Io ti voglio adesso
di
AngelicaBellaWriter
genere
confessioni
Io ti voglio adesso.
Ti voglio mentre leggi, mentre muovi gli occhi su queste righe senza sapere se abbassarti i pantaloni o continuare a fingerti indifferente.
Immagina che io sia lì, davanti a te. Serena. Trentaquattro anni, quinta di seno, capezzoli duri anche senza il freddo, fianchi larghi e culo grosso, di quelli che fanno rumore quando lo sbatti con rabbia. Ho le labbra piene, la pelle chiara, liscia, e le cosce che si stringono quando mi tocchi con lo sguardo. I capelli scuri legati, oggi, ché sudo quando mi masturbo e non voglio che mi cadano sulla faccia.
Sì, mi sto toccando. E lo sto facendo pensando a te.
Immagino la tua faccia tra le mie cosce. Le tue dita sulle labbra della mia figa che pulsa, grondante. Il tuo cazzo — lo immagino spesso, sai? Grosso. Non importa se lo è davvero, tanto nella mia testa è già perfetto. Gonfio, duro, con la punta lucida che mi sfiora la bocca.
Sì, proprio la bocca. La apro. Voglio sentirtelo sulle labbra. Ti immagino che mi prendi per i capelli e mi tiri dentro tutta, fino a farmi sbavare. Io non mi fermo. Mi piace. Mi faccio venire la bava mentre ti succhio, profondo, fondo, sporco. Lo faccio con due dita nella figa, l'altra mano sulle tette. Sì. Così.
Ti piace sentirmi raccontare mentre mi scopo le dita? Vuoi che le conti? Una... due... ora anche il medio. Le muovo dentro di me, lente, poi più forti, più cattive. Voglio farmi male pensando a te che mi scopi contro il muro, col fiato corto, con gli occhi rabbiosi. Mi dici che sono una puttana e io godo.
Perché è questo che sono con te.
Una puttana.
Lo senti?
Sto gocciolando.
Le dita scivolano senza resistenza, entrano fino al fondo, poi tornano su a stuzzicare il mio clitoride gonfio, sensibile, incazzato. Lo strofino con due dita dritte, veloci, senza grazia. Non cerco romanticismo. Cerco che mi faccia male il cazzo che ho nella testa. Il tuo.
Mi spalanco le gambe, la schiena appoggiata al muro freddo della cucina. Il pavimento mi graffia le chiappe ma non me ne frega un cazzo. Ho bisogno di godere, e voglio farlo pensando a te che mi apri le cosce con la forza, che mi strappi le mutande con i denti, che mi ficchi dentro tutto quel cazzo senza aspettare nemmeno un respiro.
Ti immagini? Io sotto, pancia in giù, che ti supplico.
«Scopami. Non ti fermare. Dammi tutto. Fammi urlare.»
E tu che grugnisci. Non rispondi. Agisci. Me lo sbatti dentro fino al fondo, così forte che mi esce un urlo. Mi prendi per il bacino e mi usi. Duro. Osceno. Animale.
Mi sto toccando. Le dita non bastano più. Ne voglio tre.
Sì. Tre dita nella figa, il polso bagnato, la mano che scivola dentro come se cercasse la tua.
Mi stringo i capezzoli, li tiro, li mordo.
Mi segno le cosce con le unghie, mi lascio graffi che domani porteranno il tuo nome.
Ti voglio dentro. Voglio il tuo sperma sulla lingua. Sulle tette. Dentro.
Mi avvicino all’orgasmo. Il corpo teso, le gambe che tremano, la pancia contratta.
Il clitoride che brucia.
L’odore forte della mia figa nell’aria.
Sto venendo. Sto venendo urlando il tuo nome, immaginandoti che mi riempi tutta. Che mi scopi in bocca mentre ancora mi cola lo sperma dalla figa.
Che mi schiaffeggi e mi sputi sul culo.
Che mi dici:
«Brava troia, adesso leccati tutto.»
E io lo faccio.
Mi lecco le dita, mi sento il gusto, mi sento tua.
Tutta.
Fino all’ultima goccia.
Non hai ancora sbottonato i pantaloni?
Che fai, aspetti il mio permesso?
Allora te lo do: tiralo fuori. Sì, adesso. Voglio immaginarlo nudo, teso, pulsante tra le tue dita. Voglio sapere che, mentre mi leggi, ti stai toccando anche tu. Che ti sei sporcato del mio nome in testa. Che ti stai segando pensando alla mia figa tutta aperta e bagnata, con due dita dentro e una terza che spinge più giù, verso il buco che ancora non ti ho mostrato.
Ti piace sapere che lo sto preparando per te?
Mi passo il dito lì, tra le natiche, sento il cerchio stringersi e tremare.
Ci gioco un po’. Lo sfioro. Lo lubrifico con i miei succhi.
Lo vedi?
Mi allargo con l'altra mano e ti mostro tutto.
E dico:
«Guardami. Questo è tuo.»
Voglio che mi immagini carponi sul letto, la faccia affondata nel cuscino, il culo in alto, le dita che mi tengono aperta mentre tu ti avvicini.
Non dici niente.
Lo punti.
Me lo infili piano, poi forte, poi tutto.
E io urlo.
Mi spezzi in due e mi piace.
Non fermarti.
Fammi male.
Ti voglio feroce, porco, sporco.
Prendimi la testa, spingimela sul materasso e scopi quel buco stretto finché non mi fai piangere.
Fammi godere così, con la gola piena di saliva e il culo che brucia.
Schioccami le chiappe, affondami le unghie nei fianchi, chiamami puttana.
Perché lo sono. Con te. Solo con te.
Ti vengo incontro, mi do tutta, senza ritegno.
La mia bocca, le mie mani, il mio culo, la mia figa.
Ogni parte di me ti vuole.
Sento che ti stai toccando più forte adesso.
Che le vene sul tuo cazzo stanno per esplodere.
Che stai per venirmi addosso con tutta la rabbia che hai tenuto dentro.
Fallo.
Vieni.
Sporcami il viso, il petto, la lingua.
Fammi ingoiare tutto.
Fammi sentire tua, anche solo leggendo.
E quando hai finito… non chiudere il cazzo nei pantaloni.
Tienilo fuori.
Perché io non ho ancora finito.
E voglio vederti godere.
Ancora.
Non te ne andare.
Non adesso.
Mi guardi? Mi vedi ancora? Sono qui, con le cosce sporche, il corpo tremante, la pelle in fiamme. Ma non mi basta. Non mi è mai bastato.
Ti sei svuotato addosso a me, ma il mio corpo urla ancora. La figa pulsa, il buco dietro brucia, il capezzolo che mi sono morsa continua a sanguinare piano.
E io... io mi sto rimettendo le dita dentro.
Non una. Due. No. Tre.
E voglio anche la quarta.
Sì, guarda. Mi sto allargando per te.
Mi sento la figa che si apre, che gronda, che si stringe intorno alle dita come se fossero il tuo cazzo di nuovo duro.
Ti piace?
Immagina di essere tu che mi tieni ferma, con le mani sulle anche e lo sguardo fisso su quel buco spalancato, sporco, voglioso.
Tutto tuo.
Mi scopo da sola sul pavimento, mi sbatto con violenza.
Mi prendo fino al fondo, mi sento la mano arrivare al punto che mi fa urlare.
Il pavimento è zuppo sotto di me.
E io mi lamento, respiro forte, ansimo, mi schiaffeggio la figa, mi batto il clitoride con le dita aperte, lo picchio come se volessi punirlo per tutto quello che mi fa sentire.
E dentro continuo. Sempre più forte. Sempre più violenta.
Mi lecco le dita sporche, poi le infilo di nuovo.
Mi infilo dentro anche un oggetto — il manico della spazzola, il bordo della bottiglia, qualsiasi cosa.
Mi serve.
Ho bisogno di sentirmi sfondata.
Mi immagino te che ridi, che mi guardi con il cazzo che torna duro.
Che ti avvicini, me lo metti tra le tette, poi in faccia.
Che mi scopi la bocca mentre ancora mi masturbi con rabbia.
Sto venendo.
Sto venendo con un urlo in gola.
Con le dita che grattano dentro.
Con i piedi che spingono contro il pavimento.
Con la pancia contratta, la testa che gira, il cuore che scoppia.
E godo, cazzo, godo pensando a te che mi prendi ancora, anche se non puoi. Anche se sei lontano. Anche se sei solo nella mia testa.
Ma io ti sento.
Ti sento dentro.
E non voglio smettere.
Ti voglio mentre leggi, mentre muovi gli occhi su queste righe senza sapere se abbassarti i pantaloni o continuare a fingerti indifferente.
Immagina che io sia lì, davanti a te. Serena. Trentaquattro anni, quinta di seno, capezzoli duri anche senza il freddo, fianchi larghi e culo grosso, di quelli che fanno rumore quando lo sbatti con rabbia. Ho le labbra piene, la pelle chiara, liscia, e le cosce che si stringono quando mi tocchi con lo sguardo. I capelli scuri legati, oggi, ché sudo quando mi masturbo e non voglio che mi cadano sulla faccia.
Sì, mi sto toccando. E lo sto facendo pensando a te.
Immagino la tua faccia tra le mie cosce. Le tue dita sulle labbra della mia figa che pulsa, grondante. Il tuo cazzo — lo immagino spesso, sai? Grosso. Non importa se lo è davvero, tanto nella mia testa è già perfetto. Gonfio, duro, con la punta lucida che mi sfiora la bocca.
Sì, proprio la bocca. La apro. Voglio sentirtelo sulle labbra. Ti immagino che mi prendi per i capelli e mi tiri dentro tutta, fino a farmi sbavare. Io non mi fermo. Mi piace. Mi faccio venire la bava mentre ti succhio, profondo, fondo, sporco. Lo faccio con due dita nella figa, l'altra mano sulle tette. Sì. Così.
Ti piace sentirmi raccontare mentre mi scopo le dita? Vuoi che le conti? Una... due... ora anche il medio. Le muovo dentro di me, lente, poi più forti, più cattive. Voglio farmi male pensando a te che mi scopi contro il muro, col fiato corto, con gli occhi rabbiosi. Mi dici che sono una puttana e io godo.
Perché è questo che sono con te.
Una puttana.
Lo senti?
Sto gocciolando.
Le dita scivolano senza resistenza, entrano fino al fondo, poi tornano su a stuzzicare il mio clitoride gonfio, sensibile, incazzato. Lo strofino con due dita dritte, veloci, senza grazia. Non cerco romanticismo. Cerco che mi faccia male il cazzo che ho nella testa. Il tuo.
Mi spalanco le gambe, la schiena appoggiata al muro freddo della cucina. Il pavimento mi graffia le chiappe ma non me ne frega un cazzo. Ho bisogno di godere, e voglio farlo pensando a te che mi apri le cosce con la forza, che mi strappi le mutande con i denti, che mi ficchi dentro tutto quel cazzo senza aspettare nemmeno un respiro.
Ti immagini? Io sotto, pancia in giù, che ti supplico.
«Scopami. Non ti fermare. Dammi tutto. Fammi urlare.»
E tu che grugnisci. Non rispondi. Agisci. Me lo sbatti dentro fino al fondo, così forte che mi esce un urlo. Mi prendi per il bacino e mi usi. Duro. Osceno. Animale.
Mi sto toccando. Le dita non bastano più. Ne voglio tre.
Sì. Tre dita nella figa, il polso bagnato, la mano che scivola dentro come se cercasse la tua.
Mi stringo i capezzoli, li tiro, li mordo.
Mi segno le cosce con le unghie, mi lascio graffi che domani porteranno il tuo nome.
Ti voglio dentro. Voglio il tuo sperma sulla lingua. Sulle tette. Dentro.
Mi avvicino all’orgasmo. Il corpo teso, le gambe che tremano, la pancia contratta.
Il clitoride che brucia.
L’odore forte della mia figa nell’aria.
Sto venendo. Sto venendo urlando il tuo nome, immaginandoti che mi riempi tutta. Che mi scopi in bocca mentre ancora mi cola lo sperma dalla figa.
Che mi schiaffeggi e mi sputi sul culo.
Che mi dici:
«Brava troia, adesso leccati tutto.»
E io lo faccio.
Mi lecco le dita, mi sento il gusto, mi sento tua.
Tutta.
Fino all’ultima goccia.
Non hai ancora sbottonato i pantaloni?
Che fai, aspetti il mio permesso?
Allora te lo do: tiralo fuori. Sì, adesso. Voglio immaginarlo nudo, teso, pulsante tra le tue dita. Voglio sapere che, mentre mi leggi, ti stai toccando anche tu. Che ti sei sporcato del mio nome in testa. Che ti stai segando pensando alla mia figa tutta aperta e bagnata, con due dita dentro e una terza che spinge più giù, verso il buco che ancora non ti ho mostrato.
Ti piace sapere che lo sto preparando per te?
Mi passo il dito lì, tra le natiche, sento il cerchio stringersi e tremare.
Ci gioco un po’. Lo sfioro. Lo lubrifico con i miei succhi.
Lo vedi?
Mi allargo con l'altra mano e ti mostro tutto.
E dico:
«Guardami. Questo è tuo.»
Voglio che mi immagini carponi sul letto, la faccia affondata nel cuscino, il culo in alto, le dita che mi tengono aperta mentre tu ti avvicini.
Non dici niente.
Lo punti.
Me lo infili piano, poi forte, poi tutto.
E io urlo.
Mi spezzi in due e mi piace.
Non fermarti.
Fammi male.
Ti voglio feroce, porco, sporco.
Prendimi la testa, spingimela sul materasso e scopi quel buco stretto finché non mi fai piangere.
Fammi godere così, con la gola piena di saliva e il culo che brucia.
Schioccami le chiappe, affondami le unghie nei fianchi, chiamami puttana.
Perché lo sono. Con te. Solo con te.
Ti vengo incontro, mi do tutta, senza ritegno.
La mia bocca, le mie mani, il mio culo, la mia figa.
Ogni parte di me ti vuole.
Sento che ti stai toccando più forte adesso.
Che le vene sul tuo cazzo stanno per esplodere.
Che stai per venirmi addosso con tutta la rabbia che hai tenuto dentro.
Fallo.
Vieni.
Sporcami il viso, il petto, la lingua.
Fammi ingoiare tutto.
Fammi sentire tua, anche solo leggendo.
E quando hai finito… non chiudere il cazzo nei pantaloni.
Tienilo fuori.
Perché io non ho ancora finito.
E voglio vederti godere.
Ancora.
Non te ne andare.
Non adesso.
Mi guardi? Mi vedi ancora? Sono qui, con le cosce sporche, il corpo tremante, la pelle in fiamme. Ma non mi basta. Non mi è mai bastato.
Ti sei svuotato addosso a me, ma il mio corpo urla ancora. La figa pulsa, il buco dietro brucia, il capezzolo che mi sono morsa continua a sanguinare piano.
E io... io mi sto rimettendo le dita dentro.
Non una. Due. No. Tre.
E voglio anche la quarta.
Sì, guarda. Mi sto allargando per te.
Mi sento la figa che si apre, che gronda, che si stringe intorno alle dita come se fossero il tuo cazzo di nuovo duro.
Ti piace?
Immagina di essere tu che mi tieni ferma, con le mani sulle anche e lo sguardo fisso su quel buco spalancato, sporco, voglioso.
Tutto tuo.
Mi scopo da sola sul pavimento, mi sbatto con violenza.
Mi prendo fino al fondo, mi sento la mano arrivare al punto che mi fa urlare.
Il pavimento è zuppo sotto di me.
E io mi lamento, respiro forte, ansimo, mi schiaffeggio la figa, mi batto il clitoride con le dita aperte, lo picchio come se volessi punirlo per tutto quello che mi fa sentire.
E dentro continuo. Sempre più forte. Sempre più violenta.
Mi lecco le dita sporche, poi le infilo di nuovo.
Mi infilo dentro anche un oggetto — il manico della spazzola, il bordo della bottiglia, qualsiasi cosa.
Mi serve.
Ho bisogno di sentirmi sfondata.
Mi immagino te che ridi, che mi guardi con il cazzo che torna duro.
Che ti avvicini, me lo metti tra le tette, poi in faccia.
Che mi scopi la bocca mentre ancora mi masturbi con rabbia.
Sto venendo.
Sto venendo con un urlo in gola.
Con le dita che grattano dentro.
Con i piedi che spingono contro il pavimento.
Con la pancia contratta, la testa che gira, il cuore che scoppia.
E godo, cazzo, godo pensando a te che mi prendi ancora, anche se non puoi. Anche se sei lontano. Anche se sei solo nella mia testa.
Ma io ti sento.
Ti sento dentro.
E non voglio smettere.
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