The last dance 2

di
genere
prime esperienze

Era passata qualche settimana da quel pomeriggio sul fiume.
Non ne avevano più parlato.
Nessuna allusione, nessun riferimento diretto.
Chiara era tornata se stessa. O almeno così pareva.
Eppure…
Claudio cominciò a notare qualcosa.
La prima volta accadde in una giornata qualunque.
Stavano uscendo insieme per una passeggiata in centro, niente di speciale. Un sabato pomeriggio, parcheggio lontano, sole che picchiava sui marciapiedi.
Chiara camminava accanto a lui con passo regolare, le mani in tasca, il solito zainetto sulle spalle.
Claudio parlava poco, ma la osservava. Sempre.
E fu lì che notò qualcosa.
Il trucco.
Niente di eccessivo.
Ma il tratto nero che contornava gli occhi era più deciso del solito. Più definito.
E il rossetto, rosso tenue ma pieno, sembrava vibrare sotto la luce del pomeriggio.
Lei non disse nulla.
Non se ne vantò.
Non cercò complimenti.
Ma per la prima volta da mesi — forse da anni — non sembrava invisibile.
La seconda volta fu durante una cena, a casa di amici.
Lui era in piedi vicino al barbecue, chiacchierava con uno dei colleghi di vecchia data, ma non riusciva a non cercarla con lo sguardo.
E poi la vide, seduta sul bordo basso del tavolo da giardino, con un bicchiere in mano e le gambe accavallate con naturalezza.
I capelli erano raccolti, ma non come al solito.
Stavano tirati in una coda alta, tesa, precisa, che le lasciava scoperto il collo, ben disegnato e liscio, quasi da ragazzina.
Il sole di fine giornata le passava tra le ciocche scure e Claudio sentì una stretta improvvisa nello stomaco.
Quella donna, sua moglie, era bellissima.
E forse non se ne rendeva nemmeno conto.
L’ultima volta, almeno per ora, fu mentre uscivano dal centro commerciale.
Avevano fatto la spesa insieme, come sempre.
Un carrello, battute leggere, due discussioni sui biscotti da prendere.
Chiara indossava una camicetta bianca, jeans stretti e scarpe basse.
Era stanca, si vedeva. Ma serena.
Fu solo quando si piegò per sistemare una borsa nel bagagliaio che Claudio lo vide.
Un bottone slacciato in più.
Poco.
Basta per lasciar intravedere la curva morbida tra i seni, e un filo sottile di pizzo nero sotto il tessuto.
Non era un errore.
Non con lei.
Non con Chiara.
Quella sera erano soli in casa.
Avevano cenato tardi, qualcosa di veloce, senza troppe parole.
Claudio sparecchiava con movimenti lenti, le mani sotto il getto dell’acqua, lo sguardo ogni tanto lanciato verso il corridoio, dove Chiara si era ritirata in camera.
Non resisteva più. Doveva chiederlo.
Quando entrò, lei era seduta sul letto, ancora vestita, il viso disteso, i piedi nudi.
«Posso?»
Lei alzò appena lo sguardo. «Certo.»
Lui si sedette accanto, non troppo vicino.
«Posso farti una domanda un po’… personale?»
Lei sospirò. «Tanto ormai…»
«Perché questo cambiamento?»
«Che intendi?»
«Chiara… il trucco, la camicetta, il bottone in meno, la coda alta…»
«Ti dà fastidio?»
«No. Al contrario. Mi fa impazzire. Ma non capisco il perché ora. All’improvviso.»
Lei fece spallucce. «Non è niente di particolare.»
Claudio non mollò.
«Hai qualcuno? C’è un altro uomo?»
La reazione fu immediata.
Lei sbatté i piedi a terra, scattò in piedi.
«Ma sei scemo?! Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo?!»
«Sto solo cercando di capire…»
«Capire cosa? Che forse finalmente mi sto ricordando di essere una donna? Di avere un corpo? Di non voler morire trasparente?! E tu pensi che lo faccia per un altro?!»
Lui la guardava, muto.
Lei lo fissava con gli occhi lucidi, la voce spezzata.
Poi abbassò lo sguardo.
Tornò a sedersi.
Un silenzio lungo.
«Sto facendo tutto questo per te, Claudio. Per te. E solo per te.»
La sua voce era più bassa ora.
Ma non bastava.
Non lo convinceva.
E lui non sapeva neppure perché.
«E allora… perché?» sussurrò. «Perché solo ora? Perché adesso?»
Chiara si portò una mano ai capelli, si raccolse la coda con le dita.
Poi, senza guardarlo, disse:
«Perché… perché quegli sguardi, quel giorno al fiume, mi hanno fatto piacere.»
Silenzio.
«Mi hanno fatto sentire… vista. Desiderata. Ancora bella.»
Claudio si voltò di scatto.
«E i miei sguardi? Non ti bastavano? Non ti facevano piacere?»
Lei lo guardò.
Per la prima volta con dolore vero negli occhi.
«No.
Non più.
Li conoscevo troppo bene.
Li avevo dati per scontati.
Non li sentivo più.
Avevo smesso di provare piacere nel piacerti, Claudio.
Ma… non perché non mi importasse.
Solo… perché mi ero persa.»
Lui la fissava.
Ancora in silenzio.
Lei continuò.
«Forse è arrivato il momento di ritrovare la strada giusta.
Per me.
Per noi.
E anche per te.
Se vuoi.»
Claudio tornò in salotto anche dopo aver sentito il clic della porta del bagno chiudersi alle sue spalle. Il rumore dell’acqua, prima sottile poi più deciso, riempiva la casa in modo discreto, come un sottofondo necessario. Non aveva voglia di seguirla, non subito. Si lasciò cadere sul divano, accese la televisione senza davvero scegliere, un film qualsiasi, uno di quelli già visti mille volte, che scorrono senza chiedere attenzione.
Il bicchiere di Lagavulin era ancora lì, sulla mensola bassa accanto alla lampada. Lo prese, lo girò lentamente tra le dita, osservando il riflesso ambrato muoversi nella luce calda della stanza. Il primo sorso gli graffiò la gola come un vecchio amico burbero.
"Forse" – era la parola che rimbalzava tra i suoi pensieri.
Forse l’aveva spinta lui, senza accorgersene.
Forse aveva smesso di guardarla davvero.
Forse stava solo cercando conferme, come tutti.
Forse non c’era nessun altro, ma solo il bisogno di sentirsi ancora vista.
Forse stava tornando da lui, o forse stava già andandosene.
Forse.
Il rumore dell’acqua cessò. La porta del bagno si aprì e lui, senza voltarsi, sentì i passi leggeri attraversare il corridoio, fino alla camera da letto. Un altro clic, questa volta più secco, più deciso. Di nuovo sola, dietro una porta chiusa. Fece un altro sorso, lungo. Il fumo torbato del whisky si mescolava all’amarezza che gli premeva sul petto.
Poi la porta si aprì.
Non quella del bagno. Quella della camera.
I passi di Chiara erano lenti, quasi silenziosi, ma lui li riconobbe al primo accenno sul parquet. Non girò subito la testa. Lasciò che fossero loro ad avvicinarsi. Le sue dita si fermarono sul bicchiere mentre lo schermo del televisore continuava a muoversi, ormai del tutto estraneo.
Quando finalmente si voltò, la vide.
E fu come non l’aveva mai vista, ma come l’aveva sempre sognata.
Chiara rimase ferma sullo stipite, il legno freddo contro la schiena nuda. Lo guardava in silenzio, con un sorriso appena piegato da un angolo, qualcosa a metà tra la sfida e il gioco. Gli occhi erano sottolineati da una riga netta di eyeliner, un tratto deciso ma non ancora perfetto, come se stesse imparando a dosare quel linguaggio nuovo su di sé. Un’ombra di ombretto dai toni neutri sfumava sulle palpebre, mentre il fard dava colore alle guance, rendendole quasi più giovani, più accese. Le labbra, rosso fuoco, erano la parte più audace: un rossetto brillante, che metteva in risalto ogni sfumatura del suo sorriso sornione.
Non si era truccata con la sicurezza di una donna abituata a farlo ogni giorno, ma con la cura e l’attenzione di chi vuole migliorarsi. Di chi vuole piacere.
Di chi vuole piacere a qualcuno.
Addosso, qualcosa che Claudio non aveva mai visto.
Un completino nuovo, sfacciato nella scelta, ma elegante nel risultato.
Il reggiseno era un push-up lucido, quasi verde petrolio, il colore raro e magnetico come certe acque profonde. I seni venivano raccolti e sospinti verso l’alto, creando quella doppia curva perfetta, che disegnava un solco centrale irresistibile. Era un invito silenzioso, un messaggio che non lasciava spazio a interpretazioni.
Lo slip, coordinato, era un capolavoro di geometria erotica.
Tagliato come un’ala di rondine, a V profonda verso il pube, lasciava scoperte le anche con uno stile spudorato e insieme elegante.
Le gambe, lunghe, affusolate, erano avvolte da un paio di autoreggenti nere a rete sottile, che sembravano scolpire la pelle più che coprirla.
Claudio la fissava.
Non riusciva a parlare, a muoversi. Solo a guardare.
Chiara staccò lentamente la schiena dal legno e si avvicinò, passo dopo passo, con le ciabatte abbandonate ormai fuori scena, dimenticate. Quando fu di fronte a lui, non disse nulla subito. Si inginocchiò tra le sue gambe, con lentezza, come se ogni gesto fosse parte di una cerimonia.
Poi alzò lo sguardo verso di lui.
— "Secondo te mi vestirei così per qualcun altro?"
La voce era ferma, quasi ironica, ma con una vena profonda che Claudio colse subito. Un desiderio antico che affiorava, mascherato da sfida.
— "Sono di tuo gradimento questa sera?"
Lui guardò il bicchiere. Il whisky tremò appena nella sua mano.
Poi tornò a fissarla.
E riuscì solo ad accennare un sì con la testa, lento, incredulo.
Nella sua mente si affacciava una sola domanda, semplice, ubriaca:
“È un sogno?”
Un sogno che aspettava da quasi trent’anni.
Chiara non aveva fretta. Si era inginocchiata con grazia, come se fosse al posto giusto, nel momento giusto, senza esitazioni né imbarazzi. Le sue mani iniziarono a muoversi con calma, come se stessero esplorando un oggetto prezioso che non toccavano da troppo tempo. Una scivolò sopra i pantaloncini di Claudio, disegnando con le dita la forma del suo sesso ancora addormentato, ma già sensibile a quel contatto. L’altra partì dalla caviglia, con un tocco leggero, e salì lungo il polpaccio, poi sulla coscia, dove si unì all’altra.
Le dita si fermarono sull’elastico dei pantaloncini.
Lo guardarono un istante negli occhi, in silenzio, e senza dire nulla glieli sfilò, lentamente, con delicatezza. Anche i boxer scivolarono via insieme, lasciandolo nudo dalla cintola in giù.
Il suo sesso, inizialmente abbandonato, cominciava a rispondere.
Non con impeto, ma con quel fremito che precede il risveglio, come un respiro che si allunga dopo il sonno.
Chiara non disse nulla per un momento. Lo guardò con attenzione, come se stesse leggendo la reazione del suo corpo, i segnali che mandava. Poi si sporse un poco in avanti, le labbra rosse a pochi centimetri da lui, e con voce appena più bassa, calda, disse:
— "Adesso vediamo se sono ancora capace di farti godere… solo con la bocca."
Chiara rimase in ginocchio tra le sue gambe, il mento leggermente sollevato, lo sguardo che non lo abbandonava mai. Aveva negli occhi quella luce nuova, matura, consapevole. Una sicurezza costruita col tempo, con i silenzi, con l’attesa. E ora, finalmente, con il gesto.
Le mani accarezzarono di nuovo le cosce di Claudio, più lente stavolta, con un tocco rotondo e pieno. Una di esse tornò a prendere il suo sesso, che ora si ergeva quasi completamente, mentre l’altra si poggiò a terra per darle equilibrio. Non si affrettò ad accoglierlo: prima si chinò e lo osservò da vicino, come se volesse impararlo di nuovo, centimetro per centimetro.
La lingua uscì lenta dalle labbra rosse, lucide, e si posò sulla punta del glande con un tocco umido e rotondo. Rimase lì, ferma, ad assaggiarlo, poi cominciò a scivolare lungo tutta la lunghezza, fino alla base. Lo leccava come si lecca qualcosa di prezioso, di sacro, come se il gesto valesse più del risultato.
Una prima volta salì e scese lungo l’asta con la lingua piatta, tenendo gli occhi fissi nei suoi. Poi di nuovo. Ogni passaggio lasciava un velo di saliva sottile e caldo che faceva brillare la pelle tesa del suo membro nella luce morbida del salotto.
Claudio sentiva il respiro farsi più profondo, più caldo.
Ogni leccata era come un brivido lungo la colonna vertebrale.
Poi, cambiò. Afferrò la base con una mano, stringendola con decisione, e cominciò a masturbarlo lentamente mentre la bocca tornava sulla punta. Si concentrò sul frenulo, lo leccava con la punta della lingua, rapida e precisa, alternando piccoli colpi verticali a carezze circolari. Ogni volta che passava lì, il suo corpo reagiva con un guizzo involontario, come se fosse collegato a un filo nervoso diretto.
Sospese per un istante il contatto, e soffiò.
Un soffio lungo, umido, che attraversò la cappella come una brezza calda.
Claudio trattenne il respiro.
La pelle già tesa sembrava pulsare sotto quel gesto, pronta a esplodere.
Lei sorrise. Aveva capito esattamente cosa stava facendo.
Tornò a leccarlo lentamente, dalla base fino alla punta, con la lingua piatta, premuta, sentita. Quando arrivò di nuovo alla cima, lo prese in bocca con più decisione.
Scese lenta, profonda, fino a ingoiarlo quasi del tutto. Le labbra lo accolsero interamente, le guance si gonfiarono leggermente, e il rossetto lasciò un nuovo anello vivo sull’asta. Quando lo tirò fuori, un filo di saliva lo univa ancora alla sua bocca.
Si fermò solo per un momento, come per farlo respirare, poi riprese:
un bacio aperto sulla punta, poi una suzione lenta, poi di nuovo la lingua sul frenulo, poi le mani che lo accarezzavano e lo stringevano. Era un ritmo ipnotico, che cambiava continuamente, mai ripetitivo, sempre sorprendente. Claudio non sapeva più dove si trovasse. Ogni volta che credeva di riconoscere un gesto, lei lo cambiava. Ogni volta che pensava di esplodere, lei rallentava. Lo stava portando in alto con una maestria che lo lasciava disarmato.
A un certo punto, iniziò a muovere la testa con un ritmo più ampio, regolare, profondo. Il suo sesso entrava e usciva dalla bocca di Chiara tra un respiro e l’altro, umido, teso, lucido, percorso da quella lingua agile che non lo abbandonava mai.
Quando Claudio cominciò a tremare sotto di lei, quando il ventre si tese e il respiro si spezzò, lei lo prese ancora più a fondo, avvolgendolo completamente. Le mani si posarono sulle sue cosce, tenendolo fermo, mentre la bocca diventava tutto ciò che esisteva.
Non ci fu bisogno di parole.
Il corpo di lui si irrigidì per un attimo, poi si abbandonò in un’ondata che lo travolse da dentro. Lei rimase lì, ferma, viva, gli schizzi abbondanti le si riversarono in bocca, dolci e salati, quasi viscidi al tatto, continuò a tenerlo dentro di se incavando le guance per dargli maggior piacere per fare si che svuotasse tutto e poi inghiottì tutto. Mai nella sua vita aveva inghiottito il piacere di un uomo, ma oggi era cambiato il sapore, la consistenza, il momento. Forse era cambiata un pò lei.
Si sollevò lentamente, e guardandolo negli occhi, si passò la lingua sulle labbra. Le labbra ancora segnate dal rossetto.
Chiara si sollevò con grazia, senza dire nulla, come se il momento si fosse naturalmente compiuto. Le dita sistemarono appena l’elastico dello slip. Fece per andarsene, scalza, con quel passo silenzioso che lasciava dietro di sé l’eco del gesto appena compiuto.
Claudio, ancora stordito, mosse appena una mano, un gesto istintivo, incerto, come per fermarla. Una sillaba, forse il suo nome, gli morì in gola. Lei si voltò. Lo guardò. Ma non era più la donna inginocchiata tra le sue gambe. Era tornata ad essere quella che aveva sempre conosciuto: composta, solida, impenetrabile.
«Per oggi va bene così» disse con una calma che sapeva di distanza e misura. «Non ti muovere. Non fare nulla. Ci sto provando.» Lo fissava, seria, come a voler lasciare un segno chiaro, netto. Poi aggiunse, con voce più bassa, ma non meno decisa: «Vediamo dove ci porta questa nuova interpretazione della nostra vita.»
Non aspettò risposta. Si voltò di nuovo e uscì dal soggiorno, lasciando alle sue spalle solo il suono dei suoi passi e il profumo del rossetto nell’aria.
In camera, la luce era più tenue. Il letto ancora disfatto sembrava attenderla da ore. Chiara chiuse la porta alle sue spalle e vi si lasciò cadere, lentamente, come svuotata. Rimase un attimo distesa, supina, le gambe lievemente divaricate, le mani aperte sulle lenzuola, gli occhi rivolti al soffitto.
Sentiva il calore persistente tra le cosce, quell’umidità intima che non era svanita, anzi, sembrava farsi più viva ora che era sola. Era la conseguenza naturale del gesto, certo, ma anche di qualcosa di più profondo. Essersi truccata con cura, essersi vestita per essere guardata, per eccitare, per sedurre con consapevolezza. Essersi inginocchiata davanti al proprio uomo con intenzione e desiderio, non per sottomissione ma per scelta, l’aveva accesa in un modo che non provava da anni. Aveva risvegliato in lei un senso di controllo, di libertà, di presenza.
Non era fame, quella. Era un atto di conoscenza.
Senza pensare, lasciò che una mano scivolasse sul ventre e poi più giù, tra le pieghe di sé. Le dita trovarono subito la pelle tesa, umida, pronta. Non cercava un sollievo rapido. Voleva esplorare. Voleva sentire meglio quella donna che stava riaffiorando da sotto strati di abitudine e silenzio.
Il piacere arrivò dolce, rotondo, profondo. Una vibrazione lenta che le scivolò lungo il ventre, che le fece chiudere gli occhi, piegare le labbra in un mezzo sorriso. Non era un grido, non era un picco. Era calore. Era vita.
Quando si fermò, ancora distesa, ancora con il respiro calmo e la mano rilassata, si sentiva diversa. Forse non nuova. Non ancora. Ma diversa, sì.
Aveva ancora molto da fare. Il cambiamento era solo iniziato. Non era pronta, non del tutto. Ma qualcosa dentro di lei era scattato.
E forse, proprio quella sera, aveva finalmente imboccato la strada giusta.

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scritto il
2025-07-10
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