Canzoni #5
di
RunningRiot
genere
etero
- Ho fatto roba...
Gaia ridacchia, come sempre, mentre strette tra noi ci lasciamo alle spalle la musica e facciamo risuonare i tacchi a passo veloce verso la mia macchina.
- L'avevo immaginato - le dico ridendo - com'è stato?
- Niente di speciale - risponde - una sveltina in bagno.
- E certo... - convengo.
- Beh, era quello che cercavo.
Saliamo in macchina, la sua mini risale scoprendo completamente le sue cosce piene e un accenno di mutandine. Per un attimo la invidio, mi sono stufata di non mettermi zoccola quanto vorrei quando esco la sera con le amiche. Le mie gambe, tra l’altro, sono molto più belle delle sue, è un dato oggettivo. Metto in moto. Sono sicura che abbia ancora qualcosa da raccontare, altrimenti mi avrebbe già domandato "e tu?". Lei si interessa delle avventure altrui solo una volta che ha finito di decantare le proprie, è fatta così, ma le voglio bene lo stesso.
- Sarà durato un minuto - sbotta - cazzo, tutto sto casino... e un minuto per riempire un preservativo.
- Beh, se glielo facevi togliere e gli dicevi di venirti in bocca ti divertivi di più - rispondo.
- Non mi pare questo il punto, Annalì - dice dopo avermi lanciato un'occhiata in tralice.
Mi metto a ridere, come faccio sempre quando qualcuno prende sul serio una mia enormità. Gaia capisce di avere abboccato, ride anche lei. E sempre ridendo scuote la testa e ripete "un minuto, cazzo, un minuto a dire tanto...".
- E tu? - domanda finalmente.
- Io nulla - rispondo.
- Nulla? - mi guarda stupita - Dici sul serio? Bada che se fai un pompino a qualcuno mica glielo vado a raccontare a Andrea.
- Un pompino, eh?
- O anche peggio - risponde.
- E chi ti dice che non abbia fatto di peggio? - le dico con un sorrisino ambiguo.
- Ma quindi "nulla" o "peggio"? - chiede ancora.
Ok, la risposta è "peggio", ma non nel senso che intende lei.
*****
Era un sacco che non venivamo in questo posto, dove la musica è abbastanza alta da costringerti a parlare all'orecchio mentre ti scoli il tuo drink. E dove puoi scatenarti nella techno oppure restare seduta a farti guardare. Ce ne erano tre che mi guardavano con una certa insistenza, li ho notati praticamente subito.
Grazie lo stesso, ma no. Avevo già fatto la mia scelta. Non è che dica sempre bene, è ovvio, ma essere una che può permettersi di scegliere aiuta, e non poco.
Camicia tra il blu scuro e il nero - difficile dirlo con quelle luci e a quella distanza - alto come piace a me, figura complessivamente slanciata e tonica. Era appoggiato al bancone con un amico, guardava dappertutto tranne che nella direzione giusta, la mia. Così mi sono alzata e ho camminato verso di loro e gli sono passata davanti evitando di sculettare eccessivamente. Ho letteralmente sentito il suo sguardo addosso, centimetro per centimetro, mentre ordinavo un vodka tonic. Ma sono stata anche fortunata, perché un tipo da niente si è avvicinato chiedendomi se il drink me lo poteva offrire lui. L'ho ostentatamente ignorato, cogliendo al volo la scusa per voltarmi dall'altra parte, il mio sguardo e quello di camicia blu (era blu, non nera) si sono incrociati. Una frazione di secondo più del lecito, ecco il timing perfetto. E un sorriso invisibile, di quelli che si vedono solo dentro gli occhi e che colgono solo i più meritevoli.
È bastato per avere la conferma di ciò che avevo visto mentre ero ancora al mio tavolo. Una bellezza cinematografica e, sotto i vestiti, dei muscoli da nuotatore, solidi, definiti e allungati. Un sorriso alquanto demoniaco. E poi le mani, stupende. Di quelle che vuoi non solo sentire ma anche guardare mentre ti spogliano e tracciano sentieri sul tuo corpo nudo. Per un istante ho pensato "ma forse è gay": mi pareva impossibile che ai suoi piedi non ci fosse già una piccola catasta di sgualdrinelle semisvenute.
Mi sono allontanata con il bicchiere in mano, iniziando a dondolare man mano che mi avvicinavo alla gente che ballava. Ce n'era più del solito stasera, ma era come se in quel momento lì dentro ci fossimo solo io e lui. Lui, ci avrei scommesso, con gli occhi piantati sul mio culo e ormai poco interessato alla conversazione con il suo amico.
Sono restata qualche secondo così, ai margini della calca. Mi sono voltata e ho guardato nella sua direzione mentre sorseggiavo il vodka tonic, poi gli ho dato le spalle e ho cominciato a ballare. Mi sono trasformata in preda.
È sempre il momento più delicato perché, fortuna o sfortuna che sia, attiro i rompicazzo, ma grazie a Dio non ho dovuto aspettare molto. E mi è piaciuto il fatto che si sia avvicinato tenendo anche lui un bicchiere in mano. Siamo rimasti per un po' così, a muoverci piano e a scambiarci sorrisi moderati, senza cercare di parlare. Gli ho preso il bicchiere e ho assaggiato il suo drink guardandolo negli occhi, e quando si è avvicinato al mio orecchio per chiedere il mio nome gli ho risposto "Annalisa", senza domandare il suo. Una buona preda deve sempre mostrarsi un po’ sottomessa.
Mi sono fatta accompagnare fuori a fumare. Era il momento di quelle piccole chiacchiere inutili ma così essenziali, durante il quale c’è un linguaggio che non è quello delle parole ma del corpo. Un codice che bisogna conoscere e riconoscere.
Quante volte mi sono appoggiata al muro con la sigaretta in mano e le braccia lungo i fianchi. Quante volte ho desiderato e ottenuto, in questa posizione, un bacio bagnato, una lingua in bocca, una mano tra le gambe.
Ma stanotte ho tenuto la sigaretta davanti al viso, anche se pensavo che non ci fosse un reale bisogno di difendermi. Ho accentuato i miei sorrisi e ho riso più del necessario per compensare il mio piccolo sbarramento.
Quando siamo rientrati mi ha ceduto il passo, solo per bloccarmi qualche metro dopo con una stretta sulle mie spalle nude. Il primo contatto fisico forte, il primo brivido. In quel momento ho avuto la certezza di averlo catturato. Come sempre, è stata questa consapevolezza a scatenare la mia eccitazione. E come sempre, in quel momento, ho avvertito che iniziavo a schiudermi e colare ben oltre le mutandine. Ho voltato il viso verso di lui, ho rifiutato il suo bacio con un sorriso ma gli ho passato la lingua sulle labbra. L'ho convinto a ballare con me, a dondolarsi dietro di me, perfettamente cosciente dello spettacolo sexy che stavamo offrendo. Sentivo la sua presenza alle mie spalle e le sue splendide mani sui miei fianchi. Mentre risalivano le ho bloccate sui miei seni, con forza. Come una silenziosa ma esplicita richiesta di stringermeli con altrettanta forza. No, anzi, di più. Lo ha fatto. E io ho chinato la testa da una parte quando ha iniziato a passarmi sensualmente la lingua sul collo.
A questo gioco mancava solo un epilogo che, ne sono certa, entrambi abbiamo vissuto tante volte. Però quando mi ha proposto di andare da lui ho detto no, che non potevo. Ho resistito alle sue insistenze, accettando alla fine un numero di telefono che - già lo sapevo - non chiamerò mai e al quale mai risponderò. L’ho salutato con il ventre ancora pulsante e le mutandine fradice.
*****
Mentre la accompagno a casa, racconto tutto questo a Gaia. Evito di soffermarmi sul dettaglio sconcio delle mie mutandine ma, quando le dico del brivido che la prima stretta sulle braccia mi ha regalato, lei ovviamente fraintende.
- Allora perché non te lo sei fatto?
Un po’ la capisco, forse non può fare a meno di fraintendere. Viaggia in un’altra dimensione, ha appena preso cazzo e non è rimasta soddisfatta. Forse una volta a casa si masturberà. Io almeno avrei fatto così, nelle serate più sfortunate ma anche in quelle in cui mi accontentavo di un cazzo tra le labbra, seme da ingoiare e complimenti in stile “che bocchinara che sei”.
Tuttavia, non è una serata di quelle e la dimensione di Gaia non è la mia. La saluto e riparto, sfogliando mentalmente l’album dei ricordi. Ripercorrendo tutte le volte in cui sono uscita a caccia come un uccello notturno, in cui ho inquadrato e fatto mia la preda più ambita dandole l’illusione che la preda fossi io. Tutte le volte in cui, al contrario di stasera, ho detto "sì".
*****
Chissà perché a un certo punto della mia vita è cambiato tutto. Quale debolezza hai visto, quale vuoto emotivo hai colmato. Chissà perché ho smesso di essere così.
Entro in casa e c'è una luce in fondo al corridoio, fai sempre in modo di farmi sapere che sei sveglio quando torno. Sul comodino c'è il libro che non hai letto, davanti a te la televisione accesa a volume azzerato. Mi ha sempre dato sui nervi la tv in camera da letto, come in fondo mi dà sempre sui nervi quello sguardo quasi doloroso che hai quando torno a quest'ora.
Forse dovrei dirtelo adesso, su questo letto. Sopra il quale mi sono stesa che ero una principessa, dove ho sbriciolato ogni mio pudore e sono stata per così tanto tempo la tua puttana. Dove la prima volta che mi hai presa lo hai fatto da dietro e poi, spalmato sulla mia schiena, hai sussurrato soddisfatto “hai l’orgasmo facile… e rumoroso”. O forse, proprio come quella sera, non riuscirò quasi a parlare.
In ogni caso, domani mattina ti sorriderò, come tutte le mattine. Ma tu dovresti capire, dovresti essere abbastanza saggio da capire, la distanza tra di noi e il ghiaccio di questa casa. Che è la tua casa, dove adesso non sono più una principessa ma addirittura una regina. Ormai solo di tanto in tanto puttana, ma pur sempre regina. La tua regina, è chiaro, con la parola "tua" ben sottolineata. Una regina di tua proprietà.
Ma è una corona che mi pesa troppo. Non la sopporto e non la voglio più.
Voglio tornare a vedere il mondo da sola, aprire di nuovo la porta alla notte e a tutte le sue possibilità. Voglio afferrarle, sentirne i brividi, guardare le prede negli occhi. Rispondere “sì” e poi ancora e ancora “sì” fino a quando non mi sfinisco.
Il mio istinto è quello della caccia. E non c'è nessun trono che mi possa incatenare.
Gaia ridacchia, come sempre, mentre strette tra noi ci lasciamo alle spalle la musica e facciamo risuonare i tacchi a passo veloce verso la mia macchina.
- L'avevo immaginato - le dico ridendo - com'è stato?
- Niente di speciale - risponde - una sveltina in bagno.
- E certo... - convengo.
- Beh, era quello che cercavo.
Saliamo in macchina, la sua mini risale scoprendo completamente le sue cosce piene e un accenno di mutandine. Per un attimo la invidio, mi sono stufata di non mettermi zoccola quanto vorrei quando esco la sera con le amiche. Le mie gambe, tra l’altro, sono molto più belle delle sue, è un dato oggettivo. Metto in moto. Sono sicura che abbia ancora qualcosa da raccontare, altrimenti mi avrebbe già domandato "e tu?". Lei si interessa delle avventure altrui solo una volta che ha finito di decantare le proprie, è fatta così, ma le voglio bene lo stesso.
- Sarà durato un minuto - sbotta - cazzo, tutto sto casino... e un minuto per riempire un preservativo.
- Beh, se glielo facevi togliere e gli dicevi di venirti in bocca ti divertivi di più - rispondo.
- Non mi pare questo il punto, Annalì - dice dopo avermi lanciato un'occhiata in tralice.
Mi metto a ridere, come faccio sempre quando qualcuno prende sul serio una mia enormità. Gaia capisce di avere abboccato, ride anche lei. E sempre ridendo scuote la testa e ripete "un minuto, cazzo, un minuto a dire tanto...".
- E tu? - domanda finalmente.
- Io nulla - rispondo.
- Nulla? - mi guarda stupita - Dici sul serio? Bada che se fai un pompino a qualcuno mica glielo vado a raccontare a Andrea.
- Un pompino, eh?
- O anche peggio - risponde.
- E chi ti dice che non abbia fatto di peggio? - le dico con un sorrisino ambiguo.
- Ma quindi "nulla" o "peggio"? - chiede ancora.
Ok, la risposta è "peggio", ma non nel senso che intende lei.
*****
Era un sacco che non venivamo in questo posto, dove la musica è abbastanza alta da costringerti a parlare all'orecchio mentre ti scoli il tuo drink. E dove puoi scatenarti nella techno oppure restare seduta a farti guardare. Ce ne erano tre che mi guardavano con una certa insistenza, li ho notati praticamente subito.
Grazie lo stesso, ma no. Avevo già fatto la mia scelta. Non è che dica sempre bene, è ovvio, ma essere una che può permettersi di scegliere aiuta, e non poco.
Camicia tra il blu scuro e il nero - difficile dirlo con quelle luci e a quella distanza - alto come piace a me, figura complessivamente slanciata e tonica. Era appoggiato al bancone con un amico, guardava dappertutto tranne che nella direzione giusta, la mia. Così mi sono alzata e ho camminato verso di loro e gli sono passata davanti evitando di sculettare eccessivamente. Ho letteralmente sentito il suo sguardo addosso, centimetro per centimetro, mentre ordinavo un vodka tonic. Ma sono stata anche fortunata, perché un tipo da niente si è avvicinato chiedendomi se il drink me lo poteva offrire lui. L'ho ostentatamente ignorato, cogliendo al volo la scusa per voltarmi dall'altra parte, il mio sguardo e quello di camicia blu (era blu, non nera) si sono incrociati. Una frazione di secondo più del lecito, ecco il timing perfetto. E un sorriso invisibile, di quelli che si vedono solo dentro gli occhi e che colgono solo i più meritevoli.
È bastato per avere la conferma di ciò che avevo visto mentre ero ancora al mio tavolo. Una bellezza cinematografica e, sotto i vestiti, dei muscoli da nuotatore, solidi, definiti e allungati. Un sorriso alquanto demoniaco. E poi le mani, stupende. Di quelle che vuoi non solo sentire ma anche guardare mentre ti spogliano e tracciano sentieri sul tuo corpo nudo. Per un istante ho pensato "ma forse è gay": mi pareva impossibile che ai suoi piedi non ci fosse già una piccola catasta di sgualdrinelle semisvenute.
Mi sono allontanata con il bicchiere in mano, iniziando a dondolare man mano che mi avvicinavo alla gente che ballava. Ce n'era più del solito stasera, ma era come se in quel momento lì dentro ci fossimo solo io e lui. Lui, ci avrei scommesso, con gli occhi piantati sul mio culo e ormai poco interessato alla conversazione con il suo amico.
Sono restata qualche secondo così, ai margini della calca. Mi sono voltata e ho guardato nella sua direzione mentre sorseggiavo il vodka tonic, poi gli ho dato le spalle e ho cominciato a ballare. Mi sono trasformata in preda.
È sempre il momento più delicato perché, fortuna o sfortuna che sia, attiro i rompicazzo, ma grazie a Dio non ho dovuto aspettare molto. E mi è piaciuto il fatto che si sia avvicinato tenendo anche lui un bicchiere in mano. Siamo rimasti per un po' così, a muoverci piano e a scambiarci sorrisi moderati, senza cercare di parlare. Gli ho preso il bicchiere e ho assaggiato il suo drink guardandolo negli occhi, e quando si è avvicinato al mio orecchio per chiedere il mio nome gli ho risposto "Annalisa", senza domandare il suo. Una buona preda deve sempre mostrarsi un po’ sottomessa.
Mi sono fatta accompagnare fuori a fumare. Era il momento di quelle piccole chiacchiere inutili ma così essenziali, durante il quale c’è un linguaggio che non è quello delle parole ma del corpo. Un codice che bisogna conoscere e riconoscere.
Quante volte mi sono appoggiata al muro con la sigaretta in mano e le braccia lungo i fianchi. Quante volte ho desiderato e ottenuto, in questa posizione, un bacio bagnato, una lingua in bocca, una mano tra le gambe.
Ma stanotte ho tenuto la sigaretta davanti al viso, anche se pensavo che non ci fosse un reale bisogno di difendermi. Ho accentuato i miei sorrisi e ho riso più del necessario per compensare il mio piccolo sbarramento.
Quando siamo rientrati mi ha ceduto il passo, solo per bloccarmi qualche metro dopo con una stretta sulle mie spalle nude. Il primo contatto fisico forte, il primo brivido. In quel momento ho avuto la certezza di averlo catturato. Come sempre, è stata questa consapevolezza a scatenare la mia eccitazione. E come sempre, in quel momento, ho avvertito che iniziavo a schiudermi e colare ben oltre le mutandine. Ho voltato il viso verso di lui, ho rifiutato il suo bacio con un sorriso ma gli ho passato la lingua sulle labbra. L'ho convinto a ballare con me, a dondolarsi dietro di me, perfettamente cosciente dello spettacolo sexy che stavamo offrendo. Sentivo la sua presenza alle mie spalle e le sue splendide mani sui miei fianchi. Mentre risalivano le ho bloccate sui miei seni, con forza. Come una silenziosa ma esplicita richiesta di stringermeli con altrettanta forza. No, anzi, di più. Lo ha fatto. E io ho chinato la testa da una parte quando ha iniziato a passarmi sensualmente la lingua sul collo.
A questo gioco mancava solo un epilogo che, ne sono certa, entrambi abbiamo vissuto tante volte. Però quando mi ha proposto di andare da lui ho detto no, che non potevo. Ho resistito alle sue insistenze, accettando alla fine un numero di telefono che - già lo sapevo - non chiamerò mai e al quale mai risponderò. L’ho salutato con il ventre ancora pulsante e le mutandine fradice.
*****
Mentre la accompagno a casa, racconto tutto questo a Gaia. Evito di soffermarmi sul dettaglio sconcio delle mie mutandine ma, quando le dico del brivido che la prima stretta sulle braccia mi ha regalato, lei ovviamente fraintende.
- Allora perché non te lo sei fatto?
Un po’ la capisco, forse non può fare a meno di fraintendere. Viaggia in un’altra dimensione, ha appena preso cazzo e non è rimasta soddisfatta. Forse una volta a casa si masturberà. Io almeno avrei fatto così, nelle serate più sfortunate ma anche in quelle in cui mi accontentavo di un cazzo tra le labbra, seme da ingoiare e complimenti in stile “che bocchinara che sei”.
Tuttavia, non è una serata di quelle e la dimensione di Gaia non è la mia. La saluto e riparto, sfogliando mentalmente l’album dei ricordi. Ripercorrendo tutte le volte in cui sono uscita a caccia come un uccello notturno, in cui ho inquadrato e fatto mia la preda più ambita dandole l’illusione che la preda fossi io. Tutte le volte in cui, al contrario di stasera, ho detto "sì".
*****
Chissà perché a un certo punto della mia vita è cambiato tutto. Quale debolezza hai visto, quale vuoto emotivo hai colmato. Chissà perché ho smesso di essere così.
Entro in casa e c'è una luce in fondo al corridoio, fai sempre in modo di farmi sapere che sei sveglio quando torno. Sul comodino c'è il libro che non hai letto, davanti a te la televisione accesa a volume azzerato. Mi ha sempre dato sui nervi la tv in camera da letto, come in fondo mi dà sempre sui nervi quello sguardo quasi doloroso che hai quando torno a quest'ora.
Forse dovrei dirtelo adesso, su questo letto. Sopra il quale mi sono stesa che ero una principessa, dove ho sbriciolato ogni mio pudore e sono stata per così tanto tempo la tua puttana. Dove la prima volta che mi hai presa lo hai fatto da dietro e poi, spalmato sulla mia schiena, hai sussurrato soddisfatto “hai l’orgasmo facile… e rumoroso”. O forse, proprio come quella sera, non riuscirò quasi a parlare.
In ogni caso, domani mattina ti sorriderò, come tutte le mattine. Ma tu dovresti capire, dovresti essere abbastanza saggio da capire, la distanza tra di noi e il ghiaccio di questa casa. Che è la tua casa, dove adesso non sono più una principessa ma addirittura una regina. Ormai solo di tanto in tanto puttana, ma pur sempre regina. La tua regina, è chiaro, con la parola "tua" ben sottolineata. Una regina di tua proprietà.
Ma è una corona che mi pesa troppo. Non la sopporto e non la voglio più.
Voglio tornare a vedere il mondo da sola, aprire di nuovo la porta alla notte e a tutte le sue possibilità. Voglio afferrarle, sentirne i brividi, guardare le prede negli occhi. Rispondere “sì” e poi ancora e ancora “sì” fino a quando non mi sfinisco.
Il mio istinto è quello della caccia. E non c'è nessun trono che mi possa incatenare.
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