The last dance
di
Ironwriter2025
genere
sentimentali
Buongiorno a tutti cari lettori. Soffermatevi un istante a queste poche parole, questo è un racconto, non propriamente erotico, ergo, se siete alla ricerca di cazzi culi sborrate etc etc etc. passate oltre. In questa storia inventerò due persone normali che vivono i loro problemi e la loro vita, nessun superdotato, nessuna supertettona, una coppia di coniugi. Ci saranno scene di sesso, ma ripeto se cercate solo quello cortesemente leggete altro.
Buona lettura a chi ne avrà la curiosità.
L’autostrada da Milano a Piacenza correva dritta sotto le ruote della maxienduro, una di quelle moto imponenti che sembrano nate per macinare chilometri più che per arrivare. Il motore vibrava regolare, con quel suono pieno e sordo che accompagna i lunghi viaggi e i silenzi ragionati.
In sella, una coppia.
Claudio, 53 anni, guidava con la sicurezza di chi ha fatto sua ogni abitudine: mani ferme sul manubrio, sguardo fisso davanti, corpo leggermente inclinato in avanti, come se stesse cercando di sfuggire al tempo. Indossava un giubbotto giallo fosforescente e un casco bianco segnato da piccoli graffi, memoria silenziosa di mille uscite.
Chiara, 50 anni appena compiuti, era seduta dietro di lui. Le gambe lo avvolgevano con naturalezza, le cosce premute contro le sue, le mani appoggiate sulle sue anche, senza peso. La schiena poggiata al bauletto rigido, il casco giallo che rifletteva la luce del mattino. Il suo giubbotto rosa spiccava tra i colori smorzati dell’asfalto, come un pensiero che ancora resiste.
Erano vicinissimi, uniti da anni di viaggio insieme, da figli ormai grandi, da decisioni condivise e da ostinazioni tenaci. Si capivano con uno sguardo, sapevano chi dei due avrebbe preso la parola a cena con gli amici, chi avrebbe pagato il caffè all’autogrill. Una coppia solida, affiatata.
Eppure, dentro quella stretta, dentro quel viaggio, mancava qualcosa.
Era il corpo.
O forse il desiderio.
Un vuoto sottile ma crescente, come una vibrazione in sottofondo che nessuna velocità poteva coprire.
Chi li avesse visti da fuori li avrebbe invidiati: belli, complici, ancora giovani nel portamento. Ma nessuno poteva sapere che da tempo, nel loro letto, si dormiva senza toccarsi.
Chiara non aveva mai amato la moto.
Neppure da giovane, neppure all’inizio della loro storia, quando ogni gesto di Claudio aveva ancora il potere di scuoterle qualcosa dentro. La trovava scomoda, rumorosa, inutilmente maschile. Ma ora era lì, seduta dietro di lui, con le gambe strette attorno ai suoi fianchi e la schiena appoggiata a quel bauletto rigido che non riusciva proprio a chiamare “comodità”.
Non era per piacere, quel viaggio. Era per lui.
Per quella frase.
«Sono stanco di una moglie senza desideri, senza stimoli, senza alcun amor proprio.»
Gliel’aveva detto in piedi, in cucina, dopo l’ennesima cena in silenzio. Lei ancora con la vestaglia addosso, struccata, i capelli raccolti in una pinza che da anni sembrava parte del suo cranio. Aveva parlato con una rabbia ferma, quasi educata. Ma nello sguardo c’era qualcosa che l’aveva gelata.
«Ti voglio sexy, Chiara. Ti voglio vogliosa. Ti voglio femmina.»
Le parole erano risuonate in testa per giorni.
Non era stato un rimprovero. Era stato un grido.
E lei, che da tempo aveva smesso di ascoltare i suoi malumori, questa volta non era riuscita a ignorarlo.
Aveva sempre pensato che bastasse esserci, essere madre, essere moglie, essere affidabile. Non si era mai vestita per attirare sguardi, mai truccata per farsi desiderare, mai sentita a suo agio nei vestiti attillati che aveva sempre associato a un’altra idea di donna.
Ma ora quel mondo — il suo mondo, quello fatto di abitudini e sicurezza — sembrava minacciato.
E a minacciarlo non era un’altra donna. Era lui. Era la sua stanchezza.
Per questo aveva accettato di salire in sella.
Per questo aveva comprato quel giubbotto rosa, anche se lo odiava.
Per questo aveva infilato i jeans stretti, anche se le segnavano i fianchi.
Perché temeva che, se non avesse fatto qualcosa, Claudio se ne sarebbe andato.
O peggio: avrebbe smesso di guardarla per sempre.
Chiara non era spregiudicata. Non era sexy. Non era “vogliosa” nel senso che intendeva lui.
Ma era innamorata.
Forse ancora.
Forse di nuovo.
E forse era disposta a mettersi in discussione. Anche adesso, anche a cinquant’anni.
Lui l’aveva sempre trovata bella.
Non solo nelle foto, non solo quando uscivano eleganti, ma anche nelle mattine disordinate, mentre si infilava i collant in piedi accanto al letto o quando, tra le mani infarinate, rideva con i bambini. Gliel’aveva detto tante volte, con parole semplici, con lo sguardo, con la mano che le scivolava sulla schiena al passaggio.
Ma lei non ci aveva mai creduto del tutto.
Non era quel tipo di donna.
Pudica, contenuta, rispettosa.
Anche nei momenti più intimi, quando lui provava a spingersi oltre la consuetudine — un gioco, una fantasia, un pizzico di spregiudicatezza — lei si irrigidiva, si chiudeva.
«Non sono quel tipo di donna»
Lo diceva quasi con orgoglio.
E lui incassava. Ogni volta con un sorriso più stanco.
Ma un giorno non sorrise più.
Le parole erano venute fuori dure, come pietre:
“Mi sento solo. E non per colpa tua. Ma perché non mi vuoi. Non più.”
All’inizio le erano sembrate ingiuste. Poi, pian piano, avevano fatto breccia.
Lo guardava cambiare.
Più silenzi, meno tocchi.
Più passeggiate da solo, meno cene fuori.
E allora aveva iniziato a rincorrerlo.
Aveva comprato un abito nero, corto, scollato. Poi un completo intimo in pizzo bordeaux, con reggicalze e tanga, e altri ancora, sempre più audaci.
Aveva persino provato rossetti accesi, eyeliner marcato, un trucco che non sembrava più il suo.
Ma tutto questo lo aveva mostrato solo a lui, in casa.
Appariva sulla soglia della camera con quegli abiti stretti, fingeva un sorriso malizioso davanti allo specchio del bagno, lo invitava a guardarla. E lui guardava.
Ma poi tornava a coprirsi.
Non aveva mai indossato davvero quelle cose per uscire, per andare a cena, per camminare al suo fianco tra la gente.
Era come se quel desiderio, ancora troppo fragile, non fosse pronto ad affrontare la luce.
E lui questo lo vedeva.
Lo vedeva e taceva.
Perché quello che voleva — lo aveva detto, anche se a fatica — non era uno spettacolo privato.
Voleva sentirla viva, femmina, sicura, anche fuori, nel mondo.
Voleva che il cambiamento non fosse una prova, ma una conquista.
Ma Chiara non era ancora pronta.
O forse non lo era mai stata.
L’autostrada era finita da un pezzo.
Chiara se ne accorse solo quando il rumore costante delle alte velocità fu sostituito da quello, più intimo, dei boschi. Curve dolci, tornanti lenti, il profilo delle colline che si insinuava tra le aperture degli alberi. Si trovavano già nella Val Trebbia, e oltrepassato Bobbio, Claudio aveva imboccato una strada sterrata che scendeva verso il fiume.
Lei conosceva quel tratto solo per sentito dire. Claudio ci era stato una volta da solo, uno dei suoi giri di sabato, quelli dove tornava con la visiera sporca di polvere e lo sguardo un po’ più sereno. Era stato lui a proporre quel luogo per una giornata diversa: un po’ di moto per lui, un po’ di sole per lei. Un compromesso.
A Claudio crogiolarsi al sole non era mai piaciuto. Lo diceva sempre, senza ironia: “una perdita di tempo colossale”. Eppure aveva accettato. Le aveva lasciato la scelta. Forse era il suo modo per dire: proviamoci ancora.
Parcheggiata la moto tra due arbusti bassi, Claudio l’aveva messa in sicurezza con la precisione abituale. Poi aveva preso la borsa frigo e l’ombrellone caricandoseli senza un lamento, facendole cenno con un movimento del capo di seguirlo.
Lei camminava dietro di lui lungo il sentiero sassoso che portava alla riva. Il posto non era completamente deserto, ma abbastanza isolato da farli sentire soli. Famiglie in lontananza, qualche coppia stesa al sole, qualche bagnante che sfidava la corrente gelida.
Appena arrivato sulla spiaggetta ghiaiosa, Claudio si era liberato degli stivali da moto con un calcio secco, come a scrollarsi di dosso il peso della settimana. Si tolse i jeans, la giacca, la maglietta. Rimase in un paio di boxer da bagno blu scuro, sdruciti quel tanto che bastava a raccontare l’uomo che erano.
A cinquantatré anni, Claudio non era uno di quei corpi scolpiti da palestra e selfie.
Era alto, massiccio, con spalle larghe e una pancetta onesta che non cercava di nascondere. Castano, con occhi grigioverdi, pochi capelli bianchi tra una chioma ancora folta, il viso portava le sue rughe con dignità.
Era un uomo che lavorava dodici ore al giorno, che si era fatto in quattro per dare a sua moglie e ai figli ogni cosa, ogni certezza. Un uomo che amava mangiare, bere bene, godersi un bicchiere di vino mentre lei sparecchiava in cucina.
Un uomo reale.
Chiara restò un attimo immobile, mentre lui, già in boxer, sistemava l’ombrellone con la gestualità tranquilla di chi sa cosa fare. Il fiume scorreva a pochi metri, limpido e gelido, e le voci intorno si perdevano nel fruscio dell’acqua.
Si tolse gli stivali lentamente, uno alla volta, cercando un appoggio tra i sassi. Poi slacciò la giacca e si liberò dei jeans. Era rimasta con quel bikini verde bottiglia che aveva scelto all’ultimo, uno dei pochi rimasti in buone condizioni. Le coppe preformate sostenevano con discrezione il seno pieno, ma ormai il tessuto aveva perso un po’ di tono, come certe relazioni.
Non portava trucco. Non ne aveva voglia. I capelli nero corvino, tenuti così solo grazie a un riflessante ogni due mesi, erano raccolti in una coda bassa, funzionale, senza alcuna pretesa.
Il suo viso, ovale e dolce, conservava una grazia naturale: occhi castani con un taglio appena orientale, naso leggermente lungo, labbra sottili, pelle chiara e tirata, con solo qualche ruga accennata sul collo, dove l’età si concede uno sfogo.
Il corpo era snello, alto, gambe lunghe da un metro e settanta, glutei sodi e ancora pieni, quelli che Claudio non mancava mai di ammirare, quando ne aveva occasione.
Solo il punto vita la tormentava: lì, le gravidanze avevano lasciato qualche traccia, qualche curva che non riusciva a perdonarsi. Non era molle, non era cadente. Ma lei la vedeva così.
Lui, invece, continuava a dirle che era bella, che si fissava, che esagerava.
Ma ora, mentre si voltava verso di lui, con il bikini e la pelle nuda offerta al sole e allo sguardo più familiare del mondo, quello sguardo la colpì come una lama fredda.
Claudio la stava guardando.
Sì.
Ma non come una volta.
Non c’era l’appetito, l’orgoglio, l’istinto.
Solo uno sguardo basso, sfuggente, quasi colpevole.
Come se fosse mortificato.
Come se si fosse illuso.
Quel silenzio durò un attimo.
Ma bastò.
Chiara lo sentì farsi strada nel petto come una crepa sotterranea.
Non c’erano parole, né giudizi.
Solo una mancanza.
Ancora una volta, non bastava.
Claudio aveva sperato che quel posto — semi-isolato, fuori dal tempo, al riparo da sguardi indiscreti — potesse essere l’occasione giusta. Aveva immaginato una sorpresa, un piccolo gesto diverso dal solito. Un costume nuovo, un pareo trasparente, un trucco leggero, qualsiasi cosa che rompesse quel muro silenzioso che da tempo li separava sotto la superficie.
Ma no.
Chiara si era svestita con discrezione, indossava sempre quel bikini verde, e la coda bassa sembrava fatta apposta per nascondere il collo, le spalle, ogni accenno di sensualità.
Lui non disse nulla.
La conosceva troppo bene per aspettarsi un cambiamento improvviso.
Eppure, nel suo io più segreto, l’esasperazione cominciava a scavare.
Ogni volta che sperava, veniva deluso. Ogni volta che veniva deluso, si prometteva di non sperare più. Ma poi ricominciava.
Chiara si sdraiò a pancia in giù, con la naturalezza stanca di chi si è già sistemata mille volte su un telo da spiaggia.
Estrasse dalla borsetta la sua rivista di parole crociate, consumata sugli angoli, e cominciò a sfogliare come se nulla fosse.
«Mi metti un po’ di crema? Non voglio scottarmi.»
La voce era piatta, gentile, quasi distratta.
Claudio si alzò.
Prese il flacone e si chinò su di lei. La pelle era chiara, liscia, e profumava di detersivo e pulito. Aveva sempre adorato la sua schiena, il modo in cui scendeva morbida dai trapezi alle scapole, fino al punto vita, che pure lei detestava con ostinazione.
Era una donna bellissima, ancora.
Bella davvero.
Ma immobile, ferma dentro un’idea di sé che sembrava impenetrabile.
Appoggiò le ginocchia sul telo, ai lati del suo corpo.
«Fammi sganciare, è più comodo.»
Con due dita, slacciò il reggiseno sulla schiena. Il tessuto si aprì lentamente, rivelando un’incavatura morbida, una pelle che ancora sapeva di desiderio, ma che non lo chiamava.
Versò un po’ di crema sulle mani e cominciò a spalmarla lentamente.
Le sue dita scorrevano lungo le spalle, poi giù, verso i fianchi.
Il sederino pieno e alto, che gli era sempre sembrato un miracolo di proporzioni e tenerezza, si tendeva appena sotto il bordo degli slip.
Le gambe lunghe sembravano più abbandonate che distese.
Il seno, seppur invisibile da quella posizione, appariva nei suoi ricordi come un dono che una volta lo accoglieva e ora lo sopportava.
Era lì, davanti a lui, la donna che amava da una vita.
Eppure non riusciva più a sentirsi desiderato, né spinto a desiderarla come prima.
Non perché fosse cambiata nel corpo — tutt’altro.
Ma perché non aveva mai voluto cambiare davvero.
Non si era mai concessa.
Mai lasciata andare.
Mai lasciata guardare con complicità.
Finì di spalmarle la crema e lei non si voltò.
Non lo ringraziò nemmeno.
Continuava a compilare le sue crociate, come se la mano di suo marito non avesse lasciato alcun segno.
Claudio si alzò, pulendosi le dita con l’asciugamano, e si spostò all’ombra, sotto l’ombrellone.
Le ore scorrevano lente, scandite solo dal rumore sottile del fiume e dalle voci lontane di altri bagnanti. Il sole era salito alto, poi aveva cominciato a calare, virando la luce in qualcosa di più caldo, ma anche più malinconico. Come i ricordi che tornano quando nessuno parla.
Avevano pranzato al sacco, in silenzio.
Un panino per ciascuno, l’acqua fresca dalla borsa frigo. Lei aveva addentato distrattamente, seduta sul telo con le gambe piegate da un lato. Il reggiseno del costume, ancora slacciato, restava così finché era di schiena, ma ogni volta che si muoveva – anche solo per sedersi – lo riallacciava in fretta, come se il mondo intero fosse lì a giudicarla.
Claudio l’aveva osservata farlo, ancora una volta.
E non aveva detto nulla.
Si era solo voltato a guardare l’acqua, come se nel movimento ripetuto ci fosse una risposta che non voleva più ascoltare.
Non parlarono molto.
Solo qualche frase sul caldo, su quanto fosse gelido il fiume.
Ma le parole erano meccaniche, quasi scollegate dai pensieri veri che li attraversavano.
Perché i pensieri erano altrove.
Erano lì da ore.
O forse da anni.
Ognuno immerso nel proprio silenzio, nella propria idea della vita che era stata, di quella che sarebbe venuta.
Una vita che aveva già consumato gli anni belli, quelli pieni di futuro, e ora lasciava intravedere un declino sordo, non tragico, ma insopportabile nella sua normalità.
Come la sabbia che sfugge tra le dita: poco per volta, senza farsi notare.
Claudio fissava il cielo attraverso l’ombrellone, ascoltando il battito regolare del sangue nelle tempie.
Chiara, di nuovo distesa sulla pancia, penna in mano, compilava crociate con l’attenzione di chi non vuole più pensare a niente.
Claudio non riusciva a smettere di guardarla.
Era steso sotto l’ombrellone, la testa appoggiata su un braccio, gli occhi socchiusi come se stesse riposando. Ma in realtà, da lì, la vedeva perfettamente.
Chiara, distesa sul telo, il profilo della schiena esposto alla luce, il reggiseno del bikini ancora slacciato, le spalline appoggiate come fili dimenticati sulla pelle.
Ogni tanto lei si muoveva appena, cambiava posizione, stirava le gambe lunghe o sollevava una mano per allontanare un insetto.
E ogni volta Claudio sentiva il cuore farsi stretto in un nodo che non sapeva più come sciogliere.
La amava.
Ancora, con forza, con ostinazione.
Ma non si capacitava di dove stesse portando la loro vita.
Quel corpo che aveva desiderato per una vita intera — e che ancora desiderava — era lì, a pochi metri da lui.
Ma inaccessibile.
Come un dono esposto in vetrina, solo per essere guardato, mai toccato.
Continuava a seguirla con gli occhi, a tracciarne le curve invisibilmente, la linea morbida dei fianchi, il punto vita che lei si ostinava a odiare, le natiche ancora sode e altissime sotto lo slip.
Le avrebbe baciato ogni centimetro, se solo glielo avesse concesso.
Ma quei gesti non c’erano più.
Erano rimasti nei primi anni, negli slanci improvvisi, nei pomeriggi rubati prima che nascessero i figli, prima che la vita si ingrigisse di abitudini.
Poi accadde.
Chiara fece per alzarsi.
Un gesto lento, distratto.
Le dita si posarono sul gancetto del reggiseno, pronta a riallacciarlo per l’ennesima volta, come ogni volta che si esponeva anche solo per pochi istanti.
Claudio si raddrizzò appena.
E prima ancora di pensare, parlò.
La voce gli uscì rauca, bassa, quasi spezzata.
«Perché non lo togli?»
Un silenzio improvviso.
La domanda rimase sospesa, pesante come il primo vero passo in un luogo che entrambi avevano evitato per troppo tempo.
Chiara restò immobile.
La mano ancora ferma sul dorso, il gancetto tra le dita.
Poi si voltò, lentamente.
Lo guardò.
All'inizio fu uno sguardo di fuoco.
Chiara si voltò di scatto e lo fulminò con gli occhi, come se avesse osato varcare una soglia proibita.
Claudio sentì lo stomaco chiudersi in un grumo amaro, ma non abbassò lo sguardo.
Non più.
«Vuoi che tutti mi vedano con le tette al vento?»
La voce tagliente, quasi rabbiosa.
Un tono che cercava di colpevolizzarlo, di riportarlo nei ranghi. Come se fosse lui a sbagliare, sempre lui.
Lui non rispose subito.
Inspirò lentamente, poi alzò appena le spalle.
«Vorrei vederti,» disse. «E visto che non mi pare siamo in piazza Duomo a Milano, magari potrebbe essere una buona occasione…
Ma comunque, fai come vuoi. Ci mancherebbe.»
Le parole uscirono piane, quasi educate, ma dentro erano taglienti come vetro.
La delusione gli si era arrampicata addosso come una nebbia sottile.
Un’altra occasione persa.
Un altro “no” mascherato da dignità.
Abbassò lo sguardo sul cellulare.
Aperta l’app delle mappe, cominciò a cercare la strada del ritorno, quella più rapida, quella che tagliasse in fretta i tornanti, i silenzi, la giornata.
Una parte di lui voleva solo tornare a casa, togliersi quel peso dal petto, lavarsi via il sapore amaro della speranza frustrata.
Poi, per caso, sollevò di nuovo lo sguardo.
E la vide.
Seduta sul telo, di spalle, le braccia distese dietro la schiena a sorreggerla, i capelli scuri che le scendevano tra le scapole.
Il reggiseno era a terra, accanto a lei.
Nessun gesto teatrale. Nessuna posa.
Solo il corpo di sua moglie, nudo nella parte più segreta, offerto non per provocare, ma come se avesse smesso di difendersi.
Claudio non disse nulla.
Restò immobile, a guardarla.
«Mi vieni a mettere ancora un po’ di crema?
Non ho mai preso il sole così… non voglio scottarmi.»
La voce arrivò calma, senza enfasi, come se stesse chiedendo un gesto banale.
Ma Claudio rimase per un attimo immobile, come se dovesse tradurre bene quelle parole prima di crederci davvero.
Poi si alzò di scatto, con il cuore che batteva più forte.
La raggiunse accanto al telo, si inginocchiò al suo fianco.
Lei era seduta, le braccia allungate dietro a sorreggerla, la schiena inarcata quel tanto che bastava a mettere in evidenza i seni completamente scoperti.
Il reggiseno era rimasto a terra, dimenticato tra un lembo di telo e la borsa frigo.
Claudio prese il flacone e versò una generosa quantità di crema solare sulle mani.
Poi, con gesti lenti, iniziò a spalmarla sulla pelle della moglie, partendo dalle spalle, dal collo, per poi scendere.
Il suo respiro era teso, concentrato.
Quando arrivò ai seni, si fermò un attimo.
Erano pieni, rotondi, bellissimi.
Maturi, sì, ma vivi, palpitanti, ancora in grado di farlo tremare.
Cominciò a spalmarli piano, stendendo la crema con movimenti ampi e delicati, seguendo la curva alta dell’attaccatura, poi giù lungo il versante laterale, intorno all’aureola, evitando per un attimo i capezzoli, che già cominciavano a irrigidirsi.
La pelle si faceva lucida, tesa, sensuale, rifletteva la luce come seta umida.
La crema scivolava, e lui la rincorreva con le mani, con le dita, con il palmo aperto.
Impastava con dolcezza, come se stesse imparando quel corpo per la prima volta.
Non osava dire nulla. Solo toccare. Solo sentire.
«Sai che mentre tu mi stai palpando le tette, ci sono due ragazzi che mi stanno guardando?»
La voce arrivò d’improvviso, carica di veleno controllato.
«Volevi che mi vedessero tutti, come una troia qualunque, vero?»
Il tono era quello di sempre, quello che usava per difendersi mentre lo stava accontentando. Quel misto di sarcasmo e accusa che cercava di riportarlo in colpa, di sminuire ogni slancio.
Ma Claudio non si lasciò colpire.
Scosse la testa, sorrise con tenerezza.
«Ti guardano perché sei bella, Chiara.
Non perché sei troia.
E se ti conoscessero… saprebbero che è la definizione che più ti offende.»
Lei non rispose.
Non si coprì.
Rimase lì, fiera e nuda, come non lo era mai stata.
I seni ancora lucidi di crema, i capezzoli tesi, orgogliosi, esposti, senza vergogna.
Claudio finì di spalmarle la pelle con un ultimo passaggio dolce, quasi devoto.
Poi si rimise seduto accanto a lei, senza dire altro.
Non tornò sotto l’ombrellone. Restò a guardarla.
Altri due ragazzi passarono poco dopo.
Uno si voltò appena.
L’altro la guardò con insistenza, poi si aggiustò i boxer con un gesto maldestro, come se il desiderio lo avesse colto impreparato.
Rimase così fino a tardo pomeriggio.
Topless sotto il sole, la pelle ancora tiepida e lucida, il reggiseno abbandonato accanto al telo come un oggetto dimenticato.
Non parlava. Non si copriva.
Si lasciava guardare.
Claudio, seduto poco lontano, non aveva smesso di osservarla un solo istante.
Non con la voracità dell’uomo in cerca di eccitazione, ma con la devozione quasi commossa di chi assiste a un miracolo inatteso.
Quel corpo lo conosceva a memoria.
Eppure, così, scoperto e consapevole, gli appariva nuovo.
Poi fu il momento di rientrare.
Chiara si alzò con calma, stirò la schiena, si piegò a raccogliere il telo.
I seni si mossero con naturalezza, senza pudore, come se avessero imparato in poche ore a non nascondersi più.
Si infilò i jeans, stringendoli sui fianchi, poi il giubbotto rosa, lasciato slacciato.
Il reggiseno, con un gesto quasi distratto, lo arrotolò e lo infilò nella borsa frigo, tra le bottiglie e la frutta avanzata.
Claudio lo notò.
E sorrise.
Un sorriso discreto, lento, che si aprì sulle sue labbra senza bisogno di parole.
Montarono in moto.
Chiara salì dietro di lui, le gambe che lo avvolgevano naturalmente, la schiena appoggiata al bauletto, il casco calato sulla testa.
Ripartirono.
La Val Trebbia si allontanava curva dopo curva, e con lei anche il silenzio carico della giornata.
Claudio guidava senza fretta, lasciando scorrere il motore sotto di loro come una corrente tiepida.
Pensava al gesto.
A quel reggiseno nascosto tra i cubetti di ghiaccio.
A quella libertà che non aveva mai osato chiederle, e che lei gli aveva concesso senza annunciarla.
Lo aveva desiderato per più di vent’anni.
Non l’atto in sé, ma quello che significava.
E ora…
Forse qualcosa.
Dietro di lui, Chiara era immersa nei propri pensieri.
All’inizio, appena rimasta in topless, si era sentita terribilmente esposta.
Vulnerabile.
Una parte di sé voleva solo scappare, coprirsi, annullare quel gesto.
Ma poi aveva sentito gli sguardi.
Quelli dei ragazzi.
Dei passanti.
Degli uomini.
E qualcosa dentro di lei aveva cominciato a cambiare.
Non erano gli sguardi di sempre.
Non erano distratti, o banali.
Erano accesi, attenti, viscerali.
La prima reazione era stata amara:
I maschi sono tutti dei malati.
Ma poi, lentamente, il fastidio aveva lasciato spazio a una nuova consapevolezza.
Non era solo voglia di piacere.
Era voglia, e basta.
E dovette ammettere, senza finzione, che sotto i jeans, contro il sellino, qualcosa in lei si era risvegliato.
Un calore sottile, umido, una pulsazione che non provava da molto.
Da troppo.
Appoggiò la guancia sul casco di Claudio.
Chiuse gli occhi.
E anche lei pensò:
Forse qualcosa.
Non è il primo racconto che scrivo, ma potrebbe essere l’ultima serie, se avete commenti, suggerimenti e critiche potete lasciarli qua sotto o scrivere a mogliemonella2024@gmail.com
Buona lettura a chi ne avrà la curiosità.
L’autostrada da Milano a Piacenza correva dritta sotto le ruote della maxienduro, una di quelle moto imponenti che sembrano nate per macinare chilometri più che per arrivare. Il motore vibrava regolare, con quel suono pieno e sordo che accompagna i lunghi viaggi e i silenzi ragionati.
In sella, una coppia.
Claudio, 53 anni, guidava con la sicurezza di chi ha fatto sua ogni abitudine: mani ferme sul manubrio, sguardo fisso davanti, corpo leggermente inclinato in avanti, come se stesse cercando di sfuggire al tempo. Indossava un giubbotto giallo fosforescente e un casco bianco segnato da piccoli graffi, memoria silenziosa di mille uscite.
Chiara, 50 anni appena compiuti, era seduta dietro di lui. Le gambe lo avvolgevano con naturalezza, le cosce premute contro le sue, le mani appoggiate sulle sue anche, senza peso. La schiena poggiata al bauletto rigido, il casco giallo che rifletteva la luce del mattino. Il suo giubbotto rosa spiccava tra i colori smorzati dell’asfalto, come un pensiero che ancora resiste.
Erano vicinissimi, uniti da anni di viaggio insieme, da figli ormai grandi, da decisioni condivise e da ostinazioni tenaci. Si capivano con uno sguardo, sapevano chi dei due avrebbe preso la parola a cena con gli amici, chi avrebbe pagato il caffè all’autogrill. Una coppia solida, affiatata.
Eppure, dentro quella stretta, dentro quel viaggio, mancava qualcosa.
Era il corpo.
O forse il desiderio.
Un vuoto sottile ma crescente, come una vibrazione in sottofondo che nessuna velocità poteva coprire.
Chi li avesse visti da fuori li avrebbe invidiati: belli, complici, ancora giovani nel portamento. Ma nessuno poteva sapere che da tempo, nel loro letto, si dormiva senza toccarsi.
Chiara non aveva mai amato la moto.
Neppure da giovane, neppure all’inizio della loro storia, quando ogni gesto di Claudio aveva ancora il potere di scuoterle qualcosa dentro. La trovava scomoda, rumorosa, inutilmente maschile. Ma ora era lì, seduta dietro di lui, con le gambe strette attorno ai suoi fianchi e la schiena appoggiata a quel bauletto rigido che non riusciva proprio a chiamare “comodità”.
Non era per piacere, quel viaggio. Era per lui.
Per quella frase.
«Sono stanco di una moglie senza desideri, senza stimoli, senza alcun amor proprio.»
Gliel’aveva detto in piedi, in cucina, dopo l’ennesima cena in silenzio. Lei ancora con la vestaglia addosso, struccata, i capelli raccolti in una pinza che da anni sembrava parte del suo cranio. Aveva parlato con una rabbia ferma, quasi educata. Ma nello sguardo c’era qualcosa che l’aveva gelata.
«Ti voglio sexy, Chiara. Ti voglio vogliosa. Ti voglio femmina.»
Le parole erano risuonate in testa per giorni.
Non era stato un rimprovero. Era stato un grido.
E lei, che da tempo aveva smesso di ascoltare i suoi malumori, questa volta non era riuscita a ignorarlo.
Aveva sempre pensato che bastasse esserci, essere madre, essere moglie, essere affidabile. Non si era mai vestita per attirare sguardi, mai truccata per farsi desiderare, mai sentita a suo agio nei vestiti attillati che aveva sempre associato a un’altra idea di donna.
Ma ora quel mondo — il suo mondo, quello fatto di abitudini e sicurezza — sembrava minacciato.
E a minacciarlo non era un’altra donna. Era lui. Era la sua stanchezza.
Per questo aveva accettato di salire in sella.
Per questo aveva comprato quel giubbotto rosa, anche se lo odiava.
Per questo aveva infilato i jeans stretti, anche se le segnavano i fianchi.
Perché temeva che, se non avesse fatto qualcosa, Claudio se ne sarebbe andato.
O peggio: avrebbe smesso di guardarla per sempre.
Chiara non era spregiudicata. Non era sexy. Non era “vogliosa” nel senso che intendeva lui.
Ma era innamorata.
Forse ancora.
Forse di nuovo.
E forse era disposta a mettersi in discussione. Anche adesso, anche a cinquant’anni.
Lui l’aveva sempre trovata bella.
Non solo nelle foto, non solo quando uscivano eleganti, ma anche nelle mattine disordinate, mentre si infilava i collant in piedi accanto al letto o quando, tra le mani infarinate, rideva con i bambini. Gliel’aveva detto tante volte, con parole semplici, con lo sguardo, con la mano che le scivolava sulla schiena al passaggio.
Ma lei non ci aveva mai creduto del tutto.
Non era quel tipo di donna.
Pudica, contenuta, rispettosa.
Anche nei momenti più intimi, quando lui provava a spingersi oltre la consuetudine — un gioco, una fantasia, un pizzico di spregiudicatezza — lei si irrigidiva, si chiudeva.
«Non sono quel tipo di donna»
Lo diceva quasi con orgoglio.
E lui incassava. Ogni volta con un sorriso più stanco.
Ma un giorno non sorrise più.
Le parole erano venute fuori dure, come pietre:
“Mi sento solo. E non per colpa tua. Ma perché non mi vuoi. Non più.”
All’inizio le erano sembrate ingiuste. Poi, pian piano, avevano fatto breccia.
Lo guardava cambiare.
Più silenzi, meno tocchi.
Più passeggiate da solo, meno cene fuori.
E allora aveva iniziato a rincorrerlo.
Aveva comprato un abito nero, corto, scollato. Poi un completo intimo in pizzo bordeaux, con reggicalze e tanga, e altri ancora, sempre più audaci.
Aveva persino provato rossetti accesi, eyeliner marcato, un trucco che non sembrava più il suo.
Ma tutto questo lo aveva mostrato solo a lui, in casa.
Appariva sulla soglia della camera con quegli abiti stretti, fingeva un sorriso malizioso davanti allo specchio del bagno, lo invitava a guardarla. E lui guardava.
Ma poi tornava a coprirsi.
Non aveva mai indossato davvero quelle cose per uscire, per andare a cena, per camminare al suo fianco tra la gente.
Era come se quel desiderio, ancora troppo fragile, non fosse pronto ad affrontare la luce.
E lui questo lo vedeva.
Lo vedeva e taceva.
Perché quello che voleva — lo aveva detto, anche se a fatica — non era uno spettacolo privato.
Voleva sentirla viva, femmina, sicura, anche fuori, nel mondo.
Voleva che il cambiamento non fosse una prova, ma una conquista.
Ma Chiara non era ancora pronta.
O forse non lo era mai stata.
L’autostrada era finita da un pezzo.
Chiara se ne accorse solo quando il rumore costante delle alte velocità fu sostituito da quello, più intimo, dei boschi. Curve dolci, tornanti lenti, il profilo delle colline che si insinuava tra le aperture degli alberi. Si trovavano già nella Val Trebbia, e oltrepassato Bobbio, Claudio aveva imboccato una strada sterrata che scendeva verso il fiume.
Lei conosceva quel tratto solo per sentito dire. Claudio ci era stato una volta da solo, uno dei suoi giri di sabato, quelli dove tornava con la visiera sporca di polvere e lo sguardo un po’ più sereno. Era stato lui a proporre quel luogo per una giornata diversa: un po’ di moto per lui, un po’ di sole per lei. Un compromesso.
A Claudio crogiolarsi al sole non era mai piaciuto. Lo diceva sempre, senza ironia: “una perdita di tempo colossale”. Eppure aveva accettato. Le aveva lasciato la scelta. Forse era il suo modo per dire: proviamoci ancora.
Parcheggiata la moto tra due arbusti bassi, Claudio l’aveva messa in sicurezza con la precisione abituale. Poi aveva preso la borsa frigo e l’ombrellone caricandoseli senza un lamento, facendole cenno con un movimento del capo di seguirlo.
Lei camminava dietro di lui lungo il sentiero sassoso che portava alla riva. Il posto non era completamente deserto, ma abbastanza isolato da farli sentire soli. Famiglie in lontananza, qualche coppia stesa al sole, qualche bagnante che sfidava la corrente gelida.
Appena arrivato sulla spiaggetta ghiaiosa, Claudio si era liberato degli stivali da moto con un calcio secco, come a scrollarsi di dosso il peso della settimana. Si tolse i jeans, la giacca, la maglietta. Rimase in un paio di boxer da bagno blu scuro, sdruciti quel tanto che bastava a raccontare l’uomo che erano.
A cinquantatré anni, Claudio non era uno di quei corpi scolpiti da palestra e selfie.
Era alto, massiccio, con spalle larghe e una pancetta onesta che non cercava di nascondere. Castano, con occhi grigioverdi, pochi capelli bianchi tra una chioma ancora folta, il viso portava le sue rughe con dignità.
Era un uomo che lavorava dodici ore al giorno, che si era fatto in quattro per dare a sua moglie e ai figli ogni cosa, ogni certezza. Un uomo che amava mangiare, bere bene, godersi un bicchiere di vino mentre lei sparecchiava in cucina.
Un uomo reale.
Chiara restò un attimo immobile, mentre lui, già in boxer, sistemava l’ombrellone con la gestualità tranquilla di chi sa cosa fare. Il fiume scorreva a pochi metri, limpido e gelido, e le voci intorno si perdevano nel fruscio dell’acqua.
Si tolse gli stivali lentamente, uno alla volta, cercando un appoggio tra i sassi. Poi slacciò la giacca e si liberò dei jeans. Era rimasta con quel bikini verde bottiglia che aveva scelto all’ultimo, uno dei pochi rimasti in buone condizioni. Le coppe preformate sostenevano con discrezione il seno pieno, ma ormai il tessuto aveva perso un po’ di tono, come certe relazioni.
Non portava trucco. Non ne aveva voglia. I capelli nero corvino, tenuti così solo grazie a un riflessante ogni due mesi, erano raccolti in una coda bassa, funzionale, senza alcuna pretesa.
Il suo viso, ovale e dolce, conservava una grazia naturale: occhi castani con un taglio appena orientale, naso leggermente lungo, labbra sottili, pelle chiara e tirata, con solo qualche ruga accennata sul collo, dove l’età si concede uno sfogo.
Il corpo era snello, alto, gambe lunghe da un metro e settanta, glutei sodi e ancora pieni, quelli che Claudio non mancava mai di ammirare, quando ne aveva occasione.
Solo il punto vita la tormentava: lì, le gravidanze avevano lasciato qualche traccia, qualche curva che non riusciva a perdonarsi. Non era molle, non era cadente. Ma lei la vedeva così.
Lui, invece, continuava a dirle che era bella, che si fissava, che esagerava.
Ma ora, mentre si voltava verso di lui, con il bikini e la pelle nuda offerta al sole e allo sguardo più familiare del mondo, quello sguardo la colpì come una lama fredda.
Claudio la stava guardando.
Sì.
Ma non come una volta.
Non c’era l’appetito, l’orgoglio, l’istinto.
Solo uno sguardo basso, sfuggente, quasi colpevole.
Come se fosse mortificato.
Come se si fosse illuso.
Quel silenzio durò un attimo.
Ma bastò.
Chiara lo sentì farsi strada nel petto come una crepa sotterranea.
Non c’erano parole, né giudizi.
Solo una mancanza.
Ancora una volta, non bastava.
Claudio aveva sperato che quel posto — semi-isolato, fuori dal tempo, al riparo da sguardi indiscreti — potesse essere l’occasione giusta. Aveva immaginato una sorpresa, un piccolo gesto diverso dal solito. Un costume nuovo, un pareo trasparente, un trucco leggero, qualsiasi cosa che rompesse quel muro silenzioso che da tempo li separava sotto la superficie.
Ma no.
Chiara si era svestita con discrezione, indossava sempre quel bikini verde, e la coda bassa sembrava fatta apposta per nascondere il collo, le spalle, ogni accenno di sensualità.
Lui non disse nulla.
La conosceva troppo bene per aspettarsi un cambiamento improvviso.
Eppure, nel suo io più segreto, l’esasperazione cominciava a scavare.
Ogni volta che sperava, veniva deluso. Ogni volta che veniva deluso, si prometteva di non sperare più. Ma poi ricominciava.
Chiara si sdraiò a pancia in giù, con la naturalezza stanca di chi si è già sistemata mille volte su un telo da spiaggia.
Estrasse dalla borsetta la sua rivista di parole crociate, consumata sugli angoli, e cominciò a sfogliare come se nulla fosse.
«Mi metti un po’ di crema? Non voglio scottarmi.»
La voce era piatta, gentile, quasi distratta.
Claudio si alzò.
Prese il flacone e si chinò su di lei. La pelle era chiara, liscia, e profumava di detersivo e pulito. Aveva sempre adorato la sua schiena, il modo in cui scendeva morbida dai trapezi alle scapole, fino al punto vita, che pure lei detestava con ostinazione.
Era una donna bellissima, ancora.
Bella davvero.
Ma immobile, ferma dentro un’idea di sé che sembrava impenetrabile.
Appoggiò le ginocchia sul telo, ai lati del suo corpo.
«Fammi sganciare, è più comodo.»
Con due dita, slacciò il reggiseno sulla schiena. Il tessuto si aprì lentamente, rivelando un’incavatura morbida, una pelle che ancora sapeva di desiderio, ma che non lo chiamava.
Versò un po’ di crema sulle mani e cominciò a spalmarla lentamente.
Le sue dita scorrevano lungo le spalle, poi giù, verso i fianchi.
Il sederino pieno e alto, che gli era sempre sembrato un miracolo di proporzioni e tenerezza, si tendeva appena sotto il bordo degli slip.
Le gambe lunghe sembravano più abbandonate che distese.
Il seno, seppur invisibile da quella posizione, appariva nei suoi ricordi come un dono che una volta lo accoglieva e ora lo sopportava.
Era lì, davanti a lui, la donna che amava da una vita.
Eppure non riusciva più a sentirsi desiderato, né spinto a desiderarla come prima.
Non perché fosse cambiata nel corpo — tutt’altro.
Ma perché non aveva mai voluto cambiare davvero.
Non si era mai concessa.
Mai lasciata andare.
Mai lasciata guardare con complicità.
Finì di spalmarle la crema e lei non si voltò.
Non lo ringraziò nemmeno.
Continuava a compilare le sue crociate, come se la mano di suo marito non avesse lasciato alcun segno.
Claudio si alzò, pulendosi le dita con l’asciugamano, e si spostò all’ombra, sotto l’ombrellone.
Le ore scorrevano lente, scandite solo dal rumore sottile del fiume e dalle voci lontane di altri bagnanti. Il sole era salito alto, poi aveva cominciato a calare, virando la luce in qualcosa di più caldo, ma anche più malinconico. Come i ricordi che tornano quando nessuno parla.
Avevano pranzato al sacco, in silenzio.
Un panino per ciascuno, l’acqua fresca dalla borsa frigo. Lei aveva addentato distrattamente, seduta sul telo con le gambe piegate da un lato. Il reggiseno del costume, ancora slacciato, restava così finché era di schiena, ma ogni volta che si muoveva – anche solo per sedersi – lo riallacciava in fretta, come se il mondo intero fosse lì a giudicarla.
Claudio l’aveva osservata farlo, ancora una volta.
E non aveva detto nulla.
Si era solo voltato a guardare l’acqua, come se nel movimento ripetuto ci fosse una risposta che non voleva più ascoltare.
Non parlarono molto.
Solo qualche frase sul caldo, su quanto fosse gelido il fiume.
Ma le parole erano meccaniche, quasi scollegate dai pensieri veri che li attraversavano.
Perché i pensieri erano altrove.
Erano lì da ore.
O forse da anni.
Ognuno immerso nel proprio silenzio, nella propria idea della vita che era stata, di quella che sarebbe venuta.
Una vita che aveva già consumato gli anni belli, quelli pieni di futuro, e ora lasciava intravedere un declino sordo, non tragico, ma insopportabile nella sua normalità.
Come la sabbia che sfugge tra le dita: poco per volta, senza farsi notare.
Claudio fissava il cielo attraverso l’ombrellone, ascoltando il battito regolare del sangue nelle tempie.
Chiara, di nuovo distesa sulla pancia, penna in mano, compilava crociate con l’attenzione di chi non vuole più pensare a niente.
Claudio non riusciva a smettere di guardarla.
Era steso sotto l’ombrellone, la testa appoggiata su un braccio, gli occhi socchiusi come se stesse riposando. Ma in realtà, da lì, la vedeva perfettamente.
Chiara, distesa sul telo, il profilo della schiena esposto alla luce, il reggiseno del bikini ancora slacciato, le spalline appoggiate come fili dimenticati sulla pelle.
Ogni tanto lei si muoveva appena, cambiava posizione, stirava le gambe lunghe o sollevava una mano per allontanare un insetto.
E ogni volta Claudio sentiva il cuore farsi stretto in un nodo che non sapeva più come sciogliere.
La amava.
Ancora, con forza, con ostinazione.
Ma non si capacitava di dove stesse portando la loro vita.
Quel corpo che aveva desiderato per una vita intera — e che ancora desiderava — era lì, a pochi metri da lui.
Ma inaccessibile.
Come un dono esposto in vetrina, solo per essere guardato, mai toccato.
Continuava a seguirla con gli occhi, a tracciarne le curve invisibilmente, la linea morbida dei fianchi, il punto vita che lei si ostinava a odiare, le natiche ancora sode e altissime sotto lo slip.
Le avrebbe baciato ogni centimetro, se solo glielo avesse concesso.
Ma quei gesti non c’erano più.
Erano rimasti nei primi anni, negli slanci improvvisi, nei pomeriggi rubati prima che nascessero i figli, prima che la vita si ingrigisse di abitudini.
Poi accadde.
Chiara fece per alzarsi.
Un gesto lento, distratto.
Le dita si posarono sul gancetto del reggiseno, pronta a riallacciarlo per l’ennesima volta, come ogni volta che si esponeva anche solo per pochi istanti.
Claudio si raddrizzò appena.
E prima ancora di pensare, parlò.
La voce gli uscì rauca, bassa, quasi spezzata.
«Perché non lo togli?»
Un silenzio improvviso.
La domanda rimase sospesa, pesante come il primo vero passo in un luogo che entrambi avevano evitato per troppo tempo.
Chiara restò immobile.
La mano ancora ferma sul dorso, il gancetto tra le dita.
Poi si voltò, lentamente.
Lo guardò.
All'inizio fu uno sguardo di fuoco.
Chiara si voltò di scatto e lo fulminò con gli occhi, come se avesse osato varcare una soglia proibita.
Claudio sentì lo stomaco chiudersi in un grumo amaro, ma non abbassò lo sguardo.
Non più.
«Vuoi che tutti mi vedano con le tette al vento?»
La voce tagliente, quasi rabbiosa.
Un tono che cercava di colpevolizzarlo, di riportarlo nei ranghi. Come se fosse lui a sbagliare, sempre lui.
Lui non rispose subito.
Inspirò lentamente, poi alzò appena le spalle.
«Vorrei vederti,» disse. «E visto che non mi pare siamo in piazza Duomo a Milano, magari potrebbe essere una buona occasione…
Ma comunque, fai come vuoi. Ci mancherebbe.»
Le parole uscirono piane, quasi educate, ma dentro erano taglienti come vetro.
La delusione gli si era arrampicata addosso come una nebbia sottile.
Un’altra occasione persa.
Un altro “no” mascherato da dignità.
Abbassò lo sguardo sul cellulare.
Aperta l’app delle mappe, cominciò a cercare la strada del ritorno, quella più rapida, quella che tagliasse in fretta i tornanti, i silenzi, la giornata.
Una parte di lui voleva solo tornare a casa, togliersi quel peso dal petto, lavarsi via il sapore amaro della speranza frustrata.
Poi, per caso, sollevò di nuovo lo sguardo.
E la vide.
Seduta sul telo, di spalle, le braccia distese dietro la schiena a sorreggerla, i capelli scuri che le scendevano tra le scapole.
Il reggiseno era a terra, accanto a lei.
Nessun gesto teatrale. Nessuna posa.
Solo il corpo di sua moglie, nudo nella parte più segreta, offerto non per provocare, ma come se avesse smesso di difendersi.
Claudio non disse nulla.
Restò immobile, a guardarla.
«Mi vieni a mettere ancora un po’ di crema?
Non ho mai preso il sole così… non voglio scottarmi.»
La voce arrivò calma, senza enfasi, come se stesse chiedendo un gesto banale.
Ma Claudio rimase per un attimo immobile, come se dovesse tradurre bene quelle parole prima di crederci davvero.
Poi si alzò di scatto, con il cuore che batteva più forte.
La raggiunse accanto al telo, si inginocchiò al suo fianco.
Lei era seduta, le braccia allungate dietro a sorreggerla, la schiena inarcata quel tanto che bastava a mettere in evidenza i seni completamente scoperti.
Il reggiseno era rimasto a terra, dimenticato tra un lembo di telo e la borsa frigo.
Claudio prese il flacone e versò una generosa quantità di crema solare sulle mani.
Poi, con gesti lenti, iniziò a spalmarla sulla pelle della moglie, partendo dalle spalle, dal collo, per poi scendere.
Il suo respiro era teso, concentrato.
Quando arrivò ai seni, si fermò un attimo.
Erano pieni, rotondi, bellissimi.
Maturi, sì, ma vivi, palpitanti, ancora in grado di farlo tremare.
Cominciò a spalmarli piano, stendendo la crema con movimenti ampi e delicati, seguendo la curva alta dell’attaccatura, poi giù lungo il versante laterale, intorno all’aureola, evitando per un attimo i capezzoli, che già cominciavano a irrigidirsi.
La pelle si faceva lucida, tesa, sensuale, rifletteva la luce come seta umida.
La crema scivolava, e lui la rincorreva con le mani, con le dita, con il palmo aperto.
Impastava con dolcezza, come se stesse imparando quel corpo per la prima volta.
Non osava dire nulla. Solo toccare. Solo sentire.
«Sai che mentre tu mi stai palpando le tette, ci sono due ragazzi che mi stanno guardando?»
La voce arrivò d’improvviso, carica di veleno controllato.
«Volevi che mi vedessero tutti, come una troia qualunque, vero?»
Il tono era quello di sempre, quello che usava per difendersi mentre lo stava accontentando. Quel misto di sarcasmo e accusa che cercava di riportarlo in colpa, di sminuire ogni slancio.
Ma Claudio non si lasciò colpire.
Scosse la testa, sorrise con tenerezza.
«Ti guardano perché sei bella, Chiara.
Non perché sei troia.
E se ti conoscessero… saprebbero che è la definizione che più ti offende.»
Lei non rispose.
Non si coprì.
Rimase lì, fiera e nuda, come non lo era mai stata.
I seni ancora lucidi di crema, i capezzoli tesi, orgogliosi, esposti, senza vergogna.
Claudio finì di spalmarle la pelle con un ultimo passaggio dolce, quasi devoto.
Poi si rimise seduto accanto a lei, senza dire altro.
Non tornò sotto l’ombrellone. Restò a guardarla.
Altri due ragazzi passarono poco dopo.
Uno si voltò appena.
L’altro la guardò con insistenza, poi si aggiustò i boxer con un gesto maldestro, come se il desiderio lo avesse colto impreparato.
Rimase così fino a tardo pomeriggio.
Topless sotto il sole, la pelle ancora tiepida e lucida, il reggiseno abbandonato accanto al telo come un oggetto dimenticato.
Non parlava. Non si copriva.
Si lasciava guardare.
Claudio, seduto poco lontano, non aveva smesso di osservarla un solo istante.
Non con la voracità dell’uomo in cerca di eccitazione, ma con la devozione quasi commossa di chi assiste a un miracolo inatteso.
Quel corpo lo conosceva a memoria.
Eppure, così, scoperto e consapevole, gli appariva nuovo.
Poi fu il momento di rientrare.
Chiara si alzò con calma, stirò la schiena, si piegò a raccogliere il telo.
I seni si mossero con naturalezza, senza pudore, come se avessero imparato in poche ore a non nascondersi più.
Si infilò i jeans, stringendoli sui fianchi, poi il giubbotto rosa, lasciato slacciato.
Il reggiseno, con un gesto quasi distratto, lo arrotolò e lo infilò nella borsa frigo, tra le bottiglie e la frutta avanzata.
Claudio lo notò.
E sorrise.
Un sorriso discreto, lento, che si aprì sulle sue labbra senza bisogno di parole.
Montarono in moto.
Chiara salì dietro di lui, le gambe che lo avvolgevano naturalmente, la schiena appoggiata al bauletto, il casco calato sulla testa.
Ripartirono.
La Val Trebbia si allontanava curva dopo curva, e con lei anche il silenzio carico della giornata.
Claudio guidava senza fretta, lasciando scorrere il motore sotto di loro come una corrente tiepida.
Pensava al gesto.
A quel reggiseno nascosto tra i cubetti di ghiaccio.
A quella libertà che non aveva mai osato chiederle, e che lei gli aveva concesso senza annunciarla.
Lo aveva desiderato per più di vent’anni.
Non l’atto in sé, ma quello che significava.
E ora…
Forse qualcosa.
Dietro di lui, Chiara era immersa nei propri pensieri.
All’inizio, appena rimasta in topless, si era sentita terribilmente esposta.
Vulnerabile.
Una parte di sé voleva solo scappare, coprirsi, annullare quel gesto.
Ma poi aveva sentito gli sguardi.
Quelli dei ragazzi.
Dei passanti.
Degli uomini.
E qualcosa dentro di lei aveva cominciato a cambiare.
Non erano gli sguardi di sempre.
Non erano distratti, o banali.
Erano accesi, attenti, viscerali.
La prima reazione era stata amara:
I maschi sono tutti dei malati.
Ma poi, lentamente, il fastidio aveva lasciato spazio a una nuova consapevolezza.
Non era solo voglia di piacere.
Era voglia, e basta.
E dovette ammettere, senza finzione, che sotto i jeans, contro il sellino, qualcosa in lei si era risvegliato.
Un calore sottile, umido, una pulsazione che non provava da molto.
Da troppo.
Appoggiò la guancia sul casco di Claudio.
Chiuse gli occhi.
E anche lei pensò:
Forse qualcosa.
Non è il primo racconto che scrivo, ma potrebbe essere l’ultima serie, se avete commenti, suggerimenti e critiche potete lasciarli qua sotto o scrivere a mogliemonella2024@gmail.com
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