Buon compleanno figlio mio

di
genere
incesti

Stavo in ginocchio davanti a lui, il pavimento freddo sotto le tibie, la bocca piena del suo cazzo che mi scivolava sulla lingua, duro, pulsante, con quel sapore che conoscevo fin troppo bene.
Avevo le labbra sbavate, il mascara colato, il mento bagnato della sua sborrata di pochi minuti prima. Me l’aveva spinta in gola, fino a farmi lacrimare, e io avevo lasciato che mi colasse ovunque — sulle tette, sulla camicia semiaperta, tra le dita.

Lo guardavo da sotto, mentre mi afferrava per i capelli con una mano e si passava l’altra tra i capelli, nervoso, come se stesse combattendo qualcosa dentro.
Ma non c’era più niente da combattere. Ormai mi aveva scopata con gli occhi, con le mani, con la voce, anche quando non diceva nulla.

Mi masturbavo lentamente, con due dita dentro, mentre l’altra mano lo accarezzava, sentendo ancora il calore del suo seme colare tra le cosce.
Ero gonfia.
Bagnata in un modo indecente.
Piena di lui e ancora vuota.

Il cuore mi martellava nel petto, ma era la figa che comandava tutto.
Tutto il sangue, tutta la mente, tutti i nervi.
Ogni mio respiro era un richiamo: scopami di nuovo.
Sporcami. Prendimi come la tua troia personale.

Mi alzai.
La camicia mi cadeva addosso, aperta, trasparente del sudore. Il reggiseno viola era spostato, un capezzolo scoperto, duro, teso come una richiesta muta.
Mi girai di spalle e mi abbassai lo slip. Lentamente.
Sapevo che mi guardava il culo. Sapevo che stava lì, in silenzio, con il cazzo che gli tornava duro.
Lo sentivo nell’aria. Nell’umidità che mi saliva tra le gambe.

Mi voltai di nuovo e lo fissai negli occhi.

― Se vuoi scoparmi ancora, vieni. Se no, guardami mentre lo faccio da sola.

Mi infilai due dita dentro, davanti a lui.
Poi tre.
Mi piegai in avanti, le gambe tremanti, e iniziai a gemere. Forte. Oscena.
Mi venivo addosso con le dita e lui, bastardo, si limitava a guardare. Le vene del collo tese. La mascella contratta.

Ma poi venne verso di me.
Mi afferrò da dietro, mi spalmò contro il tavolo e mi spalancò le gambe come si fa con una puttana che non si rispetta.
Mi annusò.
Mi infilò due dita. Poi la lingua.
Mi succhiò la figa come se volesse strappare il sapore con la bocca.
E io urlavo.
Perché mi faceva impazzire, e io volevo solo una cosa:
Essere usata da lui.
Tutta. Fino a non capire più chi ero.

Quando mi prese da dietro, lo fece senza una parola.
Solo colpi. Spinta. Schiaffi sul culo.
E io godevo. Godevo come una troia senza nome.

Mi venne dentro. Senza chiedere. Senza fermarsi.
Sentii il caldo riempirmi. Le gambe molli. La testa vuota.
Mi lasciò così, aperta, tremante, piena.

Mi voltai. Ero tutta sbavata, sporca, devastata.
Lui mi guardava come se volesse farlo di nuovo.

Io gli sorrisi. Piano.

― Buon compleanno, amore mio.
scritto il
2025-06-06
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