Anna fa scopare la sua compagna dal figlio e dal suo amico
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
La vidi stesa sul divano. Le cosce strette, le mani che cercavano di coprirsi il seno, il viso arrossato. Era nuda, fragile, bella come non l’avevo mai vista. Il suo corpo tremava, sì, ma non per paura. Era desiderio, puro e selvaggio, represso troppo a lungo. Come un vulcano tenuto sotto una coperta.
Mi sedetti a terra, accanto al divano, a pochi centimetri da lei. Le presi la mano. Sentivo il battito nel polso, la pelle calda, umida, viva.
«Guardali» le sussurrai. «Guarda come ti desiderano. Guarda cosa puoi diventare.»
Malik si avvicinò per primo. Alto, scuro, con quel cazzo immenso che sembrava pulsare d’aria propria. Si inginocchiò accanto a lei, e senza toccarla, le passò una mano tra i capelli. Lei lo guardava con quegli occhi pieni di mille domande e zero risposte.
Poi lui le sfiorò il collo. Solo un dito. E lei rabbrividì.
Mio figlio le baciò le ginocchia, lentamente. Le aprì le cosce con la pazienza di chi sta per spacchettare un dono proibito.
Lei non protestò. Non disse niente. Ma la sua schiena si arcuò, e quando Malik le sfiorò il capezzolo con la lingua, gemette.
Un gemito vero. Profondo. Rotto. Come se qualcosa dentro di lei si fosse spezzato. O liberato.
Io la guardavo e godevo. Mi toccavo. Avevo due dita nella fica e una sul clitoride, e non riuscivo a smettere. Perché vederla lì, così, nuda, offerta, usata con dolcezza, poi con sempre meno dolcezza… era l’erotismo più potente che avessi mai provato.
Mio figlio la stava leccando tra le cosce. La sua lingua le entrava piano, lenta, le succhiava ogni gemito, ogni tremito. Malik le aveva preso una mano e se la portava sul cazzo, guidandola a stringerlo, a sentirlo.
E lei… lei lo faceva.
Lo accarezzava. Poi lo leccò. Tremando. Ma affamata. Lo prese in bocca come se non avesse mai fatto altro.
Mio figlio, intanto, la scopava con la lingua. E io? Io venivo solo guardando.
«Brava…» le sussurrai. «Così… lasciali fare. Diventa la puttana che sei sempre stata sotto la pelle.»
Lei alzò lo sguardo verso di me, con le lacrime agli occhi. Ma erano lacrime di gioia, di liberazione. E poi disse:
«Non voglio che si fermino.»
Quelle parole furono il battito di tamburo che segnò l’inizio della sua resa. Il punto di non ritorno.
Mi sollevai leggermente, con le dita ancora affondate nella mia fica bagnata, e le sussurrai all’orecchio:
«Allora lascia che ti prendano. Tutta. Davanti. Dietro. Dentro la bocca. Dentro l’anima.»
Malik fu il primo a montarla.
Le prese le cosce e le sollevò verso l’alto, aprendole come se fosse sua da sempre. Il cazzo era duro, gonfio, la cappella lucida. Lo posizionò sulla sua figa, che ormai colava desiderio da ogni piega, e iniziò a spingere.
Lentamente, all’inizio. Ma solo per farle sentire ogni centimetro. Lei si coprì la bocca con la mano, ma io gliela tolsi.
«No, amore. Voglio sentirti. Voglio sentire la troia che c’è dentro di te uscire fuori.»
«Aaaahhh… oh Dio… è… enorme…» gemette lei, mentre Malik la penetrava fino in fondo.
E non si fermò. Cominciò a scoparla con forza, le mani piantate sui suoi fianchi, le spinte che facevano tremare il divano. Lei era tutta un urlo, un gemito, un respiro spezzato. Le mani che cercavano qualcosa da afferrare. Le unghie che segnavano i cuscini.
E l’altro? Mio figlio si mise dietro il divano, in piedi, e le porse il cazzo in faccia.
Lei lo guardò un attimo. Poi lo prese in bocca come una cagna affamata.
Ed eccola lì. La mia compagna. La donna che avevo tenuto stretta per anni. Quella che conoscevo in silenzio, ma non avevo mai sentito gridare così.
Aveva un cazzo in gola e uno nella fica. Gli occhi rovesciati. La gola che gorgogliava, presa a ritmo. La sua fica che sbatteva sotto le spinte di Malik, ormai senza ritegno.
Io mi inginocchiai di nuovo accanto a lei. Le accarezzai i capelli, poi la fronte sudata.
«Ti piace?» le chiesi.
Non rispose. Non poteva. Aveva la bocca piena. Ma annuì. Annuì con forza. Piangeva ancora, ma ora erano lacrime di piacere, non di vergogna.
Le mie dita tornarono tra le mie cosce. Mi stavo squagliando.
La guardai mentre veniva, mentre tremava come un animale sbranato. Malik la stava scopando come si scopa una preda, mentre l’altro le scopava la bocca fino a farle lacrimare gli occhi.
Ed era bellissima.
Mia. Non più solo mia. Ma mia in modo più profondo, più vero. Perché ora conosceva tutto di sé. Anche quello che aveva sempre represso.
E quando vennero, tutti e due, io fui la terza a urlare. Con le dita dentro, le cosce bagnate, e gli occhi fissi su di lei, distrutta, scopata, libera.
Mi sedetti a terra, accanto al divano, a pochi centimetri da lei. Le presi la mano. Sentivo il battito nel polso, la pelle calda, umida, viva.
«Guardali» le sussurrai. «Guarda come ti desiderano. Guarda cosa puoi diventare.»
Malik si avvicinò per primo. Alto, scuro, con quel cazzo immenso che sembrava pulsare d’aria propria. Si inginocchiò accanto a lei, e senza toccarla, le passò una mano tra i capelli. Lei lo guardava con quegli occhi pieni di mille domande e zero risposte.
Poi lui le sfiorò il collo. Solo un dito. E lei rabbrividì.
Mio figlio le baciò le ginocchia, lentamente. Le aprì le cosce con la pazienza di chi sta per spacchettare un dono proibito.
Lei non protestò. Non disse niente. Ma la sua schiena si arcuò, e quando Malik le sfiorò il capezzolo con la lingua, gemette.
Un gemito vero. Profondo. Rotto. Come se qualcosa dentro di lei si fosse spezzato. O liberato.
Io la guardavo e godevo. Mi toccavo. Avevo due dita nella fica e una sul clitoride, e non riuscivo a smettere. Perché vederla lì, così, nuda, offerta, usata con dolcezza, poi con sempre meno dolcezza… era l’erotismo più potente che avessi mai provato.
Mio figlio la stava leccando tra le cosce. La sua lingua le entrava piano, lenta, le succhiava ogni gemito, ogni tremito. Malik le aveva preso una mano e se la portava sul cazzo, guidandola a stringerlo, a sentirlo.
E lei… lei lo faceva.
Lo accarezzava. Poi lo leccò. Tremando. Ma affamata. Lo prese in bocca come se non avesse mai fatto altro.
Mio figlio, intanto, la scopava con la lingua. E io? Io venivo solo guardando.
«Brava…» le sussurrai. «Così… lasciali fare. Diventa la puttana che sei sempre stata sotto la pelle.»
Lei alzò lo sguardo verso di me, con le lacrime agli occhi. Ma erano lacrime di gioia, di liberazione. E poi disse:
«Non voglio che si fermino.»
Quelle parole furono il battito di tamburo che segnò l’inizio della sua resa. Il punto di non ritorno.
Mi sollevai leggermente, con le dita ancora affondate nella mia fica bagnata, e le sussurrai all’orecchio:
«Allora lascia che ti prendano. Tutta. Davanti. Dietro. Dentro la bocca. Dentro l’anima.»
Malik fu il primo a montarla.
Le prese le cosce e le sollevò verso l’alto, aprendole come se fosse sua da sempre. Il cazzo era duro, gonfio, la cappella lucida. Lo posizionò sulla sua figa, che ormai colava desiderio da ogni piega, e iniziò a spingere.
Lentamente, all’inizio. Ma solo per farle sentire ogni centimetro. Lei si coprì la bocca con la mano, ma io gliela tolsi.
«No, amore. Voglio sentirti. Voglio sentire la troia che c’è dentro di te uscire fuori.»
«Aaaahhh… oh Dio… è… enorme…» gemette lei, mentre Malik la penetrava fino in fondo.
E non si fermò. Cominciò a scoparla con forza, le mani piantate sui suoi fianchi, le spinte che facevano tremare il divano. Lei era tutta un urlo, un gemito, un respiro spezzato. Le mani che cercavano qualcosa da afferrare. Le unghie che segnavano i cuscini.
E l’altro? Mio figlio si mise dietro il divano, in piedi, e le porse il cazzo in faccia.
Lei lo guardò un attimo. Poi lo prese in bocca come una cagna affamata.
Ed eccola lì. La mia compagna. La donna che avevo tenuto stretta per anni. Quella che conoscevo in silenzio, ma non avevo mai sentito gridare così.
Aveva un cazzo in gola e uno nella fica. Gli occhi rovesciati. La gola che gorgogliava, presa a ritmo. La sua fica che sbatteva sotto le spinte di Malik, ormai senza ritegno.
Io mi inginocchiai di nuovo accanto a lei. Le accarezzai i capelli, poi la fronte sudata.
«Ti piace?» le chiesi.
Non rispose. Non poteva. Aveva la bocca piena. Ma annuì. Annuì con forza. Piangeva ancora, ma ora erano lacrime di piacere, non di vergogna.
Le mie dita tornarono tra le mie cosce. Mi stavo squagliando.
La guardai mentre veniva, mentre tremava come un animale sbranato. Malik la stava scopando come si scopa una preda, mentre l’altro le scopava la bocca fino a farle lacrimare gli occhi.
Ed era bellissima.
Mia. Non più solo mia. Ma mia in modo più profondo, più vero. Perché ora conosceva tutto di sé. Anche quello che aveva sempre represso.
E quando vennero, tutti e due, io fui la terza a urlare. Con le dita dentro, le cosce bagnate, e gli occhi fissi su di lei, distrutta, scopata, libera.
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