Le tre sottomesse Moglie Suocera e Cognata

di
genere
incesti

Enrico era un uomo normale all’apparenza. Insegnava letteratura in un liceo di periferia e tornava a casa ogni giorno alle sedici in punto, dove lo attendeva la moglie, la più giovane delle tre donne che avevano occupato, senza volerlo, ogni stanza del suo desiderio.

Vivevano tutti nella stessa palazzina. Due piani, quattro appartamenti, un solo padrone. Lui.

Nella casa sopra abitava la madre di lei, una donna che non portava più il reggiseno da anni e che camminava scalza anche d’inverno, con quel culo grosso e molle che sembrava una bestemmia fatta carne. Di fianco, la sorella maggiore, silenziosa, lunghi capelli neri, labbra che parevano fatte per stare attorno a un cazzo. Si salutavano con cordialità, certo. Ma da mesi, Enrico non vedeva altro che potenziali schiave in quelle tre bocche, in quei tre corpi. E da quando aveva legato la moglie al letto per la prima volta con il nastro bondage e l’aveva riempita di schiaffi finché non aveva urlato «Grazie, Padrone», tutto aveva cominciato a prendere forma.



Quel giorno tornò a casa con un sacchetto nero. Dentro c’erano un ball gag rossa, un paio di pinze per capezzoli collegate da una catenella, una ruota di Wartenberg e un collare in pelle nera con anello metallico. Sua moglie era già nuda sul letto, in ginocchio. Non serviva più parlare.

Le mise il collare con un gesto lento. Lei lo baciò sul dorso della mano.

— A quattro zampe, puttana. Oggi voglio che gridi fino a farti venire.

La imbavagliò con la ball gag, lasciandola a sbavare e ansimare mentre le faceva scorrere la ruota dentata tra le cosce. Ogni scatto sulla pelle era un brivido, una promessa. Quando le infilò le pinze, la ragazza fremette come se stesse venendo solo per il dolore.

Mentre la prendeva, forte, senza grazia, pensava a quelle due. Le altre. Le altre che avrebbero voluto essere lì.



Fu la suocera la seconda a cadere.

Aveva trovato nella cassetta della posta un biglietto scritto a mano:
«Ti ho vista mentre mi spiavi. Vieni giù. Senza mutande. E con il rossetto».
Firmato con un disegno: un collare.

Aveva tremato per ore, poi aveva obbedito. Quando si era presentata alla porta, Enrico l’aveva fatta entrare senza dire una parola, e chiusa a chiave dietro di sé.

— Allora, sei solo una vecchia arrapata o vuoi dimostrare che sai obbedire?

La donna si era inginocchiata. Aveva il rossetto sbavato. Non serviva altro.

L’aveva legata con corda di canapa, mani dietro la schiena e caviglie divaricate, poi l’aveva fatta piegare sopra al tavolo. Le aveva schiaffeggiato le chiappe con un paddle di pelle, lasciando segni rossi e profondi. Lei gemeva come una vacca calda.

— Da quanto non ti scopi qualcuno che ti tratta come una cosa?

— Da troppo… troppo tempo…

E lì, con il culo sollevato, la bocca aperta, aveva preso tutto. Ogni colpo, ogni insulto, ogni goccia.



La sorella maggiore fu l’ultima. La più diffidente. La più elegante. Ma anche la più perversa.

Fu lei a chiedergli di provare. Una sera, gli scrisse un messaggio:

«Fammi male, se ne sei capace»

Enrico la portò nel suo seminterrato. Aveva sistemato tutto. Luci soffuse, specchi, croce di Sant’Andrea. La fece spogliare, poi la legò nuda alla croce, con le polsiere in cuoio e le cavigliere imbottite.

Le fasciò gli occhi con una maschera di velluto nero. Le fece sentire il ghiaccio sul capezzolo destro. Poi la cera calda sul sinistro.

— Hai mai pensato di essere una schiava? — le chiese, mentre le infilava un plug anale con coda.

— Sempre… ma non ho mai trovato qualcuno capace di dominarmi sul serio.

Lui le infilò due dita nella figa, senza pietà, e le morse il lobo.

— Adesso l’hai trovato, cagna.



Da quel giorno, non si nascosero più. Le tre donne lo servivano a turno, si leccavano tra loro mentre lui guardava, oppure si mettevano in fila, nude, col collare, il culo pronto per la punizione. Enrico aveva smesso di usare il proprio nome. Era solo «Padrone».

Aveva trasformato un condominio in un harem perverso.
Tre bocche. Tre orifizi. Tre schiave. Un solo cazzo da adorare.

E quella era solo la prima settimana.
scritto il
2025-06-21
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