Oltre la soglia - Terza parte
di
Ironwriter2025
genere
tradimenti
Anna tornò a casa a notte fonda, la bambina addormentata tra le braccia. Indossava ancora la stessa maglietta chiara e i jeans con cui era uscita ore prima. Il viso era tirato, spento, segnato da qualcosa che non si era ancora risolto. I capelli raccolti in fretta, le labbra serrate.
Marco era ancora lì, sul divano, esattamente dove lei lo aveva lasciato. Non si era mosso. Non aveva acceso la luce piena, né cercato distrazioni. L’aveva aspettata. E quando lei entrò, si alzò a metà, quasi volesse andare verso di lei, ma si fermò non appena lei alzò lo sguardo.
Solo un cenno. Freddo, misurato. «Metto a letto la bimba. Torno da te.»
Marco annuì, senza rispondere. Si allontanò, andò in bagno, si liberò dei vestiti ormai scomposti, si lavò il viso. Tornò in salotto indossando solo una maglietta e dei pantaloni comodi. Si sedette, aspettando. Il silenzio era spesso, quasi concreto.
Passò quasi un’ora.
Poi la sentì arrivare.
Anna rientrò nel soggiorno in punta di piedi, sempre in jeans e maglietta, la figura asciutta ma stanca illuminata appena dalla luce soffusa. Non parlò. Si avvicinò al tavolo, tirò fuori una delle sedie e si sedette di fronte a lui. Lenta, composta. Le gambe accavallate, le mani raccolte in grembo.
Lo guardava.
Anna sedeva composta sulla sedia, le gambe accavallate, le mani strette in grembo, ma le nocche bianche tradivano la tensione. Marco, seduto di fronte, cercava di restare calmo, lo sguardo fisso su di lei, ma qualcosa nei suoi occhi tradiva un’inquietudine crescente.
La sua voce fu la prima a fendere il silenzio.
«Ti rendi conto della gravità di quello che hai fatto?»
La frase cadde nel vuoto come una sentenza. Marco non rispose subito.
«Se volessi potrei andare a denunciarti e farti arrestare per violenza sessuale,» proseguì lei, glaciale. «Ora esigo che tu mi dica chi è stato a scoparmi, a prendermi anche da dietro, e a venirmi addosso come se fossi la peggiore delle sgualdrine.»
Il silenzio si fece più denso. Marco deglutì, poi tentò un sorriso stanco, tirato, quasi infastidito.
«Mi sembra che adesso tu stia esagerando,» disse. «È stato solo un gioco. E se anche decidessi di farti fare qualunque analisi, non troverebbero nulla. Nessun segno di violenza. Nessuna prova. Ti ho già detto che ero io, più volte. Non ho da dirti altro.»
Anna non si mosse. Solo il suo sguardo si fece più acuto, più appuntito.
«Allora spiegami,» disse con voce più bassa, più tagliente, «perché lo sperma che ho inghiottito oggi non aveva lo stesso sapore di quello dell’altra sera.»
Marco si irrigidì. Lei continuò.
«Ho ancora qualche goccia sul lenzuolo. Se vuoi metterla così, chiederò un esame comparativo con il tuo. E allora non basteranno più le tue mezze frasi.»
Fu come se qualcosa si spezzasse. Le certezze di Marco, la sicurezza che ostentava, la maschera dell’uomo al comando. Si accasciarono su se stesse. Non parlò subito. Guardò in basso. Poi, finalmente, alzò gli occhi verso di lei. E per la prima volta, c’era qualcosa che non c’era mai stato: vergogna.
«Va bene,» disse piano. La voce rauca, più debole. «Lo ammetto.»
Anna non batté ciglio. Rimase lì, immobile, in attesa.
«Non ero io… l’altra sera. Non ti ho toccata. Sono stato solo presente. Volevo… godermi la scena.»
Il silenzio che seguì fu più assordante delle parole. Marco abbassò lo sguardo. Anna lo fissava, come se volesse scolpire il suo volto in quel momento. Per non dimenticare mai la sua espressione.
Il tempo sembrava essersi congelato tra quelle due sedie. Marco evitava lo sguardo di lei, mentre Anna continuava a fissarlo, come se volesse trapassarlo.
Poi parlò, di nuovo. Con voce ferma, più lenta, quasi fredda nella sua precisione.
«Dimmi chi ha approfittato del mio corpo l’altra sera. Voglio il nome. Voglio essere sicura che, se lo incontro per strada, io sappia come comportarmi.»
Marco chiuse gli occhi un istante. Scosse appena la testa.
«Non posso dirtelo,» rispose. La voce era quasi un sussurro.
«Non puoi?» ribatté lei, con un’inflessione carica di incredulità.
«L’accordo era per il suo completo anonimato,» spiegò, forzandosi a guardarla negli occhi. «Non posso tradire la sua fiducia.»
Anna si ritrasse come se lui l’avesse colpita. Poi si fece avanti di nuovo. Le mani ora erano strette sui braccioli della sedia, le nocche tese, bianche.
«La sua fiducia?» sibilò. «Uno sconosciuto mi ha violentata, Marco. E tu non puoi tradire la sua fiducia?»
La voce non era più rotta dalla rabbia, ma da qualcosa di peggiore: la delusione, profonda, irreparabile.
«E la mia? Dov’è finita la mia fiducia? Quella che io ho riposto in te quando mi sono lasciata legare. Bendare. Quando ti ho creduto. Quando ho pensato che mi stessi accompagnando… non vendendo.»
Marco sembrava sul punto di spezzarsi. Le mani tremavano appena, lo sguardo basso. Poi sollevò gli occhi, lucidi, carichi di qualcosa che somigliava per la prima volta a vero pentimento.
«Anna… perdonami. Non avevo valutato questo lato della medaglia. Mi sembrava solo un gioco, un modo per eccitarti, per… spingerti oltre. Ma mi rendo conto solo ora di quanto ho sbagliato. Ti chiedo perdono.»
Anna rimase immobile. Il volto era una maschera scolpita. Nessun cedimento.
«Le parole non bastano, Marco. Non questa volta.»
La sua voce era ferma, bassa, ma ogni sillaba era una lama.
«Io esigo di sapere chi è stato. Voglio guardare in faccia l’uomo che ha avuto il coraggio di abusare di me, legata e bendata, in un letto. Voglio sapere chi si è eccitato davanti a un corpo inerme, senza volto, senza difesa. Voglio sapere che tipo di uomo è capace di farlo.»
Marco chiuse gli occhi. Il silenzio si allungò come una vertigine. Poi, come un sussurro strappato dalla gola:
«È stato Filippo.»
Il nome si conficcò nell’aria come un chiodo.
«Il mio collega. Ma ti prego… non dire nulla a nessuno. Lui è sposato… verrebbe fuori un casino.»
Anna rimase in silenzio. Solo per un istante. Poi si sollevò lentamente dalla sedia, come se ogni vertebra si allineasse nel gesto. Lo guardò dall’alto, con una calma glaciale.
E poi, con una voce che non tremava nemmeno per un secondo:
«Perché tu credi… che tra noi non verrà fuori un casino, tesoro?»
Anna si sollevò dalla sedia con lentezza, senza alcuna esitazione nei gesti. La schiena dritta, lo sguardo fisso su di lui.
«Io adesso mi preparo… e vado a farmi sbattere per bene da qualcuno. Qualcuno che guarderò per bene in faccia. A differenza tua.»
Si fermò sulla soglia, una mano sulla porta.
«Tu invece resti qui con la bambina… e nel frattempo, recuperi il numero della moglie del tuo collega. Perché domani, io le devo parlare.»
Lo fissò un istante, poi uscì dal soggiorno senza voltarsi, con passo calmo, determinato. Si chiuse in camera, e il clic della porta fu come un sigillo.
Passarono lunghi minuti. Marco era ancora sul divano, immobile. Il ticchettio dell’orologio sembrava battere a ritmo con il suo cuore. Poi, finalmente, la porta della camera si aprì.
Anna comparve sulla soglia.
Non era più la donna in jeans e maglietta. Era qualcosa di diverso. Di costruito. Di volutamente letale.
Indossava un vestito nero in tessuto effetto bagnato, lungo fino a metà coscia, che sembrava colato sul corpo come una vernice. Lucido, teso, aderente come una seconda pelle. Ogni riflesso seguiva la linea perfetta dei suoi fianchi, della vita stretta, del seno pieno e alto che si muoveva sotto lo scollo profondo. Le spalline sottili lasciavano scoperte le spalle e il collo, valorizzato dal dettaglio più tagliente: un collare in raso nero, chiuso dietro con un piccolo fiocco.
Niente reggiseno, ovviamente. Il tessuto abbracciava il seno nudo con una tensione perfetta, rivelandone le forme senza bisogno di scoprire nulla.
Sotto l’orlo del vestito, appena percettibili ad ogni passo, si intravedevano le autoreggenti: nere, a rete finissima, con il bordo in pizzo che si affacciava appena quando camminava. Una visione fugace, ma sufficiente a incendiare ogni sguardo. Il vestito era abbastanza lungo da nascondere, ma abbastanza aderente da insinuare.
Stivali neri, in pelle lucida, con tacco sottile e vertiginoso, le slanciavano le gambe. Il passo era sicuro, sensuale, controllato. Camminava come chi sa che ogni singolo dettaglio è stato scelto per colpire.
Il trucco era teatrale. Smokey eyes scuri e intensi, con eyeliner spinto e preciso. Le labbra, piene e tese, erano dipinte di rosso laccato, lucide, sfacciate. I capelli sciolti, ondulati naturalmente, le ricadevano sulle spalle nude.
Si fermò davanti a Marco. Lui la guardava senza fiato. Lei si abbassò appena il vestito sui fianchi, come per sistemarlo. Il gesto fu lento, calcolato.
«Ti ricordi questo vestito?» chiese, senza rabbia. Solo veleno.
«L’hai scelto tu. L’hai fatto recapitare con quel biglietto idiota: “Così ti voglio.”»
Poi si voltò appena, mostrandogli la curva dei glutei fasciati da quel tessuto teso come una promessa. Si girò di nuovo verso di lui, con un sorriso appena accennato.
«Ora… ne godrà qualcun altro. E non solo del vestito.»
La musica pulsava come un cuore impazzito. Il locale vibrava sotto i bassi profondi, e le luci scivolavano sui corpi con tagli netti, crudi, intermittenti. Era una notte densa, satura di caldo, di sudore e desideri troppo a lungo compressi.
E lei… lei era il fulcro.
Anna ballava da sola, in mezzo alla pista. Il vestito nero lucido si muoveva a scatti sulla sua pelle, tirato come una pellicola sul corpo acceso. La gonna, aderente e cortissima, tremava appena a ogni passo. I seni si sollevavano sotto il tessuto sottile, nudi, trattenuti solo dalla tensione del vestito.
Intorno a lei, cerchi di uomini sempre più stretti. La guardavano come si osserva un’ossessione. Qualcuno si fece avanti. Poi un altro. E poi ancora.
Le mani cominciarono a posarsi.
Una la afferrò piena sui glutei, stringendo senza pudore. Un’altra, più audace, le sfiorò il fianco salendo, poi si aprì sul seno con un gesto lento ma sicuro. Anna non si voltò. Non protestò. Continuò a ballare, come se nulla fosse. Ma il suo respiro si fece più corto, più profondo. Il corpo ondeggiava con un’intensità diversa.
Non era più solo movimento. Era attrito. Frizione. Strofinio. Corpi eccitati che le si muovevano intorno, a volte contro. Le erezioni spinte contro le sue natiche, le cosce, l’anca. Una pressione costante e crescente.
Sentiva il caldo salire. Un calore basso, sordo. Le mani sugli abiti, le dita sui seni, l’aderenza del vestito sudato sulla pelle nuda… tutto le parlava di sesso. E di potere.
E cominciava a sentirlo.
L’umidità sotto il tanga. La pelle in fiamme. Le pupille dilatate. Il fuoco che saliva dalle gambe all’addome.
Staccato dal gruppo di uomini che la circondavano come lupi affamati, un nuovo corpo si mosse verso di lei. Diverso. Non ansioso. Non impacciato. Solo sicuro.
Era alto. Almeno una spanna più di lei, nonostante i tacchi vertiginosi. Indossava una camicia nera, slacciata fino all’ombelico. Il tessuto si apriva su un petto liscio, scolpito, completamente depilato, lucido di sudore. Ogni muscolo si muoveva in armonia con il ritmo, come se fosse la musica a danzare per lui.
I pantaloni erano aderenti come pelle su carne viva. Seguivano ogni linea del bacino, delle cosce, del desiderio sotto la cintura. Il viso era affilato, con zigomi marcati e una barba appena accennata. Le labbra carnose, piene, sembravano fatte per mordere e dire poco. Ma erano gli occhi… quegli occhi… a catturare Anna: azzurri, intensi, chiari come il cielo ma profondi come il peccato.
I suoi capelli biondi, arruffati, sembravano appena usciti da un letto sfatto.
Lui non disse nulla.
Era davanti a lei. Alto, padrone dello spazio attorno. La musica pulsava nei loro corpi come un secondo cuore. Ballavano, senza sfiorarsi, ma già uniti da un filo invisibile che tendeva ogni muscolo.
Poi lui la afferrò.
Le mani forti si posarono sui suoi fianchi, stringendoli con fermezza. Le dita scivolarono appena sul tessuto lucido del vestito, avvertendone il calore e la tensione sotto. Non le chiese il permesso. La prese. La tenne. E lei non oppose resistenza. Non stavano danzando più. Stavano respirandosi.
Poi sollevò una gamba, la infilò lentamente tra le sue, senza esitazione. La coscia premette contro il suo inguine, separato solo dal tanga e dal tessuto del vestito, e lui la avvicinò ancora di più, stringendola a sé.
Il contatto era reale, deciso, ma non volgare. Solo necessario. Si muoveva con piccoli affondi, guidando le anche di lei, facendole trovare un ritmo condiviso. Le spinte della sua gamba la costringevano a premere, a cercare istintivamente più attrito. E lei rispondeva. Senza parole. Senza pensieri.
Le loro labbra erano a un soffio di distanza.
Il suo respiro le arrivava caldo sul viso. La fronte quasi a sfiorarla. Il naso a lato del suo. Gli occhi fissi nei suoi, tesi, accesi, silenziosi. Animali.
Lei sentiva il calore crescere. Dalla gola al petto, poi giù, giù nel ventre. Una scossa continua che pulsava a ritmo con la musica. Il suo tanga, ora, era umido. E ogni pressione della coscia maschile contro di lei era come una mano invisibile che la toccava proprio lì, dove non avrebbe dovuto… ma dove adesso voleva.
Lui le prese la mano con decisione, intrecciando le dita alle sue. Nessuna parola, solo quel gesto secco, autoritario, irresistibile. La condusse fuori dalla pista, attraversando la folla come se lei fosse l’unica cosa che contasse. Lei lo seguì, in silenzio, con il cuore che martellava nel petto e tra le cosce.
Uscirono nel cortile esterno della discoteca, una zona d’ombra tra il muro e qualche albero, semi nascosta. L’aria era più fresca, ma Anna era bollente. Il battito accelerato, la pelle tesa.
Lui si voltò di scatto. Le afferrò i fianchi e la spinse contro il muro. Non con violenza. Con fame.
E la baciò.
Non un bacio romantico. Fu un morso, un assalto. La sua bocca la mangiava, la gustava, la assaporava come se avesse aspettato tutta la sera quel momento. La lingua premeva, scavava, spingeva. Le mani correvano dappertutto, rapide, decise. Una sul seno, l’altra sul fianco, poi sotto la gonna, a stringerle i glutei come a volerne sentire la consistenza con il palmo intero.
Anna gemette contro la sua bocca. Le gambe le tremavano, ma non era debolezza. Era desiderio, puro e incontrollato.
Sentiva la sua eccitazione, dura, tesa, premere contro il suo ventre. Il suo bacino si muoveva, spingeva, cercava.
Lui le sollevò il vestito con una lentezza esasperante, fino a scoprire le autoreggenti, il tanga sottile, la pelle calda e bagnata dal suo desiderio. Poi la girò, con il viso contro il muro. Le mani sulle sue anche. Il fiato sul collo.
Anna si voltò appena con il viso, senza allontanarsi dal muro. Gli occhi lucidi, le labbra rosse e gonfie.
La voce uscì roca, spezzata.
«Avanti… fottimi.»
Il muro era ruvido sulla pelle delle sue braccia, ma Anna non lo sentiva davvero. Tutta la sua attenzione era concentrata dietro di sé, sul calore potente che la sovrastava. Le mani di lui la tenevano stretta, una alla vita, l’altra sul petto, sotto il vestito sollevato. Il contatto era totale, pulsante.
Lo sentì aprire il pacchetto, un fruscio veloce, poi un attimo di silenzio pieno solo del loro respiro. Poi lui si avvicinò. Il suo corpo aderì completamente al suo. Bacino contro bacino, petto contro schiena. Nessuna distanza. Solo pressione.
Entrò in lei con un solo movimento deciso.
Anna lasciò uscire un gemito strozzato, le mani che si aggrappavano al muro. Era dentro. Profondo. Pieno. E il suo corpo lo accoglieva come se lo avesse aspettato da sempre.
Non c’erano parole. Solo il suono dei loro corpi che si cercavano, che si sbattevano contro la pietra viva del muro. Le sue spinte erano ritmiche, sempre più veloci, affamate. Le mani di lui scorrevano sul suo corpo, salivano, stringevano i seni, la trattenevano come per non farla fuggire. Come se potesse.
Lei si muoveva con lui. Il bacino rispondeva, cercava più frizione, più profondità. Il tanga era tirato di lato, le autoreggenti tremavano sulle cosce. Il fiato le bruciava nei polmoni.
I suoi sospiri si facevano corti, veloci, sempre più vicini all’esplosione. Lui gemette dietro di lei, sussurrando parole incomprensibili. Le spinte divennero irregolari, più forti, più disperate.
Poi tutto si fermò per un istante.
Un respiro trattenuto.
Un solo istante di sospensione.
E poi… insieme.
Un piacere che li travolse. Silenzioso, violento, assoluto. I corpi tesi, immobili, incollati. Le dita che si serravano, le gambe che tremavano. Un orgasmo condiviso che sembrava svuotare e riempire allo stesso tempo.
Rimasero fermi così, attaccati al muro, il fiato spezzato e le gambe deboli, come se si fossero bruciati l’un l’altro.
Solo dopo diversi secondi lui si staccò lentamente, con una carezza lieve sulla schiena di lei.
Si voltò lentamente, ancora addossata al muro, il fiato caldo sulle labbra e le gambe che tremavano appena, ma non per debolezza: per l’adrenalina, per il potere. Lo guardò dritto negli occhi, e per un attimo fu lui a rimanere senza fiato.
Anna si ricompose il vestito con lentezza, senza fretta, facendo scivolare l’orlo lucido fino a coprire appena le cosce. Le dita si chiusero sul membro oramai morbido e sfilò il preservativo pieno del suo seme con dolcezza, lo annodò e lo infilò nel vestito, in mezzo ai seni ancora gonfi di sangue e desiderio.
Poi si abbassò, sollevò con due dita il sottile triangolo azzurro, quello che aveva separato il suo piacere dal mondo, e lo porse a lui con un mezzo sorriso tagliente. Come un trofeo. Come una firma.
«Questi saranno i nostri ricordi di questa serata,» mormorò con un tono che era più per se stessa che per lui. Le labbra sfiorarono le sue in un bacio lento, quasi tenero, ma carico di qualcosa di molto più profondo. Un addio senza tristezza. Solo consapevolezza.
Poi si voltò. Tacchi alti sul cemento umido, schiena dritta, sguardo fisso davanti a sé.
Uscì dal cortile senza voltarsi.
Anna rientrò in casa che era ancora notte fonda. Il portone si chiuse alle sue spalle con un tonfo sordo. Il corridoio era buio, silenzioso. Ma il cuore batteva forte.
Marco era ancora lì, seduto sul divano. Non si era mosso, come se il tempo si fosse fermato nell’attesa. Appena la vide, si alzò di scatto. Anna aveva i capelli spettinati, le guance arrossate, la pelle ancora umida e il vestito fuori posto. Sembrava tornata da un campo di battaglia.
Si fermò a un paio di passi da lui.
Senza dire una parola, infilò la mano nello scollo del vestito. Estrasse il preservativo usato. Lo lanciò con gesto secco. Marco lo afferrò al volo, istintivamente. Appena abbassò lo sguardo per capire cosa fosse, il volto gli si congelò.
Lei lo fissò.
«Spero che ora tu sia contento,» disse con una voce tagliente come vetro. «Sei ufficialmente un cornuto. Per mia volontà.»
Silenzio.
Marco non trovava le parole. La guardava con il preservativo pieno di sperma in mano, incapace di respirare.
«Ora mandami il numero della moglie del tuo collega porco.»
Lo disse piano, ma con una freddezza che gli gelò la schiena. «Io vado a letto. Tu dormi sul divano.»
Si voltò e se ne andò senza aggiungere altro.
Nel passare davanti alla porta della figlia si fermò, solo un attimo. Aprì piano, sbirciò nel buio, poi richiuse. Nessun gesto dolce, nessuna carezza. Solo un respiro trattenuto.
Entrò nella sua camera, si spogliò lentamente, lasciando cadere i vestiti uno a uno sul pavimento. Nuda, senza lavarsi, si infilò nel letto e chiuse gli occhi.
Non dormì subito. Il fuoco le ardeva ancora dentro. Non era pace.
Non ancora.
La sua vendetta era appena cominciata.
Spero che vi stia piacendo. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
Marco era ancora lì, sul divano, esattamente dove lei lo aveva lasciato. Non si era mosso. Non aveva acceso la luce piena, né cercato distrazioni. L’aveva aspettata. E quando lei entrò, si alzò a metà, quasi volesse andare verso di lei, ma si fermò non appena lei alzò lo sguardo.
Solo un cenno. Freddo, misurato. «Metto a letto la bimba. Torno da te.»
Marco annuì, senza rispondere. Si allontanò, andò in bagno, si liberò dei vestiti ormai scomposti, si lavò il viso. Tornò in salotto indossando solo una maglietta e dei pantaloni comodi. Si sedette, aspettando. Il silenzio era spesso, quasi concreto.
Passò quasi un’ora.
Poi la sentì arrivare.
Anna rientrò nel soggiorno in punta di piedi, sempre in jeans e maglietta, la figura asciutta ma stanca illuminata appena dalla luce soffusa. Non parlò. Si avvicinò al tavolo, tirò fuori una delle sedie e si sedette di fronte a lui. Lenta, composta. Le gambe accavallate, le mani raccolte in grembo.
Lo guardava.
Anna sedeva composta sulla sedia, le gambe accavallate, le mani strette in grembo, ma le nocche bianche tradivano la tensione. Marco, seduto di fronte, cercava di restare calmo, lo sguardo fisso su di lei, ma qualcosa nei suoi occhi tradiva un’inquietudine crescente.
La sua voce fu la prima a fendere il silenzio.
«Ti rendi conto della gravità di quello che hai fatto?»
La frase cadde nel vuoto come una sentenza. Marco non rispose subito.
«Se volessi potrei andare a denunciarti e farti arrestare per violenza sessuale,» proseguì lei, glaciale. «Ora esigo che tu mi dica chi è stato a scoparmi, a prendermi anche da dietro, e a venirmi addosso come se fossi la peggiore delle sgualdrine.»
Il silenzio si fece più denso. Marco deglutì, poi tentò un sorriso stanco, tirato, quasi infastidito.
«Mi sembra che adesso tu stia esagerando,» disse. «È stato solo un gioco. E se anche decidessi di farti fare qualunque analisi, non troverebbero nulla. Nessun segno di violenza. Nessuna prova. Ti ho già detto che ero io, più volte. Non ho da dirti altro.»
Anna non si mosse. Solo il suo sguardo si fece più acuto, più appuntito.
«Allora spiegami,» disse con voce più bassa, più tagliente, «perché lo sperma che ho inghiottito oggi non aveva lo stesso sapore di quello dell’altra sera.»
Marco si irrigidì. Lei continuò.
«Ho ancora qualche goccia sul lenzuolo. Se vuoi metterla così, chiederò un esame comparativo con il tuo. E allora non basteranno più le tue mezze frasi.»
Fu come se qualcosa si spezzasse. Le certezze di Marco, la sicurezza che ostentava, la maschera dell’uomo al comando. Si accasciarono su se stesse. Non parlò subito. Guardò in basso. Poi, finalmente, alzò gli occhi verso di lei. E per la prima volta, c’era qualcosa che non c’era mai stato: vergogna.
«Va bene,» disse piano. La voce rauca, più debole. «Lo ammetto.»
Anna non batté ciglio. Rimase lì, immobile, in attesa.
«Non ero io… l’altra sera. Non ti ho toccata. Sono stato solo presente. Volevo… godermi la scena.»
Il silenzio che seguì fu più assordante delle parole. Marco abbassò lo sguardo. Anna lo fissava, come se volesse scolpire il suo volto in quel momento. Per non dimenticare mai la sua espressione.
Il tempo sembrava essersi congelato tra quelle due sedie. Marco evitava lo sguardo di lei, mentre Anna continuava a fissarlo, come se volesse trapassarlo.
Poi parlò, di nuovo. Con voce ferma, più lenta, quasi fredda nella sua precisione.
«Dimmi chi ha approfittato del mio corpo l’altra sera. Voglio il nome. Voglio essere sicura che, se lo incontro per strada, io sappia come comportarmi.»
Marco chiuse gli occhi un istante. Scosse appena la testa.
«Non posso dirtelo,» rispose. La voce era quasi un sussurro.
«Non puoi?» ribatté lei, con un’inflessione carica di incredulità.
«L’accordo era per il suo completo anonimato,» spiegò, forzandosi a guardarla negli occhi. «Non posso tradire la sua fiducia.»
Anna si ritrasse come se lui l’avesse colpita. Poi si fece avanti di nuovo. Le mani ora erano strette sui braccioli della sedia, le nocche tese, bianche.
«La sua fiducia?» sibilò. «Uno sconosciuto mi ha violentata, Marco. E tu non puoi tradire la sua fiducia?»
La voce non era più rotta dalla rabbia, ma da qualcosa di peggiore: la delusione, profonda, irreparabile.
«E la mia? Dov’è finita la mia fiducia? Quella che io ho riposto in te quando mi sono lasciata legare. Bendare. Quando ti ho creduto. Quando ho pensato che mi stessi accompagnando… non vendendo.»
Marco sembrava sul punto di spezzarsi. Le mani tremavano appena, lo sguardo basso. Poi sollevò gli occhi, lucidi, carichi di qualcosa che somigliava per la prima volta a vero pentimento.
«Anna… perdonami. Non avevo valutato questo lato della medaglia. Mi sembrava solo un gioco, un modo per eccitarti, per… spingerti oltre. Ma mi rendo conto solo ora di quanto ho sbagliato. Ti chiedo perdono.»
Anna rimase immobile. Il volto era una maschera scolpita. Nessun cedimento.
«Le parole non bastano, Marco. Non questa volta.»
La sua voce era ferma, bassa, ma ogni sillaba era una lama.
«Io esigo di sapere chi è stato. Voglio guardare in faccia l’uomo che ha avuto il coraggio di abusare di me, legata e bendata, in un letto. Voglio sapere chi si è eccitato davanti a un corpo inerme, senza volto, senza difesa. Voglio sapere che tipo di uomo è capace di farlo.»
Marco chiuse gli occhi. Il silenzio si allungò come una vertigine. Poi, come un sussurro strappato dalla gola:
«È stato Filippo.»
Il nome si conficcò nell’aria come un chiodo.
«Il mio collega. Ma ti prego… non dire nulla a nessuno. Lui è sposato… verrebbe fuori un casino.»
Anna rimase in silenzio. Solo per un istante. Poi si sollevò lentamente dalla sedia, come se ogni vertebra si allineasse nel gesto. Lo guardò dall’alto, con una calma glaciale.
E poi, con una voce che non tremava nemmeno per un secondo:
«Perché tu credi… che tra noi non verrà fuori un casino, tesoro?»
Anna si sollevò dalla sedia con lentezza, senza alcuna esitazione nei gesti. La schiena dritta, lo sguardo fisso su di lui.
«Io adesso mi preparo… e vado a farmi sbattere per bene da qualcuno. Qualcuno che guarderò per bene in faccia. A differenza tua.»
Si fermò sulla soglia, una mano sulla porta.
«Tu invece resti qui con la bambina… e nel frattempo, recuperi il numero della moglie del tuo collega. Perché domani, io le devo parlare.»
Lo fissò un istante, poi uscì dal soggiorno senza voltarsi, con passo calmo, determinato. Si chiuse in camera, e il clic della porta fu come un sigillo.
Passarono lunghi minuti. Marco era ancora sul divano, immobile. Il ticchettio dell’orologio sembrava battere a ritmo con il suo cuore. Poi, finalmente, la porta della camera si aprì.
Anna comparve sulla soglia.
Non era più la donna in jeans e maglietta. Era qualcosa di diverso. Di costruito. Di volutamente letale.
Indossava un vestito nero in tessuto effetto bagnato, lungo fino a metà coscia, che sembrava colato sul corpo come una vernice. Lucido, teso, aderente come una seconda pelle. Ogni riflesso seguiva la linea perfetta dei suoi fianchi, della vita stretta, del seno pieno e alto che si muoveva sotto lo scollo profondo. Le spalline sottili lasciavano scoperte le spalle e il collo, valorizzato dal dettaglio più tagliente: un collare in raso nero, chiuso dietro con un piccolo fiocco.
Niente reggiseno, ovviamente. Il tessuto abbracciava il seno nudo con una tensione perfetta, rivelandone le forme senza bisogno di scoprire nulla.
Sotto l’orlo del vestito, appena percettibili ad ogni passo, si intravedevano le autoreggenti: nere, a rete finissima, con il bordo in pizzo che si affacciava appena quando camminava. Una visione fugace, ma sufficiente a incendiare ogni sguardo. Il vestito era abbastanza lungo da nascondere, ma abbastanza aderente da insinuare.
Stivali neri, in pelle lucida, con tacco sottile e vertiginoso, le slanciavano le gambe. Il passo era sicuro, sensuale, controllato. Camminava come chi sa che ogni singolo dettaglio è stato scelto per colpire.
Il trucco era teatrale. Smokey eyes scuri e intensi, con eyeliner spinto e preciso. Le labbra, piene e tese, erano dipinte di rosso laccato, lucide, sfacciate. I capelli sciolti, ondulati naturalmente, le ricadevano sulle spalle nude.
Si fermò davanti a Marco. Lui la guardava senza fiato. Lei si abbassò appena il vestito sui fianchi, come per sistemarlo. Il gesto fu lento, calcolato.
«Ti ricordi questo vestito?» chiese, senza rabbia. Solo veleno.
«L’hai scelto tu. L’hai fatto recapitare con quel biglietto idiota: “Così ti voglio.”»
Poi si voltò appena, mostrandogli la curva dei glutei fasciati da quel tessuto teso come una promessa. Si girò di nuovo verso di lui, con un sorriso appena accennato.
«Ora… ne godrà qualcun altro. E non solo del vestito.»
La musica pulsava come un cuore impazzito. Il locale vibrava sotto i bassi profondi, e le luci scivolavano sui corpi con tagli netti, crudi, intermittenti. Era una notte densa, satura di caldo, di sudore e desideri troppo a lungo compressi.
E lei… lei era il fulcro.
Anna ballava da sola, in mezzo alla pista. Il vestito nero lucido si muoveva a scatti sulla sua pelle, tirato come una pellicola sul corpo acceso. La gonna, aderente e cortissima, tremava appena a ogni passo. I seni si sollevavano sotto il tessuto sottile, nudi, trattenuti solo dalla tensione del vestito.
Intorno a lei, cerchi di uomini sempre più stretti. La guardavano come si osserva un’ossessione. Qualcuno si fece avanti. Poi un altro. E poi ancora.
Le mani cominciarono a posarsi.
Una la afferrò piena sui glutei, stringendo senza pudore. Un’altra, più audace, le sfiorò il fianco salendo, poi si aprì sul seno con un gesto lento ma sicuro. Anna non si voltò. Non protestò. Continuò a ballare, come se nulla fosse. Ma il suo respiro si fece più corto, più profondo. Il corpo ondeggiava con un’intensità diversa.
Non era più solo movimento. Era attrito. Frizione. Strofinio. Corpi eccitati che le si muovevano intorno, a volte contro. Le erezioni spinte contro le sue natiche, le cosce, l’anca. Una pressione costante e crescente.
Sentiva il caldo salire. Un calore basso, sordo. Le mani sugli abiti, le dita sui seni, l’aderenza del vestito sudato sulla pelle nuda… tutto le parlava di sesso. E di potere.
E cominciava a sentirlo.
L’umidità sotto il tanga. La pelle in fiamme. Le pupille dilatate. Il fuoco che saliva dalle gambe all’addome.
Staccato dal gruppo di uomini che la circondavano come lupi affamati, un nuovo corpo si mosse verso di lei. Diverso. Non ansioso. Non impacciato. Solo sicuro.
Era alto. Almeno una spanna più di lei, nonostante i tacchi vertiginosi. Indossava una camicia nera, slacciata fino all’ombelico. Il tessuto si apriva su un petto liscio, scolpito, completamente depilato, lucido di sudore. Ogni muscolo si muoveva in armonia con il ritmo, come se fosse la musica a danzare per lui.
I pantaloni erano aderenti come pelle su carne viva. Seguivano ogni linea del bacino, delle cosce, del desiderio sotto la cintura. Il viso era affilato, con zigomi marcati e una barba appena accennata. Le labbra carnose, piene, sembravano fatte per mordere e dire poco. Ma erano gli occhi… quegli occhi… a catturare Anna: azzurri, intensi, chiari come il cielo ma profondi come il peccato.
I suoi capelli biondi, arruffati, sembravano appena usciti da un letto sfatto.
Lui non disse nulla.
Era davanti a lei. Alto, padrone dello spazio attorno. La musica pulsava nei loro corpi come un secondo cuore. Ballavano, senza sfiorarsi, ma già uniti da un filo invisibile che tendeva ogni muscolo.
Poi lui la afferrò.
Le mani forti si posarono sui suoi fianchi, stringendoli con fermezza. Le dita scivolarono appena sul tessuto lucido del vestito, avvertendone il calore e la tensione sotto. Non le chiese il permesso. La prese. La tenne. E lei non oppose resistenza. Non stavano danzando più. Stavano respirandosi.
Poi sollevò una gamba, la infilò lentamente tra le sue, senza esitazione. La coscia premette contro il suo inguine, separato solo dal tanga e dal tessuto del vestito, e lui la avvicinò ancora di più, stringendola a sé.
Il contatto era reale, deciso, ma non volgare. Solo necessario. Si muoveva con piccoli affondi, guidando le anche di lei, facendole trovare un ritmo condiviso. Le spinte della sua gamba la costringevano a premere, a cercare istintivamente più attrito. E lei rispondeva. Senza parole. Senza pensieri.
Le loro labbra erano a un soffio di distanza.
Il suo respiro le arrivava caldo sul viso. La fronte quasi a sfiorarla. Il naso a lato del suo. Gli occhi fissi nei suoi, tesi, accesi, silenziosi. Animali.
Lei sentiva il calore crescere. Dalla gola al petto, poi giù, giù nel ventre. Una scossa continua che pulsava a ritmo con la musica. Il suo tanga, ora, era umido. E ogni pressione della coscia maschile contro di lei era come una mano invisibile che la toccava proprio lì, dove non avrebbe dovuto… ma dove adesso voleva.
Lui le prese la mano con decisione, intrecciando le dita alle sue. Nessuna parola, solo quel gesto secco, autoritario, irresistibile. La condusse fuori dalla pista, attraversando la folla come se lei fosse l’unica cosa che contasse. Lei lo seguì, in silenzio, con il cuore che martellava nel petto e tra le cosce.
Uscirono nel cortile esterno della discoteca, una zona d’ombra tra il muro e qualche albero, semi nascosta. L’aria era più fresca, ma Anna era bollente. Il battito accelerato, la pelle tesa.
Lui si voltò di scatto. Le afferrò i fianchi e la spinse contro il muro. Non con violenza. Con fame.
E la baciò.
Non un bacio romantico. Fu un morso, un assalto. La sua bocca la mangiava, la gustava, la assaporava come se avesse aspettato tutta la sera quel momento. La lingua premeva, scavava, spingeva. Le mani correvano dappertutto, rapide, decise. Una sul seno, l’altra sul fianco, poi sotto la gonna, a stringerle i glutei come a volerne sentire la consistenza con il palmo intero.
Anna gemette contro la sua bocca. Le gambe le tremavano, ma non era debolezza. Era desiderio, puro e incontrollato.
Sentiva la sua eccitazione, dura, tesa, premere contro il suo ventre. Il suo bacino si muoveva, spingeva, cercava.
Lui le sollevò il vestito con una lentezza esasperante, fino a scoprire le autoreggenti, il tanga sottile, la pelle calda e bagnata dal suo desiderio. Poi la girò, con il viso contro il muro. Le mani sulle sue anche. Il fiato sul collo.
Anna si voltò appena con il viso, senza allontanarsi dal muro. Gli occhi lucidi, le labbra rosse e gonfie.
La voce uscì roca, spezzata.
«Avanti… fottimi.»
Il muro era ruvido sulla pelle delle sue braccia, ma Anna non lo sentiva davvero. Tutta la sua attenzione era concentrata dietro di sé, sul calore potente che la sovrastava. Le mani di lui la tenevano stretta, una alla vita, l’altra sul petto, sotto il vestito sollevato. Il contatto era totale, pulsante.
Lo sentì aprire il pacchetto, un fruscio veloce, poi un attimo di silenzio pieno solo del loro respiro. Poi lui si avvicinò. Il suo corpo aderì completamente al suo. Bacino contro bacino, petto contro schiena. Nessuna distanza. Solo pressione.
Entrò in lei con un solo movimento deciso.
Anna lasciò uscire un gemito strozzato, le mani che si aggrappavano al muro. Era dentro. Profondo. Pieno. E il suo corpo lo accoglieva come se lo avesse aspettato da sempre.
Non c’erano parole. Solo il suono dei loro corpi che si cercavano, che si sbattevano contro la pietra viva del muro. Le sue spinte erano ritmiche, sempre più veloci, affamate. Le mani di lui scorrevano sul suo corpo, salivano, stringevano i seni, la trattenevano come per non farla fuggire. Come se potesse.
Lei si muoveva con lui. Il bacino rispondeva, cercava più frizione, più profondità. Il tanga era tirato di lato, le autoreggenti tremavano sulle cosce. Il fiato le bruciava nei polmoni.
I suoi sospiri si facevano corti, veloci, sempre più vicini all’esplosione. Lui gemette dietro di lei, sussurrando parole incomprensibili. Le spinte divennero irregolari, più forti, più disperate.
Poi tutto si fermò per un istante.
Un respiro trattenuto.
Un solo istante di sospensione.
E poi… insieme.
Un piacere che li travolse. Silenzioso, violento, assoluto. I corpi tesi, immobili, incollati. Le dita che si serravano, le gambe che tremavano. Un orgasmo condiviso che sembrava svuotare e riempire allo stesso tempo.
Rimasero fermi così, attaccati al muro, il fiato spezzato e le gambe deboli, come se si fossero bruciati l’un l’altro.
Solo dopo diversi secondi lui si staccò lentamente, con una carezza lieve sulla schiena di lei.
Si voltò lentamente, ancora addossata al muro, il fiato caldo sulle labbra e le gambe che tremavano appena, ma non per debolezza: per l’adrenalina, per il potere. Lo guardò dritto negli occhi, e per un attimo fu lui a rimanere senza fiato.
Anna si ricompose il vestito con lentezza, senza fretta, facendo scivolare l’orlo lucido fino a coprire appena le cosce. Le dita si chiusero sul membro oramai morbido e sfilò il preservativo pieno del suo seme con dolcezza, lo annodò e lo infilò nel vestito, in mezzo ai seni ancora gonfi di sangue e desiderio.
Poi si abbassò, sollevò con due dita il sottile triangolo azzurro, quello che aveva separato il suo piacere dal mondo, e lo porse a lui con un mezzo sorriso tagliente. Come un trofeo. Come una firma.
«Questi saranno i nostri ricordi di questa serata,» mormorò con un tono che era più per se stessa che per lui. Le labbra sfiorarono le sue in un bacio lento, quasi tenero, ma carico di qualcosa di molto più profondo. Un addio senza tristezza. Solo consapevolezza.
Poi si voltò. Tacchi alti sul cemento umido, schiena dritta, sguardo fisso davanti a sé.
Uscì dal cortile senza voltarsi.
Anna rientrò in casa che era ancora notte fonda. Il portone si chiuse alle sue spalle con un tonfo sordo. Il corridoio era buio, silenzioso. Ma il cuore batteva forte.
Marco era ancora lì, seduto sul divano. Non si era mosso, come se il tempo si fosse fermato nell’attesa. Appena la vide, si alzò di scatto. Anna aveva i capelli spettinati, le guance arrossate, la pelle ancora umida e il vestito fuori posto. Sembrava tornata da un campo di battaglia.
Si fermò a un paio di passi da lui.
Senza dire una parola, infilò la mano nello scollo del vestito. Estrasse il preservativo usato. Lo lanciò con gesto secco. Marco lo afferrò al volo, istintivamente. Appena abbassò lo sguardo per capire cosa fosse, il volto gli si congelò.
Lei lo fissò.
«Spero che ora tu sia contento,» disse con una voce tagliente come vetro. «Sei ufficialmente un cornuto. Per mia volontà.»
Silenzio.
Marco non trovava le parole. La guardava con il preservativo pieno di sperma in mano, incapace di respirare.
«Ora mandami il numero della moglie del tuo collega porco.»
Lo disse piano, ma con una freddezza che gli gelò la schiena. «Io vado a letto. Tu dormi sul divano.»
Si voltò e se ne andò senza aggiungere altro.
Nel passare davanti alla porta della figlia si fermò, solo un attimo. Aprì piano, sbirciò nel buio, poi richiuse. Nessun gesto dolce, nessuna carezza. Solo un respiro trattenuto.
Entrò nella sua camera, si spogliò lentamente, lasciando cadere i vestiti uno a uno sul pavimento. Nuda, senza lavarsi, si infilò nel letto e chiuse gli occhi.
Non dormì subito. Il fuoco le ardeva ancora dentro. Non era pace.
Non ancora.
La sua vendetta era appena cominciata.
Spero che vi stia piacendo. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
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