“Sempre obbediente” – Capitolo 47
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Vi invito a lasciare un commento oppure a scrivermi in privato.
Il mattino dopo la cena di compleanno di Carlo il loft respirava un silenzio ovattato, carico di promesse. Le lenzuola ancora scomposte portavano i segni della notte trascorsa, e l’odore di vino e pelle aleggiava come un ricordo dolce.
Mauro si era alzato per primo, come sempre. Aveva preparato il caffè e, con la tazza in mano, si era fermato in cucina. Guardava l’ingresso della camera da letto, ma in realtà dentro di lui scorrevano immagini molto più nitide: Loretta e Carlo stretti, i respiri sovrapposti, la sua stessa eccitazione che non nasceva dal possesso ma dall’osservazione, dall’abbandono consapevole.
Fu Loretta la prima a raggiungerlo. Avvolta in una vestaglia chiara, si avvicinò in punta di piedi e lo strinse da dietro. «Sei sveglio da un pezzo?» chiese con voce bassa, quasi arrossendo.
«Non riuscivo a dormire,» ammise Mauro, voltandosi verso di lei. «Non faccio che ripensare alla nottata.»
Loretta lo baciò lieve sulla guancia. «Anch’io. Ti sei accorto di quanto ti guardavo? Ogni tuo sguardo mi accendeva. Sei la radice di tutto questo, Mauro. Non te lo dimenticare.»
Carlo comparve poco dopo. Si sedette al tavolo senza dire nulla, ma il suo sorriso era quello di chi si sente a casa. «Sembra una famiglia, vero?» commentò infine.
Mauro lo osservò. Non c’era gelosia, solo la certezza che quell’uomo aveva dato forma a un lato della sua vita che fino a pochi mesi prima non osava neanche immaginare.
Nel pomeriggio però qualcosa si riaccese. Delle recenti braci tronarono ad ardere.
Dopo uno sguardo d’intesa con Loretta, Carlo invitò Mauro ad alzarsi e lo prese per mano. «Hai voglia di giocare ancora? Ti andrebbe di tornare ad essere la nostra bambolina?»
Mauro deglutì. Il cuore gli batteva lento, ma fermo. «Sono pronto, sì. Non mi spaventa.»
Carlo lo condusse in camera, dove sul letto erano disposto abiti e biancheria femminile. C’era anche un piccolo beauty case, con rossetti, cipria e ombretti scelti da Loretta. La scena non aveva nulla di caricaturale: era un rito intimo, carico di delicatezza.
«Lo rifaresti?» Chiese Loretta prima di iniziare a spogliarlo con gesti sicuri.
Mauro si lasciava condurre, docile, senza imbarazzo.
Quando tornò ad indossare la calze velate, provò un brivido lungo le gambe.
Carlo gli aggiustò le pieghe, sfiorandolo con calma.
«Così sei bellissimo,» mormorò.
Loretta rise piano. «È vero! Guarda come ti trasformi. Ogni gesto ti appartiene più di quanto pensassi.»
Il reggiseno, il perizoma coordinato, i tacchi. Infine il trucco, applicato da Loretta con precisione e tenerezza. Ogni passaggio non era un atto di scherno, ma di consacrazione.
Mauro, davanti allo specchio, faticava a riconoscersi, ma sentiva dentro un calore che lo rassicurava.
«Come ti senti?» chiese Carlo, seduto sul bordo del letto.
«Mi sento… vostro. E mi piace!»
Loretta lo spinse delicatamente verso Carlo, che lo accolse con un bacio improvviso, caldo. Mauro tremò, sorpreso e al tempo stesso acceso. Si lasciò guidare, mentre Loretta osservava, gli occhi colmi di desiderio e di potere.
«Guardati,» sussurrò a Mauro, indicando lo specchio. «Vedi quanto sei eccitante così? Io ti amo anche in questa veste. E Carlo ti desidera perché ti offri. È questo che mi fa impazzire.»
Il corpo di Mauro reagiva, prigioniero della gabbia intima che Loretta aveva già chiuso su di lui. Era un confine che lo frustrava e lo esaltava insieme.
Carlo prese l’iniziativa, spogliandosi sotto gli occhi di entrambi.
Loretta lo seguì, lenta, e in pochi istanti si ritrovarono avvinghiati davanti a Mauro, che rimaneva ad osservarli inginocchiato, vestito da donna e con il rossetto ormai sbavato.
Ogni bacio tra Carlo e Loretta, ogni carezza che lui poteva solo guardare, aumentava la sua tensione.
«Adoraci,» disse Loretta, guardandolo dall’alto.
«Guarda come ci amiamo. Tu sei qui per custodire questo, per renderlo più intenso.»
Mauro si avvicinò a carponi. Osservò ogni movimento, il ritmo crescente dei corpi, i gemiti che riempivano la stanza. Sentiva la gabbia serrata contro di sé, eppure la sua mente era libera, felice.
Carlo, tra un gemito e l’altro, lo guardò e mormorò: «Vivi questo come un dono. Tu sei la nostra radice, Mauro. Senza di te non ci sarebbe questa passione.»
Le ore scivolarono lente, fatte di amplessi davanti a lui, di carezze che lo toccavano solo per ricordargli il suo ruolo, di sguardi che lo confermavano partecipe. Loretta lo accarezzava spesso, come per ringraziarlo di essere il loro spettatore, la loro cornice.
Quando tutto si placò, Carlo e Loretta rimasero stretti, sudati e rilassati.
Mauro, ancora inginocchiato e gonfio nella sua gabbia intima, li osservava con desiderio.
«Io non potrei mai volere altro,» confessò con voce roca.
Carlo, sfiorandogli il viso con un piede, lo incalzò: «Sei proprio obbediente.»
Loretta lo attirò a sé, lo abbracciò. «Ed è proprio questo che ti rende speciale: il tuo modo di amarci.»
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Il mattino dopo la cena di compleanno di Carlo il loft respirava un silenzio ovattato, carico di promesse. Le lenzuola ancora scomposte portavano i segni della notte trascorsa, e l’odore di vino e pelle aleggiava come un ricordo dolce.
Mauro si era alzato per primo, come sempre. Aveva preparato il caffè e, con la tazza in mano, si era fermato in cucina. Guardava l’ingresso della camera da letto, ma in realtà dentro di lui scorrevano immagini molto più nitide: Loretta e Carlo stretti, i respiri sovrapposti, la sua stessa eccitazione che non nasceva dal possesso ma dall’osservazione, dall’abbandono consapevole.
Fu Loretta la prima a raggiungerlo. Avvolta in una vestaglia chiara, si avvicinò in punta di piedi e lo strinse da dietro. «Sei sveglio da un pezzo?» chiese con voce bassa, quasi arrossendo.
«Non riuscivo a dormire,» ammise Mauro, voltandosi verso di lei. «Non faccio che ripensare alla nottata.»
Loretta lo baciò lieve sulla guancia. «Anch’io. Ti sei accorto di quanto ti guardavo? Ogni tuo sguardo mi accendeva. Sei la radice di tutto questo, Mauro. Non te lo dimenticare.»
Carlo comparve poco dopo. Si sedette al tavolo senza dire nulla, ma il suo sorriso era quello di chi si sente a casa. «Sembra una famiglia, vero?» commentò infine.
Mauro lo osservò. Non c’era gelosia, solo la certezza che quell’uomo aveva dato forma a un lato della sua vita che fino a pochi mesi prima non osava neanche immaginare.
Nel pomeriggio però qualcosa si riaccese. Delle recenti braci tronarono ad ardere.
Dopo uno sguardo d’intesa con Loretta, Carlo invitò Mauro ad alzarsi e lo prese per mano. «Hai voglia di giocare ancora? Ti andrebbe di tornare ad essere la nostra bambolina?»
Mauro deglutì. Il cuore gli batteva lento, ma fermo. «Sono pronto, sì. Non mi spaventa.»
Carlo lo condusse in camera, dove sul letto erano disposto abiti e biancheria femminile. C’era anche un piccolo beauty case, con rossetti, cipria e ombretti scelti da Loretta. La scena non aveva nulla di caricaturale: era un rito intimo, carico di delicatezza.
«Lo rifaresti?» Chiese Loretta prima di iniziare a spogliarlo con gesti sicuri.
Mauro si lasciava condurre, docile, senza imbarazzo.
Quando tornò ad indossare la calze velate, provò un brivido lungo le gambe.
Carlo gli aggiustò le pieghe, sfiorandolo con calma.
«Così sei bellissimo,» mormorò.
Loretta rise piano. «È vero! Guarda come ti trasformi. Ogni gesto ti appartiene più di quanto pensassi.»
Il reggiseno, il perizoma coordinato, i tacchi. Infine il trucco, applicato da Loretta con precisione e tenerezza. Ogni passaggio non era un atto di scherno, ma di consacrazione.
Mauro, davanti allo specchio, faticava a riconoscersi, ma sentiva dentro un calore che lo rassicurava.
«Come ti senti?» chiese Carlo, seduto sul bordo del letto.
«Mi sento… vostro. E mi piace!»
Loretta lo spinse delicatamente verso Carlo, che lo accolse con un bacio improvviso, caldo. Mauro tremò, sorpreso e al tempo stesso acceso. Si lasciò guidare, mentre Loretta osservava, gli occhi colmi di desiderio e di potere.
«Guardati,» sussurrò a Mauro, indicando lo specchio. «Vedi quanto sei eccitante così? Io ti amo anche in questa veste. E Carlo ti desidera perché ti offri. È questo che mi fa impazzire.»
Il corpo di Mauro reagiva, prigioniero della gabbia intima che Loretta aveva già chiuso su di lui. Era un confine che lo frustrava e lo esaltava insieme.
Carlo prese l’iniziativa, spogliandosi sotto gli occhi di entrambi.
Loretta lo seguì, lenta, e in pochi istanti si ritrovarono avvinghiati davanti a Mauro, che rimaneva ad osservarli inginocchiato, vestito da donna e con il rossetto ormai sbavato.
Ogni bacio tra Carlo e Loretta, ogni carezza che lui poteva solo guardare, aumentava la sua tensione.
«Adoraci,» disse Loretta, guardandolo dall’alto.
«Guarda come ci amiamo. Tu sei qui per custodire questo, per renderlo più intenso.»
Mauro si avvicinò a carponi. Osservò ogni movimento, il ritmo crescente dei corpi, i gemiti che riempivano la stanza. Sentiva la gabbia serrata contro di sé, eppure la sua mente era libera, felice.
Carlo, tra un gemito e l’altro, lo guardò e mormorò: «Vivi questo come un dono. Tu sei la nostra radice, Mauro. Senza di te non ci sarebbe questa passione.»
Le ore scivolarono lente, fatte di amplessi davanti a lui, di carezze che lo toccavano solo per ricordargli il suo ruolo, di sguardi che lo confermavano partecipe. Loretta lo accarezzava spesso, come per ringraziarlo di essere il loro spettatore, la loro cornice.
Quando tutto si placò, Carlo e Loretta rimasero stretti, sudati e rilassati.
Mauro, ancora inginocchiato e gonfio nella sua gabbia intima, li osservava con desiderio.
«Io non potrei mai volere altro,» confessò con voce roca.
Carlo, sfiorandogli il viso con un piede, lo incalzò: «Sei proprio obbediente.»
Loretta lo attirò a sé, lo abbracciò. «Ed è proprio questo che ti rende speciale: il tuo modo di amarci.»
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