Alba e l'amico di famiglia

di
genere
dominazione

Mi chiamo Alba, ho trentacinque anni, e sì, sono una donna formosa. Le tette mi scappano quasi sempre fuori dal reggiseno e il culo non passa mai inosservato. Mi piace così. Mi piace il fuoco negli occhi degli uomini quando mi guardano. Mi fa sentire viva.

Ma non sono sempre stata questa troia consapevole che sono oggi.

A vent’anni ero una ragazza che dava solo qualche pompino al fidanzatino in macchina. Quello che poi è diventato mio marito. Due colpi di lingua, una scopata sbrigativa sul sedile posteriore e via. Niente di più. Una sessualità da educanda, compressa, impaurita.

Poi successe qualcosa.

Lui partiva spesso per lavoro. Io e i miei ci trasferimmo per un paio di mesi a casa di una “vecchia conoscenza di famiglia”. Un uomo che aveva sempre avuto un occhio strano per me. Di quelli che ti pesano le cosce quando ti siedi. All’epoca aveva quarant’anni, io appena venti, ma le mie forme erano già quelle di una donna che sa cosa può ottenere.

Lo evitavo. Mi dava fastidio quel suo modo viscido di guardarmi.

Un giorno tornai a casa prima del previsto. Silenzio. Lui era lì, in salotto, in tuta, visibilmente eccitato. Provai a ignorarlo, andai in cucina a farmi un caffè. Lui mi seguì. Mi si avvicinò troppo. Sentii il suo cazzo duro sfiorarmi il culo.

― Ma che cazzo fa? ― gli dissi, voltandomi di scatto.

Mi sorrise. Di un sorriso che mi fece gelare il sangue.

― Ti ho vista, quella sera. In macchina, col tuo fidanzato. Gli stavi succhiando il cazzo come una porca.

Rimasi muta. Il cuore a mille.

― Chissà cosa direbbe tuo padre, eh? O tua madre…

Si stava toccando. Il bastardo. E io lì, paralizzata. Un misto di vergogna, paura... ma anche un brivido strano. Sporco. Mi sentivo esposta. Ma eccitata. Lui fece un passo in avanti, mi afferrò la nuca. E senza nemmeno pensarci mi ritrovai con il suo cazzo in bocca. Mi venne in gola, senza nemmeno chiedere. Inghiottii per riflesso, più che per scelta.

Mi disse che avevo talento. Che potevo diventare davvero brava, ma dovevo esercitarmi. Con lui. Ogni giorno.

Avrei potuto dire no. Ma non lo feci.

Già dalla seconda volta cominciò a darmi consigli. Usa la lingua così. Succhia lento. Aspira forte. E ogni sua indicazione era come un ordine marchiato a fuoco tra le gambe. In poche settimane, divenni sua. Mi piaceva farlo godere. Mi faceva sentire potente. Lui diceva che nessuna lo prendeva in bocca come me.

Poi passò oltre. Disse che era ora di scopare. Mi prese in tutte le posizioni. Mi fece urlare, tremare, venire più volte. Non mi lasciava andare finché non sentiva il mio corpo esplodere sotto il suo. Era un animale. Esperto. Mi faceva fare cose che mai avrei osato nemmeno immaginare.

Un pomeriggio, mentre mi prendeva da dietro sul tappeto del soggiorno, mi infilò un dito nel culo. Poi due. Poi il cazzo. Mi strappò un grido. Ma non smise. Mi tenne ferma. E io… io lo lasciai fare. Il dolore diventò piacere. Un piacere nero, profondo. Inconfessabile.

Da lì in poi era una routine. Pompino. Scopata. Inculata. Sempre con lui che veniva dentro. Mi fece prendere la pillola, disse che non voleva rogne.

Poi un giorno mi portò in una casa che gli aveva prestato un amico. Mentre mi scopava come un dannato, l’altro entrò. Io mi irrigidii. Pensavo fosse un errore. Ma lui mi disse di stare tranquilla. Che era tutto sotto controllo.

L’altro si spogliò in silenzio. Si unì a noi. Due cazzi su di me. Uno nella figa, uno in bocca. Poi la doppia. La prima. Mi presero insieme, come una bestia da monta. Urlai. Godetti. Sanguinai. E li volli ancora. E ancora. Diventai la loro puttana silenziosa.

Poi mi sposai. Tornai dal mio fidanzato. Lo feci mio marito. E lui, quell’uomo che aveva scoperto ogni mio buco, mi disse solo:

― Ora sei libera.

Ma non lo ero. Non davvero.

Con mio marito il sesso era... normale. Troppo normale. Non capiva la fame che mi bruciava dentro. Non mi chiedeva mai di prenderlo nel culo. Credeva che fossi ancora vergine lì. E io... io lo lasciavo credere. Ma dentro morivo.

Un giorno, senza pensarci troppo, lo chiamai.

― Ho bisogno di voi. Di te. Dell’altro. Non ce la faccio più.

Mi disse solo: vieni.

Quando arrivai, erano già nudi. Si masturbavano, pronti a devastarmi. Mi spogliai. Senza parlare. Li presi entrambi in mano. Poi con la bocca. Mi montarono a turno. Poi insieme. Doppia penetrazione, la lingua fuori, gli occhi rovesciati.

Poi... la porta si aprì.

Era mio marito. Nudo. Cazzo in tiro. Il bastardo mi aveva seguita. Oppure gliel’avevano detto loro. Forse era tutto preparato.

Mi fermai. Mi coprii.

― Pensavi di fare la troia di nascosto? Bastava dirlo.

E me lo mise in bocca.

Da quel giorno, ogni settimana, ci troviamo. I tre. A volte quattro. A volte cinque. E ogni volta finisce che non ho un buco libero. Bocca, figa, culo. Tutti pieni. Di cazzi. Di sborra. Di me.

Sono Alba.
Sono la puttana di famiglia.
E ci sto da Dio.

scritto il
2025-05-30
3 . 3 K
visite
2 7
voti
valutazione
6.3
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.