Amanti
di
Troy2a
genere
incesti
Nel pieno imperversare dell'anticiclone africano, con un caldo che sforava ogni giorno i 40 gradi, mio padre dovette partire per lavoro: tempo previsto una settimana, ma lo invitarono a portare qualcosa in più, nel caso la sua presenza si rendesse necessaria oltre quel termine.
Così, io e mia madre Ornella rimanemmo da soli e trascorrevamo il tempo libero prendendoci cura delle piante e della casa. Un pomeriggio tardo, cominciammo ad innaffiare , usando ognuno un tubo diverso, ma quel compito si trasformò presto in un gioco. Prendemmo a schizzarci, a rincorrerci, insomma a divertirci come bambini, ridendo e gridando proprio come si fa nella più tenera età. Poi, facemmo una doccia e cenammo, una birra fresca e via sul dondolo a rilassarci. Io ero a torso nudo e con un poaio di pantaloncini, senza mutande sotto. Di lei vedevo solo uno di quei vestitini da casa estivi, quelli che vengono chiamati prendisole, con le bretelline, insomma. Seduti su quel dondolo, lei si accoccolò su di me, stendendo di lato le gambe: avevo la sua testa sul mio petto e ci godevamo la leggera frescura della sera. Ad un tratto, mi sembrò di sentire come dell'umido sul mio capezzolo sinistro; una sensazione che si trasformò in certezza in pochi istanti. Pensai che si fosse addormentata e che, dalla bocca dischiusa, scendesse un filo di saliva che mi bagnava. Fui tentato di svegliarla, ma era un sensazione che mi piaceva e mi stavo eccitando, in più mi dispiaceva davvero strapparla dal suo riposo e rimanevo, così, come in attesa di non so che. Poi un morso deciso che mi strappa un grido ed una mano che si intrufola sotto i miei pantaloni. Se prima ero fermo, diventai immobile: attento ad ogni suo movimento, sperando che non si fermasse. Ma lei non sembrava averne intenzione, anzi, lentamente, prese a scendere e, tirato fuori il mio cazzo dai pantaloni, cominciò a leccarlo: piccoli colpi di lingua sul prepuzio, alternati con un altrettanto misurato risalire con la lingua dallo scroto fino al filino. La mia mano si intrufolò sotto il suo vestito: non aveva il reggiseno e presto mi ritrovai con un seno ancora sodo nella mano, sormontato da un capezzolo ritto come un chiodo. Era eccitata: lo avrebbe capito anche un bambino. Osai di più, andando a sollevarlo il vestito e scoprendo che non aveva neanche gli slip. Mugolò di piacere, quando due mie dita si intrufolarono in lei, dopo aver percorso il solco della sua fica ripetutamente, indugiando sul clitoride, che stringevo tra le dita. Lei continuava, senza fretta, col suo lavoro di bocca, sospirando, di tanto in tanto. Poi si sollevò e si sedette su di me, piantandosi il cazzo nella fica con consumata calma, dandomi le spalle. Vedevo il solco del suo culo scendere e salire e le sue chiappe burrose ballonzolare, ogni volta che si scontravano con le mie cosce, tese allo spasmo per il godimento. Andò avanti per un buon quarto d'ora, poi si alzò e mi guardò negli occhi:
“Ma che resistenza hai?” disse. Poi aggiunse: “Ora ti aggiusto io!”
Si sedette di nuovo, stavolta davanti, sfilò del tutto il vestito, offrendomi la vista di un seno prosperoso, che fino d allora avevo solo potuto intuire sotto i vestiti. Mi baciò, facendomi gustare il sapore della sua lingua e pensai che nessuna mi aveva mai baciato così. In pratica mi scopava la bocca con la lingua ed io ero in estasi. Poi si sollevò:
“Adesso viene il bello! Vediamo quanto resisti!”
Si puntò il cazzo sull'orifizio anale, lasciandosi scivolare lentamente . Il suo intestino avvolgeva il mio attrezzo come un guanto, ma riuscì a trattenermi ed a scoparle il culo ancor a lungo. Gemeva e miagolava, mentre irrorava le mie cosce dei suoi umori. Ora mi guardava con uno sguardo di sfida ed io la ricambiavo, come a dire vediamo chi vince.
“Brutto porco, non vuoi saperne di venire?”
“Perché, tu vorresti smettere di venire?”
Mi sorrise ansimante, accelerando il ritmo: eravamo ormai alla soglia dell'ora di sesso sfrenato ed anch'io mi domandavo come stessi facendo a resistere tanto, ma avrei voluto durare ancora molto di più. Ed invece arrivò la fine anche di quella magnifica scopata. Il mio corpo si irrigid' e lei capì che ero al culmine. Mi fissò negli occhi uno sguardo di vittoria, mentre le riversavo nell'intestino fiotti di sperma caldo. Continuava ad emettere suoni inintelligibili ed a sorridere, mentre si chinava a baciarmi di nuovo. Si alzò da me ed una colata di sborra sporca le colò giù dal culo, diede un sospiro profondissimo ed andò a lavarsi.
L'indomani, ci vedemmo solo al suo rientro dal lavoro: era fredda, come mai lo era stata ed io ero imbarazzato, non sapendo cosa fare, o anche solo dire. La guardavo fare le cose che avevamo fatto il giorno prima, ma non c'era gioia, non c'erano risate, non c'erano scherzi. Facevamo le cose che DOVEVAMO fare, perchè andavano fatte. Anzi, cercavamo in ogni modo che i nostri sguardi potessero incrociarsi. Ma poi, all'ora di cena, ci ritrovammo uno di fronte all'altro: io tenevo gli occhi bassi e lei sospirava, forse incapace di cominciare il discorso. Lavò i piatti, senza alcun entusiasmo e di nuovo uscimmo sulla veranda a goderci quel minimo di frescura che la sera riusciva a regalarci. Io sedetti sul dondolo, ma lei evitò. Prese una birra e bevve un lungo sorso. Sbuffò che sembrava un mantice, credo per buttare fuori tutta la tensione. Quindi, quasi con fatica, si alzò mi porse la bottiglia di birra e diedi anche io un sorso. Quindi sedette accanto a me sul dondolo: i nostri corpi si sfioravano, ma lei non si distese su di me, come la sera prima. Indovinavo, sotto il prendisole, i suoi capezzoli ed immaginavo che anche la fica fosse libera come l'avevo trovata appena 24 ore prima. Diede un altro sbuffò, poi, finalmente cominciò:
“Riccardo, quello che è successo ieri è molto sbagliato, lo sai, vero? È sbagliato perché tuo padre è un brav'uomo ed io non lo avevo mai tradito. È sbagliato perché sono tua madre e quel che c'è stato tra noi si chiama incesto ed è condannato dalla morale e dalla legge. È sbagliato perché è sbagliato, insomma!”
Calò un silenzio incredibile: sembrò che anche le cicale volessero rispettare la sacralità di quel discorso. Bevve un altro lungo sorso e di nuovo mi passò la bottiglia. Io restavo muto, incapace di articolare una risposta, un'obiezione a quanto aveva appena detto, ma lei, probabilmente, non la aspettava: cercava solo il modo migliore di concludere quel discorso come voleva. Poi, evidentemente, decise di farlo nella maniera più diretta e cruda possibile.
“È sbagliato, insomma! L'ho detto! Ma sbagliato quanto vuoi, mi è piaciuto tantissimo e non intendo rinunciarci. Per cui, da oggi, anzi, da ieri, se vuoi, noi siamo amanti!” ora mi guardava, invitandomi a dare una risposta ed anche io decisi di darla nella maniera più diretta e chiara possibile. Mi accucciai tra le sue gambe, sollevai il vestito e presi a leccarle la fica, mentre le sue mani mi accarezzavano il capo.
Siamo amanti, ora, anche se, dopo il ritorno di mio padre abbiamo meno libertà e dobbiamo ritagliarci degli spazi di tempo in luoghi impensabili. Come due amanti, appunto!
Così, io e mia madre Ornella rimanemmo da soli e trascorrevamo il tempo libero prendendoci cura delle piante e della casa. Un pomeriggio tardo, cominciammo ad innaffiare , usando ognuno un tubo diverso, ma quel compito si trasformò presto in un gioco. Prendemmo a schizzarci, a rincorrerci, insomma a divertirci come bambini, ridendo e gridando proprio come si fa nella più tenera età. Poi, facemmo una doccia e cenammo, una birra fresca e via sul dondolo a rilassarci. Io ero a torso nudo e con un poaio di pantaloncini, senza mutande sotto. Di lei vedevo solo uno di quei vestitini da casa estivi, quelli che vengono chiamati prendisole, con le bretelline, insomma. Seduti su quel dondolo, lei si accoccolò su di me, stendendo di lato le gambe: avevo la sua testa sul mio petto e ci godevamo la leggera frescura della sera. Ad un tratto, mi sembrò di sentire come dell'umido sul mio capezzolo sinistro; una sensazione che si trasformò in certezza in pochi istanti. Pensai che si fosse addormentata e che, dalla bocca dischiusa, scendesse un filo di saliva che mi bagnava. Fui tentato di svegliarla, ma era un sensazione che mi piaceva e mi stavo eccitando, in più mi dispiaceva davvero strapparla dal suo riposo e rimanevo, così, come in attesa di non so che. Poi un morso deciso che mi strappa un grido ed una mano che si intrufola sotto i miei pantaloni. Se prima ero fermo, diventai immobile: attento ad ogni suo movimento, sperando che non si fermasse. Ma lei non sembrava averne intenzione, anzi, lentamente, prese a scendere e, tirato fuori il mio cazzo dai pantaloni, cominciò a leccarlo: piccoli colpi di lingua sul prepuzio, alternati con un altrettanto misurato risalire con la lingua dallo scroto fino al filino. La mia mano si intrufolò sotto il suo vestito: non aveva il reggiseno e presto mi ritrovai con un seno ancora sodo nella mano, sormontato da un capezzolo ritto come un chiodo. Era eccitata: lo avrebbe capito anche un bambino. Osai di più, andando a sollevarlo il vestito e scoprendo che non aveva neanche gli slip. Mugolò di piacere, quando due mie dita si intrufolarono in lei, dopo aver percorso il solco della sua fica ripetutamente, indugiando sul clitoride, che stringevo tra le dita. Lei continuava, senza fretta, col suo lavoro di bocca, sospirando, di tanto in tanto. Poi si sollevò e si sedette su di me, piantandosi il cazzo nella fica con consumata calma, dandomi le spalle. Vedevo il solco del suo culo scendere e salire e le sue chiappe burrose ballonzolare, ogni volta che si scontravano con le mie cosce, tese allo spasmo per il godimento. Andò avanti per un buon quarto d'ora, poi si alzò e mi guardò negli occhi:
“Ma che resistenza hai?” disse. Poi aggiunse: “Ora ti aggiusto io!”
Si sedette di nuovo, stavolta davanti, sfilò del tutto il vestito, offrendomi la vista di un seno prosperoso, che fino d allora avevo solo potuto intuire sotto i vestiti. Mi baciò, facendomi gustare il sapore della sua lingua e pensai che nessuna mi aveva mai baciato così. In pratica mi scopava la bocca con la lingua ed io ero in estasi. Poi si sollevò:
“Adesso viene il bello! Vediamo quanto resisti!”
Si puntò il cazzo sull'orifizio anale, lasciandosi scivolare lentamente . Il suo intestino avvolgeva il mio attrezzo come un guanto, ma riuscì a trattenermi ed a scoparle il culo ancor a lungo. Gemeva e miagolava, mentre irrorava le mie cosce dei suoi umori. Ora mi guardava con uno sguardo di sfida ed io la ricambiavo, come a dire vediamo chi vince.
“Brutto porco, non vuoi saperne di venire?”
“Perché, tu vorresti smettere di venire?”
Mi sorrise ansimante, accelerando il ritmo: eravamo ormai alla soglia dell'ora di sesso sfrenato ed anch'io mi domandavo come stessi facendo a resistere tanto, ma avrei voluto durare ancora molto di più. Ed invece arrivò la fine anche di quella magnifica scopata. Il mio corpo si irrigid' e lei capì che ero al culmine. Mi fissò negli occhi uno sguardo di vittoria, mentre le riversavo nell'intestino fiotti di sperma caldo. Continuava ad emettere suoni inintelligibili ed a sorridere, mentre si chinava a baciarmi di nuovo. Si alzò da me ed una colata di sborra sporca le colò giù dal culo, diede un sospiro profondissimo ed andò a lavarsi.
L'indomani, ci vedemmo solo al suo rientro dal lavoro: era fredda, come mai lo era stata ed io ero imbarazzato, non sapendo cosa fare, o anche solo dire. La guardavo fare le cose che avevamo fatto il giorno prima, ma non c'era gioia, non c'erano risate, non c'erano scherzi. Facevamo le cose che DOVEVAMO fare, perchè andavano fatte. Anzi, cercavamo in ogni modo che i nostri sguardi potessero incrociarsi. Ma poi, all'ora di cena, ci ritrovammo uno di fronte all'altro: io tenevo gli occhi bassi e lei sospirava, forse incapace di cominciare il discorso. Lavò i piatti, senza alcun entusiasmo e di nuovo uscimmo sulla veranda a goderci quel minimo di frescura che la sera riusciva a regalarci. Io sedetti sul dondolo, ma lei evitò. Prese una birra e bevve un lungo sorso. Sbuffò che sembrava un mantice, credo per buttare fuori tutta la tensione. Quindi, quasi con fatica, si alzò mi porse la bottiglia di birra e diedi anche io un sorso. Quindi sedette accanto a me sul dondolo: i nostri corpi si sfioravano, ma lei non si distese su di me, come la sera prima. Indovinavo, sotto il prendisole, i suoi capezzoli ed immaginavo che anche la fica fosse libera come l'avevo trovata appena 24 ore prima. Diede un altro sbuffò, poi, finalmente cominciò:
“Riccardo, quello che è successo ieri è molto sbagliato, lo sai, vero? È sbagliato perché tuo padre è un brav'uomo ed io non lo avevo mai tradito. È sbagliato perché sono tua madre e quel che c'è stato tra noi si chiama incesto ed è condannato dalla morale e dalla legge. È sbagliato perché è sbagliato, insomma!”
Calò un silenzio incredibile: sembrò che anche le cicale volessero rispettare la sacralità di quel discorso. Bevve un altro lungo sorso e di nuovo mi passò la bottiglia. Io restavo muto, incapace di articolare una risposta, un'obiezione a quanto aveva appena detto, ma lei, probabilmente, non la aspettava: cercava solo il modo migliore di concludere quel discorso come voleva. Poi, evidentemente, decise di farlo nella maniera più diretta e cruda possibile.
“È sbagliato, insomma! L'ho detto! Ma sbagliato quanto vuoi, mi è piaciuto tantissimo e non intendo rinunciarci. Per cui, da oggi, anzi, da ieri, se vuoi, noi siamo amanti!” ora mi guardava, invitandomi a dare una risposta ed anche io decisi di darla nella maniera più diretta e chiara possibile. Mi accucciai tra le sue gambe, sollevai il vestito e presi a leccarle la fica, mentre le sue mani mi accarezzavano il capo.
Siamo amanti, ora, anche se, dopo il ritorno di mio padre abbiamo meno libertà e dobbiamo ritagliarci degli spazi di tempo in luoghi impensabili. Come due amanti, appunto!
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