Schiavo per amore. Quindicesimo episodio
di
Davide Sebastiani
genere
dominazione
Mentre percorrevo la strada che mi portava nella villa di Diana, evitavo di pensare alla situazione che si era creata, e cercavo di riflettere sulla giornata lavorativa appena terminata. Inutilmente. La mia mente non riusciva a non soffermarsi su quello strano gioco a tre che Diana aveva fortemente voluto. E sì. L’aveva voluto fin dall’inizio. O meglio. Quando mi aveva chiamato il primo giorno era, con molte probabilità, in buona fede ed era semplicemente in cerca del suo amico del cuore per sfogarsi, il suo amico sottomesso, l’amico al quale è lecito chiedere qualunque cosa perché tanto il fesso è innamorato cotto. Ma già dal secondo giorno, dal momento che era venuta a casa mia per impormi di seguirla nella sua villa, la sua intenzione era proprio quella di creare un triangolo che avrebbe compreso lei, me e Alberto, e ormai, dopo essersi impossessata dei beni del marito, era ormai libera di poter dar sfogo a queste perversioni nel modo che riteneva più eccitante, senza preoccuparsi di niente e di nessuno. E adesso cosa diavolo aveva in mente? Cosa mi aspettava quella sera? Mi sentivo di escludere le percosse anche se non ne ero proprio sicuro, viste le condizioni psicologiche di Diana. Quelle le avrebbe sicuramente riservate al marito, ed ero abbastanza speranzoso che con me non avrebbe fatto niente di particolare, a patto ovviamente che le avessi obbedito come un cagnolino e avessi scodinzolato di fronte a lei. Tutte cose che avrei accettato pur di rivivere la straordinaria notte d’amore e di sesso che avevo appena avuto.
Terminai quel tragitto fatto diverse volte negli ultimi tempi e suonai alla porta della villa. Mentre attendevo che venissero ad aprirmi, ammiravo quella stupenda costruzione. L’avvocato di Alberto ne aveva stimato il valore in circa dieci milioni ma, secondo me, anche in tempi di crisi come quelli che stavamo vivendo, poteva anche superare quella già considerevole cifra. E Alberto non ci aveva pensato un secondo nel consegnarla, insieme a un’altra villa e a chissà quante obbligazioni e soldi liquidi, nelle mani di Diana pur di essere il suo schiavo. Cosa diavolo passava nella mente di quell’uomo? Come era possibile consegnare una fortuna nelle mani di una donna? Certo, quella donna era sua moglie, ma Alberto era tutt’altro che un idiota e sapeva perfettamente che Diana non lo amava e che, con quella nuova situazione creatasi con la sua totale sottomissione, non se ne sarebbe andata di casa solo per non perdere i soldi e i beni. Eppure, lo aveva fatto. Non ci aveva pensato un secondo pur di avere una moglie come padrona. Quello era veramente amore assoluto e devozione allo stato puro. O forse era tutt’altro. Era la realizzazione di un desiderio cercato per una vita intera. E i desideri non hanno prezzo. Piuttosto, mi chiedevo se Alberto continuasse a trovare eccitante la situazione che si era creata, una situazione che forse non era quella che lui aveva immaginato all’inizio. Ma, probabilmente, su questo aveva ragione Diana e lui trovava tutto eccitante proprio per il fatto che aveva riposto tutto il potere nelle mani di una donna, senza accordi, senza mettere paletti che avrebbero potuto dare la sensazione di una dominazione dal basso. No, quella di Diana era vera dominazione e Alberto era ormai un vero schiavo. E per lui, questa situazione doveva essere una specie di paradiso in terra. E qual era lo strano meccanismo che lo faceva eccitare sessualmente nei confronti di Diana solo se questa si ergeva al ruolo di dominatrice? Come era possibile invece che non riusciva ad avere una normale erezione di fronte a lei, di fronte a una donna che sprizzava sensualità da tutti i pori? Era quindi solo una questione di sesso? O anche psicologica? E cosa vedevo io in Diana? Perché amavo così disperatamente quella donna che stava dimostrando di non meritare l’amore di una persona per bene quale io ero? Ce ne erano tante di domande, tanti misteriosi che non riuscivo a mettere a fuoco, ma quello che più mi attanagliava era cosa avrebbe fatto di me quando, inesorabilmente, si sarebbe stancata. Basta! Ero stanco di pormi tutte quelle domande alle quali non sarei mai riuscito a dare una risposta sensata. Uscii dalla macchina. Avevo una voglia pazzesca di rivedere Diana. Ma cos’era? Un incantesimo? Mi aveva fatto bere un filtro magico? Una pozione d’amore? C’era davvero qualcosa di magico in quello che provavo per lei ma, alla fine, ciò che contava era che io ne ero succube, soprattutto da quando mi aveva baciato la prima volta, come se dopo aver assaggiato quelle labbra deliziose la mia mente si fosse offuscata del tutto. Certo, l’amavo anche da prima, ma amavo Diana in modo… in modo normale. Mi batteva il cuore ogni volta che la vedevo, ma poi potevo stare lontano da lei addirittura per mesi senza che la mia vita ne fosse particolarmente sconvolta. E invece stavolta, dal momento che mi ero svegliato accanto a lei che dormiva beata e bellissima interamente nuda nel mio letto, ogni momento del prosieguo di questa giornata avevo pensato a quando l’avrei potuta rivedere.
Stavolta non fu lei ad aprirmi la porta ma il povero Josè che doveva aver cominciato a sentire puzza di bruciato nell’anomalo comportamento dei suoi datori di lavoro e, sorridendo, mi venne da pensare che forse Alberto non era più padrone nemmeno della sua servitù.
“Buona sera Josè. I signori sono in casa?” gli chiesi appena lo vidi.
“Soltanto il signore. La signora no.” fu la risposta.
“E dov’è il signor Alberto?”
“Credo nel suo ufficio.” fu la laconica risposta dell’uomo. L’ufficio di Alberto. Beh, non propriamente il suo ufficio visto che quello ce l’aveva all’interno della sua azienda. Si trattava della stanza nella quale Diana aveva trovato il portatile con tutti i suoi segreti, il posto dove Alberto si rifugiava quando doveva fare delle telefonate importanti o anche solo per stare alcuni minuti in santa pace. E, probabilmente, per scaricarsi tutti i filmati e le foto che gli avevamo trovato. O meglio, che lui aveva fatto in modo che noi trovassimo. Bussai alla porta.
“Sei tu Josè?”
“No, Alberto, sono Paolo. Posso entrare?”
“Ah! Si, entra pure,” Lo feci. Lui era semplicemente seduto su una poltrona girevole mentre sorseggiava qualcosa dentro un bicchiere “E’ un ottimo rum. Lo Zacapa royal. Vuoi che te lo faccia portare da Josè?”
“No grazie, Alberto. Come va?” gli chiesi.
“A parte che faccio fatica a mettermi seduto per le frustate ricevute e che ho la schiena a pezzi per essere stato tutta la notte nello sgabuzzino, direi bene.”
“E’ questo ciò che volevi?”
Lui mi sorrise. “Che tu ci creda o no, si e sono felice come non lo sono mai stato nella mia vita. Ho i battiti accelerati al solo pensiero che ho una padrona e che, appena la vedrò, tremerò al suo cospetto. E credo che anche tu cominci un po’ a comprendermi”
“Come mai così presto dal lavoro?”
“Perché non ci sono andato. Era impossibile per me concentrarmi sul lavoro quando tutti i miei pensieri sono rivolti alla mia padrona. Le ho chiesto il permesso e lei me l’ha concesso.”
“Anche per quanto riguarda il lavoro devi chiederle il permesso?”
“Se me lo ordinasse, le chiederei anche il permesso di andare al bagno”
Annuii. “Capisco. E Diana dove e’ andata?”
Lui sorrise. “Amico mio, ti pare che una padrona possa mettere al corrente il suo schiavo di quello che fa? Non lo so. E’ uscita e basta. Cosa c’è, ti manca?” mi chiese ironicamente.
“Ma no, che vuoi dire?” mi schernii “Ho chiesto semplicemente dove si trovava. Tutto qui.”
“Bene. E dimmi. Com’è scopare con una donna così bella? Con la donna che ami? Cosa hai provato dopo averla desiderata per tanti anni?”
Un colpo al cuore sarebbe stato meno traumatico per me in quel momento. Rimasi praticamente di sasso. “ ìMa… Ma no, che dici? Co... Come ti vengono in mente certe idee?” Balbettai dopo alcuni secondi.
“Me l’ha detto lei, la signora Diana, la mia padrona.” Glie l’aveva detto lei? Perché? Rimasi di nuovo a bocca aperta.
“Io... Io...” Non riuscivo ad articolare una frase di senso compiuto.
“Stai tranquillo, non ti prenderò a pugni, anche se ne avrei voglia. Lei è la donna che ho eletto a mia padrona. Può fare quello che vuole. Sapevo che, dandole questo potere, io l’avrei persa come moglie. Sapevo che mi avrebbe tradito. Era un rischio calcolato ma il piacere di averla come padrona è un milione di volte superiore a quello della fedeltà”
Lo guardai senza riuscire a comprenderlo. “Dunque, a te fa piacere che lei vada con altri?” gli chiesi.
Lui scosse la testa e fece uno strano sorriso. “No, per niente. Vorrei che lei venisse solo con me, che facesse l’amore solo con me, ma è inevitabile che una donna del genere, appena le si presenti l’opportunità e avendo il potere di farlo senza subire conseguenze, si porti a letto chi le pare”
“Senti, Alberto, mi dispiace. Cioè, mi dispiace per te ma io...Io amo Diana da quando eravamo ragazzini. Da molto prima che conoscesse te. Non potevo non accettare. Mi capisci?”
Lui annuì. “Certo che ti capisco. Sei tu che non capisci”
“Cosa vuoi dire? Cosa non capisco” gli chiesi.
“Non farmi dire nulla. Lo capirai quando la nostra padrona farà ritorno”
“La nostra padrona? E’ la tua padrona. Per me è solo la donna che amo”
Alberto scosse la testa. “No, Paolo caro. Ormai è anche la tua padrona. E’ così che la chiami, non e’ vero?”
“Si, ma...”
“Nessun ma. Stai mentendo a te stesso. Io le obbedisco perché la amo immensamente, perché mi eccito, perché ho bisogno di una padrona. E una come lei è l’ideale per esserlo per la mia mentalità. Tu non ti rendi conto, Paolo, per me lei è tutto, è una divinità scesa in terra, e senza di lei io non posso vivere. Soprattutto adesso, dopo aver provato quella straordinaria sensazione di essere finalmente il suo schiavo. L’ho desiderato appena la conobbi. Mi immaginavo ai suoi piedi, picchiato da lei, dominato da lei, proprio quello che è avvenuto. Tu invece le obbedisci perché l’ami pazzamente da sempre, è vero, ma le cose tra me e te cambiano poco. Anche tu, come me, non vuoi e non puoi perderla, soprattutto adesso, dopo tutti questi anni in cui l’hai amata segretamente. Entrambi abbiamo paura di lei...”
“Io... Io non ho paura di lei” obiettai.
“Oh si che ce l’hai. Tremi se ti guarda storto. Pensi che non me ne sia accorto? Lei ti ha in pugno, Paolo, così come ha in pugno me. Siamo due schiavi con caratteristiche differenti ma entrambi l’adoriamo e ne siamo dipendenti. Lei lo sa perfettamente e adesso che ha scoperto questo potere ci rigirerà come meglio crede. Io ne sono felice e accetterò qualunque cosa ma tu?”
Abbassai la testa. Aveva ragione lui. Io non potevo fare a meno di Diana. Mi aveva già costretto a chiamarla padrona e a inginocchiarmi ai suoi piedi e, se Alberto avesse avuto ragione, quello era solo l’inizio. E aveva ragione anche sul timore che provavo per lei. La sera precedente, ad esempio, prima della mia sottomissione. Oppure dopo averci fatto l’amore sul letto, quando mi aveva afferrato il collo stringendomelo. Continuavo a mentire a me stesso, ma ormai dovevo ammettere che anche io avevo paura di lei ma che, malgrado quella paura, avrei accettato qualsiasi cosa. Per amore, ma questo piccolo particolare cambiava poco la sostanza.
Continua...
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Terminai quel tragitto fatto diverse volte negli ultimi tempi e suonai alla porta della villa. Mentre attendevo che venissero ad aprirmi, ammiravo quella stupenda costruzione. L’avvocato di Alberto ne aveva stimato il valore in circa dieci milioni ma, secondo me, anche in tempi di crisi come quelli che stavamo vivendo, poteva anche superare quella già considerevole cifra. E Alberto non ci aveva pensato un secondo nel consegnarla, insieme a un’altra villa e a chissà quante obbligazioni e soldi liquidi, nelle mani di Diana pur di essere il suo schiavo. Cosa diavolo passava nella mente di quell’uomo? Come era possibile consegnare una fortuna nelle mani di una donna? Certo, quella donna era sua moglie, ma Alberto era tutt’altro che un idiota e sapeva perfettamente che Diana non lo amava e che, con quella nuova situazione creatasi con la sua totale sottomissione, non se ne sarebbe andata di casa solo per non perdere i soldi e i beni. Eppure, lo aveva fatto. Non ci aveva pensato un secondo pur di avere una moglie come padrona. Quello era veramente amore assoluto e devozione allo stato puro. O forse era tutt’altro. Era la realizzazione di un desiderio cercato per una vita intera. E i desideri non hanno prezzo. Piuttosto, mi chiedevo se Alberto continuasse a trovare eccitante la situazione che si era creata, una situazione che forse non era quella che lui aveva immaginato all’inizio. Ma, probabilmente, su questo aveva ragione Diana e lui trovava tutto eccitante proprio per il fatto che aveva riposto tutto il potere nelle mani di una donna, senza accordi, senza mettere paletti che avrebbero potuto dare la sensazione di una dominazione dal basso. No, quella di Diana era vera dominazione e Alberto era ormai un vero schiavo. E per lui, questa situazione doveva essere una specie di paradiso in terra. E qual era lo strano meccanismo che lo faceva eccitare sessualmente nei confronti di Diana solo se questa si ergeva al ruolo di dominatrice? Come era possibile invece che non riusciva ad avere una normale erezione di fronte a lei, di fronte a una donna che sprizzava sensualità da tutti i pori? Era quindi solo una questione di sesso? O anche psicologica? E cosa vedevo io in Diana? Perché amavo così disperatamente quella donna che stava dimostrando di non meritare l’amore di una persona per bene quale io ero? Ce ne erano tante di domande, tanti misteriosi che non riuscivo a mettere a fuoco, ma quello che più mi attanagliava era cosa avrebbe fatto di me quando, inesorabilmente, si sarebbe stancata. Basta! Ero stanco di pormi tutte quelle domande alle quali non sarei mai riuscito a dare una risposta sensata. Uscii dalla macchina. Avevo una voglia pazzesca di rivedere Diana. Ma cos’era? Un incantesimo? Mi aveva fatto bere un filtro magico? Una pozione d’amore? C’era davvero qualcosa di magico in quello che provavo per lei ma, alla fine, ciò che contava era che io ne ero succube, soprattutto da quando mi aveva baciato la prima volta, come se dopo aver assaggiato quelle labbra deliziose la mia mente si fosse offuscata del tutto. Certo, l’amavo anche da prima, ma amavo Diana in modo… in modo normale. Mi batteva il cuore ogni volta che la vedevo, ma poi potevo stare lontano da lei addirittura per mesi senza che la mia vita ne fosse particolarmente sconvolta. E invece stavolta, dal momento che mi ero svegliato accanto a lei che dormiva beata e bellissima interamente nuda nel mio letto, ogni momento del prosieguo di questa giornata avevo pensato a quando l’avrei potuta rivedere.
Stavolta non fu lei ad aprirmi la porta ma il povero Josè che doveva aver cominciato a sentire puzza di bruciato nell’anomalo comportamento dei suoi datori di lavoro e, sorridendo, mi venne da pensare che forse Alberto non era più padrone nemmeno della sua servitù.
“Buona sera Josè. I signori sono in casa?” gli chiesi appena lo vidi.
“Soltanto il signore. La signora no.” fu la risposta.
“E dov’è il signor Alberto?”
“Credo nel suo ufficio.” fu la laconica risposta dell’uomo. L’ufficio di Alberto. Beh, non propriamente il suo ufficio visto che quello ce l’aveva all’interno della sua azienda. Si trattava della stanza nella quale Diana aveva trovato il portatile con tutti i suoi segreti, il posto dove Alberto si rifugiava quando doveva fare delle telefonate importanti o anche solo per stare alcuni minuti in santa pace. E, probabilmente, per scaricarsi tutti i filmati e le foto che gli avevamo trovato. O meglio, che lui aveva fatto in modo che noi trovassimo. Bussai alla porta.
“Sei tu Josè?”
“No, Alberto, sono Paolo. Posso entrare?”
“Ah! Si, entra pure,” Lo feci. Lui era semplicemente seduto su una poltrona girevole mentre sorseggiava qualcosa dentro un bicchiere “E’ un ottimo rum. Lo Zacapa royal. Vuoi che te lo faccia portare da Josè?”
“No grazie, Alberto. Come va?” gli chiesi.
“A parte che faccio fatica a mettermi seduto per le frustate ricevute e che ho la schiena a pezzi per essere stato tutta la notte nello sgabuzzino, direi bene.”
“E’ questo ciò che volevi?”
Lui mi sorrise. “Che tu ci creda o no, si e sono felice come non lo sono mai stato nella mia vita. Ho i battiti accelerati al solo pensiero che ho una padrona e che, appena la vedrò, tremerò al suo cospetto. E credo che anche tu cominci un po’ a comprendermi”
“Come mai così presto dal lavoro?”
“Perché non ci sono andato. Era impossibile per me concentrarmi sul lavoro quando tutti i miei pensieri sono rivolti alla mia padrona. Le ho chiesto il permesso e lei me l’ha concesso.”
“Anche per quanto riguarda il lavoro devi chiederle il permesso?”
“Se me lo ordinasse, le chiederei anche il permesso di andare al bagno”
Annuii. “Capisco. E Diana dove e’ andata?”
Lui sorrise. “Amico mio, ti pare che una padrona possa mettere al corrente il suo schiavo di quello che fa? Non lo so. E’ uscita e basta. Cosa c’è, ti manca?” mi chiese ironicamente.
“Ma no, che vuoi dire?” mi schernii “Ho chiesto semplicemente dove si trovava. Tutto qui.”
“Bene. E dimmi. Com’è scopare con una donna così bella? Con la donna che ami? Cosa hai provato dopo averla desiderata per tanti anni?”
Un colpo al cuore sarebbe stato meno traumatico per me in quel momento. Rimasi praticamente di sasso. “ ìMa… Ma no, che dici? Co... Come ti vengono in mente certe idee?” Balbettai dopo alcuni secondi.
“Me l’ha detto lei, la signora Diana, la mia padrona.” Glie l’aveva detto lei? Perché? Rimasi di nuovo a bocca aperta.
“Io... Io...” Non riuscivo ad articolare una frase di senso compiuto.
“Stai tranquillo, non ti prenderò a pugni, anche se ne avrei voglia. Lei è la donna che ho eletto a mia padrona. Può fare quello che vuole. Sapevo che, dandole questo potere, io l’avrei persa come moglie. Sapevo che mi avrebbe tradito. Era un rischio calcolato ma il piacere di averla come padrona è un milione di volte superiore a quello della fedeltà”
Lo guardai senza riuscire a comprenderlo. “Dunque, a te fa piacere che lei vada con altri?” gli chiesi.
Lui scosse la testa e fece uno strano sorriso. “No, per niente. Vorrei che lei venisse solo con me, che facesse l’amore solo con me, ma è inevitabile che una donna del genere, appena le si presenti l’opportunità e avendo il potere di farlo senza subire conseguenze, si porti a letto chi le pare”
“Senti, Alberto, mi dispiace. Cioè, mi dispiace per te ma io...Io amo Diana da quando eravamo ragazzini. Da molto prima che conoscesse te. Non potevo non accettare. Mi capisci?”
Lui annuì. “Certo che ti capisco. Sei tu che non capisci”
“Cosa vuoi dire? Cosa non capisco” gli chiesi.
“Non farmi dire nulla. Lo capirai quando la nostra padrona farà ritorno”
“La nostra padrona? E’ la tua padrona. Per me è solo la donna che amo”
Alberto scosse la testa. “No, Paolo caro. Ormai è anche la tua padrona. E’ così che la chiami, non e’ vero?”
“Si, ma...”
“Nessun ma. Stai mentendo a te stesso. Io le obbedisco perché la amo immensamente, perché mi eccito, perché ho bisogno di una padrona. E una come lei è l’ideale per esserlo per la mia mentalità. Tu non ti rendi conto, Paolo, per me lei è tutto, è una divinità scesa in terra, e senza di lei io non posso vivere. Soprattutto adesso, dopo aver provato quella straordinaria sensazione di essere finalmente il suo schiavo. L’ho desiderato appena la conobbi. Mi immaginavo ai suoi piedi, picchiato da lei, dominato da lei, proprio quello che è avvenuto. Tu invece le obbedisci perché l’ami pazzamente da sempre, è vero, ma le cose tra me e te cambiano poco. Anche tu, come me, non vuoi e non puoi perderla, soprattutto adesso, dopo tutti questi anni in cui l’hai amata segretamente. Entrambi abbiamo paura di lei...”
“Io... Io non ho paura di lei” obiettai.
“Oh si che ce l’hai. Tremi se ti guarda storto. Pensi che non me ne sia accorto? Lei ti ha in pugno, Paolo, così come ha in pugno me. Siamo due schiavi con caratteristiche differenti ma entrambi l’adoriamo e ne siamo dipendenti. Lei lo sa perfettamente e adesso che ha scoperto questo potere ci rigirerà come meglio crede. Io ne sono felice e accetterò qualunque cosa ma tu?”
Abbassai la testa. Aveva ragione lui. Io non potevo fare a meno di Diana. Mi aveva già costretto a chiamarla padrona e a inginocchiarmi ai suoi piedi e, se Alberto avesse avuto ragione, quello era solo l’inizio. E aveva ragione anche sul timore che provavo per lei. La sera precedente, ad esempio, prima della mia sottomissione. Oppure dopo averci fatto l’amore sul letto, quando mi aveva afferrato il collo stringendomelo. Continuavo a mentire a me stesso, ma ormai dovevo ammettere che anche io avevo paura di lei ma che, malgrado quella paura, avrei accettato qualsiasi cosa. Per amore, ma questo piccolo particolare cambiava poco la sostanza.
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