Io e mia madre due troie
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
L’ho guardata per giorni senza dire niente. La vedevo girare per casa come uno spettro ben vestito. Truccata male, con le unghie smangiate, i capelli raccolti alla cazzo. Sempre con quella vestaglia che odorava di borotalco e rimpianti.
Una donna che mi ha insegnato a camminare, ma che adesso arrancava ogni volta che parlava di lui. Di quel pezzo di merda che la lasciava lì a marcire, sola, a letto.
Un pomeriggio, mentre si sedeva sul divano a gambe chiuse come una verginella del cazzo, le ho detto:
― Ti stanno crescendo le ragnatele tra le cosce, lo sai?
Mi ha guardata come se le avessi dato uno schiaffo.
― Sei impazzita?
Mi sono avvicinata. Avevo i leggings attillati e niente mutande. Le ho fatto annusare la figa, letteralmente.
Le ho sussurrato in faccia:
― Io non sto marcendo come te. Io me lo prendo in bocca, in culo, in figa. Da uno. Da due. Da tre alla volta. E tu qui, a morire piano.
Lei tremava. Non di rabbia. Di eccitazione.
Le ho detto:
― Vieni con me. O resti qui ad asciugarti come un pezzo di pane vecchio.
Non ha risposto. Ma dopo un’ora era in macchina, truccata, con le cosce nude e la borsa stretta tra le mani come una ragazzina al primo appuntamento.
⸻
Quando siamo arrivate, i miei due amici erano già nudi. Non le hanno detto nemmeno ciao. Si sono masturbati davanti a lei, lentamente, mostrandole cosa l’aspettava.
Lei era ferma. Con le mani in grembo. Non parlava. Ma aveva gli occhi lucidi.
Mi sono spogliata davanti a lei. Mi sono piegata e ho aperto la figa con due dita, guardandola negli occhi.
― Guarda quanto gocciolo, stronza. E tu lì, con la figa secca da anni.
Le ho strappato la camicetta. Le ho slacciato il reggiseno. Gliel’ho succhiato. Lentamente. Mi sono inginocchiata e le ho tirato giù le mutande.
La figa era pelosa, ma profumava di voglia repressa.
L’ho leccata come una cagna affamata. Con la lingua profonda, sporca, gemendo come una porca.
Uno dei due si è avvicinato e le ha sbattuto il cazzo in faccia.
― Apri quella bocca, bella. Ce n’hai voglia. Si vede.
E lei, con uno sguardo da puttana svegliata dopo anni, glielo ha preso in gola. E gliel’ha succhiato come se non avesse mai fatto altro.
L’altro la scopava da dietro. Io mi infilavo due dita nella figa mentre guardavo la scena. Gemiti. Schiaffi. Urla.
L’hanno presa in doppia. Prima lei. Poi io.
Le nostre fighe spalmate di sborra e saliva, i nostri corpi incastrati mentre due cazzi ci passavano da una parte all’altra.
Le ho detto:
― Ora sei viva. Ora sei mia.
Ha annuito. Con il cazzo ancora in bocca. Gli occhi colmi di lacrime e piacere.
⸻
Alla fine ci siamo sdraiate nude, incrociate, con la pelle sporca e le gambe tremanti.
Lei mi ha guardata.
― Non pensavo mi sarebbe piaciuto così tanto.
Le ho sorriso.
― Non è finita. È solo l’inizio. La prossima volta ti faccio venire mentre mi guardi prenderlo in culo da cinque cazzi.
E tu, a leccarmi le palle mentre me lo sbattono forte.
Mi ha leccato il capezzolo. E ha sussurrato:
― Portami. Dove vuoi. Portami fino in fondo.
Una donna che mi ha insegnato a camminare, ma che adesso arrancava ogni volta che parlava di lui. Di quel pezzo di merda che la lasciava lì a marcire, sola, a letto.
Un pomeriggio, mentre si sedeva sul divano a gambe chiuse come una verginella del cazzo, le ho detto:
― Ti stanno crescendo le ragnatele tra le cosce, lo sai?
Mi ha guardata come se le avessi dato uno schiaffo.
― Sei impazzita?
Mi sono avvicinata. Avevo i leggings attillati e niente mutande. Le ho fatto annusare la figa, letteralmente.
Le ho sussurrato in faccia:
― Io non sto marcendo come te. Io me lo prendo in bocca, in culo, in figa. Da uno. Da due. Da tre alla volta. E tu qui, a morire piano.
Lei tremava. Non di rabbia. Di eccitazione.
Le ho detto:
― Vieni con me. O resti qui ad asciugarti come un pezzo di pane vecchio.
Non ha risposto. Ma dopo un’ora era in macchina, truccata, con le cosce nude e la borsa stretta tra le mani come una ragazzina al primo appuntamento.
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Quando siamo arrivate, i miei due amici erano già nudi. Non le hanno detto nemmeno ciao. Si sono masturbati davanti a lei, lentamente, mostrandole cosa l’aspettava.
Lei era ferma. Con le mani in grembo. Non parlava. Ma aveva gli occhi lucidi.
Mi sono spogliata davanti a lei. Mi sono piegata e ho aperto la figa con due dita, guardandola negli occhi.
― Guarda quanto gocciolo, stronza. E tu lì, con la figa secca da anni.
Le ho strappato la camicetta. Le ho slacciato il reggiseno. Gliel’ho succhiato. Lentamente. Mi sono inginocchiata e le ho tirato giù le mutande.
La figa era pelosa, ma profumava di voglia repressa.
L’ho leccata come una cagna affamata. Con la lingua profonda, sporca, gemendo come una porca.
Uno dei due si è avvicinato e le ha sbattuto il cazzo in faccia.
― Apri quella bocca, bella. Ce n’hai voglia. Si vede.
E lei, con uno sguardo da puttana svegliata dopo anni, glielo ha preso in gola. E gliel’ha succhiato come se non avesse mai fatto altro.
L’altro la scopava da dietro. Io mi infilavo due dita nella figa mentre guardavo la scena. Gemiti. Schiaffi. Urla.
L’hanno presa in doppia. Prima lei. Poi io.
Le nostre fighe spalmate di sborra e saliva, i nostri corpi incastrati mentre due cazzi ci passavano da una parte all’altra.
Le ho detto:
― Ora sei viva. Ora sei mia.
Ha annuito. Con il cazzo ancora in bocca. Gli occhi colmi di lacrime e piacere.
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Alla fine ci siamo sdraiate nude, incrociate, con la pelle sporca e le gambe tremanti.
Lei mi ha guardata.
― Non pensavo mi sarebbe piaciuto così tanto.
Le ho sorriso.
― Non è finita. È solo l’inizio. La prossima volta ti faccio venire mentre mi guardi prenderlo in culo da cinque cazzi.
E tu, a leccarmi le palle mentre me lo sbattono forte.
Mi ha leccato il capezzolo. E ha sussurrato:
― Portami. Dove vuoi. Portami fino in fondo.
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