“Si spezza il gioco” – Capitolo 44

di
genere
confessioni

Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
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Con la fine di gennaio l’aria aveva un altro sapore: più nitida, più decisa. Alla ripresa del corso di salsa del giovedì, la sala era piena di volti che si ritrovavano dopo le festività; i passi tornavano a scandire la routine, eppure qualcosa, quella sera, stonava.
Carlo lo disse con la calma tagliente di chi deve riportare una decisione già presa.
«Noemi non farà più parte del nostro mondo.»
La frase, pronunciata a voce bassa ma chiara, cadde nell’abitacolo dell’auto come una porta che si chiude.
Mauro guidava con la concentrazione che era ormai la sua armatura. Loretta era seduta dietro, abbracciata a Carlo, la sua testa poggiata sulla spalla di lui, le mani intrecciate. Sul volto ora aveva lo stesso colore di chi ha ricevuto una notizia dolente. Non era rabbia, non ancora: era un dispiacere dolceamaro, come la sensazione di un brivido che sfuma.
«Torna sempre in Brasile in questo periodo,» spiegò Carlo, senza bisogno di aggiungere altro. «Si riprende le cose che sono sue.»
Loretta sentì la parola “Brasile” diventare un’eco lontana: i ricordi dei giorni passati insieme — la complicità, il piacere condiviso, la carica erotica dei gesti — affiorarono come fotografie che si sgranano: perfette nel lumicino, sfocate ai bordi.
Nel silenzio, ognuno tenne il proprio ruolo. Mauro osservava la strada, ma i suoi occhi tradivano un paesaggio interiore diverso: sorpresa, un filo di dolore che non sapeva dove posare, e insieme una calma che gli permetteva di assorbire, piatto dopo piatto, quello che veniva. Carlo, invece, parve volersi svuotare: la voce neutra, una punta di amarezza solo quando pronunciò il nome di Noemi come si cita un’assenza. Loretta stringeva la mano di Carlo più forte, quasi per non lasciar andare il filo caldo di quelli ultimi giorni.
«Ci siamo goduti bene il tempo che abbiamo avuto.» La sua fu una constatazione, ma con un sottofondo di rimpianto.
Mauro esitò un istante, e poi, senza voltarsi troppo, confessò: «Vorrei che non finisse così. Che restasse qualcosa, che le nostra Loretta torni al centro.» Le sue parole furono lucide, sincere.
Loretta sentì il desiderio accumulato diventare impulso. Le ultime settimane con Noemi avevano spalancato il suo bisogno di essere guardata, di essere scelta, di respirare al centro. Si girò appena, a mezzobusto, la pelle illuminata dalla luce che filtrava dal finestrino. «Voglio tornare al centro del nostro rapporto,» disse piano e con decisione. «Voglio che sia ancora io il cuore di questa storia, già da stanotte.»
Caro la strinse ancora di più a se.
Mauro incassò la richiesta come si accoglie un ordine d’amore: con rispetto e attenzione.
L’auto proseguì tra le luci dei lampioni che scivolavano sulle portiere; all’arrivo alla villetta, l’aria fredda li accolse come una sciarpa che separa il prima dal dopo.
Dentro, la casa era quieta: il solito equilibrio domestico, interrotto però dalla tensione vibrante che pareva appartenere solo a loro. Loretta tolse il cappotto con lentezza cerimoniosa, come se ogni gesto dovesse imprimersi nella memoria. Carlo la seguiva con lo sguardo di chi sa leggere una partitura d’affetto e ardore. Mauro rimase in piedi per un momento, poi si avvicinò con lo smartphone tra le mani: il suo ruolo di testimone non era un ripiego, ma una scelta consapevole. Avrebbe fissato i segni di quella serata — non per ridurli a immagine, ma per conservarne il senso e condividerlo.
Quando si spostarono nella camera da letto, l’atmosfera si fece più intima, quasi rituale. Le luci erano attenuate. Loretta prese il centro con la grazia di chi sa come conquistarlo: si avvicinò a Carlo con passo misurato, lo sfiorò, lo chiamò con lo sguardo. Non c’era fretta, solo la volontà di riaprire un antico rito.
Il loro incontro, seppur orale, fu un dialogo muto: respiri che si rincorrevano, sussurri che si confondono con i battiti. La bocca e la linga di Carlo seguirono la linea del corpo di Loretta, esplorandone i ritorni, i segreti. Lei rispose regalandogli il centro, offrendosi senza imbarazzo, con l’evidenza di chi sa quale piacere nasce dall’essere scelta in pieno. Mauro rimase vicino, riprendendo con lo smartphone un tappeto ritmico che scandiva i momenti come fossero note.
Le fotografie non erano voyeurismo sterile: erano un tributo, un modo per trattenere la memoria. Mauro evitava l'intrusione: le sue immagini cercavano la luce, l’atteggiamento, la curva di un sorriso, il tremore di una spalla. Ogni scatto era un’attenzione, un riconoscimento. A intervalli, abbassava il telefono, osservando con cura, come se volesse assicurarsi che il loro intimo non venisse profanato ma adorato.
Sul letto, Loretta e Carlo si persero e si ritrovarono in una sequenza di gesti intimi che parlavano più per sottrazione che per dettaglio. Ci furono baci che durarono l’eternità di un secondo, mani che invocavano risposte, carezze che accendevano luci interne. Il piacere, quando si fece presente, arrivò come un’onda complice: non gridato, ma vissuto come un esatto, condiviso atto di fiducia. Loretta si lasciò andare, sostenuta da due presenze: l’uomo che si offriva e l’altro che testimoniava.
Quando la quiete tornò, restarono avvolti nelle lenzuola come in una tela calda.
Mauro abbassò lo smartphone. Lo raccolse Carlo, che scorse le immagini con mano lieve, e con un gesto che fu contemporaneamente rassegnazione e gentilezza decise: avrebbe inviato quelle fotografie a Noemi. Non come ostentazione, non come sfida, ma come saluto. Un invio silenzioso che chiudeva un cerchio e insieme lo benediceva.
Loretta sentì la pena dell’addio, ma anche una nuova calma: il gioco, forse, si spezzava, ma non si spegneva la complicità che avevano costruito. Si avvicinò a Mauro, gli pose una mano sul petto, dove il cuore batteva con la certezza di chi ha preso parte al rito.
«Grazie,» mormorò.
di
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2025-09-05
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