spalle.
Loretta si sollevò in ginocchio, sulle gambe divaricate, il busto eretto. Un trono fatto di carne.
Mauro, seduto al posto di guida, osservava dal retrovisore. Ma stavolta non c’era tensione nel suo sguardo. Solo fame. Un desiderio muto, disciplinato, come quello di un fedele davanti al suo rito.
Due camion si erano fermati poco più in là. Una figura alta, con giubbotto catarifrangente, si staccò dall’ombra e si avvicinò. Poi un’altra. Un uomo più matura, coperto da un antipioggia. Avevano occhi allenati a vedere, ma non a capire davvero. Finché Loretta non li guardò.
Non con vergogna.
Con intenzione.
«Guardate pure,» disse sottovoce, ma il finestrino abbassato bastava a far arrivare la voce fuori.
Carlo l’afferrò per i fianchi, l’abbassò lentamente su di sé.
La sua erezione la accolse con una naturalezza feroce, come se fosse sempre appartenuta lì. Loretta lo cavalcava senza fretta, lo sguardo fisso verso l’esterno. Gli occhi nei fari dei camion, nella pelle ruvida degli uomini che non osavano ancora parlare, ma non distoglievano lo sguardo.
Le sue mani si posarono sui vetri. Il suo corpo si mosse in onde larghe, lente, come una marea consapevole. Ogni gemito, ogni oscillazione, era una dichiarazione di libertà. Di piacere scelto.
Uno dei camionisti si avvicinò ancora. Alto, robusto. Si chinò verso il finestrino anteriore. Vedeva Mauro. Lo scrutava. I loro sguardi si incrociarono.
«Posso?» chiese l’uomo, la voce roca. Busso, più volte.
Mauro non rispose. Solo un respiro.
«Ti cercano!» Lo incalzò Carlo.
«Abbassa un po’ il tuo finestrino, amore.» Aggiunse Loretta, avvolta dal calore di Carlo.
Il finestrino, ora abbassato, lasciava passare la notte e la possibilità.
La mano dell’uomo entrò nell’abitacolo. Era ruvida, calda, impaziente. Si posò sulla coscia di Mauro. E poi più su. Sfiorò l’interno dei pantaloni. Un gesto incerto, ma non nuovo. Mauro tremò solo un attimo. Poi si lasciò andare. Sbottonò i pantaloni.
Loretta si voltò un istante. Vide la scena. Sorrise.
«Ora sì. Ci siamo tutti.»
Carlo gemeva. Le mani affondavano nei glutei di Loretta. I suoi colpi diventavano più profondi. La voce di lei si fece roca, spezzata.
«Guardatemi. Guardatelo. Lui è mio marito. Fatelo godere.»
Il camionista si mosse più deciso. La mano che accarezzava Mauro ora stringeva. Mauro lasciava fare. Il piacere non era un tradimento. Era adesione.
Loretta si arcuò all’improvviso. Il suo corpo tremò, scosso da un orgasmo feroce, potente, che la fece urlare senza paura.
Qualcun altro si avvicinò con discrezione, restando appena oltre il cerchio invisibile del rispetto.
Ma nessuno voltò le spalle.
Carlo la sorresse mentre scendeva da lui.
Poi si fece spazio accanto al Marito, nuda, sudata, viva.
Il camionista dopo aver concluso con Maro ritrasse la mano, si passò le dita sulla bocca, come per assaporare un ricordo.
«Bella coppia,» disse. Poi si allontanò.
Loretta poggiò la testa sulla spalla di Mauro.
Mauro le accarezzò la mano.
«Potremmo tornare anche domani. Dopo la vostra lezione di ballo.»
«Ti stai abituando troppo bene!» Rispose Carlo, soddisfatto.
La macchina ripartì lenta, silenziosa. Dietro, la piazzola tornava al suo ritmo notturno.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Nei giorni successivi Carlo tornò a proporlo. Con naturalezza. «Stasera? Piazzola?»
E Loretta rispondeva: «Sì! Metto solo la giacca lunga. Così sono più libera.»
Mauro non commentava. Guidava. Ogni volta con meno esitazione, con più lucidità. Come se accettare di osservare fosse ormai parte della sua identità.
Loretta, intanto, diventava sempre più magnetica. Era padronanza. Aveva trovato una dimensione in cui era guardata ma anche in controllo. La donna che bruciava al centro della scena.
Quel mercoledì sera l’aria era umida a causa della pioggia, densa, che vibrava anche senza vento. Carlo salì dietro. Loretta lo aspettava già lì questa volta. Come promesso, indossava solo una giacca lunga color cammello, le gambe nude, i capelli raccolti in uno chignon morbido che lasciava scoperto il collo.
Parcheggiati nella piazzola, Loretta si aprì la giacca. Il seno nudo. Il ventre liscio, le cosce lucide come velluto bagnato. La luce arancione del lampione la accarezzava senza pietà. Era un’opera offerta, ma non vulnerabile. Era lì perché voleva esserci.
Carlo non le si gettò addosso. La guardò. Prima. Come un oggetto sacro.
Poi le sfiorò la caviglia. Salì lento. Ginocchio. Coscia. Fianchi.
«Questa volta voglio che resti aperta davanti a tutti. Così,» disse, facendo scorrere la giacca dietro le spalle.
Loretta si sollevò in ginocchio, sulle gambe divaricate, il busto eretto. Un trono fatto di carne.
Mauro, seduto al posto di guida, osservava dal retrovisore. Ma stavolta non c’era tensione nel suo sguardo. Solo fame. Un desiderio muto, disciplinato, come quello di un fedele davanti al suo rito.
Due camion si erano fermati poco più in là. Una figura alta, con giubbotto catarifrangente, si staccò dall’ombra e si avvicinò. Poi un’altra. Un uomo più matura, coperto da un antipioggia. Avevano occhi allenati a vedere, ma non a capire davvero. Finché Loretta non li guardò.
Non con vergogna.
Con intenzione.
«Guardate pure,» disse sottovoce, ma il finestrino abbassato bastava a far arrivare la voce fuori.
Carlo l’afferrò per i fianchi, l’abbassò lentamente su di sé.
La sua erezione la accolse con una naturalezza feroce, come se fosse sempre appartenuta lì. Loretta lo cavalcava senza fretta, lo sguardo fisso verso l’esterno. Gli occhi nei fari dei camion, nella pelle ruvida degli uomini che non osavano ancora parlare, ma non distoglievano lo sguardo.
Le sue mani si posarono sui vetri. Il suo corpo si mosse in onde larghe, lente, come una marea consapevole. Ogni gemito, ogni oscillazione, era una dichiarazione di libertà. Di piacere scelto.
Uno dei camionisti si avvicinò ancora. Alto, robusto. Si chinò verso il finestrino anteriore. Vedeva Mauro. Lo scrutava. I loro sguardi si incrociarono.
«Posso?» chiese l’uomo, la voce roca. Busso, più volte.
Mauro non rispose. Solo un respiro.
«Ti cercano!» Lo incalzò Carlo.
«Abbassa un po’ il tuo finestrino, amore.» Aggiunse Loretta, avvolta dal calore di Carlo.
Il finestrino, ora abbassato, lasciava passare la notte e la possibilità.
La mano dell’uomo entrò nell’abitacolo. Era ruvida, calda, impaziente. Si posò sulla coscia di Mauro. E poi più su. Sfiorò l’interno dei pantaloni. Un gesto incerto, ma non nuovo. Mauro tremò solo un attimo. Poi si lasciò andare. Sbottonò i pantaloni.
Loretta si voltò un istante. Vide la scena. Sorrise.
«Ora sì. Ci siamo tutti.»
Carlo gemeva. Le mani affondavano nei glutei di Loretta. I suoi colpi diventavano più profondi. La voce di lei si fece roca, spezzata.
«Guardatemi. Guardatelo. Lui è mio marito. Fatelo godere.»
Il camionista si mosse più deciso. La mano che accarezzava Mauro ora stringeva. Mauro lasciava fare. Il piacere non era un tradimento. Era adesione.
Loretta si arcuò all’improvviso. Il suo corpo tremò, scosso da un orgasmo feroce, potente, che la fece urlare senza paura.
Qualcun altro si avvicinò con discrezione, restando appena oltre il cerchio invisibile del rispetto.
Ma nessuno voltò le spalle.
Carlo la sorresse mentre scendeva da lui.
Poi si fece spazio accanto al Marito, nuda, sudata, viva.
Il camionista dopo aver concluso con Maro ritrasse la mano, si passò le dita sulla bocca, come per assaporare un ricordo.
«Bella coppia,» disse. Poi si allontanò.
Loretta poggiò la testa sulla spalla di Mauro.
Mauro le accarezzò la mano.
«Potremmo tornare anche domani. Dopo la vostra lezione di ballo.»
«Ti stai abituando troppo bene!» Rispose Carlo, soddisfatto.
La macchina ripartì lenta, silenziosa. Dietro, la piazzola tornava al suo ritmo notturno.
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