Trilogia della resa. # 1 Notte inquieta

di
genere
tradimenti

"Tre momenti.
Tre discese.
Una donna che smette di fingere.
E si lascia attraversare."

La notte come un sudario quieto sulla città, sprofondata nel sonno. Giulia sedeva sul letto, le gambe nude raccolte sotto il corpo, lo sguardo perso nel buio oltre la finestra.
La seta della camicia da notte, aperta sul davanti, accarezzava appena la curva piena dei seni, lasciando intuire l’ombra del capezzolo. La pelle, ancora calda del bagno, conservava un odore di crema e desiderio represso.
Accanto a lei, il telefono spento. Nessun messaggio. Nessuna chiamata.
Nessuna ricerca sulla rete, come faceva un tempo, per capire se fosse “normale” desiderare certe cose. Desideri che la assalivano nelle ore più silenziose. Non erano fantasie romantiche o timidi slanci. No. Erano immagini crude, invadenti, sporche. La voglia di essere guardata, usata, svuotata di ogni ruolo. Un languore tra le cosce che aumentava quando si toccava, ma che nessuna mano, nemmeno la sua, riusciva mai a placare davvero. Il ricordo riandò a una sera d’estate.
Una festa elegante. Luci soffuse, musica d’ambiente, tintinnio di bicchieri di cristallo e conversazioni dal tono sommesso, educate.
Lei era l’ospite impeccabile: abito perfetto, postura composta, sorrisi calibrati. Eppure si era rifugiata in un angolo più appartato, lontano dal cuore della festa, come per respirare, liberarsi dal senso di oppressione che la pervadeva.
Fu lì che Leto la notò. L’aveva notata una prima volta in riva al mare. Un giorno qualunque. Sole alto. Vento caldo.
Stava seduta sul bordo del lettino, le gambe accavallate, i piedi avvolti di granelli dorati di sabbia che scintillavano come microscopiche gemme.
Indossava un bikini rosso geranio che esaltava le sue forme.
Ogni piega della sua pelle era una storia arcana. Ogni sorriso, un enigma. Non si guardava attorno per farsi notare. Era semplicemente lì: nuda alla luce, vestita d’ombra. I suoi occhi — dietro lenti scure — non chiedevano nulla. Ma le sue cosce, le mani ferme, il seno ancora pieno e teso...quelli esprimevano una domanda, dí più, un desiderio, e anche una conferma. 
Lo colpiva, non tanto l’avvenenza, l’eleganza, ma qualcosa di più profondo. Un’incrinatura, una tensione silenziosa tra ciò che mostrava e ciò che reprimeva. Allora aveva deciso che la musa che stava cercando,  doveva essere lei. Non si avvicinò subito, in attesa del momento più propizio. Finalmente si mosse.«Posso offrirle un drink, signora? O preferisce un po’ d’aria fresca?»Giulia sollevò lo sguardo.
Lo studiò. Non era il tipo d’uomo che solitamente frequentava.
Giovane, pelle scura, occhi vivi, i capelli bruni raccolti in una coda
Lo colpì nella sua voce qualcosa che disarmava, così abbassò le sue difese.
«Un drink, grazie. Ma qui dentro l’aria fresca è solo un’illusione.»
Lui sorrise, come se avesse appena fatto breccia.
«Le arie che respiriamo spesso ce le scegliamo. Forse lei ha respirato troppo a lungo l’impeccabilità.»
Giulia balbettò qualcosa ma si ammutolì subito, colpita e turbata. Un brivido percepito per una sfida che le veniva lanciata: una chiave sottile che sfiorava una porta chiusa dentro di lei.
«Non è curioso come ci abituiamo alle maschere? Così bene che un giorno non sappiamo più chi c’è sotto.»
Avrebbe potuto ridere e passare oltre, ma non lo fece.
In quelle parole sentì un’eco segreta, una verità sottaciuta.
«Sta dicendo forse che non sono autentica?»
«Sto dicendo che lei non è un’opera… è un processo. Un’evoluzione in corso. Non una statua, ma una performance. E forse… mancano ancora dei capitoli.»
«E secondo lei… si può togliere una maschera senza che qualcuno lo chieda?»
Lui non invase il suo spazio, ma serrò le distanze.
Lei sentì  come una parte sopita del suo corpo si fosse risvegliata.
«Io non voglio che lei si tolga nulla. Voglio solo che si permetta di essere senza censure o convenzioni.»
Le sue parole erano lame gentili: la scalfivano e la accarezzavano allo stesso tempo.
«Esistono luoghi dove non si cerca perfezione, bensì verità, dove ogni parte di sé viene accolta. Senza pregiudizio.»
Lei sorrise più rilassata, per una intravista, — sia pur confusamente —  possibilità dí autenticità . Il gioco si faceva intrigante.
«Ed esistono questi luoghi?»
Leto la guardò. Poi estrasse il telefono, mostrandole una schermata nera con un titolo in bianco:
“ ATTRICI NON ATTRICI. ESPOSIZIONI REALI –  progetto”
«Le interessa?»
«Alla mia età…ma  davvero?»
Leto accostò il bicchiere alle labbra e disse:
«Mi permetto di dissentire. Lei non ha idea di quanto sia desiderabile — o finge di non saperlo —, di quanto molti uomini  cerchino attrazione… matura. Io non cerco chi recita, ma chi si trasforma, disponibile a perdere il controllo per ritrovarsi pienamente. Ma davvero. Davanti alla lente di un obiettivo che non mente. Io documento… trasfigurazioni.»
«Molto seducente. E se dicessi sì?»
«Allora puoi chiamarmi Leto. Qui ci sono i miei contatti.»
Le porse un biglietto.
Lei lo prese. Poi, quasi per pareggiare il gioco, gli diede il suo.
scritto il
2025-07-01
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