Il prezzo della sottomissione (parte 10)

di
genere
sadomaso

Quando la cena finì e le tolsero i morsetti, si accasciò sulla tavola, quel tanto che lo spazio le consentiva, quasi grata per poter riposare un poco da quella posizione che, di per sé, era una tortura, senza contare il dolore provocato dalla ripresa circolazione del sangue nelle zone strette dai morsetti, sopratutto i capezzoli.
Eppure non pensò nemmeno per un attimo che quello non fosse il suo posto, troppo presa da quanto stava accadendo, dall’aria che si respirava.
I Padroni erano troppo eccitati e non si curarono certo della sua sofferenza.
Sempre Monica:
“Dobbiamo aiutare questa schiava a pulirsi la schiena”.
Era un tono denigratorio, come se già sapesse la risposta. Simona ascoltava, passivamente, senza pensare.
Niccolò le rimise il guinzaglio e la fece scendere dalla tavola.
Lei lo seguiva, passivamente. Solo il giorno dopo avrebbe elaborato le sensazioni. Adesso le viveva e basta, conscia dell’eccitazione intorno a lei e del fatto che lei ne era la causa. Almeno questo pensava. In realtà la causa era la fantasia dei presenti. Lei era solo lo strumento.
Non prestò attenzione a quanto stava accadendo alle sue spalle mentre il Padrone la portava davanti al muro al quale le fece appoggiare le mani, sbilanciando in avanti il peso del corpo.
Se ne accorse al primo colpo di scudiscio, quando emise un grido, non aspettandoselo, sentendosi amplificare il dolore per la sorpresa e, sicuramente, per la pelle già resa delicata dalla cera calda.
“Monica, sarebbe imbarazzante spiegare all’amico Questore cosa sta accadendo qui, se questa schiava continua a gridare”.
La voce di Niccolò era canzonatoria. La registrava ma non la elaborava. Si limitava a viverla.
Fu Luisa a prenderla per i capelli e a rimetterla a posto contro il muro mentre Monica, sorridendo, si tolse le mutandine bagnate dalla sua eccitazione e le infilò in bocca alla schiava.
Simona non ci provò nemmeno a contare le frustate che le diedero e che continuarono anche quando l’ultimo pezzo di cera era stato tolto, molto tempo dopo che aveva iniziato a piangere, questa volta non per la tensione ma per il dolore.
I Padroni si alternavano con la frusta e, nel frattempo, continuavano a gustare il prosecco freddo.
Poco prima di terminare, Monica (sempre lei, la più sadica) la prese da dietro per i capelli facendole alzare il viso.
“Non sai da quanto tempo desideravo frustarti”.
Se la portarono, a turno, in camera, per usarla sessualmente e godere con calma.
Prima Ernesto e Luisa.
Mezz’ora dopo la riportarono in sala tenendola per il guinzaglio.
Toccò poi a Luigi e Monica, mentre gli altri aspettavano in sala bevendo.
Fu la Padrona a riportarla in sala, mentre suo marito era rimasto a letto a riprendersi.
“Con la lingua è una bomba questa puttana, Niccolò”.
Il Padrone se la tenne per la notte, quando tutti gli altri andarono via.
Non ebbe la forza di cenare ma si accoccolò tra le braccia dell’uomo sul grande letto dopo avere soddisfatto anche lui.
“Brava piccolina, sei stata bravissima”.
Giorgio non seppe mai nulla di quella serata.
Simona la elaborò solo nei giorni successivi e lesse negli accadimenti ciò che le faceva piacere, cioè l’espressione della sua sottomissione, si sentiva parte di quel gruppo nel suo nuovo stato, con il suo nuovo ruolo, utile per gli altri e, quindi, a sé stessa.
Provò eccitazione per quanto accaduto e la raccontò al Padrone, un giorno, ad un tavolino in un caffè della piazza centrale, con le persone che passavano e qualche uomo che la ammirava.
“Siamo tutti molto contenti di te Simona, nel tuo nuovo ruolo nel nostro gruppo, dove ognuno ha il suo. Viviamolo bene questo rapporto che ci unisce e, nel privato, sii sempre deferente con noi, sottomessa, quale tu sei”.
Si sentì bagnare dove avrebbero dovuto esserci le mutandine.
“Domani sera ci sarà un ricevimento privato dal Prefetto. Saremo una trentina. Vieni da me alle 19”.
Montagne russe. Esaltata ed ammirata in pubblico, sottomessa e umile in privato.
“Sì, Padrone”, parole pronunciate a sguardo già abbassato.
“Andiamo a casa, ho voglia di usarti”.
Bagnata.
Mise il suo miglior vestito per l’occasione anche se, sapeva, la sua eleganza era data dalla bellezza, mentre quella delle altre donne dai vestiti firmati, dai gioielli e dalla coscienza del potere che avevano.
Passarono a prendere Monica. Suo marito non ci sarebbe stato.
Appena entrati in casa la donna le diede uno schiaffo ricevendo, in cambio, uno sguardo stupito.
Fu Niccolò, con calma, a spiegarle che, in quel momento, si trovavano in privato e, quindi, era la loro schiava.
“Bacia i piedi alla Padrona”.
Non se l’aspettava.
“Vorrei evitare di slacciarmi la cinghia”.
Si abbassò subito e baciò i piedi già coperti dalle costose calze ma ancora nelle ciabattine. Fece per rialzare la testa ma la donna le pose la calzatura sulla nuca per tenerla giù.
“Non ti ha spiegato il Padrone che devi essere sempre deferente con noi?”
Non serviva una risposta.
In cortile, vicino all’auto, nuovamente la Padrona la guardò con occhi duri.
“Non mi apri la portiera?”
Simona si sentì umiliata ma eseguì.
“Niccolò, credo che questa schiava abbia bisogno di una ripassata delle regole”.
“Credo anche io. Al ritorno dal ricevimento le darò qualche frustata”.
La frusta era ormai una costante le cui risultanze Giorgio vide ogni tanto, mentre la moglie si cambiava e non certo mentre facevano sesso in quanto l’accesso al suo corpo era ormai precluso.
Non ci fu bisogno di alcun ordine quando, arrivati al luogo dell’evento, Simona scese velocemente per aprire la portiera a Monica.
All’ingresso incontrarono quale prima persona il sottosegretario che fece il baciamano ad entrambe le donne. Dopo che Monica si fu allontanata per andare a salutare l’amico Prefetto, il politico fece i complimenti a Simona, insistendo per prendere qualcosa da bere assieme a lei.
Montagne russe. Ammirata in pubblico e schiava in privato. Quel contrasto alimentava la sua eccitazione, bagnandola anche ripensando al fatto che, mentre molti occhi erano su di lei, poco prima aveva dovuto baciare i piedi a Monica e aprirle la portiera.
Al rientro a casa, Monica volle sedersi dietro e, spinto tutto avanti il sedile del passeggero del grosso suv, ottenne lo spazio per fare inginocchiare Simona, così da farsi leccare la vagina per tutto il viaggio.
“Quante frustate pensi di dare a questa stupida schiava?”
Non si era dimenticata della punizione promessa.
“30 direi che possano bastare, Monica, che dici?”.
“Perfetto, mandami il video, così me la godo”.
Quel video avrebbe fatto il giro di tutto il ristretto gruppo.
di
scritto il
2021-11-29
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