Moglie suocera e cognata 2

di
genere
bondage

Le tre donne erano in ginocchio, nude, in salotto. Il collare al collo, la testa bassa, il corpo tremante di eccitazione.

Enrico le osservava in piedi, con le mani dietro la schiena.
Aveva insegnato loro il silenzio. Nessuna parlava finché non era lui a concedere la parola. Ma quella sera, qualcosa era cambiato.

Fu la più giovane, la sua donna ufficiale, a rompere per prima.

— Padrone… la prego… oggi non voglio il piacere. Oggi voglio il dolore.

L’altra, la sorella elegante, si mosse appena.

— Anch’io, Padrone. Voglio essere seviziata. Non accarezzata. Non penetrata. Punita.

Infine, la più anziana, con la voce rauca:

— Faccia di me quello che vuole. Sporca, torturi, distrugga. Sono solo carne.

Lui le guardò con un ghigno che sapeva di castigo imminente.

— Bene. Allora oggi non si godrà. Oggi si urlerà.



Le portò nel seminterrato. Le fece spogliare dei collari e gliene mise altri tre, rigidi, di cuoio grezzo, ciascuno col numero inciso a fuoco: uno, due, tre.

Aprì un baule. Dentro: ganci per i seni, fruste multiple, stimolatori elettrici, speculum ginecologici, una maschera da pony con museruola in cuoio.

— Oggi proverete tutto. E chi cede per prima, dormirà incatenata alla cuccia.

Legò la più giovane alla croce. Le inserì lo speculum in vagina e lo aprì lentamente fino a farle tremare le cosce. Poi le appese due pesi da mezzo chilo ai capezzoli con dei ganci.

Lei urlò. Gli occhi pieni di lacrime.

— Grazie… Padrone… grazie…

La sorella elegante era a quattro zampe, con la maschera da pony, un plug con coda di cavallo, le mani coperte da guanti con zoccoli. Enrico la fece girare in tondo, nuda, il plug che dondolava. Poi la frustò col bullwhip sulla schiena, ogni colpo come un morso di serpente.

— Cavalla puttana — le sussurrava all’orecchio — ti piace sfilare col culo aperto?

Lei nitrì. Un nitrire vero. Da femmina impazzita.



La più anziana si era stesa da sola sul lettino medico. Gliel’aveva chiesto lei, con voce rotta.

— Voglio l’elettricità, Padrone. Voglio sentire le scosse dentro.

Lui prese i cavi per electroplay, li collegò al vibratore metallico e glielo spinse dentro fino in fondo. Accese la centralina. Un click.
La donna si inarcò come se stesse partorendo il demonio.

— Più… più forte… faccia saltare la figa, la prego…

Enrico aumentò. Scosse brevi, secche. Il corpo della donna vibrava, sudato, molle e rigido insieme. Le cosce fradice, l’ano che pulsava. E intanto, la marchiava con una canna sottile, lasciando righe di fuoco su ogni parte del corpo.



Quando furono tutte distrutte, lacrime, sudore e sperma mescolati a terra, le fece inginocchiare una accanto all’altra.

— Siete mie. Carne mia. Merda mia.

— Sì, Padrone. — dissero in coro, le bocche gonfie, i corpi segnati.

Lui tirò fuori la macchina per marchiatura, scaldò il ferro rovente con l’iniziale del suo nome. Tre colpi secchi. Tre urla. Tre segni di appartenenza.

— Nessun altro vi toccherà mai. Siete mie. Siete schiave. E il vostro unico scopo è obbedire. Servire. Soffrire.

Si leccarono a vicenda le ferite. Si baciarono come animali, con la lingua, con il dolore ancora vivo addosso.

Enrico si sedette sulla poltrona, il cazzo duro, colmo, teso.
Fece un cenno con la mano.

Le tre si misero in fila. A bocca aperta.

E lui venne su tutte e tre, una alla volta. Perché non c’era più amore lì dentro.
Solo possesso. Dolore. Degradazione. Estasi.
scritto il
2025-06-21
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