Anastasia e Martina. Capitolo 3: Tra i Banchi e i Desideri Nascosti

di
genere
saffico

La mattina seguente, l'odore del caffè e i rumori familiari della cucina mi riportarono bruscamente alla realtà. La notte precedente, quel momento di liberazione nel mio letto, sembrava già un ricordo lontano, un segreto custodito gelosamente nel profondo della mia mente. Mi preparai con la solita routine: la gonna plissettata della divisa che mi arrivava al ginocchio, la camicetta bianca impeccabile, i miei lunghi capelli rossi legati in una coda alta e ordinata. I miei genitori credevano fermamente che una scuola privata per sole ragazze, frequentata per giunta da "brave famiglie", fosse l'ambiente ideale per tenermi lontana dalle distrazioni, in particolare da quelle maschili. Se solo avessero saputo quanto si sbagliavano...
Arrivai a scuola, il grande edificio in pietra grigia che sapeva di formalità e antichi valori. Le voci delle ragazze riecheggiavano nei corridoi, un ronzio costante di chiacchiere e risate. Entrai nella mia aula, e il mio sguardo andò subito al banco accanto al mio. Era lì che sedeva Martina.
Il mio cuore fece un piccolo balzo, come sempre. Aveva i capelli lunghi e lisci che le incorniciavano il viso, e ogni volta che si voltava per parlarmi, sentivo una stretta allo stomaco. Era la mia amica, la mia compagna di banco da anni, e la sola persona che riusciva a farmi perdere la testa con un semplice sfioramento di gomito o un sorriso distratto. Ero pazza di lei, e ogni suo tocco, ogni minima interazione fisica, era per me uno stimolo potente, quasi un'elettricità che si propagava in tutto il corpo.
La lezione di storia iniziò, la voce monotona della professoressa che parlava della Rivoluzione Francese. Tentavo di concentrarmi, ma la mia attenzione era costantemente deviata dalla sua presenza. Il suo braccio sfiorava il mio mentre scriveva, i suoi capelli a volte cadevano sulla mia spalla mentre si chinava per prendere qualcosa dallo zaino. Ogni piccolo contatto era una scintilla. Sentivo il calore salire, la stessa ondata che mi aveva travolto la sera prima, ma qui era amplificata dalla vicinanza e dalla proibizione. Il respiro si fece più corto, le mani mi sudavano leggermente.
Non riuscii a resistere a lungo. La tensione nel mio basso ventre divenne insopportabile, una pressione crescente che mi rendeva impossibile seguire una singola parola della lezione. Allevai la mano, cercando di mantenere la voce ferma. "Professoressa, posso andare in bagno per favore?"
La sua concessione fu un sibilo tra i denti, mentre mi guardava con quell'espressione che diceva "siamo in orario di lezione, Anastasia". Ma non mi importava. Afferrai la scusa e scappai fuori dall'aula, quasi correndo lungo il corridoio. Il bagno era deserto, per fortuna. Mi chiusi a chiave in uno dei cubicoli, il cuore che mi batteva all'impazzata contro le costole.
Con mani tremanti, mi sollevai la gonna della divisa e abbassai rapidamente le mutandine. L'aria fresca sul mio corpo era un sollievo, ma anche un incitamento. Non c'era tempo per le fantasie elaborate di casa. La necessità era immediata, cruda. Infilai due dita dentro di me, sentendo subito quella familiarità calda e umida che mi aspettavo. Premetti e spinsi, muovendole con un ritmo frenetico, mentre ogni tocco faceva salire la pressione. Un gemito mi sfuggì, ma lo soffocai subito mordendomi il labbro. La mente si svuotò di tutto, tranne quella sensazione, quel bisogno impellente di Martina, di Martina, di Martina...
scritto il
2025-07-08
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