“Dopo la cena di compleanno” – Capitolo 46

di
genere
confessioni

Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
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La sera era fresca e la città sembrava indossare un vestito elegante, fatta di luci lontane e vetrine che riflettevano il passo dei passanti. Carlo compiva trentasette anni e, nelle settimane precedenti, Loretta e Mauro avevano curato ogni dettaglio della serata come se fosse un rito. Non era un compleanno qualunque: era il primo che avrebbero festeggiato insieme, e la consapevolezza di quella novità dava alla coppia una dolce elettricità.
Il ristorante in centro era raccolto, con tovaglie di lino e bicchieri sottili che luccicavano. Loretta aveva scelto un abito scuro, aderente ma misurato, che disegnava la sua figura minuta con raffinata femminilità; lo scollo non era gratuito, invitava lo sguardo senza chiedere nulla. Ai piedi portava tacchi alti che allungavano la caviglia e, ogni volta che si alzava o si appoggiava alla sedia, era come se la stanza intera registrasse quel piccolo suono di metallo sul pavimento. I capelli, raccolti in modo morbido, incorniciavano il viso che, quando sorrideva, diventava più giovane. Mauro aveva scelto un completo classico, sobrio, con la cravatta appena allentata; Carlo, il festeggiato, indossava una giacca scura, la camicia leggermente aperta al colletto, l’atteggiamento di chi sa accettare il piacere della serata.
Il menù era un inno al mare: ostriche d’apertura, tartare di tonno con polvere di limone, linguine al sapore di gamberi e zafferano, e un trancio di branzino con erbe aromatiche a chiudere. Le bollicine non mancavano: festeggiavano tra i calici e le stelle di sale sui bordi dei piatti. Ogni portata arrivava con la promessa di un sapore nuovo; ogni brindisi era un pretesto per avvicinare le mani.
Quando il cameriere, con un cenno riconoscente, depositò la piccola torta candida con una sola candelina, Loretta si chinò su Carlo e lo baciò; un gesto semplice, pubblico, e insieme complice.
Mauro guardò quei gesti e sentì una felicità morbida, come un abito che gli calzava perfettamente.
I dialoghi tra i tre misero in scena la loro intimità senza bisogno di scandalo.
«Trentasette?» disse Loretta con voce da bambina che finge di non sapere. «Dev’essere l’età giusta per imparare ancora a lasciarsi sorprendere.»
Carlo, divertito, la ringraziò con uno sguardo che brillava di gratitudine.
Mauro lo raggiunse: «Grazie per essere entrato nella nostra vita», disse piano. «Per averla resa più nostra, più vera.»
Le parole erano semplici ma cariche, e il sottinteso si abbassava come una coltre calda sul tavolo: ogni gesto, ogni sfioramento, ogni sorriso aveva un valore che andava oltre la cena.
Uscirono dal ristorante con il sapore del mare ancora sulle labbra.
Il loft di Mauro non era lontano; la passeggiata sotto i lampioni fu un tempo sospeso. Loretta camminava un poco più vicina a Carlo, i tacchi battendo il tempo. Mauro li seguiva con uno sguardo che non perdeva i contorni, e la complicità fra i tre si rendeva ancora più evidente nel piccolo spazio che li separava dagli altri.
Appena varcata la soglia del loft, la serata cambiò registro: il tono restò raffinato, ma l’intensità si trasformò, divenne più intima, vicina.
La luce era bassa, calibrata come a non voler svegliare il mondo esterno.
Un’altra bottiglia di bollicine venne stappata, e la casa si riempì di quel fruscio dolce che accompagna i momenti che si allungano.
Loretta si sedette su uno sgabello vicino al bancone, la stoffa dell’abito scivolò in modo che una parte della coscia fosse appena visibile, e Carlo si mise accanto a lei.
La loro intimità non fu mai affrettata. Si scambiarono carezze che dicevano più di molte parole, sguardi che misuravano il confine tra il desiderio e il rispetto. Loretta prese la mano di Carlo e la appoggiò sul proprio fianco con una delicatezza che pareva sacra; poi il suo sguardo cercò Mauro, e nel suo sorriso c’era un ringraziamento. «Sei venuto a renderci felici», gli sussurrò.
Carlo lo guardava con attenzione, talvolta con reverenza, come se stesse ricevendo un dono prezioso. Le mani di Loretta passavano da un corpo all’altro con la naturalezza di chi tiene le redini di un’orchestra: sapienti, attente a non oltrepassare i limiti, ma ferme nel dirigere l’onda di piacere che fluiva.
I tre si lasciarono andare in una sequenza di contatti: baci lunghi, mani esploratrici, respiri che si sovrapponevano. La scena non si consumò nella fretta; ogni movimento era un allineamento di desideri. Quando Loretta e Carlo si unirono in un abbraccio più intenso, Mauro non restò indietro: si avvicinò, partecipò con il suo affetto, la sua attenzione. L’atto fisico fu raccontato più che descritto: ciò che contava era la comunione, la condivisione di piacere che non sminuiva nessuno ma che, al contrario, confermava il valore di ognuno nello spazio dell’altro.
Parlarono, tra un bacio e l’altro. «Grazie», disse Carlo, la voce rauca per l’emozione. «Per avermi accolto così, per avermi mostrato come si possa amare in più modi.» Loretta gli accarezzò il mento. «Tu ci hai ricordato quant’è bello sorprendersi», rispose. Mauro, con gli occhi lucidi, aggiunse: «E io… non smetto di essere grato di potervi guardare, partecipare, e sapere che non perdo nulla di ciò che sono. Anzi.» Le parole fluirono sincere, senza ipocrisie.
Prima di addormentarsi, Loretta appoggiò la testa sul petto di Mauro, e Carlo strinse la mano di entrambi, come se quel gesto potesse impigliarsi nelle fibre della memoria.
«Buon compleanno», sussurrò lei.
di
scritto il
2025-09-08
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