Mio figlio Elia mi scopa ancora
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
Tre giorni dopo, bussò alla porta.
La ragazza aveva i capelli scuri, raccolti male, una gonna troppo corta per sembrare casuale e lo sguardo di chi ha già deciso. Non parlava. Non serviva. Elia le fece cenno di entrare.
Io ero già pronta.
Seduta sul bordo del letto, senza niente addosso se non un collare nero. Le gambe aperte. Il corpo ancora segnato da una scopata del pomeriggio.
Lei mi guardava. Non con invidia. Con fame.
«Spogliati» le dissi.
Non le chiesi il nome. Non mi interessava. Non ero lì per farle domande.
Quando rimase nuda, le feci segno di avvicinarsi. Odorava di eccitazione trattenuta, quella che monta piano e poi esplode.
Le presi la mano. La guidai tra le mie cosce.
«Qui si comincia» dissi.
Toccò. Tremava. Ma non si fermò.
Elia ci guardava. In piedi, con la videocamera in mano e il cazzo già in tiro.
Io mi sdraiai. Lei mi si infilò tra le gambe, incerta. Ma bastò che mi leccasse una volta, lenta, timida, per sentire le dita di Elia stringermi i capelli.
«Più forte» le dissi. «Più sporca. Fammi sentire la lingua fino alla gola.»
Elia si avvicinò. Le afferrò la nuca, la spinse più giù. Lei obbedì. Si perse.
Io gemetti. Forte. Sfacciata. Sapevo che Elia stava riprendendo ogni cosa. Che mio marito, in salotto, stava guardando in silenzio.
Poi Elia si sedette sul letto.
«A quattro zampe, tutte e due.»
Lo facemmo. Obbedienti. Le nostre schiene curve. Le bocche aperte. I buchi pronti.
Lui ci passava accanto come un domatore. Decise di prenderla prima.
Le si infilò dentro senza parole. La prese con foga, con rabbia quasi. Lei gridava. Io le baciavo la schiena.
«Brava» le dicevo. «Così si gode con lui. Così si impara.»
Poi venne da me. Senza mollare l’altra, mi afferrò i capelli e mi ficcò il cazzo in bocca.
Me lo tenne dentro fino a farmi lacrimare.
Mi scopavano insieme. Io in bocca. Lei nel culo. Le mani intrecciate. Le urla che si mescolavano.
Il letto tremava.
Mio marito sbirciava dalla porta. Con i pantaloni abbassati. La mano che si muoveva.
Elia lo vide.
«Vieni dentro» gli disse. «È ora che ti sporchi anche tu.»
Lui non disse niente. Ma entrò.
Si mise dietro di me. Mi allargò le natiche. Tremava. Ma il cazzo era durissimo.
Mi prese.
Era lento. Goffo. Come uno che non ha mai tradito ma ha sempre voluto farlo.
Io gemevo. E godevo.
Elia rideva.
«Guarda che troia che è diventata tua moglie.»
E io annuivo.
Perché era vero.
Perché era quello che volevo.
Essere usata. Riempita. Umiliata. Amata in quel modo sporco che non lascia scampo.
E quando vennero entrambi, uno in gola, l’altro dentro, capii che era solo l’inizio.
Quella notte non dormimmo.
E non fu l’ultima volta.
**
Era passata una settimana da quella notte. Una settimana di messaggi, video, parole sporche sussurrate nel buio. Una settimana in cui il suo nome era diventato una cicatrice sulla mia pelle.
Poi bussò. Nessun preavviso. Nessun “posso?”.
Era lei. Stivali al ginocchio. Jeans strappati. Una giacca di pelle e niente sotto.
«Ho fame» disse.
Elia la guardò e rise.
«La troia è tornata.»
Giada non rispose. Si avvicinò. Mi afferrò per il mento. Mi guardò dentro.
«Ti sei dimenticata di me?»
«Mai» sussurrai.
Mi spinse sul divano senza troppi convenevoli. Si strappò di dosso i jeans. Non portava mutandine. Si sedette sulla mia bocca.
«Fammi venire. Senza domande.»
Le obbedii. La leccai come un cane. Come una schiava. Le gambe le tremavano, mi stringeva i capelli e ansimava come una bestia.
Elia intanto si era spogliato. Filmava. Si toccava.
«Guardala» diceva. «Sta tornando a essere la puttana che è.»
Giada venne gridando il mio nome, strusciandosi forte, premendomi il viso contro la figa fino a farmi mancare l’aria.
Quando si rialzò, mi tirò su per i capelli.
«Ora tocca a te. A quattro zampe, troia.»
Mi misi in posizione. Sapevo che Elia non avrebbe aspettato. Mi entrò dentro con un colpo secco. Il suo cazzo era duro, bollente.
Giada si mise davanti a me, seduta, le gambe aperte. Mi fece infilare la lingua ancora.
«Doppia penetrazione per una doppia puttana» disse Elia.
Ridevano. Godevano.
Poi Giada si alzò. Lo fermò.
«Ora scopami tu.»
Elia la prese, la fece inginocchiare sul divano. Le spalancò il culo con forza.
«Non ti manca il cazzo nel culo?» le chiese.
«Fammi male» rispose lei.
E lo fece. Glielo ficcò dentro tutto, in un solo colpo.
Giada urlò. Ma non per il dolore. Per il piacere che le esplodeva ovunque.
Io la guardavo. Il viso stravolto, la bocca socchiusa, i seni che ballavano sotto ogni spinta.
Mi toccavo. Gocciolavo.
Poi mio marito entrò.
Giada si girò, lo guardò.
«È lui?»
Annuii.
«Voglio succhiarglielo.»
Lui si avvicinò. Senza dire una parola. Se lo tirò fuori. Lei glielo prese in bocca come se fosse suo da sempre.
E lì, davanti a me, la vidi diventare una creatura nuova.
Una belva vestita da puttana.
Una sorella nel peccato.
Quando vennero tutti, io ero già lì, che mi toccavo come una disperata.
E venni anche io.
Forte.
E capii che con Giada… era appena cominciato.
La ragazza aveva i capelli scuri, raccolti male, una gonna troppo corta per sembrare casuale e lo sguardo di chi ha già deciso. Non parlava. Non serviva. Elia le fece cenno di entrare.
Io ero già pronta.
Seduta sul bordo del letto, senza niente addosso se non un collare nero. Le gambe aperte. Il corpo ancora segnato da una scopata del pomeriggio.
Lei mi guardava. Non con invidia. Con fame.
«Spogliati» le dissi.
Non le chiesi il nome. Non mi interessava. Non ero lì per farle domande.
Quando rimase nuda, le feci segno di avvicinarsi. Odorava di eccitazione trattenuta, quella che monta piano e poi esplode.
Le presi la mano. La guidai tra le mie cosce.
«Qui si comincia» dissi.
Toccò. Tremava. Ma non si fermò.
Elia ci guardava. In piedi, con la videocamera in mano e il cazzo già in tiro.
Io mi sdraiai. Lei mi si infilò tra le gambe, incerta. Ma bastò che mi leccasse una volta, lenta, timida, per sentire le dita di Elia stringermi i capelli.
«Più forte» le dissi. «Più sporca. Fammi sentire la lingua fino alla gola.»
Elia si avvicinò. Le afferrò la nuca, la spinse più giù. Lei obbedì. Si perse.
Io gemetti. Forte. Sfacciata. Sapevo che Elia stava riprendendo ogni cosa. Che mio marito, in salotto, stava guardando in silenzio.
Poi Elia si sedette sul letto.
«A quattro zampe, tutte e due.»
Lo facemmo. Obbedienti. Le nostre schiene curve. Le bocche aperte. I buchi pronti.
Lui ci passava accanto come un domatore. Decise di prenderla prima.
Le si infilò dentro senza parole. La prese con foga, con rabbia quasi. Lei gridava. Io le baciavo la schiena.
«Brava» le dicevo. «Così si gode con lui. Così si impara.»
Poi venne da me. Senza mollare l’altra, mi afferrò i capelli e mi ficcò il cazzo in bocca.
Me lo tenne dentro fino a farmi lacrimare.
Mi scopavano insieme. Io in bocca. Lei nel culo. Le mani intrecciate. Le urla che si mescolavano.
Il letto tremava.
Mio marito sbirciava dalla porta. Con i pantaloni abbassati. La mano che si muoveva.
Elia lo vide.
«Vieni dentro» gli disse. «È ora che ti sporchi anche tu.»
Lui non disse niente. Ma entrò.
Si mise dietro di me. Mi allargò le natiche. Tremava. Ma il cazzo era durissimo.
Mi prese.
Era lento. Goffo. Come uno che non ha mai tradito ma ha sempre voluto farlo.
Io gemevo. E godevo.
Elia rideva.
«Guarda che troia che è diventata tua moglie.»
E io annuivo.
Perché era vero.
Perché era quello che volevo.
Essere usata. Riempita. Umiliata. Amata in quel modo sporco che non lascia scampo.
E quando vennero entrambi, uno in gola, l’altro dentro, capii che era solo l’inizio.
Quella notte non dormimmo.
E non fu l’ultima volta.
**
Era passata una settimana da quella notte. Una settimana di messaggi, video, parole sporche sussurrate nel buio. Una settimana in cui il suo nome era diventato una cicatrice sulla mia pelle.
Poi bussò. Nessun preavviso. Nessun “posso?”.
Era lei. Stivali al ginocchio. Jeans strappati. Una giacca di pelle e niente sotto.
«Ho fame» disse.
Elia la guardò e rise.
«La troia è tornata.»
Giada non rispose. Si avvicinò. Mi afferrò per il mento. Mi guardò dentro.
«Ti sei dimenticata di me?»
«Mai» sussurrai.
Mi spinse sul divano senza troppi convenevoli. Si strappò di dosso i jeans. Non portava mutandine. Si sedette sulla mia bocca.
«Fammi venire. Senza domande.»
Le obbedii. La leccai come un cane. Come una schiava. Le gambe le tremavano, mi stringeva i capelli e ansimava come una bestia.
Elia intanto si era spogliato. Filmava. Si toccava.
«Guardala» diceva. «Sta tornando a essere la puttana che è.»
Giada venne gridando il mio nome, strusciandosi forte, premendomi il viso contro la figa fino a farmi mancare l’aria.
Quando si rialzò, mi tirò su per i capelli.
«Ora tocca a te. A quattro zampe, troia.»
Mi misi in posizione. Sapevo che Elia non avrebbe aspettato. Mi entrò dentro con un colpo secco. Il suo cazzo era duro, bollente.
Giada si mise davanti a me, seduta, le gambe aperte. Mi fece infilare la lingua ancora.
«Doppia penetrazione per una doppia puttana» disse Elia.
Ridevano. Godevano.
Poi Giada si alzò. Lo fermò.
«Ora scopami tu.»
Elia la prese, la fece inginocchiare sul divano. Le spalancò il culo con forza.
«Non ti manca il cazzo nel culo?» le chiese.
«Fammi male» rispose lei.
E lo fece. Glielo ficcò dentro tutto, in un solo colpo.
Giada urlò. Ma non per il dolore. Per il piacere che le esplodeva ovunque.
Io la guardavo. Il viso stravolto, la bocca socchiusa, i seni che ballavano sotto ogni spinta.
Mi toccavo. Gocciolavo.
Poi mio marito entrò.
Giada si girò, lo guardò.
«È lui?»
Annuii.
«Voglio succhiarglielo.»
Lui si avvicinò. Senza dire una parola. Se lo tirò fuori. Lei glielo prese in bocca come se fosse suo da sempre.
E lì, davanti a me, la vidi diventare una creatura nuova.
Una belva vestita da puttana.
Una sorella nel peccato.
Quando vennero tutti, io ero già lì, che mi toccavo come una disperata.
E venni anche io.
Forte.
E capii che con Giada… era appena cominciato.
1
8
voti
voti
valutazione
6
6
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Macarenaracconto sucessivo
Buon compleanno figlio mio
Commenti dei lettori al racconto erotico