Scopamico 3/3 - Parola e silenzio

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etero

Sentitevi libere di raccontarvi e di parlare di sesso. Sì d'accordo, ma con chi? A una certa età, diciamo durante l'adolescenza e un po' oltre, sarebbe anche importante avere qualcuno con cui confrontarsi. In questo ero fortunata, devo riconoscerlo, perché avevo due amiche fidate e sensibili. E grazie a Dio molto meno intorcinate mentalmente di me. La novità fu però poterlo fare con un maschietto, con Felix-lo-scopamico. Avevamo raggiunto un tale grado di apertura reciproca che potevamo parlare di tutto. Dico "apertura" e non "intimità", ma non saprei spiegare bene il perché, forse “intimità” è una parola che si riserva a qualcuno cui ti lega qualche tipo di sentimento. Felix mi stava molto simpatico ed era piacevole passarci del tempo, è vero, ma non direi che la nostra fosse esattamente una dimensione sentimentale. Con lui però c'era se non altro il vantaggio di potere parlare di sesso stando nudi l'una accanto all'altro, magari durante una pausa-sigaretta in attesa di ricominciare. Cosa che avveniva praticamente sempre, intendo dire ricominciare, perché nonostante i nostri dialoghi non avessero l’obiettivo dichiarato di arraparci, alla fine, beh, insomma sì, ci arrapavamo sia io che lui. Anche se non mancavano risvolti vagamente comici e vagamente istruttivi. Tipo che se dici a un ragazzo che ne hai succhiati di più grandi è abbastanza possibile che si irrigidisca, e non in quel senso.

Per come la ricordo, lui era più interessato a certe sensazioni, diciamo così, “fisiche” (“perché ti piace farti sborrare in faccia? perché ti ecciti quando ti sculaccio?”) io ai suoi meccanismi mentali (“ti senti fico quando mi schiaffeggi con il cazzo? cosa pensi di me quando lo fai?”). Ma potevamo anche invertire le parti, non eravamo dei monoliti. Credo che la cosa che avevamo davvero in comune fosse la curiosità. Magari un po’ morbosa, è vero.

Non erano solo porcate, comunque. E' chiaro che in un racconto di questo tipo il versante "sesso" prende il sopravvento, però c'erano anche altre cose. Non che parlassimo dei massimi sistemi, ovvio, però su alcuni aspetti privati la nostra confidenza arrivava a livelli imbarazzanti. Ci si può sentire molto più esposte a confessare di non saper gestire cose come l'amore e la gelosia piuttosto che a dire, non so, che a me i bocchini piace farli senza usare le mani. Io sul momento non ci pensavo, ma a rifletterci oggi riconosco di averlo alluvionato con le mie ubbie. Cominciai una sera rispondendo a un classico “quando hai fatto sesso per la prima volta?” per finire non molto tempo dopo a riversargli addosso il vero e proprio drammone sentimentale e esistenziale della storia con il mio ragazzo. Il periodo iniziale e più intenso della frequentazione tra me e Felix coincise proprio con la parte più tormentata, quella finale, di questa storia: un giorno era un ex, quello dopo no, un giorno ci mandavamo affanculo per sempre, il giorno dopo lo passavo in iperventilazione perché non mi telefonava... Ho deciso di proposito di lasciare fuori da questo racconto questo amore tormentato, ma vi assicuro che era uno strazio destabilizzante. Quando stavo con Felix di solito cercavo di non pensarci, di spegnere il cervello, ma capitava anche che mi sfogassi, a parole intendo dire. Lui mi ascoltava e mi offriva la sua spalla dove appoggiare la testa.

Immagine curiosa, a pensarci bene, ma uno dei ricordi più intensi è proprio quello di una sera in cui mi lagnavo davvero tanto perché sapevo bene che mi intestardivo a tenere in piedi un rapporto già bello e sepolto. Mentre lo facevo gli passavo i polpastrelli sul cazzo, lui mi consolava, mi accarezzava la testa con una mano e con l’altra giocava con i miei capezzoli. D’un tratto sbroccai, iniziai a dirgli “siete tutti degli stronzi” e un attimo dopo, più che altro per allontanare la tristezza, “dai, basta parlare, ti rivoglio dentro”. Lo insultavo in quanto appartenente al genere maschile e poi gli saltavo sopra come impazzita rispondendo “mi piace più di ogni altra cosa!” alle sue richieste di conferma. E in un certo senso era vero. Cioè, in quel momento lo pensavo proprio. Ero come su un crinale, da una parte potevo precipitare nel pianto, dall’altra potevo godere. Non feci proprio una scelta consapevole, ma qualcosa mi portò verso la ricerca del godimento esasperato. Lo supplicavo di farmelo raggiungere, non volevo nient’altro, lo distrussi. Che serata…

Disponibilità e buona volontà ce le mettevo anche io, eh? Sia chiaro. Ero così carina da non voler sapere nulla di quella con cui stava, anche se in realtà mi reprimevo. Chiesi giusto una volta "come fai? che cazzo di storia è la tua?", ma poi non insistetti più di tanto. Sostanzialmente ne ero gelosa e non volevo darlo a vedere, anzi ascoltavo comprensiva i racconti su di lei, sulla famiglia di questa stronza, gente molto cafona ma anche molto arricchita che avrebbe preteso per la figlia, come minimo, un rampollo dei Von Hoffmanstall. Cercavo persino di dare buoni consigli.

Ma dicevo delle nostre parole sul sesso, quelle che prima chiamavo “porcate”. Beh, sono stata sempre interessata alla verbalizzazione, sin da piccola. Anche perché i miei mi hanno sempre fatto una testa così sull'importanza di parlare ai bambini - nel nostro caso bambine, me e mia sorella - anche in una età in cui si pensa che non capiscano un tubo.

Da un certo punto in avanti parlare di sesso diventò sempre più interessante per me, se non altro perché era un tabù. E Felix si rivelò, come vi ho detto, un compagno di chiacchiere davvero eccitante. Ogni tanto tirava fuori un immaginario un po’ troppo da film porno, è vero, e ogni tanto dubitava di quello che gli dicevo, ma non ho motivo di pensare che fosse uno sbruffone. Sì, ci raccontavamo anche esperienze vissute, e in quel modo non l’ho mai più fatto con nessun altro ragazzo, eravamo due svergognati.

Tra l’altro, alcune cose mi sono rimaste proprio in testa. Ve ne voglio raccontare una. Un pomeriggio mi chiese di descrivergli con precisione cosa provassi quando venivo presa. Ci dovetti pensare un po'. Non ero imbarazzata dalla domanda, ma non sapevo bene come rispondere. Gli dissi "è come sentirsi piena, anzi riempita". Gli dovetti anche spiegare la differenza, perché dire in quel modo presupponeva che ci fosse una parte attiva, cioè lui. E in effetti era a lui che pensavo. "Cioè al mio cazzo", mi provocò ironico. "Sì, al tuo cazzo", risposi cercando di rimanere neutra ma nei fatti abbastanza divertita dalla sua porcaggine. C'era più di un motivo per cui, quella volta, non intendevo cedergli. Il primo è che ero passata da lui perché avevo due-tre ore da spendere tra una lezione saltata e il corso di inglese. Non era raro che succedessero cose del genere, soprattutto se mi sapeva in giro. Il suo messaggio "ti va di vederci?" era da decodificare in "ti va una sveltina?" (i miei erano più rari ma decisamente più espliciti). Di solito ero lì nei dintorni dell'ora di pranzo e me ne andavo un'oretta dopo, spesso con il rammarico di non poter rimanere. Quickie eccitanti, fatte senza neanche spogliarci del tutto e in giro per casa, se la location era sgombra, salone o cucina.

Quel pomeriggio invece no, non ero da lui per scopare ma giusto per fare due chiacchiere. Capitava anche quello, eh?, anche se non a casa sua. Va bene che eravamo assatanati l'una dell'altro, ma mica ce l'aveva ordinato il dottore di scopare proprio sempre-sempre-sempre, qualche volta uscivamo anche solo per andare in un pub. Tra l'altro, e questo è il secondo motivo per cui non volevo assecondarlo, avevo le mie cose. Qualche volta l’ho fatto ma di norma non mi è mai piaciuto scopare con le mestruazioni. Non a caso eravamo rimasti a parlare distesi sul suo letto e vestiti: io a pancia in sotto e lui a pancia in sopra, condividendo un posacenere e una Coca. Lo ricordo come se avessi la fotografia davanti.

"Pensavo che ti sentissi sfondata", disse sempre restando in zona-provocazione. "Ahahahah, la solita cazzata", risposi io. C'è un piccolo pregresso da raccontare: Felix era uno che quel termine, "sfondare", lo usava d'abitudine. A me invece faceva abbastanza ridere e glielo dicevo. Magari non tanto quando mi scopava, perché non è pensassi particolarmente a ridere, ma quando per esempio facevamo sexting. Lo sfottevo, gli scrivevo "ma che vuoi sfondare..." oppure ironizzavo "quanto mi piaci quando sei così macho". Capivo ovviamente benissimo l'uso metaforico e iperbolico di quel termine e sapevo anche che se ne fa largo uso, ma non mi coinvolgeva, restavo alla sua interpretazione letterale, mi suonava anche un po' ridicolo. Mi succede, ogni tanto, su certe cose mi incaglio nella iperrazionalità, divento pignola e causidica.

Tuttavia… boh, evidentemente Felix aveva fatto breccia, che vi devo dire. Così quel pomeriggio in un certo senso mollai: “In effetti qualche sensazione di quel tipo la si sente…”, gli concessi. Non sapevo se fosse vero o meno, forse un po’ sì, altrimenti non l’avrei detto. Però la cosa era abbastanza nebulosa, indeterminata. Lui, comunque, la rivendicò come una vittoria, anche se rimase a bocca asciutta: “allora adesso ti sfondo”, “frena, ho il ciclo”. Per dir la verità non gli feci nemmeno un pompino. Non per ripicca, gliel’avrei fatto anche volentieri, credo. Solo che si era fatto davvero troppo tardi.

Si arrese? No che non si arrese. Anche in quel caso era un pomeriggio, primissimo pomeriggio: “sei in giro?”, “sì”, “ti va di essere sfondata?”. Gli risposi che era uno scemo ma mi presentai da lui con quel verbo nelle orecchie. Secondo i miei calcoli avremmo dovuto essere soli, invece a casa c'era uno degli altri tre ragazzi, Fabio. Poco male, filammo subito in camera di Felix. Nel tragitto dall'università a lì non avevo fatto altro che pensare a quello ed ero in condizioni pietose. Ci baciammo brevemente e nemmeno mi spogliai. Gli sbottonai oscenamente i pantaloni attendendo che lui facesse lo stesso con me. Le regole di ingaggio usuali avrebbero previsto un pompino, invece mi abbassai pantaloni e mutandine alle caviglie, senza neanche toglierli, e mi offrii mettendomi sul letto a quattro zampe. Il maglione di cotone nero che indossavo me lo tenni di proposito. Avevo capito con lui, proprio nei nostri incontri più brevi, il piacere perverso di farlo semivestita. Mi dava l'idea di essere una troia assoluta, buona solo per essere scopata. Era un gioco di ruolo che mi eccitava e tuttora mi eccita, anche se in quel momento lì non c'era tutto sto bisogno di trovare qualcos'altro che mi eccitasse, potete credermi. Gli sussurrai "sfondami" senza nemmeno voltarmi a guardarlo. Non ho idea di cosa dovette pensare Fabio quando mi sentì urlare (e penso proprio che mi sentì), in fondo erano passati una trentina di secondi appena da quando avevamo chiuso la porta, forse poco più. Comunque, se io ero eccitata e in gran parte auto-eccitata, lui non era da meno e mi diede una sbattuta che ancora me la ricordo. Una sbattuta accompagnata da quelle parole: "ti sfondo, lo senti come ti sfondo?". Obiettivamente non me ne fregava più un cazzo, non era il momento di pensare alla semantica. Magari gli avrò anche detto "sì" oppure gli avrò ripetuto "sfondami", anzi l'avrò certamente fatto, ma vi assicuro che non era più quello il punto, ero partita, nemmeno ricordo bene, mi ritrovai a boccheggiare per l'orgasmo. Da quel pomeriggio "sfondami" divenne però una delle mie invocazioni preferite.

Ma le novità non erano terminate, me l'annunciò dopo che il suo corpo si era adagiato sul mio a schiacciarmi sul letto.

- Annalisa, ora ti sfondo il culo...

Non era mai successo, non l'aveva mai fatto. Sì, l'aveva sempre desiderato, aveva sempre manifestato questa voglia, sin dalla seconda volta in cui avevamo fatto sesso, quando ci eravamo ritrovati a spogliarci sul pavimento del salotto e a dirci "andiamo di là, facciamo tutto". Beh, nel suo "tutto" era compreso anche quello. Nel mio no. Lo avevo sempre respinto con argomentazioni, direi, classiche: non voglio, ho paura, non l'ho mai fatto. Anche se non era vero. In un momento di idiozia pura avevo concesso quello che concedono un sacco di ragazze, l'avevo promesso al mio ex. E avevo mantenuto la promessa. Ma non avevo nessuna intenzione di ripetere l'esperienza. Anzi, ad un'amica con cui mi confidai e che mi rivelò che per lei non era tanto male, come pratica, avevo risposto lapidaria "ma tu sei matta". Anche se avessi voluto togliermi una curiosità che non avevo (ripeto, il mio "sì" era stato solo per far piacere al mio ragazzo) ormai era andata e chi s'è visto s'è visto.

Devo però confessare anche una cosa molto ma molto meschina, che risale proprio alla prima volta in cui mi chiese il culo. Poiché mi aveva detto di avere una ragazza, di essere “impegnato” per usare le sue parole, avevo pensato che magari quella poteva essere un’arma per indurlo a mollare la puttana. Magari anche lei si negava, magari avrebbe potuto scegliere me, che ero pronta a soddisfare le sue voglie più luride. Lo ripeto, un'idiozia totale, una cosa da prendermi, rinchiudermi in un manicomio e buttare la chiave, che infatti non ebbe seguito e se ne andò così come era venuta, in un lampo. Se la racconto però non è per gettarmi la croce addosso e neanche per sottolineare quanto fossi intimamente troia - e va bene, lo sono - ma soprattutto per dire quanto avessi le idee ancora parecchio confuse. Non tanto sul sesso, ma sulle relazioni con l’altro sesso. Allontanare quel pensiero l’ho considerato in un certo senso un atto di crescita.

Detto ciò, Felix fece ugualmente ciò che aveva in mente di fare da tanto tempo. Il suo "fatti inculare" sussurrato all'orecchio mentre sentivo che si aggiustava alle mie spalle non era certo una richiesta di permesso. Il fatto che avessi la testa ancora ottenebrata dal violento piacere precedente forse mi aiutò a non concentrarmi sul dolore, almeno all'inizio. Poi non tanto. Gli ripetevo abbastanza flebilmente cose tipo "no", "basta", "esci", facevo uno sforzo incredibile per non strillare. Assurdo come funziona il cervello in certi momenti, eh? Mi vergognavo! Tanto non me ne fregava un cazzo di ululare quando godevo per le vie, diciamo così, ortodosse, tanto avevo ritegno che Fabio, di là, potesse capire che Felix mi stava inculando. Comunque resistetti finché potei, ma dopo il suo "dai che ti piace" sbottai. Credo che si potrebbe scrivere un racconto solo mettendo in fila le cose che sono capaci di dirti in quelle situazioni. Non solo non mi piaceva per nulla, e questo mi pare che si sia capito, ma mi sentivo ingannata e quasi stuprata (su questo “quasi” si potrebbe aprire una discussione infinita). Tutto sommato la prima volta era stata orribile ma almeno un consenso l'avevo prestato, stavolta nemmeno quello. Una volta finito lo insultai in maniera orribile, anche se non riuscivo a esprimere fisicamente tutta la rabbia che avevo dentro. Non ne avevo la forza, ma di sicuro piangevo più per quella che per il dolore, avrei voluto essere teletrasportata in Nuova Zelanda. Quando mi ripresi un po' mi rivestii (psicologicamente certe cose sono più efficaci se si evita di farle a sedere scoperto...) e gli riversai addosso una scenata da spaccare i vetri. In quel momento ero convinta che non l'avrei più rivisto, eppure non andò così.

Non solo continuammo a frequentarci, ma il sesso anale entrò in qualche modo a far parte dei nostri sex talk, sia pure in modo un po’ obliquo e scherzoso. Erano cose tipo "ma vedi d'annaffanculo", "guarda che se qui c'è una che c'è andata...", oppure “a Fe’, ma me stai a pijà per culo?”, “già fatto, piccola”.

Ah già, uno dei suoi modi preferiti di chiamarmi era “piccola”. In particolare quando voleva essere strafottente e in particolare quando la sua strafottenza si indirizzava sul sesso. Non me la prendevo, sapevo che era un gioco anche quello e anzi mi piaceva.

Rifacemmo anche sesso anale, una volta sola. Non entrerò nei dettagli (se ci tenete magari un giorno faccio uno spin off, ok?), tuttavia anche lì era caduto un tabù. Non so se riesco a spiegarmi, ma averlo fatto non per una “promessa d’amore” con il mio ragazzo, e anche se in quel modo forzato, rappresentò un cambiamento. Non dico che divenne un’opzione come un’altra – non lo è nemmeno adesso – ma mi fece entrare in una dimensione erotica che allora nemmeno sospettavo. Questa però è proprio un’altra storia che non va raccontata qui.

Lo so che qualcuno/a storcerà il naso anche di fronte alla "promessa d’amore", lo capisco. Ma se sapeste quanto si può essere... sceme, a volte. Forse c’è chi mi potrà comprendere, anzi è probabile: a quanto mi risulta non sono l’unica che conosco a essere così cogliona.

Resta da scrivere solo una cosa, di questa storia. Ovvero: se è stata così bella, incosciente, importante, perché non è andata avanti? Perché, invece magari di trasformarsi, è finita?

E’ tristemente banale dirlo, ma queste storie finiscono perché a un certo punto si consumano, si erodono, non c’è nemmeno quel collante che è il sentimento – persino quando è un sentimento finto – a tenerle insieme. Finiscono perché, progressivamente ma inesorabilmente, si smette di cercarsi. Magari te lo dici pure, c’è un momento in cui ne hai consapevolezza: “Io e Felix non stiamo più insieme come un tempo”. Oppure, come mi è successo con un altro tipo, ti accorgi che ti sei proprio rotta il cazzo di lui.

Succede perché stai facendo cose diverse, ti interessa qualcos’altro o qualcun altro. Nel caso mio e di Felix andò così. E andò anche bene, se ci pensate, perché non di rado mentre la storia sta per finire, oppure è già finita del tutto, uno dei due si sveglia improvvisamente e ti dice “ehi, ma io ti amo, non posso stare senza di te”.

Non fu così, per fortuna. Certi redde rationem mi hanno sempre messa molto a disagio facendomi diventare anche più stronza e cattiva di quel che sono: “mi piaci, io pensavo che avremmo potuto…”, “invece a me non me ne frega un cazzo, guarda un po'...”. “Ti amo!”, “stai messo così per un pompino? cresci, no?”.

Con Felix invece fu una specie di lunga dissolvenza. L’aspetto quasi comico è che me lo ritrovai un giorno su Instagram strafidanzato, non con la troia con cui stava quando l’ho conosciuto, bensì un’altra. Poiché in fondo è sempre stato un po’ un figlio di puttana, e poiché in fondo sono sempre stata una mignotta, ci siamo rivisti. Notate, vi prego, l’eufemismo di quel “rivisti”. Due volte. La terza gli dissi “no, dai”. Non per moralismo, ma perché non me ne fregava più un cazzo nemmeno di lui e non avrei più saputo che dirgli, non avrebbe capito ciò che ero in quel periodo. E in fondo nemmeno lui, ne sono certa, avrebbe avuto molto da dirmi.

Però, se ci pensate, come epilogo è stato un po’ strano. Essere rimasti senza parole dopo tutto quello che avevamo detto e fatto è stato davvero strano.

FINE
scritto il
2022-03-03
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