Il mostro nero

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genere
confessioni

Il Mostro Nero
Mi chiamo Serena. Ho trentasette anni, un culo che non passa inosservato e un bisogno insaziabile di essere riempita fino a tremare.
Non sono una ragazzina in cerca di attenzioni. Io voglio sprofondare nel piacere, annullarmi, perdere il fiato. E stanotte l’ho fatto. In diretta. Davanti a centinaia di occhi anonimi.
Ho comperato quel fallo due settimane fa. Un mostro di gomma nera, lucida, lungo quindici pollici, spesso come l’avambraccio di un boscaiolo ubriaco. Quando l’ho visto sul sito mi sono sentita stringere le cosce. L’ho ordinato senza pensarci, mentre mi toccavo. Mi è arrivato tre giorni dopo, in una scatola bianca. Pesava come una bottiglia d’olio.
L’ho lasciato sul comodino per giorni, senza il coraggio di provarlo. Lo fissavo. Ogni mattina. Ogni sera. Ogni volta che mi lavavo i denti. Ogni volta che mi venivo tra le dita, pensavo a lui. Alla sua testa gonfia. Alla base larga che m’avrebbe spaccata. Ma aspettavo.
Poi l’ho deciso: diretta OnlyFans, niente filtri, niente tagli. Solo io, la mia figa affamata, e quel cazzo finto più grosso di qualunque uomo io abbia mai preso.
Mi sono truccata con lentezza. Rossetto sbavato, mascara marcato. I capezzoli tesi sotto la maglietta bianca senza reggiseno. Mutandine nere, velate. Le ho tolte prima di iniziare. Il pavimento era già bagnato quando ho acceso la luce.
La telecamera puntata bassa. Nessun sottofondo musicale. Solo il mio respiro e il rumore del lubrificante. L’ho versato sulle dita, poi sulla testa del fallo. Viscido, denso, profumato. Ho cominciato a spargerlo su di me, massaggiandomi le grandi labbra con gesti lenti e circolari. Ogni tanto guardavo l’obiettivo. Lo fissavo. Gli parlavo.
«Lo volete vedere entrare, vero? Vi piacerebbe vederlo affondare dentro di me, farmi urlare, farmi sbattere la testa contro il muro. È questo che volete?»
I commenti scorrevano veloci. Parole luride. Emoji. Comandi. Insulti. Desideri.
Mi sono inginocchiata sopra il fallo. L’ho tenuto con entrambe le mani. Ho fatto scivolare la punta fra le labbra, piano. Il primo centimetro, poi il secondo. E già bruciava. Già mi spingeva. Mi forzava.
Ho stretto i denti. Ho inspirato.
Lentamente, con un lamento strozzato, ho fatto forza con il bacino. Ho abbassato il peso su di lui. Mi stava dilatando. Mi stava spezzando. Un dolore dolce, tossico, necessario. Il piacere che viene solo quando smetti di resistere.
«Guardate… guardate quanto entra… guardate che troia sono…»
Piangevo. Godevo. Mi tremavano le gambe.
Metà era dentro. Sentivo la pancia tendersi. Il cazzo mi premeva la vescica, le pareti interne. Le dita cercavano il clitoride, strofinavano, battevano. Ogni colpo faceva schizzare umidità sulla base del fallo. Le cosce sbattevano. La voce mi usciva roca, impastata.
Mi sono lasciata andare. Ho affondato tutto. Sino alla base. Sino al limite. Sino al fondo del mio dolore.
Ho urlato.
E loro, i porci dietro lo schermo, applaudivano.
Non so quanto tempo sono rimasta lì, ferma, con quel mostro incastrato dentro. I muscoli delle cosce tesi, i glutei contratti, il cuore che batteva nel collo, nel ventre, nelle dita. Ogni battito mi faceva sentire il cazzo di gomma pulsare, come fosse vivo, come se avesse un’anima.
Ero piena. Satura. Sbranata.
Mi sono guardata allo specchio di lato, il telefono ancora acceso, lo streaming in corso. Il ventre gonfio. La figa rossa, aperta, grondante. Un filo di lubrificante colava lungo l’interno coscia e si perdeva nel tappeto. Mi leccai un dito. Sapeva di me, del lattice, del desiderio di cento sconosciuti.
Ho cominciato a muovermi. Prima piano, quasi ondeggiando. Il fallo restava fermo, piantato sul pavimento, e io ci scivolavo sopra, salendo e scendendo con un ritmo da marea. Ogni discesa mi faceva ringhiare. Ogni risalita lasciava un vuoto che urlava per essere riempito di nuovo.
«Guardate… sto impazzendo… mi sta uccidendo questo cazzo… e io lo voglio…»
I messaggi si moltiplicavano. C’era chi diceva che voleva vedermi squirtare. Chi mi chiedeva di urlare più forte. Chi scriveva che ero la troia più coraggiosa che avesse mai visto. E io? Io ero lontana. Dispersa. Persa in quel buco nero tra dolore e godimento. Le gambe cominciavano a tremare.
Ho aumentato il ritmo. Ho spinto con forza. Mi sono messa a cavalcioni con le mani appoggiate dietro la schiena, la testa all’indietro, i capelli sudati incollati alle spalle. I capezzoli duri, violacei. La figa non era più un confine: era una voragine.
Mi toccavo. Mi schiaffeggiavo il clitoride. Mi stringevo i seni. Il fallo si sentiva ovunque, mi faceva vibrare il fegato, mi premeva l’osso sacro.
Poi è successo.
Una scossa, un’ondata improvvisa. Le pareti interne hanno cominciato a contrarsi come una bestia viva. Ho emesso un suono sordo, una specie di grido strozzato che sembrava più un lamento animale. Il corpo si è inarcato. Gli occhi si sono chiusi. Ho perso l’equilibrio e sono crollata in avanti, rimanendo infilzata fino in fondo.
E allora ho squirtato.
Un’esplosione violenta, torbida, calda, che ha bagnato il fallo, il pavimento, le mie ginocchia. Era il mio orgasmo definitivo. Quello che non lascia spazio ad altro. Quello che svuota la testa, il cuore, l’anima.
Sono rimasta lì, ansimante, con la bocca aperta e la lingua di fuori. Il petto si muoveva a scatti, il ventre ancora sobbalzava. Il cazzo era ancora dentro, testimone silenzioso della mia resa totale.

E nella chat qualcuno ha scritto:
«Replay, troia. Fai il bis.»
Ho sorriso.
Avevano appena assistito alla mia fine.
E non sapevano che ne volevo ancora.
scritto il
2025-06-20
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