Consento al mio amico di scoparsi la mia ragazza

di
genere
trio

Non era la prima volta che ci baciavamo fino a toglierci il fiato, ma quella sera Jen era diversa. Aveva il vino sulle labbra, e uno sguardo che diceva “fottimi” anche quando fingeva di vergognarsi. Le avevo una mano infilata nel reggiseno, l’altra sotto la sua minigonna, dita sporche del suo calore. Lei ansimava piano, spostandosi sul letto, aprendo le cosce come chi si prepara a un peccato. Ed è stato allora che la porta si è aperta.
Ricky. Il mio coinquilino del cazzo.
«Whoa, scusate...»
Si girò subito, ma restò lì, impalato come un idiota. Lo conoscevo: aveva lo sguardo da segaiolo represso, ma sotto sotto godeva. Eppure, con una mano ancora tra le gambe di Jen, gli dissi:
«Dai, resta. Bevi una birra con noi.»
Jen mi guardò come se avessi bestemmiato.
Io me ne fregai.
Volevo solo vedere fin dove potevo spingermi.
La birra diventò due, poi tre. E quando Ricky accese quella canna, il mondo cominciò a sciogliersi. Il calore del corpo di Jen mi salì addosso come una febbre lenta, e quando le sfilai il reggiseno sotto la coperta, capii che non volevo più fermarmi.
Lo guardai.
Ricky non fingeva neanche più. Guardava. A bocca aperta. Con la patta gonfia.
E fu lì che dissi sottovoce a Jen:
«Facciamogli vedere tutto.»
Lei si irrigidì. Ma non mi fermò. Le tolsi la maglia, poi il reggiseno, e la misi nuda davanti a lui. Il suo sguardo era puro fuoco. Ero io a comandare il gioco, io a decidere chi guardava, chi godeva.
Le aprii le gambe. Le leccai la figa lenta, affondando la lingua fino a farla tremare.
Ricky si sedette sulla sedia, accanto al letto. La mano sulla patta. Poi la zip. Il cazzo. Era grosso. Più del mio.
Bastardo.
Se la tirava, lo stronzo.
Jen gemeva sotto la mia lingua, ma appena sentì la sua presenza così vicina, alzò il braccio a coprirsi gli occhi. Come se bastasse.
Non dissi niente.
Volevo che ci vedesse, che vedesse la mia ragazza mentre si faceva leccare davanti a lui.
Volevo che sapesse che lei era mia.
Solo mia.
Ma poi qualcosa cambiò.
Jen aprì gli occhi. Guardò in basso.
Il cazzo di Ricky era a pochi centimetri dalla sua faccia.
E poi… lo prese.
Con le mani. Con la bocca.
E io lì.
A guardare la mia ragazza succhiare il cazzo del mio amico.
Le sue labbra lo accolsero con un suono bagnato e profondo.
Io la guardavo dall'alto, con il mio cazzo ancora duro che pulsava, mentre lei si piegava su quello di Ricky come se fosse una cosa normale. Come se l’avesse sempre voluto fare.
Ma non era solo il gesto. Era come lo faceva.
Con fame.
Con l’istinto di chi vuole far godere, ma anche di chi vuole punire.
Punire me, forse.
Ricky gemette piano, gli occhi sbarrati, le dita nei capelli di Jen.
La mia ragazza.
Con la lingua che gli girava intorno al glande come se fosse la cosa più dolce che avesse mai assaggiato.
Io non riuscivo più a restare fermo. Mi tirai via il preservativo sporco, lo lanciai a terra e mi sedetti sulla sedia, davanti a loro. Il cazzo già in mano. Duro di nuovo.
Guardavo.
Guardavo mentre lei lo pompava con la bocca e lui le accarezzava i capezzoli come facevo io, con le stesse dita, lo stesso ritmo.
La gelosia mi bruciava, ma c'era anche un piacere perverso a tenerla lì, in mezzo, come una puttana devota, una regina del vizio.
Mi venne voglia di scoparla di nuovo.
Di possederla mentre succhiava il cazzo a lui.
Mi alzai, le sollevai il bacino e glielo infilai dentro senza chiedere niente.
Calda. Umida. Ancora aperta per me.
Lei gemette contro il cazzo di Ricky.
E quel suono…
Quel suono mi mandò fuori di testa.
Le presi i fianchi e cominciai a spingerle dentro colpo su colpo, mentre lei si teneva stretta al cazzo del mio amico, alternando la lingua alla gola, i sospiri ai singhiozzi.
La stanza era un bordello.
Due uomini.
Una donna.
Tre corpi mescolati nel sudore, nella saliva, nei gemiti.
Lei era il centro.
La tempesta.
Il nostro dannato fulcro.
Ogni volta che le sbattevo dentro, lei prendeva più cazzo in gola.
Ogni volta che Ricky gemeva, io spingevo più forte.
Era un gioco di potere senza parole, uno scontro muto tra maschi, e lei nel mezzo, consenziente e ubriaca di lussuria, a fare da terreno di guerra.
A un certo punto Ricky si alzò e le afferrò le spalle.
La fece inginocchiare sul letto.
Io le afferrai i fianchi e la tenni in quella posizione, col culo alto, la schiena inarcata.
Lui davanti. Io dietro.
Due cazzi. Una bocca. Una figa.
E tutto sembrava perfetto.
Le presi i capelli, glieli tirai indietro.
«Guarda Ricky negli occhi mentre lo prendi in bocca.»
Lei lo fece.
Obbedì.
E lo guardò, con una dolcezza che mi spezzò qualcosa dentro.
Però non smisi.
Le presi il culo, lo strinsi con forza. E continuai a scoparla, mentre lei gemeva e ansimava e si lasciava andare completamente.
Le sue ginocchia tremavano.
Ogni spinta mia la mandava in avanti, ogni affondo di Ricky le riempiva la bocca.
Stava lì, piegata tra i nostri corpi, trafitta da due direzioni, annientata dalla carne e dal desiderio.
La tenni ferma, con le mani incollate al suo bacino, le dita affondate nei suoi fianchi. Sentivo le sue contrazioni. Sentivo il suo corpo reagire come un animale. Caldo, viscido, pronto a scoppiare.
La guardai dal basso.
La schiena sudata. I capelli scompigliati. La pelle segnata dalle nostre mani.
Non era più la mia ragazza.
Era qualcosa di altro.
Una creatura del vizio.
Una puttana sacra.
Ricky le teneva il viso con entrambe le mani, spingendo il suo cazzo dentro la sua bocca come se volesse entrarle in gola e restarci per sempre.
Lei lo lasciava fare.
Gli occhi chiusi, la mascella stanca, le labbra gonfie di sesso.
E poi successe.
Un suono. Un lamento basso, profondo, gutturale.
Le sue gambe si piegarono, il bacino cominciò a tremare.
Il mio cazzo venne stritolato da un’onda di contrazioni.
Un terremoto.
Un’onda sismica.
«Oh cazzo... sì… sì, Jen… vieni…»
Lo dissi senza nemmeno rendermene conto.
Ma lei stava già venendo.
Forte.
Bestiale.
Un orgasmo che le fece scuotere la testa, che le fece mordere il cazzo di Ricky per un attimo, che la fece urlare con la bocca piena e la gola strozzata.
Le venne un crampo al ventre, urlò ancora, le mani cercavano un appiglio, qualcosa a cui aggrapparsi mentre si lasciava travolgere.
Ma non c’era niente.
Solo noi.
Solo due cazzi.
Due maschi.
Due spettatori e carnefici.
E lei.
Lei che si disfaceva come una diga sfondata.
Piangeva e rideva insieme.
Rideva con le lacrime agli occhi, con il viso sporcato di saliva e umori, con il culo ancora aperto per me.
Ogni volta che le spingevo dentro, un’altra scossa le attraversava la schiena.
Non finiva più.
Un’onda. Poi un’altra. Poi un’altra ancora.
Alla fine, si lasciò cadere sul materasso, il corpo molle, esausto, disfatto.
Il cazzo di Ricky le scivolò dalle labbra come una cosa dimenticata.
Il mio era ancora dentro di lei, ma smisi di muovermi.
Il silenzio cadde come un lenzuolo.
Solo il suono del nostro respiro. I battiti. I liquidi.
Le accarezzai la schiena, e lei si voltò appena, con un sorriso che non avevo mai visto prima. Uno sporco, meraviglioso sorriso da troia felice.
Aveva goduto come non l’aveva mai fatto in vita sua.
E lo sapevamo tutti e tre.

scritto il
2025-06-12
1 . 4 K
visite
9
voti
valutazione
5.8
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.