Con la nipote in vacanza
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
Non la vedevo da anni. Forse dieci. Forse dodici. Marina, la figlia del fratello della mia defunta moglie. Una di quelle parenti che incontri solo ai funerali o alle feste dove nessuno ha davvero voglia di esserci.
Eppure, quando le ho scritto quel messaggio — «Ho vinto un viaggio per due a Santo Domingo. Vieni?» — lei ha risposto con un “Perché no?” che mi ha confuso e fatto eccitare allo stesso tempo.
Adesso la vedo arrivare al gate dell’aeroporto. Jeans stretti, culo alto e fiero, una maglietta bianca che si arrampica sulle curve del seno come se volesse scoprirle. Occhiali scuri, un trolley rosso. Cammina come se sapesse che la sto guardando. E lo sa.
Mi bacia sulla guancia, con le labbra. Non con la pelle. Con le labbra vere. E rimane lì. Un secondo di troppo.
«Zio… sei più figo di quanto ricordassi.»
Faccio una risatina stupida. Ma il mio sguardo, traditore, va dritto sulla sua scollatura. Un attimo. Un battito di ciglia. Poi mi riprendo.
«Anche tu… sei cambiata. Molto.»
Saliamo in aereo. Sedili vicini. Lei si toglie le scarpe. Piedi curati, unghie color vino. Li stende verso di me e sorride.
«Spero che tu non abbia problemi con l’intimità.»
«No. Nessun problema.»
La hostess ci offre del prosecco. Marina lo beve con lentezza, leccando il bordo del bicchiere. Si bagna le labbra. Si lecca il labbro inferiore con la punta della lingua.
«Quindi… ti sei ricordato di me, eh?»
La sua voce è roca, bassa, quasi un sussurro.
«Difficile dimenticarti, con quello sguardo lì.»
Ride. Un po’ troppo forte.
Poi appoggia una coscia contro la mia. Niente di clamoroso. Ma non la sposta. Anzi, si preme di più. Inizia a tamburellare con l’unghia sul mio bracciolo. Le sue dita scivolano, lente, come se accarezzassero qualcosa.
«Certo che questi voli lunghi… fanno venire voglia di distrarsi, no?»
Mi guarda. Gli occhiali ora sono sulla testa. I suoi occhi sono verde scuro, lucidi.
La hostess passa. Marina si gira, accavalla le gambe. I jeans si tirano ancora di più sul culo. Il profumo di cocco e vaniglia mi sale al naso. Lo stomaco mi si stringe. E un’altra parte di me comincia ad allargarsi.
Quando la hostess sparisce, Marina si gira verso di me.
«Sai… potrei dormire con la testa sulla tua spalla, se non ti dispiace.»
«Vai tranquilla.»
«Ma magari poi mi viene da muovermi, eh… se sogno qualcosa di bello.»
Appoggia la guancia. Il braccio mi sfiora. Il suo seno preme contro il mio bicipite. Io resto immobile. Ma sotto, il cazzo è già in rivolta.
Non so se dorme. Non so se finge. Ma la sua mano si posa sul mio ginocchio. Innocua. Ferma.
Poi, senza staccare la testa dalla mia spalla, la fa scivolare un po’ più su. Un altro centimetro. E un altro. Arriva a metà coscia. Poi si ferma. Le dita si chiudono in una finta carezza. Un tocco lento. Un brivido mi sale lungo la schiena.
Apro la bocca per dire qualcosa. Ma lei sussurra:
«Tranquillo, zio… sto solo scaldandomi le mani.»
E sorride, con la faccia nascosta tra il mio collo e la mia spalla.
Dio santo. Se non fossimo in volo, se non fossimo circondati da cinquanta sconosciuti, le metterei la mano dietro la nuca e glielo farei sentire in gola.
Ma non adesso.
Non ancora.
Eppure, quando le ho scritto quel messaggio — «Ho vinto un viaggio per due a Santo Domingo. Vieni?» — lei ha risposto con un “Perché no?” che mi ha confuso e fatto eccitare allo stesso tempo.
Adesso la vedo arrivare al gate dell’aeroporto. Jeans stretti, culo alto e fiero, una maglietta bianca che si arrampica sulle curve del seno come se volesse scoprirle. Occhiali scuri, un trolley rosso. Cammina come se sapesse che la sto guardando. E lo sa.
Mi bacia sulla guancia, con le labbra. Non con la pelle. Con le labbra vere. E rimane lì. Un secondo di troppo.
«Zio… sei più figo di quanto ricordassi.»
Faccio una risatina stupida. Ma il mio sguardo, traditore, va dritto sulla sua scollatura. Un attimo. Un battito di ciglia. Poi mi riprendo.
«Anche tu… sei cambiata. Molto.»
Saliamo in aereo. Sedili vicini. Lei si toglie le scarpe. Piedi curati, unghie color vino. Li stende verso di me e sorride.
«Spero che tu non abbia problemi con l’intimità.»
«No. Nessun problema.»
La hostess ci offre del prosecco. Marina lo beve con lentezza, leccando il bordo del bicchiere. Si bagna le labbra. Si lecca il labbro inferiore con la punta della lingua.
«Quindi… ti sei ricordato di me, eh?»
La sua voce è roca, bassa, quasi un sussurro.
«Difficile dimenticarti, con quello sguardo lì.»
Ride. Un po’ troppo forte.
Poi appoggia una coscia contro la mia. Niente di clamoroso. Ma non la sposta. Anzi, si preme di più. Inizia a tamburellare con l’unghia sul mio bracciolo. Le sue dita scivolano, lente, come se accarezzassero qualcosa.
«Certo che questi voli lunghi… fanno venire voglia di distrarsi, no?»
Mi guarda. Gli occhiali ora sono sulla testa. I suoi occhi sono verde scuro, lucidi.
La hostess passa. Marina si gira, accavalla le gambe. I jeans si tirano ancora di più sul culo. Il profumo di cocco e vaniglia mi sale al naso. Lo stomaco mi si stringe. E un’altra parte di me comincia ad allargarsi.
Quando la hostess sparisce, Marina si gira verso di me.
«Sai… potrei dormire con la testa sulla tua spalla, se non ti dispiace.»
«Vai tranquilla.»
«Ma magari poi mi viene da muovermi, eh… se sogno qualcosa di bello.»
Appoggia la guancia. Il braccio mi sfiora. Il suo seno preme contro il mio bicipite. Io resto immobile. Ma sotto, il cazzo è già in rivolta.
Non so se dorme. Non so se finge. Ma la sua mano si posa sul mio ginocchio. Innocua. Ferma.
Poi, senza staccare la testa dalla mia spalla, la fa scivolare un po’ più su. Un altro centimetro. E un altro. Arriva a metà coscia. Poi si ferma. Le dita si chiudono in una finta carezza. Un tocco lento. Un brivido mi sale lungo la schiena.
Apro la bocca per dire qualcosa. Ma lei sussurra:
«Tranquillo, zio… sto solo scaldandomi le mani.»
E sorride, con la faccia nascosta tra il mio collo e la mia spalla.
Dio santo. Se non fossimo in volo, se non fossimo circondati da cinquanta sconosciuti, le metterei la mano dietro la nuca e glielo farei sentire in gola.
Ma non adesso.
Non ancora.
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