Io e mia madre l’orgia
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
Quando gliel’ho detto, ha sbiancato.
― Dieci?
Io ho riso.
― Dieci cazzi veri. Duri. Pronti. Per te. Per noi.
Eravamo nude sul letto, ancora sporche di sperma secco e saliva, le cosce incollate, le dita intrecciate. Lei ha scosso la testa, ma la bocca le tremava. Non era paura. Era fame.
⸻
La villa era fuori città. Isolata. Cancello automatico, piscina vuota, odore di cloro e sesso nei muri.
Loro erano già lì. Dieci uomini. Alcuni li conoscevo. Altri no. Nessuno giovane. Tutti sopra i quaranta, qualcuno oltre i sessanta. Cazzi grossi, mani callose, sguardi da predatori.
Lei entrò per prima. Tacchi. Calze autoreggenti. Camicetta trasparente e niente reggiseno. La figa rasata l’avevo pretesa io. Gliel’avevo fatta io. Con la lametta e la lingua.
Io la seguivo. Stivaletti, minigonna, capezzoli tesi sotto una maglia tagliata col coltello.
Appena chiusero la porta, si fece silenzio.
Un attimo.
Poi esplose il branco.
Mani ovunque. Ci strapparono i vestiti. Ci sollevarono. Una sul tavolo, l’altra sul divano. Le bocche aperte, i corpi offerti.
Due cazzi in faccia, uno per lato. Io li leccavo entrambi, li facevo toccare tra loro con la lingua. Lei li prendeva in gola, uno dopo l’altro, come se fosse nata per quello.
Uno le allargava le chiappe e le sputava sul buco del culo. Un altro glielo spingeva in figa fino alle ovaie. E lei gemeva, ansimava, lo voleva tutto. TUTTO.
Mi chinai su di lei. Le aprii le labbra della figa. Gocciava come una fontana rotta. Le infilai la lingua mentre un cazzo le spingeva dentro il culo.
Aveva due cazzi nei buchi e la mia lingua in mezzo. E urlava il mio nome.
Io venni mentre uno mi scopava in piedi tenendomi per la gola.
Il suo amico mi riempiva la bocca e mi diceva:
― Fai la brava, porca. Ingoia tutto o ti piscio in faccia.
Ingoiai. Tutto. Leccai anche le dita.
⸻
Il tempo si perse. Divenne una giostra. Figa, culo, bocca. Uno dietro l’altro. Tre alla volta. Poi cinque. Poi sette insieme.
Due la tenevano per le braccia mentre le venivano sul petto. Uno la prendeva da dietro. Uno le pisciava sulle cosce. Lei rideva. Si toccava. Diceva:
― Ancora. Ancora, cazzo. Datemeli tutti.
Io le cavalcavo la faccia mentre uno mi stringeva le chiappe e mi riempiva di botte e sborra.
Alla fine eravamo in ginocchio. In due. Coperte. Grondanti. I seni lucidi. La pelle appiccicata. Il pavimento bagnato. Le bocche aperte, le lingue fuori, in attesa delle ultime gocce.
Uno si è avvicinato. Ci ha dato una sberla sul culo a testa.
― Siete due troie perfette. Dovreste essere nostre ogni settimana.
Ci siamo guardate.
Abbiamo annuito. E insieme abbiamo risposto:
― Allora fissiamo già la prossima data.
― Dieci?
Io ho riso.
― Dieci cazzi veri. Duri. Pronti. Per te. Per noi.
Eravamo nude sul letto, ancora sporche di sperma secco e saliva, le cosce incollate, le dita intrecciate. Lei ha scosso la testa, ma la bocca le tremava. Non era paura. Era fame.
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La villa era fuori città. Isolata. Cancello automatico, piscina vuota, odore di cloro e sesso nei muri.
Loro erano già lì. Dieci uomini. Alcuni li conoscevo. Altri no. Nessuno giovane. Tutti sopra i quaranta, qualcuno oltre i sessanta. Cazzi grossi, mani callose, sguardi da predatori.
Lei entrò per prima. Tacchi. Calze autoreggenti. Camicetta trasparente e niente reggiseno. La figa rasata l’avevo pretesa io. Gliel’avevo fatta io. Con la lametta e la lingua.
Io la seguivo. Stivaletti, minigonna, capezzoli tesi sotto una maglia tagliata col coltello.
Appena chiusero la porta, si fece silenzio.
Un attimo.
Poi esplose il branco.
Mani ovunque. Ci strapparono i vestiti. Ci sollevarono. Una sul tavolo, l’altra sul divano. Le bocche aperte, i corpi offerti.
Due cazzi in faccia, uno per lato. Io li leccavo entrambi, li facevo toccare tra loro con la lingua. Lei li prendeva in gola, uno dopo l’altro, come se fosse nata per quello.
Uno le allargava le chiappe e le sputava sul buco del culo. Un altro glielo spingeva in figa fino alle ovaie. E lei gemeva, ansimava, lo voleva tutto. TUTTO.
Mi chinai su di lei. Le aprii le labbra della figa. Gocciava come una fontana rotta. Le infilai la lingua mentre un cazzo le spingeva dentro il culo.
Aveva due cazzi nei buchi e la mia lingua in mezzo. E urlava il mio nome.
Io venni mentre uno mi scopava in piedi tenendomi per la gola.
Il suo amico mi riempiva la bocca e mi diceva:
― Fai la brava, porca. Ingoia tutto o ti piscio in faccia.
Ingoiai. Tutto. Leccai anche le dita.
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Il tempo si perse. Divenne una giostra. Figa, culo, bocca. Uno dietro l’altro. Tre alla volta. Poi cinque. Poi sette insieme.
Due la tenevano per le braccia mentre le venivano sul petto. Uno la prendeva da dietro. Uno le pisciava sulle cosce. Lei rideva. Si toccava. Diceva:
― Ancora. Ancora, cazzo. Datemeli tutti.
Io le cavalcavo la faccia mentre uno mi stringeva le chiappe e mi riempiva di botte e sborra.
Alla fine eravamo in ginocchio. In due. Coperte. Grondanti. I seni lucidi. La pelle appiccicata. Il pavimento bagnato. Le bocche aperte, le lingue fuori, in attesa delle ultime gocce.
Uno si è avvicinato. Ci ha dato una sberla sul culo a testa.
― Siete due troie perfette. Dovreste essere nostre ogni settimana.
Ci siamo guardate.
Abbiamo annuito. E insieme abbiamo risposto:
― Allora fissiamo già la prossima data.
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