Mia cugina: Parte 16

di
genere
incesti

Qualche giorno dopo incontro mia cugina per strada. Ha in mano due buste per la spesa.
— Ehi — dico. — Vuoi una mano?
— Faccio da sola — risponde inespressiva.
Sorrido. Faccio per prendere le due buste, ma lei si allontana. Le vado dietro. — Ehi, aspetta.
— Che vuoi?
— Ti sei rimessa con Oronzo?
— A te che importa?
— Sei molto scontrosa.
Attraversa la strada e s’incammina lungo il parcheggio punteggiato di veicoli. Si ferma davanti alla sua macchina.
— Stai con lui? — chiedo.
Lei mi guarda in malo modo. — Fatti gli affari tuoi. E smettila di seguirmi. — Posa le due buste sui sedili posteriori e si volta verso di me. — Sei ancora qui.
— Ti penso sempre — dico.
Rotea gli occhi in aria seccata. — Non mi interessa. Vattene.
— Voglio stare con te.
Mia cugina si siede al posto di guida. Fa per chiudere la portiera, ma la blocco con una mano. Mi fissa. — Togli la mano.
— Ascoltami.
Tira la portiera verso di sé con forza, ma non ci riesce. — Mi stai facendo perdere la pazienza.
— Mettiamoci insieme.
Sbuffa seccata. — La vuoi piantare!?
— Hai sentito cosa ho detto?
Mi fissa apatica. — Scommetto che l’hai detto anche a Ilaria.
Distolgo lo sguardo a disagio. Non rispondo. Ha ragione. Ma non posso scegliere. Le voglio entrambe.
Sarah chiude la portiera, ingrana la prima.
Mi metto davanti alla sua macchina. — Ti sbagli. Non è come pensi.
Il suo sguardo si fa greve dietro il parabrezza. Nessuna parola.
Alcuni passanti si fermano a guardare.
Abbasso lo sguardo. — Io ti amo… Non posso lasciarti andare con quello stronzo. — Sollevo lo sguardo deciso su di lei. — Lo sai che è sposato? Lo sai che ha dei figli? Come può piacerti uno così?
Una piccola folla si raduna attorno a me. Un brusio si diffonde nell’aria.
Mia cugina sospira e mi fa cenno di entrare in macchina. Apro la portiera e mi siedo sul sedile anteriore. La macchina si allontana lungo il parcheggio tra gli sguardi perplessi della folla.
Sarah mi lancia un'occhiataccia. — Non dire ‘ti amo’ alla leggera.
— Sei tornata insieme a Oronzo?
— Non sono affari tuoi.
— Hai sentito cosa ho detto poco fa? È spos…
— Lo so. So tutto. Ora stai zitto.
L'auto lascia il parcheggio e si immette sulla strada. Le nuvole coprono il sole, l’odore di pioggia nell’aria.
La guardo. — Sento, io…
— Che ti ho detto?
— Lascialo e mettiti con me.
— Sei patetico…
Sollevo un sopracciglio interdetto. — Eh!?
— Mi stai tormentando con questa storia, ma non ho nessuna intenzione di mettermi con te. Tutto quello che c'è stato tra di noi… appartiene al passato.
— Ma…
Il veicolo si ferma al semaforo.
Mia cugina mi guarda. — Non esiste nessun noi. Né ora né mai. Accettalo.
— È perché siamo cugini?
— Mi stai stancando!
Poso la mano sulla sua che tiene sul cambio. — Perché? Pensavo di piacerti.
Scaccia la mia mano. — È stato un errore.
— Non per me.
Scatta il verde. L’auto riparte.
Sarah sbuffa irritata. — Non m’interessa. Devi starmi lontano.
— Non posso. Ti voglio troppo. Ti desidero troppo.
— Smettila con queste fesserie. Non sei per niente credibile. Per niente!
— Ma è la verità.
Accosta la macchina lungo il marciapiede. — Scendi.
— Non ho ancora finito.
— Io sì. Scendi!
— Davvero non provi niente per me?
Mi fissa dritto negli occhi. — Mi fai schifo. Contento ora?
— Stai mentendo.
— Pensala come ti pare. Ora scendi.
— No.
— Scendi! — urla.
La osservo per un momento. — Stai sbagliando a tornare insieme a quello stronzo.
— E tu a darmi il tormento.
Scendo dalla macchina e la guardo allontanarsi. Non credo a una sola parola di quello che ha detto. Lei mi ama, ma non vuole ammetterlo. Ok, siamo cugini, ma non è un motivo valido per non stare insieme.
Comincia a piovere.

Mezz’ora dopo sono a pochi metri dal mio condominio. Sono bagnato fradicio per la pioggia. Un uomo robusto in un completo nero è accanto al portone. In mano, un ombrello nero aperto su cui batte la pioggia.
Mi guarda arrivare. — Il signor Valeriano?
Mi acciglio turbato. — Sì, sono io.
Mi allunga una piccola busta rigonfia. — La signora Savona desidera che lei smetta subito di frequentare sua figlia.
Sgrano gli occhi incredulo. — Io non… non sto frequentando sua figlia.
— La prego di rispettare il suo desiderio. — Mi incinta a prendere la piccola busta. — Qui dentro troverà un piccolo incentivo.
La prendo e la apro. Spalanco gli occhi. Su per giù saranno diecimila euro. Chiudo la busta con simulato disinteresse. — Si sta sbagliando… Non frequento sua figlia.
— Ci rifletta — dice l’uomo apatico. — La signora Savona sa essere generosa con chi si mostra rispettoso nei suoi confronti.
— Ma è…
L'uomo si allontana lungo il marciapiede deserto, le pozzanghere martellate dalla pioggia.
Salgo nel mio appartamento. La mia ex assistente non è seduta sul divano. Forse è uscita. Meglio così. Se tornerà, non la farò entrare. È ora di mettere fine a questo gioco.
Mi faccio una doccia e vado in cucina a prepararmi da mangiare. Mi blocco. Lei è davanti ai fornelli.
Si volta verso di me con un sorriso infantile. — Oh, bentornato. Stavo giusto per cucinare qualcosa.
— Da quando cucini?
— Da adesso.
— Non serve.
Il suo sguardo si abbassa sulla piccola busta che ho in mano. — Cos’è?
— Oh, questa? Niente.
— Sembra che ci siano parecchi soldi all’interno.
Cos'è?! Anche veggente? — Non ci sono soldi.
— Immagino che sia stato quel tipo che lavora per mia madre. È sempre tra i piedi.
Come fa a saperlo? Non rispondo.
Mi si avvicina con un sorriso divertito. — Sapevo che avrebbe fatto così. Anzi, mia madre ci ha messo più del solito a fare la sua mossa.
Le metto in mano la busta. — Allora dì a tua madre che non li voglio. Non sono un uomo che si fa comprare.
La mia ex assistente alza un angolo della bocca in un sorriso compiaciuto. — Lo fai per me? Sapevo che prima o poi avresti capito che siamo fatti per stare insieme.
— Non lo faccio per te. Anzi, dovresti andartene. Tra noi non ci sarà mai niente.
Smorza una risatina. — Sei proprio carino quando fingi di arrabbiarti.
— Non prendermi in giro!
Si volta, posa la piccola busta sul ripiano e accende il gas per riscaldare l’acqua. — Oggi cucinerò la carbonara. Il mio piatto preferito.
— Mi stai ascoltando?
— Siediti.
L’afferro per il polso e la faccio girare verso di me. — Non cambiare discorso.
Lei mi sorride. — Perché stai resistendo? Non vedi che non hai futuro né con tua cugina né con Ilaria.
— Ti sbagli.
Mi accarezza la mascella con un dito. — Per nulla. Sei tu quello che non vede in faccia la realtà. Entrambe ti hanno abbandonato. Accettalo. Sono l’unica che può renderti felice e tu lo sai bene.
— Ne ho abbastanza delle tue parole. E ora che tu te ne vada!
Mi fa un sorrisetto dolce, la testa inclinata un poco a lato. — Che carino.
— Piantala!
Si volta verso il frigo, lo apre e tira fuori le uova, la pancetta e il formaggio grattugiato. — Ora siediti da bravo bambino.
Mi sta facendo incazzare come non mai. — Ti ho detto di…
Mi mette un dito sulle labbra, gli occhi irati. — Non fare il bambino cattivo. Siediti, su. — Mi spinge verso la sedia e mi fa sedere. — Ora stai fermo, ok? Se fai il bravo, la mamma ti darà un bel premio più tardi. — Affondo una mano nei miei pantaloni e mi stringe il pene. — E ti farà tante coccole. Oh, il tuo cosino bellino si sta svegliando. Birbantello!
Sospiro seccato. Perché non riesco a cacciarla via? Devo davvero comportarmi da stronzo per farlo? Ma non è da me. Non ci riesco. E lei lo sa.
scritto il
2025-06-02
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