Mia cugina: Parte 7
di
Catartico
genere
incesti
Qualche giorno dopo sono all'azienda vinicola insieme a un mio cliente che vuole investire proprio qui. Mia cugina ci porta a visitare le cantine e i filari d’uva mentre parla al cliente. Dopo un po' ci raggiunge il nonno di Ilaria, il proprietario. Si mette a parlare della storia dell'azienda, dei vini, della terra. Poi discute con il cliente dell'investimento davanti a un bottiglia di vino sotto un albero di ulivo.
Io e mia cugina li lasciamo da soli e ritorniamo verso l'azienda. Seguiamo un sentiero tra i filari d’uva finché Sarah mi ferma per un braccio.
— Hai deciso? — chiede.
— Cosa?
— Con Ilaria. Hai deciso?
— Non le ho dato una risposta, ma… — Mi interrompo per un attimo. — Credo che l’abbia interpretato come un no.
— Non lo è?
Distolgo lo sguardo. Non rispondo.
— Siamo cugini — dice Sarah. — Non avrei mai pensato di provare qualcosa per te. Ma non è sbagliato?
— Non lo so.
— Lo è, ma…
— Non m’interessa se sia giusto o sbagliato. Anch’io provo qualcosa per te.
— Forse è passeggero — dice.
— Forse.
— E se lo fosse? Se invece fosse solo sesso? Cosa dovremmo fare?
Sospiro. — Non lo so.
— Tu non sai mai niente.
— Infatti. Non so mai niente. — La guardo. — Ma quello che so è che provo qualcosa per te. Amore? Molto probabile. Di questo ne sono sicuro.
— Ma non sai se sia realmente amore o attrazione fisica. Lo stesso vale per me.
— Siamo di nuovo al punto di partenza.
Mia cugina osserva il cielo limpido. — Quando ero alle medie, un mio amico si dichiarò a me. Mi scrisse una lettera. Nulla di speciale. ‘Mi piaci dal primo giorno di scuola. Vuoi essere la mia ragazza?’. Ricordo ancora le parole. Se ci pensi, sembra scritto da un bambino delle elementari, non da un tredicenne. — Abbassa lo sguardo su di me. — Mi piaceva, quindi ci siamo messi insieme anche se lo conoscevo poco. Dopo la scuola ci vedevamo al parco e la sera di nuovo lì. Mi piaceva esteriormente, ma… Come dire, era troppo infantile. Qualche giorno dopo l’ho mollato. E lui si è messo con la mia amica il giorno dopo.
— Non ti seguo — rispondo. — Dove vuoi arrivare?
— Diceva di amarmi, ma non mi amava. Voleva solo stare con me per… Hai capito. Non è mai successo nulla, ovviamente. Ma nel frattempo avevo scoperto che gli piaceva anche la mia amica. Forse è stato un caso, non lo so. Quella lettera non l’ho ricevuta solo io. Quel giorno la mia amica non è venuta a scuola. Ma se fosse venuta, l'avrebbe ricevuta anche lei. — Mi fissa intensamente. — Quello che voglio dire è che forse tu sei come quel ragazzo. Hai un piede in due scarpe. Penso di amarmi, ma in realtà ami un’altra. Oppure non ami nessuna delle due e stai aspettando chi ti molla prima. E la prima a farlo è stata Ilaria.
Scuoto la testa con un sorriso nervoso. — Pensi davvero che io sia come quel ragazzino? Che ami così superficialmente?
Mia cugina solleva le spalle. — Non posso saperlo. Lo sai solo tu.
— Appunto. Lo so solo io.
— Se lo sai, allora perché non hai deciso?
Ci guardiamo per un momento.
Mia cugina riprende a camminare lungo il sentiero tra i filari d’uva.
Forse ha ragione. Sono simile a quel suo amico idiota delle medie.
Passa un mese. Non ho più visto né Ilaria né mia cugina. Ho passato il cliente interessato a investire nell’azienda vinicola a un collega in cambio di un altro cliente della stessa caratura. Non mi andava di rivedere mia cugina. So che le cose tra noi non possono funzionare. Finiremo solo per soffrire. Non importa se ci amiamo per davvero, le cose diventeranno solo complicate e daremo un dispiacere ai nostri.
La mia assistente bussa alla porta del mio ufficio ed entra. — Il suo caffè.
— Grazie. Lascialo qui.
Lo posa sulla scrivania. — Signor Valeriano…
— Sì?
— Le andrebbe di cenare con me stasera?
Mi acciglio confuso. — Una cena?
Distoglie lo sguardo, le mani incrociate sul grembo. — Sì, qualcosa di…
— Non penso sia una buona idea.
— Ah…
Cala il silenzio per un momento.
Abbasso gli occhi sui documenti. — Se non hai nulla da…
— Mi scusi — risponde remissiva.
— Mmh. Puoi andare.
Non si muove.
La guardo. — C’è qualcos'altro?
— Posso sapere il motivo?
— Di cosa?
— Di tutti i rifiuti.
— Penso tu lo sappia già.
— No, non lo so.
— Hai diciotto anni.
— Sono maggiorenne.
Sospiro. — Sono troppo vecchio per te.
— Dodici anni non sono tanti.
— Lo sono.
— Signor Valeriano…
— Ascoltami. In ufficio ci sono molti bravi ragazzi. Perché non esci con uno di loro?
Mi fissa intensamente. — A me piace lei.
Riabbasso lo sguardo sui documenti. Non rispondo.
— Solo una cena.
— Non posso.
— Solo una, poi non le verrò più dietro.
La guardo. — Non lo farai?
— Non lo farò.
Qualche ora dopo sono seduto in un semplice ristorante a conduzione familiare. È un posto semplice, senza fronzoli. Nell’aria c'è odore di fritto e carne arrosto.
La mia assistente si presenta da me con un corto vestitino nero che le risalta la seconda di seno, il sedere piccolo e tondo. Troppo elegante e fuori contesto con il luogo. La maggior parte dei clienti, famiglie perlopiù, si voltano a guardarla. I padri la fissano assatanati. Le mogli schifate.
Guardo la mia assistente. — Ti avevo detto di mettere qualcosa di semplice.
— Ho esagerato? — risponde con finto dispiacere, una mano sulla bocca.
— Credo sia meglio spostarci in fondo.
— Perché?
— Ti stanno guardando tutti.
— Che importa.
Il cameriere si avvicina per prendere l'ordinazione.
— È possibile cambiare tavolo? — domando.
— Certo. Laggiù c'è un tavolo libero.
Andiamo a sedersi in un angolo appartato del ristorante. Le donne continuano a guardarla con occhio critico e gli uomini ancora più assatanati. Il cameriere prende le nostre ordinazioni e si allontana.
— Non dovevamo cambiare tavolo — dice la mia assistente.
— Non mi piace essere al centro dell'attenzione.
— Ma era me che guardavano.
— Ti piace?
— Cosa?
— Essere guardata? O meglio, desiderata?
Lei mi fissa per un momento. Sembra perplessa e sorpresa. — Dipende da chi mi guarda. Se è una persona che mi piace come lei, allora sì.
— Capisco. Sei molto diretta.
— A lei non piace nemmeno essere guardato da chi le piace?
— No. Comunque dammi del tu.
Distoglie lo sguardo. — Mi riesce difficile.
— Allora continuerò a ripeterlo finché non lo farai. Questa è la ventesima volta, giusto?
— Ventisettesima.
— Ah, le conti anche.
— Sì…
Il cameriere torna con le nostre ordinazioni. Posa i piatti sul tavolo, ci augura una buona cena e va via.
Cominciamo a mangiare.
— Come mai la carbonara? — domando.
— È uno dei miei piatti preferiti. Non la mangio da tanto. Credo mesi.
— Così tanto? Come mai?
— Beh, non cucino. Mangio solo cibo istantaneo.
— E sei… Voglio dire, sei molto magra. Pensavo seguissi una dieta.
La mia assistente fa un sorrisino. — Non riuscirei mai a seguire una dieta. Mangio quello che capita.
— Hai un metabolismo veloce.
— Forse. Non lo so.
Mangiamo in silenzio per un po'.
Lei lancia uno sguardo sul mio piatto. — Insalata e bistecca di maiale. Come mai?
— È la prima cosa che ho visto nel menù.
— Ah, è andato a caso.
— Sì, non sono mai venuto qui. In realtà, non frequento ristoranti.
La mia assistente beve un sorso d'acqua in modo sofisticato. — Frequenta ristoranti più prestigiosi?
— No, nemmeno quelli.
— Capisco. La facevo tipo da ristoranti lussuosi.
Sorrido. — Credo tu mi abbia inquadrato male.
— Dice? — risponde come se in realtà stesse fingendo di non sapere nulla su di me.
Bevo un sorso di vino. — Ti ho portata qui. Dovevi già capirlo che non sono avvezzo ai ristoranti.
— In realtà credevo che volesse sbrigarsi a cenare con me per togliermi dai piedi. E portarmi qui mi avrebbe incentivato a non invitarla più. Sbaglio?
Smorzo un sorriso divertito. — Non sono così furbo. Questo è il primo ristorante che mi è venuto in mente. Dopotutto, non sono mai venuto qui. E poi hai detto tu stessa che dopo questa cena non avresti più cercato di…
— Forse dovrò rimangiarmi la parola — dice lei con finto dispiacere. — Mi dispiace tanto.
— Non mi sorprende. Sapevo che avresti fatto così.
— Se lo sapeva perché ha accettato?
La guardo negli occhi. — Per farti vedere che sono un uomo noioso. Sono a un buon punto, vero?
Non risponde.
Mastico con un sorriso. — Lo prendo come un sì.
Dopo cena facciamo una passeggiata in centro, i lampioni e i neon dei negozi che illuminano la strada affollata e chiassosa.
La mia assistente mi guarda. — Prima mi ha detto che lei è un uomo noioso.
— Sì.
— Non la trovo noioso.
— Anche se sono il tuo capo, non c'è bisogno di mentire. Non ti tratterò diversamente per via della tua opinione.
— Si sbaglia. In realtà non so come inquadrarla. Mi sembra un uomo… come dire, ambiguo.
— Beh, forse lo sono.
— Non so nulla di lei. Anche gli altri in ufficio non sanno nulla.
La guardo mentre cammino. — Come detto in precedenza, non mi piace essere al centro dell'attenzione.
— Nemmeno parlare di lei?
— Neanche questo.
Fa un sorrisino come se mi stesse testando. — Cosa le piace?
— Non saprei.
— Non c'è nulla che le piace?
Alzo le spalle.
Lei mi fissa incuriosita. Non parla.
Proseguiamo in silenzio per un po' e ci fermiamo davanti a una gelateria.
— Ti va un gelato? — domando.
La mia assistente annuisce.
Entriamo dentro, compro due gelati e usciamo. Ritorniamo a camminare tra la gente.
— Le devo chiedere scusa — dice la mia assistente.
— Per cosa?
— Non posso mantenere la promessa. Vorrei rivederla.
Mi fermo a guardarla. — Non ci sarà una prossima volta.
— Possiamo uscire come amici.
— Mi andrebbe bene, ma tu non mi vedi come un amico.
Mi fissa intensamente per un momento. Non risponde. Torna a camminare.
L’affianco. — Spero tu capisca.
— Non le piaccio per niente, vero? — chiede lei quasi in un sussurro come se le pesasse aver detto ciò.
— In realtà mi piaci. Sei una donna molto carina. Sei sveglia, intelligente e… Come dire, troppo piccola per me.
— Se avessi avuto la sua età? — chiede.
— Ci avrei pensato.
— Quindi è solo per l’età?
— Stare con un uomo come me non fa per te. Hai bisogno di stare con qualcuno della tua età.
Mi guarda. — L’età è solo un numero. Se devo essere sincera, lei dimostra a malapena pena trent'anni. Gliene darei ventidue, non di più.
— Anche tu non dimostri diciott'anni, ma sedici.
— Ah… Beh, non è l’unico. Anche in ufficio me l’hanno detto.
Camminiamo a lungo in silenzio. Mi sembra essersi incupita parecchio. Non so proprio cosa dirle.
La mia assistente si ferma a un incrocio e mi guarda. — Si è fatto tardi. Torno a casa. Grazie per la serata. Mi sono divertita.
Divertita? Non credo proprio. — Ti accompagno?
— No, non serve. Abito nei paraggi.
— Capisco.
— Posso chiederle una cosa?
— Sì, dimmi.
— Un bacio.
Mi acciglio turbato. — Un bacio?
— Un bacio. Un vero bacio. Solo uno.
— È una richiesta strana la tua.
Mi fissa. — Non voglio rimpianti. Le chiedo solo questo.
Mi gratto dietro la testa per il nervoso. — Beh…
Si avvicina al mio viso. — Posso?
La guardo. Sento il suo profumo che mi avvolge. — Va bene.
Mi bacia ancora prima di finire la frase, le braccia serrate attorno alle mie spalle, le dita nei miei capelli ricci. Le sue labbra divorano le mie per un pezzo. Non riesco a staccarmi e ho il pene durissimo. Tutto ciò che ho pensato sull'età è svanito di colpo. Se mi chiedesse di farlo, lo farei seduta stante.
La mia assistente si stacca da me e mi fissa negli occhi con un sorriso felice. — Grazie. Buonanotte.
— ‘Notte... Fa’ attenzione.
La guardo attraversare le strisce pedonali e sparire dietro l'angolo di un palazzo. Si è rassegnata oppure no?
Io e mia cugina li lasciamo da soli e ritorniamo verso l'azienda. Seguiamo un sentiero tra i filari d’uva finché Sarah mi ferma per un braccio.
— Hai deciso? — chiede.
— Cosa?
— Con Ilaria. Hai deciso?
— Non le ho dato una risposta, ma… — Mi interrompo per un attimo. — Credo che l’abbia interpretato come un no.
— Non lo è?
Distolgo lo sguardo. Non rispondo.
— Siamo cugini — dice Sarah. — Non avrei mai pensato di provare qualcosa per te. Ma non è sbagliato?
— Non lo so.
— Lo è, ma…
— Non m’interessa se sia giusto o sbagliato. Anch’io provo qualcosa per te.
— Forse è passeggero — dice.
— Forse.
— E se lo fosse? Se invece fosse solo sesso? Cosa dovremmo fare?
Sospiro. — Non lo so.
— Tu non sai mai niente.
— Infatti. Non so mai niente. — La guardo. — Ma quello che so è che provo qualcosa per te. Amore? Molto probabile. Di questo ne sono sicuro.
— Ma non sai se sia realmente amore o attrazione fisica. Lo stesso vale per me.
— Siamo di nuovo al punto di partenza.
Mia cugina osserva il cielo limpido. — Quando ero alle medie, un mio amico si dichiarò a me. Mi scrisse una lettera. Nulla di speciale. ‘Mi piaci dal primo giorno di scuola. Vuoi essere la mia ragazza?’. Ricordo ancora le parole. Se ci pensi, sembra scritto da un bambino delle elementari, non da un tredicenne. — Abbassa lo sguardo su di me. — Mi piaceva, quindi ci siamo messi insieme anche se lo conoscevo poco. Dopo la scuola ci vedevamo al parco e la sera di nuovo lì. Mi piaceva esteriormente, ma… Come dire, era troppo infantile. Qualche giorno dopo l’ho mollato. E lui si è messo con la mia amica il giorno dopo.
— Non ti seguo — rispondo. — Dove vuoi arrivare?
— Diceva di amarmi, ma non mi amava. Voleva solo stare con me per… Hai capito. Non è mai successo nulla, ovviamente. Ma nel frattempo avevo scoperto che gli piaceva anche la mia amica. Forse è stato un caso, non lo so. Quella lettera non l’ho ricevuta solo io. Quel giorno la mia amica non è venuta a scuola. Ma se fosse venuta, l'avrebbe ricevuta anche lei. — Mi fissa intensamente. — Quello che voglio dire è che forse tu sei come quel ragazzo. Hai un piede in due scarpe. Penso di amarmi, ma in realtà ami un’altra. Oppure non ami nessuna delle due e stai aspettando chi ti molla prima. E la prima a farlo è stata Ilaria.
Scuoto la testa con un sorriso nervoso. — Pensi davvero che io sia come quel ragazzino? Che ami così superficialmente?
Mia cugina solleva le spalle. — Non posso saperlo. Lo sai solo tu.
— Appunto. Lo so solo io.
— Se lo sai, allora perché non hai deciso?
Ci guardiamo per un momento.
Mia cugina riprende a camminare lungo il sentiero tra i filari d’uva.
Forse ha ragione. Sono simile a quel suo amico idiota delle medie.
Passa un mese. Non ho più visto né Ilaria né mia cugina. Ho passato il cliente interessato a investire nell’azienda vinicola a un collega in cambio di un altro cliente della stessa caratura. Non mi andava di rivedere mia cugina. So che le cose tra noi non possono funzionare. Finiremo solo per soffrire. Non importa se ci amiamo per davvero, le cose diventeranno solo complicate e daremo un dispiacere ai nostri.
La mia assistente bussa alla porta del mio ufficio ed entra. — Il suo caffè.
— Grazie. Lascialo qui.
Lo posa sulla scrivania. — Signor Valeriano…
— Sì?
— Le andrebbe di cenare con me stasera?
Mi acciglio confuso. — Una cena?
Distoglie lo sguardo, le mani incrociate sul grembo. — Sì, qualcosa di…
— Non penso sia una buona idea.
— Ah…
Cala il silenzio per un momento.
Abbasso gli occhi sui documenti. — Se non hai nulla da…
— Mi scusi — risponde remissiva.
— Mmh. Puoi andare.
Non si muove.
La guardo. — C’è qualcos'altro?
— Posso sapere il motivo?
— Di cosa?
— Di tutti i rifiuti.
— Penso tu lo sappia già.
— No, non lo so.
— Hai diciotto anni.
— Sono maggiorenne.
Sospiro. — Sono troppo vecchio per te.
— Dodici anni non sono tanti.
— Lo sono.
— Signor Valeriano…
— Ascoltami. In ufficio ci sono molti bravi ragazzi. Perché non esci con uno di loro?
Mi fissa intensamente. — A me piace lei.
Riabbasso lo sguardo sui documenti. Non rispondo.
— Solo una cena.
— Non posso.
— Solo una, poi non le verrò più dietro.
La guardo. — Non lo farai?
— Non lo farò.
Qualche ora dopo sono seduto in un semplice ristorante a conduzione familiare. È un posto semplice, senza fronzoli. Nell’aria c'è odore di fritto e carne arrosto.
La mia assistente si presenta da me con un corto vestitino nero che le risalta la seconda di seno, il sedere piccolo e tondo. Troppo elegante e fuori contesto con il luogo. La maggior parte dei clienti, famiglie perlopiù, si voltano a guardarla. I padri la fissano assatanati. Le mogli schifate.
Guardo la mia assistente. — Ti avevo detto di mettere qualcosa di semplice.
— Ho esagerato? — risponde con finto dispiacere, una mano sulla bocca.
— Credo sia meglio spostarci in fondo.
— Perché?
— Ti stanno guardando tutti.
— Che importa.
Il cameriere si avvicina per prendere l'ordinazione.
— È possibile cambiare tavolo? — domando.
— Certo. Laggiù c'è un tavolo libero.
Andiamo a sedersi in un angolo appartato del ristorante. Le donne continuano a guardarla con occhio critico e gli uomini ancora più assatanati. Il cameriere prende le nostre ordinazioni e si allontana.
— Non dovevamo cambiare tavolo — dice la mia assistente.
— Non mi piace essere al centro dell'attenzione.
— Ma era me che guardavano.
— Ti piace?
— Cosa?
— Essere guardata? O meglio, desiderata?
Lei mi fissa per un momento. Sembra perplessa e sorpresa. — Dipende da chi mi guarda. Se è una persona che mi piace come lei, allora sì.
— Capisco. Sei molto diretta.
— A lei non piace nemmeno essere guardato da chi le piace?
— No. Comunque dammi del tu.
Distoglie lo sguardo. — Mi riesce difficile.
— Allora continuerò a ripeterlo finché non lo farai. Questa è la ventesima volta, giusto?
— Ventisettesima.
— Ah, le conti anche.
— Sì…
Il cameriere torna con le nostre ordinazioni. Posa i piatti sul tavolo, ci augura una buona cena e va via.
Cominciamo a mangiare.
— Come mai la carbonara? — domando.
— È uno dei miei piatti preferiti. Non la mangio da tanto. Credo mesi.
— Così tanto? Come mai?
— Beh, non cucino. Mangio solo cibo istantaneo.
— E sei… Voglio dire, sei molto magra. Pensavo seguissi una dieta.
La mia assistente fa un sorrisino. — Non riuscirei mai a seguire una dieta. Mangio quello che capita.
— Hai un metabolismo veloce.
— Forse. Non lo so.
Mangiamo in silenzio per un po'.
Lei lancia uno sguardo sul mio piatto. — Insalata e bistecca di maiale. Come mai?
— È la prima cosa che ho visto nel menù.
— Ah, è andato a caso.
— Sì, non sono mai venuto qui. In realtà, non frequento ristoranti.
La mia assistente beve un sorso d'acqua in modo sofisticato. — Frequenta ristoranti più prestigiosi?
— No, nemmeno quelli.
— Capisco. La facevo tipo da ristoranti lussuosi.
Sorrido. — Credo tu mi abbia inquadrato male.
— Dice? — risponde come se in realtà stesse fingendo di non sapere nulla su di me.
Bevo un sorso di vino. — Ti ho portata qui. Dovevi già capirlo che non sono avvezzo ai ristoranti.
— In realtà credevo che volesse sbrigarsi a cenare con me per togliermi dai piedi. E portarmi qui mi avrebbe incentivato a non invitarla più. Sbaglio?
Smorzo un sorriso divertito. — Non sono così furbo. Questo è il primo ristorante che mi è venuto in mente. Dopotutto, non sono mai venuto qui. E poi hai detto tu stessa che dopo questa cena non avresti più cercato di…
— Forse dovrò rimangiarmi la parola — dice lei con finto dispiacere. — Mi dispiace tanto.
— Non mi sorprende. Sapevo che avresti fatto così.
— Se lo sapeva perché ha accettato?
La guardo negli occhi. — Per farti vedere che sono un uomo noioso. Sono a un buon punto, vero?
Non risponde.
Mastico con un sorriso. — Lo prendo come un sì.
Dopo cena facciamo una passeggiata in centro, i lampioni e i neon dei negozi che illuminano la strada affollata e chiassosa.
La mia assistente mi guarda. — Prima mi ha detto che lei è un uomo noioso.
— Sì.
— Non la trovo noioso.
— Anche se sono il tuo capo, non c'è bisogno di mentire. Non ti tratterò diversamente per via della tua opinione.
— Si sbaglia. In realtà non so come inquadrarla. Mi sembra un uomo… come dire, ambiguo.
— Beh, forse lo sono.
— Non so nulla di lei. Anche gli altri in ufficio non sanno nulla.
La guardo mentre cammino. — Come detto in precedenza, non mi piace essere al centro dell'attenzione.
— Nemmeno parlare di lei?
— Neanche questo.
Fa un sorrisino come se mi stesse testando. — Cosa le piace?
— Non saprei.
— Non c'è nulla che le piace?
Alzo le spalle.
Lei mi fissa incuriosita. Non parla.
Proseguiamo in silenzio per un po' e ci fermiamo davanti a una gelateria.
— Ti va un gelato? — domando.
La mia assistente annuisce.
Entriamo dentro, compro due gelati e usciamo. Ritorniamo a camminare tra la gente.
— Le devo chiedere scusa — dice la mia assistente.
— Per cosa?
— Non posso mantenere la promessa. Vorrei rivederla.
Mi fermo a guardarla. — Non ci sarà una prossima volta.
— Possiamo uscire come amici.
— Mi andrebbe bene, ma tu non mi vedi come un amico.
Mi fissa intensamente per un momento. Non risponde. Torna a camminare.
L’affianco. — Spero tu capisca.
— Non le piaccio per niente, vero? — chiede lei quasi in un sussurro come se le pesasse aver detto ciò.
— In realtà mi piaci. Sei una donna molto carina. Sei sveglia, intelligente e… Come dire, troppo piccola per me.
— Se avessi avuto la sua età? — chiede.
— Ci avrei pensato.
— Quindi è solo per l’età?
— Stare con un uomo come me non fa per te. Hai bisogno di stare con qualcuno della tua età.
Mi guarda. — L’età è solo un numero. Se devo essere sincera, lei dimostra a malapena pena trent'anni. Gliene darei ventidue, non di più.
— Anche tu non dimostri diciott'anni, ma sedici.
— Ah… Beh, non è l’unico. Anche in ufficio me l’hanno detto.
Camminiamo a lungo in silenzio. Mi sembra essersi incupita parecchio. Non so proprio cosa dirle.
La mia assistente si ferma a un incrocio e mi guarda. — Si è fatto tardi. Torno a casa. Grazie per la serata. Mi sono divertita.
Divertita? Non credo proprio. — Ti accompagno?
— No, non serve. Abito nei paraggi.
— Capisco.
— Posso chiederle una cosa?
— Sì, dimmi.
— Un bacio.
Mi acciglio turbato. — Un bacio?
— Un bacio. Un vero bacio. Solo uno.
— È una richiesta strana la tua.
Mi fissa. — Non voglio rimpianti. Le chiedo solo questo.
Mi gratto dietro la testa per il nervoso. — Beh…
Si avvicina al mio viso. — Posso?
La guardo. Sento il suo profumo che mi avvolge. — Va bene.
Mi bacia ancora prima di finire la frase, le braccia serrate attorno alle mie spalle, le dita nei miei capelli ricci. Le sue labbra divorano le mie per un pezzo. Non riesco a staccarmi e ho il pene durissimo. Tutto ciò che ho pensato sull'età è svanito di colpo. Se mi chiedesse di farlo, lo farei seduta stante.
La mia assistente si stacca da me e mi fissa negli occhi con un sorriso felice. — Grazie. Buonanotte.
— ‘Notte... Fa’ attenzione.
La guardo attraversare le strisce pedonali e sparire dietro l'angolo di un palazzo. Si è rassegnata oppure no?
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