Storia di un ditalino

Scritto da , il 2022-07-05, genere etero

Tardo pomeriggio. Era passato e adesso ritorna. Senza un motivo, senza un perché.

Io stessa sono passata dal torrido della strada al dopo doccia. Non mi sono asciugata bene, l'ho fatto apposta. Voglio che sia il condizionatore a terminare l'opera, a esaltare il fresco sulla pelle. Gambe ripiegate e leggermente divaricate, direzione specchio. Mi piace guardarmi così, da matti. Basterebbe questo per farmi autoscopare, ma non ora. Si chiama "enjoy yourself": guardarsi e anche compiacersi di se stesse, magari, e allo stesso tempo pensare, fissarsi su quel particolare che mi ha colpita, che poi è passato, che adesso ritorna. E' un particolare che è planato nel mio cervello stamattina. E’ coinciso con l’apertura delle porte dell’ascensore e il mio ingresso nel corridoio del mio posto di lavoro. Anche in quel caso un passaggio dal torrido al fresco dell’aria condizionata. Che vi devo dire, sarà proprio l'aria condizionata che mi fa questo effetto, boh.

In quel corridoio ero un'apparizione svolazzante e altera, e ne ero consapevole. Anche per strada lo ero. Fasciata nel maxi leggero a stampe celesti. Sandali aperti con la zeppa di corda (non è che mi sono data lo smalto bianco per niente), zainetto per il computer sulle spalle, handbag, Ray-ban tondi. Una figa tipo fatevi-da-parte-stronzi. I capelli a coda molto alta non tanto per scelta, stavolta, quanto per il caldo. Molto molto guardate-e-non-rompetemi-il cazzo. Quando sono scesa dalla macchina dopo avere parcheggiato il tipo della boutique ha pure infilato lo sguardo nella scollatura: gli è rimasto incastrato dentro per un po'. Si è accorto che me ne sono accorta, ha distolto gli occhi giusto per un attimo verso la donna che accanto a lui leggeva un elenco di cose a voce alta, erano entrambi sull'uscio del negozio. Padrona e commesso? O magari madre e figlio? Vallo a sapere. Anche un bel tipo, lo riconosco. Il riflesso del vetro oscurato di un van mi ha poi rivelato che il suo sguardo puntava inequivocabilmente il mio sedere mentre mi allontanavo. Sono tutti prevedibili come il cane di Pavlov, tutti. Ma lo sono anch'io: sorriso interiore, correzione della postura, lieve accentuazione dello sculettamento. Mode on: rifatti-gli-occhi-è-gratis. Si vive anche per sentire lo sguardo di uno sconosciuto incollato al culo? Forse sì. Chissà se la donna che era con lui si è accorta di qualcosa.

Nulla di che, piccoli piaceri intimi che si apprezzano meglio quando sei placida e rilassata. Quella placidità e quella rilassatezza che solo lo sfogo mattutino di un animale ti può dare prima che suoni la sveglia.

Prima della sveglia... Mi stavo per l'appunto chiedendo come sarei andata al lavoro, stavo valutando l'outfit con il quale poi sono uscita. Per l'esattezza, stavo facendo un check mentale sui sandali. Interrogativi interrotti dalla sua mano sulla coscia. Ieri sera, quando è tornato, mi aveva svegliata senza volerlo. Se uno gioca a calcetto una volta a settimana è abbastanza ovvio che dopo un po' le partitelle si trasformino in partitelle di un torneo con pizza-con-gli-amici allegata al file. Niente drammi, si divertisse pure. Mi fa piacere e non sono mai stata una gatta aggrappata ai coglioni, mai. Si è infilato sotto il lenzuolo e io mi sono voltata dalla sua parte. La domanda "avete vinto?" credo che mi sia rimasta nel cassetto delle domande. Dalla sua pelle arrivava un mix di odori: docciaschiuma, deodorante, feromoni, fritto di pizzeria. Ho avuto voglia di lui, un attimo. Poi ho lasciato perdere, ho pensato forse è stanco. E io ero più di là che di qua. La sua mano allungata sul mio fianco ha fatto il resto. E' come un segnale, abbiamo sempre bisogno di un piccolo contatto corporale. Possono essere i piedi che si toccano o, più spesso, le sue dita su una gamba o sul fianco. Se questo contatto manca mi addormento male. Dopo la mano è arrivato il bacio sulla testa, mi sono arresa. Forse ho farfugliato "buonanotte amore" ma non ne sono neanche tanto sicura.

Stamattina invece il contatto della sua mano esprimeva desiderio di risveglio. E di altro. La mia instant-voglia della notte si era dissolta ma... beh, potevo farmela tornare, no? Ho ridacchiato piano, apposta, giusto per manifestargli che ero sveglia anche io. Che la sua mano rapace aveva abbrancato una preda pronta per il sacrificio. Si chiama "disponibilità sessuale".

Quella mano... Che strizzava, che cercava? E quel dito dove si intrufolava, dove slittava, dove entrava? Si è sentito? Dimmelo tu se era un gemito o un sospiro, io ero concentrata sul mio capezzolo che strusciava sul lenzuolo e sulla voglia di attorcigliarmi. Ho sporto il culo verso di te, ah sì? Si chiama "offrirsi", si chiama "mi sta benissimo e ho anche voglia". Se non ci pensi tu a tirarmi ci penso io a spingermi a te anche se spesso è un movimento spontaneo. Quella mano, quel dito. Dov'è che si è messo a cercare, dopo? Dov'è che si è messo a spingere, dopo? Piccolo soave dolore lubrificato. Questo audio sì, l'ho sentito. Anzi, "questi". PRIMA un sospiro e POI un gemito. Beh, ero bella sveglia a quel punto. Poche cose mi svegliano come questa disonorante, fastidiosa, lurida, lunga, fantasmagorica violazione.

Per qualche istante io e lui siamo stati lo scontro di due desideri opposti: non me l'ha chiesto e non ha avuto nemmeno il tempo di provarci ma, datemi retta, certe cose si capiscono. Fuoco di sbarramento: "No...". "No cosa?". "Ti prego non voglio, non mi va", "Dai...", "No amore, no...". "Lo facciamo col gel...", "No...". No, non era questione di gel, è che proprio non mi andava, non volevo. Non dico nemmeno che avessi paura e questo è strano, ce l'ho sempre. E' che proprio non volevo. Eppure mi sentivo così remissiva, come ho fatto a non cedere? Strano pure questo. Però devo essere stata molto convincente e deve essere stata convincente anche la mia preghiera lagnosa: "Scopami". Mi ha scopata. Per la via ortodossa. Con la sveglia che a un certo punto ha cominciato a gracchiare ed è stata a lungo ignorata.

E' stata una scopata molto bella, ruvida, intensa. E' stata una scopata da mettersi il cuscino sotto la pancia. E’ stata una scopata da artigliare il lenzuolo.

E' stata una scopata tipo:
"Fai sempre il cazzo che ti pare, mi svegli e mi scopi come una cagna".
(nota a pie' di pagina: quello che potrebbe sembrare un rimprovero è invece solo lessico di coppia, mi piace dire che sono la sua cagna).

E' stata una scopata tipo:
"Tu SEI la mia cagna".
(lui sa che mi piace sentirmelo dire).

E' stata una scopata tipo:
"Non fermarti ora!".

Si chiama "essere ben chiavata". Se capita all'alba è una cosa che ti predispone bene per l'intera giornata, date retta a una scema.

Tuttavia.

Mentre uscivo dall'ascensore per raggiungere il mio desk qualcosa mi diceva che avevo esagerato. Avevo esagerato - come dire? - nella comunicazione. Non tanto nelle parole, parlo dei toni. Persino nello strillo dell'orgasmo, persino nel gridolino che emetto sempre quando accolgo il suo seme. Non è che avessi finto, no. Ero andata un po' sopra le righe, questo sì. Me lo sentivo dentro e ne ero... diciamo sorpresa.

Pensavo a questo mentre mi sedevo ringraziando il collega che chissà quando si metterà l'anima in pace (spero mai) e al quale ho scroccato, scrocco e scroccherò nei secoli dei secoli tutto lo scroccabile alla macchinetta del caffè o al bar di sotto, amen. Nemmeno si è reso conto della gaffe: “Ammazza come semo belle OGGI”. Ho sorriso alla nuova stagista che occupa la postazione davanti alla mia perché mi sta simpatica con quella sua aria da punkabbestia: doppio piercing sulle sopracciglia e frisé con tempie rasate, solita canotta nera, soliti jeans neri. Peccato per quel naso che sembra il becco di un'aquila. Ecco, io lì eviterei il piercing amica mia. E’ di una intelligenza fulminante, fosse per me la farei entrare nel team non oggi né domani, ieri. Non abbiamo una confidenza particolare, ma sono l’unica cui dà del tu. Anche se quando lavoriamo insieme mi chiama “BOSS”. Mi ha sorriso pure lei, ammiccando una specie di “wow” o giù di lì. Proprio dopo quel "wow" avrei voluto chiederle: senti cara, ma quando il tuo ragazzo vuole il culo e a te non va, come ti regoli? Non ti è mai successo di fare qualcosa di esagerato per, beh sì, “compensarlo”? Perché è esattamente quello che penso di avere fatto io stamattina.

Non gliel'ho mica chiesto davvero, eh? Ok che siete tutti/e arrapati/e, ma non scherziamo. Che poi magari a lei piace giocare con le ragazze, che cavolo ne so, potrebbe anche essere. Tra l'altro, dopo cinque minuti il dossier era già chiuso, è stata una normalissima giornata di lavoro, noiosa e anche un po' ripetitiva. Le cose si ripetono sempre, in definitiva: pausa sigaretta ed eventuale lettura di un racconto erotico; pausa pranzo e messaggio di Luca. "Che fai?", "Mangio un tramezzino", "Quella merda? Come fai?", "Me l'hanno offerto", "Come stai?", "Benissimo". Beh, mica vi aspettavate di leggere un dialogo zozzo, no? E invece un po' sì. Con quel "benissimo" intendevo proprio questo, e secondo me lui lo ha capito da come l’ho detto. Dopo quel “benissimo” ho ripensato per un attimo alla sensazione di stamattina: lui che mi scivola dentro e mi apre in due. Nonostante l'aria condizionata ho anche sudato leggermente. Poi basta, poi si pensa ad altro, si lavora.

Un po' di idratante dopo la doccia ci sta. Per un attimo lo specchio mi rimanda l'immagine della ragazza di Vermeer: nuda e senza orecchino di perla ma con il dispenser della Nivea in mano. Il movimento della testa è lo stesso, però, l'espressione "dimmi qualcosa che mi faccia sognare" idem. Ehi, mica male! A proposito di male, il letto è fatto male. "Sono una frana", "in effetti...", "e allora fallo tu che sei più bravo, no?".

Mi ci distendo, su quel letto. Si chiama "mi allungo giusto un attimo". Osservo me stessa sempre nello stesso specchio: piedi, caviglie, gambe, ginocchia, cosce, fica. Ventre, pancia, costole, tette, spalle, collo, sorriso, viso, occhi, capelli. Con due cuscini sotto la testa ci si guarda meglio, ci si sorride meglio. Dallo studio di un pittore olandese del secolo d'oro siamo quasi passate allo studio della mia ginecologa. "Non stare con le gambe aperte": quante volte me lo sono sentita ripetere prima di scoprire il gusto assurdo di tenerle aperte apposta? Eh, la provocazione. Ehi tu, ragazzo che fai finta di distogliere lo sguardo, da lì ti sarà difficile vedere le mutandine, no? O sì? Very very true: il piacere di essere la sola a poter guardare il mio Oggetto del Desiderio me lo sono tenuto stretto a lungo. Però certe domande una ragazza se le fa. Tutte immagino, mica solo io. Magari non tutte inanellano cazzi in bocca, ok, ma tutte se lo chiederanno: "chi sarà il primo?". Poi arriva il primo che non solo te la vede, ma te la lecca pure e se sia bravo o meno tu neanche lo sai, non te ne rendi conto, non hai termini di paragone. Sai solo che si tratta di una valanga di sensazioni nuove. Ti fa: "ma perché non scopiamo?". Aderiresti con entusiasmo, perché una tempesta che non sai gestire ti si è scatenata dentro. Ma c'è un'altra cosa che non sai: non sai che quello lì è un perfetto coglione. Il tuo angelo custode invece lo sa e ti porta via trascinandoti per un braccio e dicendoti "gliel'hai succhiato, direi che siete pari".

Ma che è, la giornata della memoria? Titolo: School-days, a volte ritornano. Anche no, dai. Evitiamo di pescare nel cestino dei ricordi, evitiamo di rievocare tutti quegli arrapati che volevano (anche giustamente, direi) scopare.

Scopare... a differenza delle mie amiche mica ce l'avevo st'ossessione, sto mito di averlo fatto o di quando sarebbe stato. Cioè, ogni tanto prendeva pure me, è naturale, ma poi passava. Il mio gioco era un altro. Credo che anche in questo caso, più o meno, ogni ragazza lo abbia fatto almeno una volta. Io invece ero sistematica. Il gioco si chiama "ingoia e quando sei sola ripensaci". Ci ripensavo con un dito sul grilletto. Lo stesso dito, lo stesso grilletto di adesso. Film mentali, veri e propri plot inventati sotto le lenzuola. Più era complicato l'intreccio più si prolungava il piacere. Amiche cui volevo e voglio ancora bene mi dicevano "fare pompini d'accordo, ma una volta che lo prendi le prospettive cambiano". Una aggiunse: “con certi piselli le prospettive si ampliano molto” e mi fece ridere parecchio ma, ragionevolmente, credo che lo dicesse per vantarsi.

Era comunque tutto abbastanza vero. Tuttavia, a parte il fatto che non lo sapevo, sul sesso avevo progetti completamente e solo miei. Uno dei quali era, rigorosamente, quello di non scopare ma immaginare di scopare. La sera, a letto, mentre mi masturbavo.

Mi sa che non è solo l'aria condizionata che mi indurisce i capezzoli, adesso. Per esserne certa dovrei domandarglielo, come ad Alexa: ehi, Mitsubishi, è colpa tua se struscio le cosce e mi contorco un po'? "Sfortunatamente non sono ancora programmato per questo, è possibile che tu abbia voglia di sesso". Non so, vediamo. Nel mio codice questo si chiama "inventare una storia per accompagnare la tua mano". Soggetto ipotetico: aprire le gambe e attendere il giavellotto.

Che poi, a pensarci, ora nemmeno mi andrebbe di scopare. E sì che il grilletto s'è fatto sensibile e quella puttana di sotto s'è già fatta sentire. Ma non è che abbia tutta sta... forse è ancora troppo vivida la memoria di stamattina, o forse neanche questo c'entra una ceppa. Saperlo fa differenza? Invece guardarmi sì, mi va, pensare anche, immaginare pure. Per arrivare dove, ripeto, non lo so. Dovrei rifletterci un pochino. O decidere lungo la via. Quindi ok, riflettiamoci meglio: magari farsi inchiodare no, ma un cazzo in bocca... ora... perché no? E succhiare il polpastrello umido, perché no? E porgere una tetta a qualcuno? Bacia, succhia, mordi. Ehi, puoi mordere anche un po’ più forte, eh? Fammi strizzare gli occhi e tendere tutti i muscoli, fammi inarcare e pentire di avertelo chiesto. Io lo chiamo "passaggio di giurisdizione", non sono più io a governare sul mio corpo. E' una delle cose che più mi piace immaginare.

Immaginare-fare-ricordare.

- Non avevamo detto niente ricordi? – domando alla ragazza nello specchio.

- Sì, è vero, ma prova ripassarteli frame by frame, filtrali nell'iMovie della fantasia.

Bella idea, è vero. La cosa migliore sarebbe un video. Non un video da cercare online, e nemmeno un video da fare a me stessa. Ci vorrebbe un video dei miei capelli gialli che fanno su e giù, del mio naso che va su e giù, di un cazzo che appare e scompare. Ondeggiamenti ipnotici. E sullo sfondo la mia schiena nuda ornata solo dalla fascia del reggiseno bianco che indossavo oggi. Guardate come si vede bene il rilievo della mia colonna vertebrale: è perfetta, non trovate? Una voce maschile sovrasta il suono dello slurp-slurp e dei mugolii: "Ahò, sta zoccola m'è 'ntrata in negozio dicendo che voleva provà 'n vestito e me s'è spojata davanti, mò quann'ha finito de succhià t'oo manno".

E 'NA BOM-BA!

Succhiare... Peccato che sia un po' come al cinema. Di cinque sensi che abbiamo ne impegniamo solo due, uno spreco. Purtroppo non c'è video che sappia restituire odore, sapore, consistenza. Quelle cose che mi fanno andare fuori come un balcone, insomma. Cercare di ricordare è una fatica, e poi non viene bene, come fai a ricordare un sapore? Ad averne la percezione grazie al ricordo, intendo.

Ricordare, mah... Sono tante le cose che mi si affastellano in testa. Alcune, ciclicamente, ritornano: memorie, incubi, desideri. E' difficile gestirle, metterle al tuo servizio. E a parte il fatto che si era detto "niente ricordi", tendono più che altro a fare come cazzo gli pare, sono disordinate. Sono indisciplinate, come me. Come me, che mi ero ripromessa "giusto un attimo" e mi ritrovo qui con una mano su un seno e l'altra tra le gambe. Un dito slitta lento dal bottoncino indurito lungo i gonfi bordi della mia fessura, poi torna su. Ogni volta che passa per Omaha Beach il polpastrello spinge un po'. Poco, una leggera pressione. La troia del piano di sotto gli apre la porta, lo invita: "Vuoi entrare?". Lui però va sempre oltre, lentamente, in maniera estenuante, ogni volta. Per un certo numero di secondi perdo il contatto visivo con l'Annalisa nello specchio e il respiro si fa sempre più pesante in attesa del primo miagolio. Abbandono la testa sul cuscino, sospiro e decido, lucidamente, di procurarmi un piccolo dolore a un capezzolo. Lo volevi? Eccolo il miagolio. Eccola la pressione più forte sul grilletto. Eccola l'aria che mi fugge fuori dai polmoni a scatti.

Pensare, ricordare, immaginare.

Le mollette, per esempio, potrei inserirle nella scena. Sarebbero incongrue, ok, cosa ci fanno delle mollette da cancelleria in un negozio di abbigliamento? Chissenefrega, il film è il mio e ci metto quello che mi pare. Il ragazzo della boutique con una mano regge il telefono e con l'altra mi spinge la testa, mi dice con un po' di affanno "famme sborrà, ché dopo te scopo". Annuisco un sì che suona come uno "mm, mm..." e a questo punto i capezzoli mi fanno davvero male, la stretta è troppo forte, avverto la scarica che si diffonde giù in basso, come se di altro calore ci fosse bisogno. Bere il suo drink non è difficile, nemmeno eseguire il suo imperativo lo è: "resta così", mentre invia il video. "Lecca, brava, damme 'n minuto". Lecco sì, brava eccome, ripulisco tutto, vado di default. Ti prego, toglimi ste mollette, anzi no. L'unico dubbio è: le mutandine me le sfilo io e magari gliele lancio sul viso, oppure attendo che lo faccia lui? Meglio lui. L'hai messo il cartellino "torno subito" sulla porta? Sì? E allora il tuo amico come ha fatto a entrare? Sui palmi delle mani il freddo dello specchio, sulla guancia il freddo dello specchio. Un altro specchio, non il mio, lo specchio del camerino-prova. La mia immaginazione mi ha portata rapidamente a questa scena, ha cambiato quadro, ha fatto fast forward. Lui affonda e ad ogni affondo segue un mio vezzoso "ah...". Affonda, si fa indietro, affonda. "Ah... ah". La mia bocca aperta, le sue mani sui miei fianchi, la fica trafitta a ritmo. Le mutandine alla fine sono andate a farsi calpestare sotto una zeppa. Bianche pure quelle, come le indossavo stamattina, peccato non fosse proprio un coordinato. Spasmi di giovane donna allungata su un letto, nuda e con le cosce spalancate, si guarda e si infilza piano con un dito. Rispondo "sì" quando mi chiede se lo sento grosso, "ah... ah". In realtà i miei occhi sono fissi sul suo amico. Uno mi fotte, l'altro si sega seduto su una poltroncina. Madonna che bestia che ha. Quella sì che è davvero grossa, lunga, curva. Anche se quell'altro mi fotte, è lei che guardo-guardo-guardo. Ma non sono attratta dalla dimensione, in questo momento c'è qualcosa di meglio, credetemi: è che non voglio perdermi l'attimo dello spruzzo. Dio, griderò a vederlo e a seguire la sua parabola. Dio, mi ribellerò quando mi diranno che devo pulire il parquet lordato, griderò che non voglio e mi divincolerò. Dovranno lottare per spingermi con la faccia per terra: si chiama "vendere cara la pelle". Dovranno farmi piangere e farmi gridare "no, perché?", dovranno strusciarmici la faccia sopra intimando "tu ora lecchi, troia, tu devi leccare, capito?". Leccherò. Il sale delle lacrime si mischierà a quello dello sperma e allo sporco del pavimento, dopo essere stata scaraventata per terra un ginocchio mi farà tantissimo male, una lunghissima goccia traslucida di seme di maschio ignoto scivolerà sul mio lunghissimo interno coscia, subirò in rima baciata l'oltraggio dei loro uccelli che si puliscono sui miei capelli. Li sentirò discutere su cosa fare di me la prossima volta. La prossima volta? Abbiamo già finito? Per me non è tardi, eh? "Rivestiti e vattene affanculo, zoccola, che c'ho da fà". Se non fosse stata appena aperta, la fica si aprirebbe in quel preciso istante solo grazie a queste parole. Se non colasse sperma, sbrodolerebbe succo di ragazza succubizzata.

Guardo l'Annalisa nello specchio le rivolgo un silenzioso "troia, pazza", lei ammicca un "uh, hai ragione".

La fantasia che parte dai ricordi è sempre stata il mio marchio di fabbrica, il mio nome nei titoli di testa. Sviluppa, inventa, smonta e rimonta visi, corpi, luoghi, situazioni. Ingaggia a volte seduttori improbabili come quello della boutique che stamattina mi guardava il culo e dentro la scollatura. Roba da matti, farsi un ditalino solo perché ti sei dovuta piegare per scendere dalla macchina. No, dai, la mia immaginazione è meglio di così, molto meglio. E' in grado di recuperare voglie e paure dimenticate, pulsioni tossiche ai confini con le dipendenze. Crea storie mai del tutto vere e mai del tutto false. Si fa una passeggiata ai confini della malattia mentale.

Via da quel negozio di merda. E' una sceneggiatura venuta male, un remake del cazzo. Era meglio il libro, era meglio l'originale. Se devi massacrarti la fica scegli almeno qualcosa per cui ne valga la pena, no?

Cambia scenario, pesca un altro ricordo. Pesca lo sguardo deluso di quella ragazza in discoteca, l'ultimo di tanti sguardi e di tanti sorrisi che vi siete scambiate. Carina, con quegli occhialetti tondi, pulita, timida fino ad arrossire ai miei, di sorrisi. Si chiama "Lesbicare Languidamente e Lascivamente con te mi piacerebbe". Vorrei smettere di ballare e andare a conoscerla, ma poi tutto mi porta via. Mi dispiace, mi dispiace, io non sono così, davvero, te lo giuro. Sono così solo quando bevo o mi calo, te lo giuro. Non lo so perché seguo quest'altra! Ci siamo guardate e mi ha ammiccato un “wow” muto, muovendo solo le labbra, venti secondi dopo mi ha baciata. Non lo so che mi è successo, non sto ridendo in faccia a te, sto ridendo in faccia a tutte queste tipe che ci osservano entrare nel bagno e rinchiuderci nel cubicolo! Non lo so che succede, è lei che mi fa sentire golosa.

Golosa... La dom-girl mi guarda con un sorriso ironico mentre fruga nei miei shorts. Che hai fatto al naso? E' diventato più piccolo? E comunque non è il naso, è la canotta tirata su, sono le sue tette generose che mi fanno ingolosire. Vorrei baciarle, ma sono appiccicata al muro della toilette. Vorrei toccarle, ma mi blocca i polsi sopra la testa. Ecco Annalisa, così già va meglio: prendi un ricordo e giocaci sopra, prendi una situazione e ribaltala, prendi due ruoli e sovvertili. Dalle nove alle diciotto comandi tu, dalle due alle tre di notte comanda lei. Che poi non è lei, o forse sì. Non lo saprai mai. Saprai solo come plasmare la sua immagine a tuo gradimento, come farti scivolare la sua lingua sul collo, cosa farle sussurrare al tuo orecchio: “Non pensavo che ti piacesse così, BOSS, non pensavo che fossi una zoccola, BOSS”. Il fiato, il fiato, il fiato: alla ricerca del fiato per dirle “dai, un po’ più forte ora”. "Così, BOSS?". Sì, così, più forte e con due dita.

Due dita... Si chiamava "giusto un attimo", ora si chiama "mò me la sfondo". Adesso sì che vanno bene non una ma addirittura due dita. Ma davvero mi credete quando dico che non ho voglia di scopare? Io sono una generatrice automatica di cazzate, sapete? Sono tre anni esatti che non vado con una ragazza, il periodo era proprio questo e per la verità più che una ragazza era una donna. Il ricordo di noi due nude sul suo letto mi attraversa la mente, ma non c'è nemmeno bisogno di allontanarlo. Se ne va da solo. Perché adesso, sapete com'è, adesso vorrei dentro un cazzo. IL cazzo. Quello lì, esatto. Perché sbagliate di grosso se mi pensate impegnata a disegnare le geometrie di un tradimento.

Tradimento... che poi questo non è tradimento, non è nemmeno quel che si dice "tradire col pensiero". Anche perché se chiudo gli occhi e immagino di abbracciare qualcuno che si sistema tra le mie gambe aperte penso a lui, alle sue spalle, alla sua schiena, alla sua pelle. Se immagino un petto che mi schiaccia vedo il suo, con quella pista di atterraggio e la cicatrice su un lato. Se penso alla ciocca spostata dietro l'orecchio e alle mie labbra che si aprono davanti a uno scettro vedo il suo: dritto, bello, con i due nei uno sopra l'altro, il glande scoperto. Da aprirci le gambe, spalancarle proprio tenendosi le ginocchia con le mani, e miagolare "infilamelo dentro".

Ma capita solo a me di ricorrere a un linguaggio più morbido quando mi masturbo? Il verbo "infilare", beh, ha una sua grazia, non trovate? Altro che "scopami" o "sbattimi". No, "infilamelo". Oppure un filino più elaborato ma pur sempre raffinato: "invadimi con il tuo cazzo". No, ok, "cazzo" non è molto raffinato, ma ci sta. Perché, voi come dite? Pene? "Oh, mon amour, soddisfa le brame della mia vogliosa vaneggiante vagina con il tuo pene". Ma che, davero? Oppure "verga". Seee, mica sono spagnola... "dame tu verga, mi vida". Ma andiamo... La parola "cazzo" sarà un po' cruda, ma ci sta. Cazzo, Luca. Ripeto: cazzo. Il TUO cazzo. Dritto e bello scoperto. Bello scoperto apposta: la mia bocca sarà il suo fodero, la mia fregna sarà il suo fodero. O vuoi che il suo fodero sia il mio culo? Ano, retto, intestino, pancia, gola. Ti piace quando ti dico "ti sento in gola"? Ti piace? Quella cosa si chiama "adesso è sopportabile e piace anche a me".

Il culo, quindi... La notifica arriva né più né meno come un messaggio su WhatsApp. Ding: "Girati che adesso ti rompo il culo". "Sì...". Praticamente ogni volta che mi sditalino e immagino questo, gli affondi delle dita mi fanno quasi male. Arrivano da soli, istintivi, ad accompagnare la scarica di adrenalina che pensare a questi momenti mi dà. L'agnello che vede piombargli il lupo addosso, senza scampo. Rivivo il terrore e l'eccitazione che, come sempre, mi tagliano il fiato, mi paralizzano per qualche istante. Le dita si sfilano dalla vagina proprio come se si sfilasse un cazzo, un gemito lo sottolinea. Aggiungiamone un altro di gemito. Eccessivo come quelli di stamattina, ma nemmeno questo è finto. E' voluto. Non è per lui, è per me: serve a farmi esplodere il cervello nell'attesa. La sua attesa maschile invece mi si dipinge davanti, dura e lucida di me, minacciosa e allettante. Timeo Danaos et dona ferentes, temo i Greci anche se portano doni: Troia violata da un cavallo di legno, una troia violata da un ramo di carne. Paura e desiderio. Ma visto che stiamo solo immaginando facciamoci più coraggiose di quel che siamo in realtà, facciamo che sia una di quelle volte in cui non gli voglio dare la soddisfazione di ripetere "dai, girati".

Girati... Anzi, ribaltati, metti la faccia davanti allo specchio, guardati. Rispondi a quel sorriso sardonico e arrapato che ti arriva dallo specchio.

- Piccola troia vigliacca, stamattina no, eh?

- No, e non mi va neanche ora.

- Ah sì? E chi ti crede? A chi non andrebbe adesso? Senza dolore, senza urla. Solo l'idea. L'idea di darglielo. Anzi, l'idea che se lo prenda. Ci diventi matta quando ti prende di forza, quando chiede di chi è e tu gli rispondi "è tuo". L'unico dubbio è: gel per arrivare subito in fondo o niente gel per sentire il fuoco e gli strappi? Lo volevi pure stamattina, volevi che se ne fregasse dei tuoi "no".

- Non è vero... non lo voglio, non è quello che voglio, non hai capito un cazzo.

- Resta il fatto che va a finire come quei ditalini in cui pensi a lui e al suo, di cazzo. Same old story. Non sono molto soddisfatta di te, sai? Cioè, dai, potevi impegnarti un po’ di più, non eri partita male. Magari quello del negozio no, ma la stagista non era una cattiva idea.

E' complicato convivere con un inconscio così, sapete? Soprattutto quando siete l'una di fronte all'altra in questa posizione imbarazzante. E' proprio una puttana, altro che Es.

- Non voglio nemmeno quello…

- Ah no? E cosa vuoi?

- Voglio cose molto brutte.

- Tipo?

- Tipo lo sai…

- Eri tu che dicevi "niente ricordi".

- Non posso farci nulla, ritornano.

- E di Luca che ne facciamo?

Luca... Beh, Luca guarda. No, non in quel senso, per chi mi avete presa? Non fraintendete perché quelle stronzate non fanno per me, figuriamoci per lui. Adesso giriamo la scena Luca-che-guarda-mentre-mi-masturbo. Amore, guardami mentre mi tocco e mi fotto. Guardami. Guardami mentre il passato mi travolge. Quel passato che chiudo negli sgabuzzini dell'anima, che esce fuori ogni tanto in frasi smozzicate e incomprensibili ai più, mi rendo conto. Quel passato che ho smontato, rimontato e reinventato tante volte mentre ero da sola.

Perché voglio immaginare cose brutte e lui può solo guardare mentre lo faccio. Lui con queste cose non c'entra. Puoi dire al ragazzo che ami di legarti, imbavagliarti, tirarti per i capelli. Puoi chiedergli di soddisfare quello che chiama "il quarto d'ora del masochismo", di farsi male alle mani e mandarti a fuoco le chiappe. Puoi cercare di immaginare cosa gli chiederai la prossima volta.

Ma come fai a chiedergli di umiliarti? Non funziona nemmeno nel più estremo dei deliri autoerotici. Ci vogliono altre facce, altre voci, altre luci per sentirmi dire “zitta, devi stà zitta, tu la bocca la apri solo per fare pompini” di fronte a una manica di gente che non conosci o che conosci appena. Solo se pensi a qualcun altro o inventi qualcun altro riesci a farti squagliare la fica sulle dita, come ti si squagliava nelle mutandine quando arrivava qualcuno a fare un reset della tua perfetta immagine pubblica. Almeno per qualche ora. L'umiliazione, la vergogna, il piacere. Poi la vergogna di secondo grado, la vergogna di provare piacere. Il piacere degli sguardi muti che mi spogliano, mi vogliono, mi disprezzano. Tutti pensano che sono una mignotta, ma lui... lui lo invidieranno? Mi eccita sapere che lo invidieranno. Mi eccita sapere che penseranno "questa domattina chissà come sarà ridotta". E le ragazze? Le ragazze che ciancicano chewing gum e bevono vodka tonic, se lo diranno tra loro "hai capito la signorina gné-gné?". Le ragazze che hanno scritto in faccia "le belle fiche sono malvagie, noi siamo buone". Qualcuna ce l’ha scritto anche sulla panza che straborda sotto il top sovraombelicale. Mi guardano gelide, mi parlano gelide, quel poco che mi parlano. Si chiedono "vediamo se tra 'n po' te metti a piagne".

Piangere... non lo immaginano nemmeno cos'è che davvero mi fa piangere.

Ferma un attimo quelle dita, o almeno rallenta. Rivediti dentro quel cerchio di pensieri perversi, di pensieri ostili, tanto li conosci: "'ndo cazzo l'ha rimediata sta zoccola?", "ce viene fin qua co' 'a borsa da settecento euro", "stai mejo a novanta che seduta", “sta pariola del cazzo”, "questa è 'n'escort, sinnò 'n se spiega", "è 'na stronza taglia zero", "ha visto più cazzi de 'n cesso pubblico", "se sente fica perché c'ha la pappa pronta", "no, c'ha la pappa pronta perché dà la fica". E' un cerchio fatto di indegnità e desideri ignobili, e tu sei al centro. Occhi bassi, pelle d'oca, umido tra le gambe. Si chiama "non pentirsi di nulla". Per te che da piccola andavi in Chiesa non pentirsi è una cosa molto, molto grave. Per te che adesso ti stai facendo un ditale è un incoraggiamento a allargare le gambe e a goderti il ciac-ciac, a esagerare. Fatti del male ora, datti del dolore ORA!

Dolore… Che poi non so nemmeno se chiamarlo dolore, è qualcosa di mentale, non è il dolore fisico che voglio.

- Lascia stare, che qualche volta hai cercato pure quello.

- E’ colpa tua, sei tu l’inconscio, eccheccazzo!

La colluttazione con me stessa. Un vero e proprio must. Never again without it. Due Annalise unite da un elastico. Si allontanano, si avvicinano, si allontanano ancora.

Sì Luca, meglio se resti a guardare. Si chiama "se mi guardi sei tu che mi fotti l'anima", è quello che succede sempre. Ed io ho tanto bisogno che sia così. Quando mi fotti l'anima mi proteggi dai miei stessi incubi, impedisci che l'elastico si spezzi. Non lo sai, ma è così. E non parlo solo di sesso anche se, lo ammetto, a guardarmi in questa posizione oscena e anche scomoda non so proprio a cos'altro potresti pensare se non al sesso. Ma io lo so che, in fondo, tu capisci perfettamente ciò che intendo dire. E comunque, in questo momento, a me va benissimo anche se pensi solo al sesso, sai? E' quello che sto facendo con me stessa, ma mi va benissimo se ti dici "guarda questa in che cazzo di modo si masturba, e lo fa per me". Non lo faccio per te, ma lo faccio anche per te. Non importa se questo non lo capisci, non ti posso aprire tutte le pagine del mio libro. Lo sai pure tu che prima o poi arriverà il momento in cui ti riprenderai il potere sul mio corpo. Nulla di più facile che sia io stessa a chiedertelo. Te l'ho raccontato con dovizia di particolari e lo conosci per esperienza diretta il modo in cui sbrocco quando voglio sentirmi bambola nelle tue mani. Non una delle dieci bambole che non ti piacciono più. Io sono l'undicesima, sono quella che ti fa sospirare "cazzo, mi hai succhiato pure i pensieri". Sono quella che non ti trova buffo in camicia e cravatta ma con i boxer e i pantaloni tirati giù alle caviglie. Io ti trovo sexy in quel modo. Sono quella del bocchino+aperitivo sul divano, bevi e rilassati. Guardami.

Guardami... guardami pensando a questo. Guardami pensando alle mie gambe che tremano ancora dopo che ti sei sfilato da me. Guardami e sappi che io ADORO quando prendi il controllo di tutto, quando lo fai violento e ignori i miei "no". La mia mente gode quando sei così, il mio corpo diventa un altro quando tu invece diventi despota e bastardo, nulla mi avvicina di più al piacere finale. Nulla mi spinge di più verso il momento in cui non capisco più nulla. Nulla, annullata.

Guardami pensando questo e avendo la consapevolezza che questo è reale, è vero, è sincero. Guardami anche se quest'onda di marea non arriva da te, arriva da più lontano. E' il passato che ogni tanto ritorna. E' un'onda di marea che si chiama "ho fatto cose brutte", si chiama "a volte sogno di farle ancora". E' un'onda di marea che tra un po' - lo vuoi vedere? - si chiama orgasmo.

L'orgasmo...





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