#7 “Punita e posseduta.” Confessioni di una rispettabile troia.
di
rotas2sator
genere
dominazione
Il rumore metallico della serratura risuonò grave mentre la porta si chiudeva alle loro spalle. Nessuna finestra. Solo muri neri e lucidi, impregnati dell’odore denso di pelle, lubrificanti e sudore. Il dungeon non aveva bisogno di presentazioni: era un santuario del desiderio senza morale, senza redenzione.
Gerardo la fece inginocchiare. Le mani dietro la schiena, i polsi stretti da una corda ruvida che pizzicava la pelle sensibile. Il suo sguardo era freddo, dominante, mentre faceva sibilare un frustino sottile di cuoio nell’aria prima di sfiorarle i glutei con un colpo secco, preciso.
«Devi essere punita, troia insaziabile,» sussurrò con voce roca. «Per come ti comporti, da cagna in calore.»
Con ogni colpo, il dolore si fondeva col piacere. Liliana fremette, il corpo teso ma docile sotto il controllo del suo padrone. Gerardo afferrò una bottiglia d’olio profumato, versandone una generosa quantità sulle mani. Le sfregò lentamente, riscaldando il liquido, poi iniziò a spalmarlo sul corpo di lei con movimenti lenti e provocanti.
Le sue mani scivolavano sulle grosse mammelle, ungendole fino a renderle lucide, viscide. Le afferrava con forza, le strizzava e faceva scivolare tra le dita, godendosi il suono umido e il movimento carnale. Le faceva ballare sul petto come palle di piacere, provocando gemiti profondi nella donna, già bruciante di desiderio.
Poi scese lungo la schiena e i glutei, dove si soffermò con cura. Passava le dita nel solco gluteo, aprendo lentamente le natiche morbide e unte, fino a raggiungere il piccolo buco che palpitava in attesa. L’olio rendeva tutto più fluido, più perversamente invitante. Gerardo sorrise, gli occhi accesi di brama. Premette con un dito, esplorando.
«Apriti per me, troia. Fammi vedere quanto sei sporca dentro.»
Liliana, con la voce rotta dall’eccitazione, ansimò: «Sì, padrone… voglio tutto di te. Prendimi.»
Quando la penetrazione arrivò – dura, profonda, spietata – Liliana perse ogni controllo. Il primo dolore si trasformò subito in un piacere feroce, primordiale, che la fece urlare e gemere senza pudore.
«Spingilo… più dentro… fammi tua, rompi questo culo come vuoi! Sì, sì… voglio che mi spacchi, voglio che mi distruggi dentro!» I suoi gemiti diventavano urla. «Godi con me… guardami mentre mi perdo nel mio buco… Sporcami tutta!»
«Urlalo!» la incalzò Gerardo. «Dì a tutti cos’hai dentro adesso! Guarda come te lo prendi, troia arrapata! Godi più col culo che con la figa, dillo! Confessa!»
Liliana arrossì, ma dentro si apriva a una vertigine nuova. Una voglia matta di abbandonarsi, di essere usata, umiliata fino all’ultima stilla di vergogna.
«Fanculo… voglio solo te, padrone… fammi sporcare ancora.»
Gerardo iniziò a muoversi con ritmo brutale, affondando senza tregua. Liliana tremava sotto di lui, sopraffatta da quell’ondata grezza di piacere e dolore. Finché un calore improvviso le esplose nel ventre, incontrollabile: il corpo si arrese e si bagnò in un flusso caldo e umiliante.
Gerardo rise, sarcastico. «Ma guarda che porca sei… ti pisci addosso dal piacere. Sei una fottuta troia insaziabile, tutta bagnata solo per me.»
La costrinse a rotolarsi sul pavimento, dove il liquido formava una pozza tiepida sotto di lei.
«Vergognati, cagna. Se solo potessero vederti così… ridotta a un mucchio di carne bagnata e sottomessa.»
La sua voce era un comando crudele. Un colpo che schiacciava Liliana nella sua resa.
Le sollevò i capelli con gesto lento, la trascinò verso la parete, dove aveva fissato due ganci alti, quasi invisibili. Le sollevò le braccia, agganciando i polsi con i moschettoni. Liliana era in piedi, in punta di piedi, tesa. Offerta. Il corpo tremava per l’eccitazione.
Gerardo si inginocchiò dietro di lei, e senza alcun preavviso le allargò le natiche e cominciò a leccarla con lentezza crudele. La lingua esplorava ogni piega, ogni segreto, senza pudore. Lei si contorceva, cercando respiro, ma non osava parlare.
Ogni tanto Gerardo si fermava, e le soffiava contro con un ghigno.
Poi tirò fuori il plug. Grande. Lucido. Di metallo. Lo mostrò davanti a lei.
«Lo vuoi?»
Silenzio.
Uno schiaffo sui seni, forte, secco.
«Te l’ho chiesto: lo vuoi?»
Liliana, con il respiro spezzato, sussurrò: «Sì… padrone.»
Il plug entrò lentamente, con una pressione costante che le fece piegare le ginocchia. Era freddo, poi caldo, poi parte di lei. Quando fu dentro, Gerardo lo ruotò con lentezza, facendola ansimare.
«Ora resta così. Senza muoverti. Devo telefonare.»
E se ne andò. Liliana rimase appesa, con il plug dentro, il collare stretto, e il corpo in fiamme. Ascoltava ogni suono della casa con l’udito teso come una cagna abbandonata. Ogni secondo era una tortura. Ma anche una devozione.
Con gli occhi socchiusi, il respiro rotto e il corpo ancora pulsante, Liliana mormorava solo oscenità. Persa. Dissolta nel piacere di quel gioco proibito, dove l’umiliazione era estasi, e la vergogna libertà.
Gerardo la fece inginocchiare. Le mani dietro la schiena, i polsi stretti da una corda ruvida che pizzicava la pelle sensibile. Il suo sguardo era freddo, dominante, mentre faceva sibilare un frustino sottile di cuoio nell’aria prima di sfiorarle i glutei con un colpo secco, preciso.
«Devi essere punita, troia insaziabile,» sussurrò con voce roca. «Per come ti comporti, da cagna in calore.»
Con ogni colpo, il dolore si fondeva col piacere. Liliana fremette, il corpo teso ma docile sotto il controllo del suo padrone. Gerardo afferrò una bottiglia d’olio profumato, versandone una generosa quantità sulle mani. Le sfregò lentamente, riscaldando il liquido, poi iniziò a spalmarlo sul corpo di lei con movimenti lenti e provocanti.
Le sue mani scivolavano sulle grosse mammelle, ungendole fino a renderle lucide, viscide. Le afferrava con forza, le strizzava e faceva scivolare tra le dita, godendosi il suono umido e il movimento carnale. Le faceva ballare sul petto come palle di piacere, provocando gemiti profondi nella donna, già bruciante di desiderio.
Poi scese lungo la schiena e i glutei, dove si soffermò con cura. Passava le dita nel solco gluteo, aprendo lentamente le natiche morbide e unte, fino a raggiungere il piccolo buco che palpitava in attesa. L’olio rendeva tutto più fluido, più perversamente invitante. Gerardo sorrise, gli occhi accesi di brama. Premette con un dito, esplorando.
«Apriti per me, troia. Fammi vedere quanto sei sporca dentro.»
Liliana, con la voce rotta dall’eccitazione, ansimò: «Sì, padrone… voglio tutto di te. Prendimi.»
Quando la penetrazione arrivò – dura, profonda, spietata – Liliana perse ogni controllo. Il primo dolore si trasformò subito in un piacere feroce, primordiale, che la fece urlare e gemere senza pudore.
«Spingilo… più dentro… fammi tua, rompi questo culo come vuoi! Sì, sì… voglio che mi spacchi, voglio che mi distruggi dentro!» I suoi gemiti diventavano urla. «Godi con me… guardami mentre mi perdo nel mio buco… Sporcami tutta!»
«Urlalo!» la incalzò Gerardo. «Dì a tutti cos’hai dentro adesso! Guarda come te lo prendi, troia arrapata! Godi più col culo che con la figa, dillo! Confessa!»
Liliana arrossì, ma dentro si apriva a una vertigine nuova. Una voglia matta di abbandonarsi, di essere usata, umiliata fino all’ultima stilla di vergogna.
«Fanculo… voglio solo te, padrone… fammi sporcare ancora.»
Gerardo iniziò a muoversi con ritmo brutale, affondando senza tregua. Liliana tremava sotto di lui, sopraffatta da quell’ondata grezza di piacere e dolore. Finché un calore improvviso le esplose nel ventre, incontrollabile: il corpo si arrese e si bagnò in un flusso caldo e umiliante.
Gerardo rise, sarcastico. «Ma guarda che porca sei… ti pisci addosso dal piacere. Sei una fottuta troia insaziabile, tutta bagnata solo per me.»
La costrinse a rotolarsi sul pavimento, dove il liquido formava una pozza tiepida sotto di lei.
«Vergognati, cagna. Se solo potessero vederti così… ridotta a un mucchio di carne bagnata e sottomessa.»
La sua voce era un comando crudele. Un colpo che schiacciava Liliana nella sua resa.
Le sollevò i capelli con gesto lento, la trascinò verso la parete, dove aveva fissato due ganci alti, quasi invisibili. Le sollevò le braccia, agganciando i polsi con i moschettoni. Liliana era in piedi, in punta di piedi, tesa. Offerta. Il corpo tremava per l’eccitazione.
Gerardo si inginocchiò dietro di lei, e senza alcun preavviso le allargò le natiche e cominciò a leccarla con lentezza crudele. La lingua esplorava ogni piega, ogni segreto, senza pudore. Lei si contorceva, cercando respiro, ma non osava parlare.
Ogni tanto Gerardo si fermava, e le soffiava contro con un ghigno.
Poi tirò fuori il plug. Grande. Lucido. Di metallo. Lo mostrò davanti a lei.
«Lo vuoi?»
Silenzio.
Uno schiaffo sui seni, forte, secco.
«Te l’ho chiesto: lo vuoi?»
Liliana, con il respiro spezzato, sussurrò: «Sì… padrone.»
Il plug entrò lentamente, con una pressione costante che le fece piegare le ginocchia. Era freddo, poi caldo, poi parte di lei. Quando fu dentro, Gerardo lo ruotò con lentezza, facendola ansimare.
«Ora resta così. Senza muoverti. Devo telefonare.»
E se ne andò. Liliana rimase appesa, con il plug dentro, il collare stretto, e il corpo in fiamme. Ascoltava ogni suono della casa con l’udito teso come una cagna abbandonata. Ogni secondo era una tortura. Ma anche una devozione.
Con gli occhi socchiusi, il respiro rotto e il corpo ancora pulsante, Liliana mormorava solo oscenità. Persa. Dissolta nel piacere di quel gioco proibito, dove l’umiliazione era estasi, e la vergogna libertà.
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