Susanna: Desiderio blasfemo Cap 3
di
b_bull_and_master
genere
dominazione
Alcune dovute premesse:
1) questo racconto non è frutto di fantasia, è assolutamente vero. Solo alcune circostanze sono state romanzate. Ma neanche troppo.
2) spero che questo racconto ecciti la fantasia di qualcuno, uomo o donna che sia, e che sia di ispirazione. Se così non fosse, potete dedicare la vostra lettura ad altri autori.
3) se qualcuno ha dei commenti da fare può contattarmi su b_bull_and_master@proton.me
Era la vigilia di Capodanno, il 31 dicembre 2025, e l'aria della piccola città di provincia sembrava pulsare di un'eccitazione sotterranea, un velo di festa che nascondeva desideri inconfessabili. Le strade erano illuminate da ghirlande natalizie residue, luci colorate che si riflettevano sui marciapiedi umidi di nebbia invernale, mentre l'eco distante di risate e brindisi anticipati filtrava dalle finestre chiuse. Per Susanna, però, quelle luci esterne erano solo un pallido riflesso del fuoco interiore che la consumava, un calore liquido e insistente che le si annidava tra le cosce, facendole accelerare il respiro a ogni pensiero di ciò che l'aspettava. Aveva passato il pomeriggio in casa, intrappolata nella routine familiare: aiutando i genitori con i preparativi per il cenone – apparecchiare la tavola con piatti fumanti di lenticchie per la fortuna, cotechino per l'abbondanza, e un pandoro glassato che sua madre decorava con cura meticolosa. Tutto così normale, così prevedibile, così asfissiante. Lei annuiva distratta alle chiacchiere sui buoni propositi per l'anno nuovo, sul Signore che vegliava su di loro, ma la sua mente era altrove, intrappolata in un labirinto di immagini peccaminose: mani callose che la toccavano, parole crude che le echeggiavano nell'orecchio, un collare immaginario che le stringeva la gola ricordandole chi era diventata.
Il messaggio di Luca era arrivato alle quattro del pomeriggio, mentre lei stava lavando i piatti in cucina, le mani immerse nell'acqua saponosa che le dava una falsa sensazione di purezza. Il telefono aveva vibrato nella tasca della gonna lunga, e lei l'aveva letto di nascosto, il cuore che le schizzava in gola: "Stasera sei la mia monaca devota al peccato. Porta il velo nero che ti ho dato l'ultima volta, il rosario della nonna – quello macchiato dai tuoi umori, non osare pulirlo. Niente mutandine, niente reggiseno. Solo autoreggenti nere, quelle con il bordo di pizzo che ti fanno sentire una puttana sotto la gonna castigata. Preparati a pregare per me, sorella. Vieni alle otto in punto, o ti punirò come una novizia disobbediente." Le parole le avevano incendiato la pelle, un'onda di calore che le era salita dal basso ventre, facendole stringere le ginocchia sotto il lavandino per arginare il flusso umido che già la tradiva. Perché continuo a obbedire?, si era chiesta, asciugandosi le mani tremanti su un canovaccio, il viso arrossato riflesso nel vetro della finestra. Perché questo è peccato, e il peccato mi fa sentire viva, non più una bambola vuota inginocchiata in chiesa a recitare preghiere meccaniche. La verità era che Luca l'aveva spezzata e rimessa insieme: da ragazza timida, devota al Signore e alla modestia imposta dalla famiglia cattolica, in una creatura che trovava estasi nel degrado, nel contrasto tra la sua facciata pura e il caos interiore di desideri repressi che ora esplodevano liberi.
Alle sette e mezza, uscì di casa con una scusa balbettata – "Vado a fare gli auguri a un'amica dell'università, torno per la mezzanotte" – il cappotto pesante abbottonato fino al collo per nascondere la sua nudità obbediente. Sotto, come lui aveva comandato, era completamente esposta: solo le autoreggenti nere che le accarezzavano le cosce pallide, il pizzo che sfregava contro la pelle sensibile a ogni passo, amplificando la sensazione di vulnerabilità. Il sesso rasato – un altro ordine di Luca, per renderla "pronta e liscia come una vergine sacrificale" – era già gonfio e umido, le labbra intime che si sfregavano l'una contro l'altra con ogni movimento, mandandole scariche di piacere colpevole. In borsa, il velo nero piegato con cura e il rosario della nonna: quest'ultimo, un tempo cimelio sacro di preghiere innocenti, ora portava tracce indelebili delle sessioni precedenti – perle appiccicose di umidità essiccata, un odore muschiato che le saliva alle narici ogni volta che lo toccava, facendola arrossire di vergogna e desiderio. Camminando verso l'officina, sentiva il freddo di dicembre insinuarsi sotto il cappotto, sfiorandole i capezzoli duri e il ventre piatto, un contrasto che le faceva contrarre i muscoli interni, come se il suo corpo pregasse già per ciò che stava per accadere. Se qualcuno mi vedesse ora, pensò con un brivido, saprebbe che sono perduta. Ma forse... forse lo voglio.
Luca aprì la porta prima ancora che lei bussasse, come se l'avesse sentita arrivare dal profumo del suo desiderio, un'aura invisibile che la avvolgeva. Indossava solo i jeans slacciati, il petto atletico segnato dai tatuaggi – un drago sinuoso che si attorcigliava intorno a una croce invertita, simbolo della sua ribellione – e l'odore di olio motore misto a sudore maschile la investì come una droga afrodisiaca, facendole girare la testa. I suoi occhi scuri la divorarono all'istante, un sorriso predatore sulle labbra carnose. "Entra, sorella Susanna," mormorò con quella voce bassa, rauca, che le vibrava fin nelle ossa, tirandola dentro l'appartamento e chiudendo la porta con un calcio secco. Le sue mani callose, ruvide dal lavoro manuale, le sfilarono il cappotto con urgenza possessiva, esponendola nuda al suo sguardo famelico, i capezzoli che si indurivano ulteriormente sotto l'aria calda della stanza.
"Cazzo, guardati," ringhiò lui, le dita che le sfioravano i seni piccoli ma sodi, pizzicando i capezzoli duri con una pressione calcolata, abbastanza forte da farla gemere ma non da farle male – non ancora. "Nuda come una novizia prima del voto eterno di castità... che tu romperai stasera, per me. Hai obbedito alla perfezione, troietta mia devota. Senti quanto sei bagnata già?" La sua mano scese tra le cosce spalancate istintivamente, trovandola fradicia, le dita che scivolavano facilmente tra le labbra gonfie, sfregando il clitoride con cerchi lenti, torturanti, che le mandavano scariche di elettricità su per la spina dorsale. Susanna trattenne un singhiozzo di piacere, le ginocchia molli, la mente che vorticava in un misto di vergogna profonda e dipendenza assoluta. È sbagliato, è blasfemo, pensò, ma il corpo la tradiva, inarcandosi contro la sua mano, implorando di più, il respiro che si spezzava in gemiti soffocati. Ogni tocco era una catena psicologica: Luca non la forzava fisicamente, ma la sua voce, i suoi ordini, le scavavano nell'anima, facendola sentire posseduta non solo nel corpo, ma nell'essenza stessa.
"Luca... è Capodanno," balbettò lei, la voce rotta, aggrappandosi alle sue spalle muscolose per non cadere, le unghie che gli affondavano nella pelle. "I miei genitori mi aspettano per la mezzanotte... la messa di ringraziamento..."
Lui rise piano, un suono basso e crudele che le fece contrarre il ventre, mordicchiandole il collo con denti affilati, lasciando un segno rosso pulsante che l'avrebbe costretta a nascondere domani con sciarpe e colli alti, un marchio segreto della sua sottomissione. "I tuoi genitori pregano il Signore con il rosario in mano, inginocchiati in chiesa a chiedere benedizioni per l'anno nuovo. Tu pregherai me, stasera, con la bocca sul mio cazzo e le dita dentro la tua figa peccaminosa, implorando il mio seme come una grazia divina. Mettiti il velo e il rosario, monaca mia perversa. Diventa la suora devota al peccato che sei nata per essere, e che io sto modellando per il mio piacere."
Susanna tremò violentemente, un'onda di calore che le saliva dal basso, ma obbedì senza esitare, le mani che le tremavano mentre estraeva il velo nero dalla borsa. Se lo mise in testa, il tulle morbido e oscuro che le incorniciava il viso pallido, dandole un'aria di falsa santità corrotta dai suoi occhi verdi lucidi di lacrime represse e desiderio inconfessabile. Il rosario della nonna lo avvolse intorno alla vita nuda, le perle fredde e lisce contro la pelle calda del ventre, alcune che sfioravano il monte di Venere rasato, mandandole brividi elettrici fin nel nucleo del suo essere. L'odore muschiato del rosario – i suoi umori essiccati dalle sessioni passate – le salì alle narici, un ricordo olfattivo che le fece stringere i muscoli interni, un misto di nausea morale e eccitazione carnale. Luca la osservò, il respiro accelerato, il cazzo già duro che premeva contro i jeans, gli occhi che brillavano di trionfo possessivo. "Cazzo, sei perfetta. Una monaca che nasconde una troia affamata di peccato. Guarda come il velo ti rende santa fuori... ma dentro, sei mia, bagnata e pronta a profanare tutto ciò che hai di sacro."
La tensione psicologica era un cappio che si stringeva intorno alla sua gola: Susanna sentiva la vecchia sé – la ragazza che recitava preghiere in chiesa con devozione genuina – urlare dentro di lei, ma quella voce era sempre più debole, soffocata dal ruggito del desiderio che Luca aveva risvegliato. Sto perdendo me stessa, pensò, ma l'idea la eccitava, la faceva sentire libera nella schiavitù. "In ginocchio, sorella," ordinò Luca, la voce un comando ipnotico. "Inizia la tua devozione al peccato. Mani giunte come in preghiera, ma cosce spalancate per offrirmi il tuo altare umido."
Lei si inginocchiò sul pavimento freddo della camera, le ginocchia che dolevano contro il legno, le mani giunte in una parodia di preghiera, le dita intrecciate che tremavano. Le cosce si aprirono obbedienti, esponendo il sesso gocciolante, le labbra intime aperte e lucide sotto la luce fioca della lampada, un'offerta vulnerabile che la faceva arrossire fino alla radice dei capelli. Luca si avvicinò, slacciandosi i jeans e liberando il suo membro venoso, pulsante, la cappella gonfia che gocciolava pre-eiaculato. "Recita l'Ave Maria," le ordinò, prendendole i capelli sotto il velo e guidandola verso di sé, la punta che le sfiorava le labbra socchiuse. "Ma ogni 'piena di grazia' la dici con la bocca piena di me. Mostrami quanto sei devota al tuo vero Dio, non a quello crocifisso che adori in chiesa."
Susanna deglutì, le labbra tremanti che si aprivano per accoglierlo, la lingua che lo accarezzava devota, girando intorno alla cappella con movimenti lenti, reverenziali, assaggiando il sapore salato della sua eccitazione come un'ostia profana. "Ave Maria... piena di grazia..." gemette intorno a lui, le parole soffocate, vibranti contro la sua carne calda e dura, la gola che si contraeva mentre lui spingeva più a fondo, riempiendola fino a farle lacrimare gli occhi. Luca le tenne la testa ferma, i movimenti lenti e controllati, ogni affondo un'invasione che le scavava nella mente: "Brava, monaca mia. Prega più forte. Il Signore ti guarda dal cielo, ma io ti possiedo qui, sulla terra. Senti come ti riempio la gola, come una comunione profana che ti marchia l'anima?"
Il rituale si dispiegò in un'escalation blasfema, ogni passo progettato da Luca per erodere la sua resistenza psicologica. La fece sdraiare sul letto, le gambe spalancate come un altare aperto, e le ordinò di masturbarsi con il rosario: le perle fredde che sfregavano il clitoride turgido, alcune che entravano piano dentro di lei, dilatandola con un piacere doloroso, le pareti interne che si contraevano intorno alle sfere lisce in un'imitazione perversa della penetrazione. "Ripeti i tuoi voti, sorella," le sussurrava all'orecchio, la voce come un veleno dolce che le infettava la mente, le sue dita che guidavano il rosario più a fondo, ruotandolo per stimolare ogni nervo. "Io, Susanna, rinuncio alla purezza per il tuo piacere. Il mio corpo è il tuo altare, la mia figa il tuo calice sacro da profanare." Lei ripeté, la voce rotta dai gemiti, il corpo che si inarcava in estasi colpevole, le perle che entravano e uscivano in un ritmo ipnotico, il velo nero che le scivolava sul viso sudato, mescolandosi alle lacrime di un piacere che la spezzava.
Ogni ordine era una lama psicologica: Luca la girò a carponi, le alzò il velo come una tenda profana, e la penetrò lentamente da dietro, tenendola per i fianchi con forza brutale, ogni spinta un'onda di estasi che le scavava nell'anima. "Sei mia, monaca perversa," ringhiava, le mani che le stringevano i seni, pizzicando i capezzoli fino a farla urlare. "Il tuo Dio sono io. Ogni affondo è una preghiera che ti lega a me, erodendo la tua fede fasulla." Susanna pensò alla chiesa, al crocifisso che la guardava durante le messe, e l'idea la fece venire con violenza, il corpo che si contraeva in spasmi, gemendo preghiere spezzate: "Padre nostro... ma tu sei il padre del mio desiderio... riempimi, scopami più forte, profanami l'anima..."
Vennero insieme alla mezzanotte, mentre fuori i fuochi d'artificio esplodevano in un boato di colori e suoni, un orgasmo cosmico che sembrava celebrare la loro unione blasfema. Luca le riempì la bocca con un ringhio gutturale, il seme caldo e denso che le colava sulle labbra mentre lei ingoiava avidamente, leccandosi le dita con devozione perversa, il velo nero macchiato di saliva, lacrime e tracce di lui. Il rosario era ancora dentro di lei, le perle umide dei suoi umori, un simbolo eterno della sua caduta.
Dopo, sdraiati nudi e sudati tra le lenzuola aggrovigliate, Luca prese il telefono e caricò le foto e i video su @susanna_secret – ancora privato, solo per loro due, ma con un brivido di esposizione che la eccitava. Immagini di lei in ginocchio con il velo, la bocca piena; sequenze di lei che si toccava con il rosario, gli occhi lucidi di sottomissione totale; il video finale della scopata, con l'audio dei suoi gemiti e delle preghiere spezzate, caption: "La mia suora perversa prega il cazzo alla vigilia del nuovo anno. Amen al peccato."
"Brava, suor Susanna," le sussurrò Luca, baciandole la fronte umida, la mano possessiva sul suo seno, sfiorandole il capezzolo ancora sensibile. Il titolo le arrivò come un marchio, un nome nuovo che la fece tremare di piacere: Suor Susanna. Non era più solo un gioco, era una realtà che le si insinuava nella mente, un'identità che accettava senza resistenza. "Sì," mormorò lei, la voce bassa e rotta, accoccolandosi contro di lui. "Sono la tua suor Susanna."
Poi, mentre lei sonnecchiava contro il suo petto, esausta e appagata, Luca compose un numero sul telefono. Si allontanò piano verso il bagno, ma la porta era socchiusa, e lei, fingendo di dormire, sentì la conversazione filtrare come un veleno dolce. "Sì, superiore. I progressi sono eccellenti. Si sottomette completamente al ruolo di suora perversa. La sua mente si piega come argilla sotto le mie mani. È pronta per il prossimo livello – l'iniziazione vera, con riti più profondi." Una pausa, la voce all'altro capo indistinta, poi: "Certo. La terrò aggiornata sui suoi gemiti di devozione."
Susanna spalancò gli occhi nel buio, un brivido di curiosità misto a un'eccitazione perversa che le percorse la spina dorsale, facendola bagnare di nuovo nonostante l'esaurimento. Un superiore? Chi è? Perché Luca obbedisce a qualcun altro? L'idea la intrigava, la rendeva curiosa in un modo profondo e proibito: non paura, ma un desiderio di scoprire di più, di essere vista, guidata, posseduta da una rete invisibile che la elevava nel suo peccato. Invece di ribellarsi, strinse le cosce, sentendo il calore familiare tra le gambe pulsare come una preghiera inascoltata. La sottomissione la stava cambiando irrevocabilmente, e lei non provava rimpianto – solo una fame insaziabile di ciò che sarebbe venuto dopo, un abisso di peccato che la chiamava per nome.
Il 1 gennaio 2026 si annunciò con un’alba gelida e impietosa, un sole anemico che filtrava attraverso le nuvole basse sulla piccola città di provincia, tingendo le strade di una luce grigia e spettrale. I residui dei festeggiamenti della notte precedente – bottiglie vuote abbandonate sui marciapiedi, coriandoli appiccicati all’asfalto umido – sembravano echi di un’orgia collettiva che Susanna sentiva riecheggiare nel suo corpo stanco ma ancora fremente. Si svegliò lentamente nel letto di Luca, il corpo avvolto nelle lenzuola aggrovigliate che odoravano di sudore, sesso e incenso bruciato – un profumo che le si era impresso nella pelle come un marchio indelebile. Il velo nero era caduto sul pavimento durante la notte, macchiato e spiegazzato, mentre il rosario le pendeva ancora intorno alla vita, le perle fredde contro la pelle calda del ventre, un promemoria costante della sua nuova identità: suor Susanna.
Il nome le echeggiava nella mente come una litania ossessiva, un titolo che Luca le aveva impresso con i suoi ordini sussurrati, e che lei aveva accettato con un sussurro tremante, sentendolo calzare alla perfezione sulla sua anima in trasformazione. Suor Susanna. Non era più solo un gioco, un vezzeggiativo erotico: era diventato un nome vero, uno che le si adattava addosso come una seconda pelle, più autentico di quello che le avevano dato i genitori al battesimo. Ogni volta che ci pensava, sentiva un nodo stretto in gola – non di paura, ma di un riconoscimento profondo, come se Luca avesse scavato dentro di lei e tirato fuori una verità che aveva sempre nascosto. Sono davvero questa? Una suora devota al peccato, non al Signore? Il dubbio la tormentava, ma non la respingeva; al contrario, la attirava, la faceva sentire viva in un modo che le preghiere genuine non avevano mai fatto.
Luca dormiva profondamente accanto a lei, il petto che si alzava e abbassava con un ritmo regolare, il braccio possessivo gettato sui suoi fianchi come per ancorarla al suo mondo. Susanna lo osservò a lungo, il cuore che le martellava con una miscela di affetto carnale e curiosità oscura. La conversazione origliata la notte prima – quel "superiore" misterioso a cui Luca riferiva i suoi "progressi" – le aveva lasciato un nodo di eccitazione in gola, un brivido che le saliva dal basso ventre ogni volta che ci ripensava. Chi è? Un mentore? Un padrone sopra Luca? Qualcuno che mi osserva da lontano, che giudica quanto sono diventata corrotta? L’idea di essere parte di qualcosa di più grande, di una catena di dominazione che si estendeva oltre il loro appartamento, la intrigava in modo profondo e proibito. Non era solo curiosità: era un desiderio voyeuristico di essere vista, valutata, forse punita da occhi invisibili che conoscevano i suoi segreti più intimi. Si morse il labbro inferiore, la mano che scivolava istintivamente tra le cosce, sfiorando il clitoride ancora sensibile con un tocco leggero, esplorativo. Il contatto la fece gemere piano, un suono involontario che le mandò ondate di calore su per la spina dorsale, mescolandosi al senso di colpa che le attanagliava lo stomaco. Se questo superiore esiste davvero, sa già quanto sono bagnata solo pensando a lui?
Si alzò piano, nuda e tremante nel freddo mattutino, raccogliendo il velo nero dal pavimento e sistemandoselo in testa con mani che tremavano non di freddo, ma di un’anticipazione residua che le pulsava nelle vene. Guardandosi allo specchio appannato del bagno, vide una versione di sé che la spaventava e la affascinava: il viso pallido incorniciato dal tulle oscuro, gli occhi verdi velati di stanchezza erotica, le labbra gonfie dai baci e dalle devozioni della notte. Il rosario le dondolava sui fianchi, sfiorandole il sesso umido ogni volta che si muoveva, un tocco accidentale che le strappava sospiri. Tornò in camera, chinandosi su Luca per svegliarlo con la bocca, come aveva fatto altre volte – la lingua che lo accarezzava piano, devota, mentre lui apriva gli occhi con un ghigno soddisfatto. "Buongiorno, suor Susanna," mormorò lui, infilandole una mano nei capelli sotto il velo, guidandola più a fondo. Lei accettò il nome senza proteste, il cuore che le scoppiava di una strana euforia: era suo, era reale, era la sua nuova pelle.
La mattinata si trascinò in un turbine di rituali domestici che le sembravano sempre più lontani, come se appartenesse a un’altra vita. Susanna tornò a casa per il pranzo di Capodanno, fingendo normalità con i genitori – sorrisi forzati, chiacchiere su buoni propositi e benedizioni divine – ma sotto la gonna lunga e la camicetta abbottonata, portava ancora il rosario avvolto intorno alla vita, nascosto come un segreto peccaminoso che le sfregava contro la pelle a ogni movimento, un promemoria costante che le faceva arrossire le guance e bagnare tra le cosce. Ogni sguardo dei genitori, ogni domanda innocente – "Stai bene, tesoro? Sembri distratta" – le sembrava un’accusa velata, un riflettore puntato sulla sua doppia vita. Se sapessero che mi chiamano suor Susanna, che prego in un altro modo... Il pensiero la tormentava, ma non con rimorso: con un’eccitazione perversa che le faceva stringere le cosce sotto il tavolo.
Nel pomeriggio, la messa di ringraziamento per l’anno nuovo fu il culmine della tensione. Susanna si inginocchiò nel banco in fondo, le mani giunte sul messale, la postura perfetta della ragazza devota che tutti conoscevano. Ma dentro era un turbine: riviveva la notte precedente, il velo nero, le preghiere blasfeme, e soprattutto l’idea del "superiore" la tormentava come un prurito psicologico incessante. Mi sta osservando ora? Attraverso Luca? O forse è qualcuno qui, in questa chiesa? Don Matteo celebrava dall’altare, la voce calda e paterna che riempiva la navata con parole di redenzione, misericordia e vigilanza contro le tentazioni dell’anno nuovo. Ma i suoi occhi – quegli occhi spessi dietro gli occhiali, penetranti come se potessero scavare nelle anime – si posarono su di lei più volte, prolungati, insistenti, facendola sobbalzare ogni volta. Mi vede davvero? Legge dentro di me, nei miei pensieri più sporchi? Il dubbio la consumava: il sesso che si contraeva involontariamente, umido contro il tessuto della gonna, il respiro che si faceva corto, i capezzoli che si indurivano sotto la camicetta. Ogni parola del parroco sembrava rivolta a lei sola – "Il demonio si nasconde nei desideri più profondi, figli miei, e sa leggere i cuori meglio di noi" – e Susanna sentì un’onda di panico misto a eccitazione travolgerla, le mani che tremavano sul messale, la mente che gridava silenziosamente: Sa. Deve sapere.
Dopo la messa, mentre i fedeli defluivano chiacchierando di pranzi e auguri, Don Matteo si avvicinò al suo banco con passo lento, deliberato, come se avesse aspettato quel momento. "Susanna, figlia mia," disse con quella voce gentile ma autorevole, posandole una mano sulla spalla – un tocco innocente, paterno, eppure lei lo sentì come una scottatura elettrica, un contatto che le fece contrarre i muscoli interni, il calore che le saliva dal basso ventre. "Ti vedo... diversa. Gli occhi persi, le guance arrossate anche ora. C’è qualcosa che ti tormenta l’anima? Il nuovo anno è tempo di confessioni sincere, di liberarsi dai pesi che ci divorano dall’interno."
Susanna deglutì, il cuore che le martellava nel petto come un tamburo di condanna, le mani che stringevano il messale fino a far sbiancare le nocche. Il rosario nascosto le sfregava contro il clitoride a ogni respiro affannoso, amplificando la tensione fino al punto di rottura. "N-no, padre," balbettò, evitando il suo sguardo, ma sentendo gli occhi di lui trapassarle la pelle, come se potesse vedere ogni marchio invisibile lasciato da Luca, ogni pensiero su "suor Susanna", ogni curiosità per il superiore misterioso. "Solo... pensieri. La stanchezza dell’anno nuovo."
Don Matteo annuì lentamente, ma non si mosse, la mano ancora sulla sua spalla, il pollice che sfiorava accidentalmente la clavicola – un gesto innocuo, eppure per Susanna fu come una carezza proibita, un tocco che le mandò scariche di calore giù per il ventre, facendola tremare visibilmente. "L’anima non mente, Susanna," sussurrò, chinandosi leggermente verso di lei, la voce bassa e intima, come se condividesse un segreto. "Ti conosco da anni, da quando eri bambina al catechismo. So quando qualcosa ti cambia dentro. Questi occhi... tradiscono conflitti profondi, desideri che lottano per emergere. Non avere paura di confessarli. Il Signore perdona, ma prima dobbiamo guardarli in faccia."
Le sue parole erano un bisturi psicologico: ogni sillaba sembrava scavare più a fondo, anticipare ogni difesa, toccare nervi scoperti che Susanna non sapeva nemmeno di avere. Legge dentro di me. Sa del nome che porto ora, suor Susanna. Sa del superiore, forse? Il pensiero la travolse: panico puro, ma intrecciato a un’eccitazione che le faceva pulsare il clitoride, le cosce che si stringevano involontariamente per arginare il calore liquido. "Padre, io... forse una confessione," mormorò alla fine, la voce tremante, incapace di resistere allo sguardo di lui, che sembrava conoscere ogni angolo oscuro della sua mente.
Don Matteo sorrise piano, un’espressione paterna ma con un’ombra indecifrabile – compassione? Comprensione? Qualcos’altro? – e la guidò verso il confessionale con una mano sulla schiena, un tocco fermo che le bruciava attraverso il tessuto, come se potesse sentire il rosario nascosto, il velo immaginario, l’identità segreta.
Nel confessionale buio, l’aria densa di incenso e silenzio opprimente, Susanna si inginocchiò dietro la grata, il cuore che le scoppiava, le cosce strette per arginare il flusso di eccitazione che le colava lungo l’interno gamba. Don Matteo si sedette dall’altro lato, la silhouette visibile attraverso la rete, la voce che emergeva come un giudizio inevitabile. "Dimmi, figlia mia. Quali pensieri ti consumano?"
Susanna esitò, le labbra socchiuse, il respiro affannoso. La tensione psicologica era insostenibile: voleva confessare tutto – il nome "suor Susanna", la curiosità per il superiore, il modo in cui il peccato la faceva sentire più vicina a qualcosa di vero – ma le parole le si bloccavano in gola, sostituite da un silenzio carico di significato. "Padre... ho pensieri impuri. Qualcuno mi chiama in un modo nuovo, e io... lo accetto. Mi fa sentire diversa. Viva." Le sue parole erano sussurri rotti, e mentre parlava, la mente correva: Sa. Mi sta leggendo dentro come un libro aperto. Vuole che dica di più, che mi esponga completamente.
Don Matteo tacque per un momento eterno, poi la sua voce emerse, bassa e penetrante: "Un nome nuovo può cambiare tutto, Susanna. Può rivelare chi siamo davvero, sotto la superficie. Descrivi questo nome. Descrivi cosa provi quando lo senti. Il Signore vede i cuori, ma io... voglio aiutarti a vederlo tu stessa." Le sue parole sembravano anticipare ogni pensiero, scavare nei recessi dove si nascondevano i suoi dubbi e desideri più profondi, e Susanna sentì un’onda di estasi psicologica travolgerla: il corpo che tremava, le lacrime che le rigavano le guance in silenzio, la mente che gridava di essere capita, esposta, forse perdonata – o condannata.
Uscì dalla chiesa con le gambe molli, la mente un turbine di tensione irrisolta: curiosità ossessiva per il superiore, euforia per il nome "suor Susanna", e un brivido profondo per Don Matteo, che sembrava sapere più di quanto dicesse, come se fosse lui la chiave di tutto. Il Capodanno era iniziato davvero, e lei si sentiva sul ciglio di un abisso che la chiamava con voce sempre più irresistibile.
1) questo racconto non è frutto di fantasia, è assolutamente vero. Solo alcune circostanze sono state romanzate. Ma neanche troppo.
2) spero che questo racconto ecciti la fantasia di qualcuno, uomo o donna che sia, e che sia di ispirazione. Se così non fosse, potete dedicare la vostra lettura ad altri autori.
3) se qualcuno ha dei commenti da fare può contattarmi su b_bull_and_master@proton.me
Era la vigilia di Capodanno, il 31 dicembre 2025, e l'aria della piccola città di provincia sembrava pulsare di un'eccitazione sotterranea, un velo di festa che nascondeva desideri inconfessabili. Le strade erano illuminate da ghirlande natalizie residue, luci colorate che si riflettevano sui marciapiedi umidi di nebbia invernale, mentre l'eco distante di risate e brindisi anticipati filtrava dalle finestre chiuse. Per Susanna, però, quelle luci esterne erano solo un pallido riflesso del fuoco interiore che la consumava, un calore liquido e insistente che le si annidava tra le cosce, facendole accelerare il respiro a ogni pensiero di ciò che l'aspettava. Aveva passato il pomeriggio in casa, intrappolata nella routine familiare: aiutando i genitori con i preparativi per il cenone – apparecchiare la tavola con piatti fumanti di lenticchie per la fortuna, cotechino per l'abbondanza, e un pandoro glassato che sua madre decorava con cura meticolosa. Tutto così normale, così prevedibile, così asfissiante. Lei annuiva distratta alle chiacchiere sui buoni propositi per l'anno nuovo, sul Signore che vegliava su di loro, ma la sua mente era altrove, intrappolata in un labirinto di immagini peccaminose: mani callose che la toccavano, parole crude che le echeggiavano nell'orecchio, un collare immaginario che le stringeva la gola ricordandole chi era diventata.
Il messaggio di Luca era arrivato alle quattro del pomeriggio, mentre lei stava lavando i piatti in cucina, le mani immerse nell'acqua saponosa che le dava una falsa sensazione di purezza. Il telefono aveva vibrato nella tasca della gonna lunga, e lei l'aveva letto di nascosto, il cuore che le schizzava in gola: "Stasera sei la mia monaca devota al peccato. Porta il velo nero che ti ho dato l'ultima volta, il rosario della nonna – quello macchiato dai tuoi umori, non osare pulirlo. Niente mutandine, niente reggiseno. Solo autoreggenti nere, quelle con il bordo di pizzo che ti fanno sentire una puttana sotto la gonna castigata. Preparati a pregare per me, sorella. Vieni alle otto in punto, o ti punirò come una novizia disobbediente." Le parole le avevano incendiato la pelle, un'onda di calore che le era salita dal basso ventre, facendole stringere le ginocchia sotto il lavandino per arginare il flusso umido che già la tradiva. Perché continuo a obbedire?, si era chiesta, asciugandosi le mani tremanti su un canovaccio, il viso arrossato riflesso nel vetro della finestra. Perché questo è peccato, e il peccato mi fa sentire viva, non più una bambola vuota inginocchiata in chiesa a recitare preghiere meccaniche. La verità era che Luca l'aveva spezzata e rimessa insieme: da ragazza timida, devota al Signore e alla modestia imposta dalla famiglia cattolica, in una creatura che trovava estasi nel degrado, nel contrasto tra la sua facciata pura e il caos interiore di desideri repressi che ora esplodevano liberi.
Alle sette e mezza, uscì di casa con una scusa balbettata – "Vado a fare gli auguri a un'amica dell'università, torno per la mezzanotte" – il cappotto pesante abbottonato fino al collo per nascondere la sua nudità obbediente. Sotto, come lui aveva comandato, era completamente esposta: solo le autoreggenti nere che le accarezzavano le cosce pallide, il pizzo che sfregava contro la pelle sensibile a ogni passo, amplificando la sensazione di vulnerabilità. Il sesso rasato – un altro ordine di Luca, per renderla "pronta e liscia come una vergine sacrificale" – era già gonfio e umido, le labbra intime che si sfregavano l'una contro l'altra con ogni movimento, mandandole scariche di piacere colpevole. In borsa, il velo nero piegato con cura e il rosario della nonna: quest'ultimo, un tempo cimelio sacro di preghiere innocenti, ora portava tracce indelebili delle sessioni precedenti – perle appiccicose di umidità essiccata, un odore muschiato che le saliva alle narici ogni volta che lo toccava, facendola arrossire di vergogna e desiderio. Camminando verso l'officina, sentiva il freddo di dicembre insinuarsi sotto il cappotto, sfiorandole i capezzoli duri e il ventre piatto, un contrasto che le faceva contrarre i muscoli interni, come se il suo corpo pregasse già per ciò che stava per accadere. Se qualcuno mi vedesse ora, pensò con un brivido, saprebbe che sono perduta. Ma forse... forse lo voglio.
Luca aprì la porta prima ancora che lei bussasse, come se l'avesse sentita arrivare dal profumo del suo desiderio, un'aura invisibile che la avvolgeva. Indossava solo i jeans slacciati, il petto atletico segnato dai tatuaggi – un drago sinuoso che si attorcigliava intorno a una croce invertita, simbolo della sua ribellione – e l'odore di olio motore misto a sudore maschile la investì come una droga afrodisiaca, facendole girare la testa. I suoi occhi scuri la divorarono all'istante, un sorriso predatore sulle labbra carnose. "Entra, sorella Susanna," mormorò con quella voce bassa, rauca, che le vibrava fin nelle ossa, tirandola dentro l'appartamento e chiudendo la porta con un calcio secco. Le sue mani callose, ruvide dal lavoro manuale, le sfilarono il cappotto con urgenza possessiva, esponendola nuda al suo sguardo famelico, i capezzoli che si indurivano ulteriormente sotto l'aria calda della stanza.
"Cazzo, guardati," ringhiò lui, le dita che le sfioravano i seni piccoli ma sodi, pizzicando i capezzoli duri con una pressione calcolata, abbastanza forte da farla gemere ma non da farle male – non ancora. "Nuda come una novizia prima del voto eterno di castità... che tu romperai stasera, per me. Hai obbedito alla perfezione, troietta mia devota. Senti quanto sei bagnata già?" La sua mano scese tra le cosce spalancate istintivamente, trovandola fradicia, le dita che scivolavano facilmente tra le labbra gonfie, sfregando il clitoride con cerchi lenti, torturanti, che le mandavano scariche di elettricità su per la spina dorsale. Susanna trattenne un singhiozzo di piacere, le ginocchia molli, la mente che vorticava in un misto di vergogna profonda e dipendenza assoluta. È sbagliato, è blasfemo, pensò, ma il corpo la tradiva, inarcandosi contro la sua mano, implorando di più, il respiro che si spezzava in gemiti soffocati. Ogni tocco era una catena psicologica: Luca non la forzava fisicamente, ma la sua voce, i suoi ordini, le scavavano nell'anima, facendola sentire posseduta non solo nel corpo, ma nell'essenza stessa.
"Luca... è Capodanno," balbettò lei, la voce rotta, aggrappandosi alle sue spalle muscolose per non cadere, le unghie che gli affondavano nella pelle. "I miei genitori mi aspettano per la mezzanotte... la messa di ringraziamento..."
Lui rise piano, un suono basso e crudele che le fece contrarre il ventre, mordicchiandole il collo con denti affilati, lasciando un segno rosso pulsante che l'avrebbe costretta a nascondere domani con sciarpe e colli alti, un marchio segreto della sua sottomissione. "I tuoi genitori pregano il Signore con il rosario in mano, inginocchiati in chiesa a chiedere benedizioni per l'anno nuovo. Tu pregherai me, stasera, con la bocca sul mio cazzo e le dita dentro la tua figa peccaminosa, implorando il mio seme come una grazia divina. Mettiti il velo e il rosario, monaca mia perversa. Diventa la suora devota al peccato che sei nata per essere, e che io sto modellando per il mio piacere."
Susanna tremò violentemente, un'onda di calore che le saliva dal basso, ma obbedì senza esitare, le mani che le tremavano mentre estraeva il velo nero dalla borsa. Se lo mise in testa, il tulle morbido e oscuro che le incorniciava il viso pallido, dandole un'aria di falsa santità corrotta dai suoi occhi verdi lucidi di lacrime represse e desiderio inconfessabile. Il rosario della nonna lo avvolse intorno alla vita nuda, le perle fredde e lisce contro la pelle calda del ventre, alcune che sfioravano il monte di Venere rasato, mandandole brividi elettrici fin nel nucleo del suo essere. L'odore muschiato del rosario – i suoi umori essiccati dalle sessioni passate – le salì alle narici, un ricordo olfattivo che le fece stringere i muscoli interni, un misto di nausea morale e eccitazione carnale. Luca la osservò, il respiro accelerato, il cazzo già duro che premeva contro i jeans, gli occhi che brillavano di trionfo possessivo. "Cazzo, sei perfetta. Una monaca che nasconde una troia affamata di peccato. Guarda come il velo ti rende santa fuori... ma dentro, sei mia, bagnata e pronta a profanare tutto ciò che hai di sacro."
La tensione psicologica era un cappio che si stringeva intorno alla sua gola: Susanna sentiva la vecchia sé – la ragazza che recitava preghiere in chiesa con devozione genuina – urlare dentro di lei, ma quella voce era sempre più debole, soffocata dal ruggito del desiderio che Luca aveva risvegliato. Sto perdendo me stessa, pensò, ma l'idea la eccitava, la faceva sentire libera nella schiavitù. "In ginocchio, sorella," ordinò Luca, la voce un comando ipnotico. "Inizia la tua devozione al peccato. Mani giunte come in preghiera, ma cosce spalancate per offrirmi il tuo altare umido."
Lei si inginocchiò sul pavimento freddo della camera, le ginocchia che dolevano contro il legno, le mani giunte in una parodia di preghiera, le dita intrecciate che tremavano. Le cosce si aprirono obbedienti, esponendo il sesso gocciolante, le labbra intime aperte e lucide sotto la luce fioca della lampada, un'offerta vulnerabile che la faceva arrossire fino alla radice dei capelli. Luca si avvicinò, slacciandosi i jeans e liberando il suo membro venoso, pulsante, la cappella gonfia che gocciolava pre-eiaculato. "Recita l'Ave Maria," le ordinò, prendendole i capelli sotto il velo e guidandola verso di sé, la punta che le sfiorava le labbra socchiuse. "Ma ogni 'piena di grazia' la dici con la bocca piena di me. Mostrami quanto sei devota al tuo vero Dio, non a quello crocifisso che adori in chiesa."
Susanna deglutì, le labbra tremanti che si aprivano per accoglierlo, la lingua che lo accarezzava devota, girando intorno alla cappella con movimenti lenti, reverenziali, assaggiando il sapore salato della sua eccitazione come un'ostia profana. "Ave Maria... piena di grazia..." gemette intorno a lui, le parole soffocate, vibranti contro la sua carne calda e dura, la gola che si contraeva mentre lui spingeva più a fondo, riempiendola fino a farle lacrimare gli occhi. Luca le tenne la testa ferma, i movimenti lenti e controllati, ogni affondo un'invasione che le scavava nella mente: "Brava, monaca mia. Prega più forte. Il Signore ti guarda dal cielo, ma io ti possiedo qui, sulla terra. Senti come ti riempio la gola, come una comunione profana che ti marchia l'anima?"
Il rituale si dispiegò in un'escalation blasfema, ogni passo progettato da Luca per erodere la sua resistenza psicologica. La fece sdraiare sul letto, le gambe spalancate come un altare aperto, e le ordinò di masturbarsi con il rosario: le perle fredde che sfregavano il clitoride turgido, alcune che entravano piano dentro di lei, dilatandola con un piacere doloroso, le pareti interne che si contraevano intorno alle sfere lisce in un'imitazione perversa della penetrazione. "Ripeti i tuoi voti, sorella," le sussurrava all'orecchio, la voce come un veleno dolce che le infettava la mente, le sue dita che guidavano il rosario più a fondo, ruotandolo per stimolare ogni nervo. "Io, Susanna, rinuncio alla purezza per il tuo piacere. Il mio corpo è il tuo altare, la mia figa il tuo calice sacro da profanare." Lei ripeté, la voce rotta dai gemiti, il corpo che si inarcava in estasi colpevole, le perle che entravano e uscivano in un ritmo ipnotico, il velo nero che le scivolava sul viso sudato, mescolandosi alle lacrime di un piacere che la spezzava.
Ogni ordine era una lama psicologica: Luca la girò a carponi, le alzò il velo come una tenda profana, e la penetrò lentamente da dietro, tenendola per i fianchi con forza brutale, ogni spinta un'onda di estasi che le scavava nell'anima. "Sei mia, monaca perversa," ringhiava, le mani che le stringevano i seni, pizzicando i capezzoli fino a farla urlare. "Il tuo Dio sono io. Ogni affondo è una preghiera che ti lega a me, erodendo la tua fede fasulla." Susanna pensò alla chiesa, al crocifisso che la guardava durante le messe, e l'idea la fece venire con violenza, il corpo che si contraeva in spasmi, gemendo preghiere spezzate: "Padre nostro... ma tu sei il padre del mio desiderio... riempimi, scopami più forte, profanami l'anima..."
Vennero insieme alla mezzanotte, mentre fuori i fuochi d'artificio esplodevano in un boato di colori e suoni, un orgasmo cosmico che sembrava celebrare la loro unione blasfema. Luca le riempì la bocca con un ringhio gutturale, il seme caldo e denso che le colava sulle labbra mentre lei ingoiava avidamente, leccandosi le dita con devozione perversa, il velo nero macchiato di saliva, lacrime e tracce di lui. Il rosario era ancora dentro di lei, le perle umide dei suoi umori, un simbolo eterno della sua caduta.
Dopo, sdraiati nudi e sudati tra le lenzuola aggrovigliate, Luca prese il telefono e caricò le foto e i video su @susanna_secret – ancora privato, solo per loro due, ma con un brivido di esposizione che la eccitava. Immagini di lei in ginocchio con il velo, la bocca piena; sequenze di lei che si toccava con il rosario, gli occhi lucidi di sottomissione totale; il video finale della scopata, con l'audio dei suoi gemiti e delle preghiere spezzate, caption: "La mia suora perversa prega il cazzo alla vigilia del nuovo anno. Amen al peccato."
"Brava, suor Susanna," le sussurrò Luca, baciandole la fronte umida, la mano possessiva sul suo seno, sfiorandole il capezzolo ancora sensibile. Il titolo le arrivò come un marchio, un nome nuovo che la fece tremare di piacere: Suor Susanna. Non era più solo un gioco, era una realtà che le si insinuava nella mente, un'identità che accettava senza resistenza. "Sì," mormorò lei, la voce bassa e rotta, accoccolandosi contro di lui. "Sono la tua suor Susanna."
Poi, mentre lei sonnecchiava contro il suo petto, esausta e appagata, Luca compose un numero sul telefono. Si allontanò piano verso il bagno, ma la porta era socchiusa, e lei, fingendo di dormire, sentì la conversazione filtrare come un veleno dolce. "Sì, superiore. I progressi sono eccellenti. Si sottomette completamente al ruolo di suora perversa. La sua mente si piega come argilla sotto le mie mani. È pronta per il prossimo livello – l'iniziazione vera, con riti più profondi." Una pausa, la voce all'altro capo indistinta, poi: "Certo. La terrò aggiornata sui suoi gemiti di devozione."
Susanna spalancò gli occhi nel buio, un brivido di curiosità misto a un'eccitazione perversa che le percorse la spina dorsale, facendola bagnare di nuovo nonostante l'esaurimento. Un superiore? Chi è? Perché Luca obbedisce a qualcun altro? L'idea la intrigava, la rendeva curiosa in un modo profondo e proibito: non paura, ma un desiderio di scoprire di più, di essere vista, guidata, posseduta da una rete invisibile che la elevava nel suo peccato. Invece di ribellarsi, strinse le cosce, sentendo il calore familiare tra le gambe pulsare come una preghiera inascoltata. La sottomissione la stava cambiando irrevocabilmente, e lei non provava rimpianto – solo una fame insaziabile di ciò che sarebbe venuto dopo, un abisso di peccato che la chiamava per nome.
Il 1 gennaio 2026 si annunciò con un’alba gelida e impietosa, un sole anemico che filtrava attraverso le nuvole basse sulla piccola città di provincia, tingendo le strade di una luce grigia e spettrale. I residui dei festeggiamenti della notte precedente – bottiglie vuote abbandonate sui marciapiedi, coriandoli appiccicati all’asfalto umido – sembravano echi di un’orgia collettiva che Susanna sentiva riecheggiare nel suo corpo stanco ma ancora fremente. Si svegliò lentamente nel letto di Luca, il corpo avvolto nelle lenzuola aggrovigliate che odoravano di sudore, sesso e incenso bruciato – un profumo che le si era impresso nella pelle come un marchio indelebile. Il velo nero era caduto sul pavimento durante la notte, macchiato e spiegazzato, mentre il rosario le pendeva ancora intorno alla vita, le perle fredde contro la pelle calda del ventre, un promemoria costante della sua nuova identità: suor Susanna.
Il nome le echeggiava nella mente come una litania ossessiva, un titolo che Luca le aveva impresso con i suoi ordini sussurrati, e che lei aveva accettato con un sussurro tremante, sentendolo calzare alla perfezione sulla sua anima in trasformazione. Suor Susanna. Non era più solo un gioco, un vezzeggiativo erotico: era diventato un nome vero, uno che le si adattava addosso come una seconda pelle, più autentico di quello che le avevano dato i genitori al battesimo. Ogni volta che ci pensava, sentiva un nodo stretto in gola – non di paura, ma di un riconoscimento profondo, come se Luca avesse scavato dentro di lei e tirato fuori una verità che aveva sempre nascosto. Sono davvero questa? Una suora devota al peccato, non al Signore? Il dubbio la tormentava, ma non la respingeva; al contrario, la attirava, la faceva sentire viva in un modo che le preghiere genuine non avevano mai fatto.
Luca dormiva profondamente accanto a lei, il petto che si alzava e abbassava con un ritmo regolare, il braccio possessivo gettato sui suoi fianchi come per ancorarla al suo mondo. Susanna lo osservò a lungo, il cuore che le martellava con una miscela di affetto carnale e curiosità oscura. La conversazione origliata la notte prima – quel "superiore" misterioso a cui Luca riferiva i suoi "progressi" – le aveva lasciato un nodo di eccitazione in gola, un brivido che le saliva dal basso ventre ogni volta che ci ripensava. Chi è? Un mentore? Un padrone sopra Luca? Qualcuno che mi osserva da lontano, che giudica quanto sono diventata corrotta? L’idea di essere parte di qualcosa di più grande, di una catena di dominazione che si estendeva oltre il loro appartamento, la intrigava in modo profondo e proibito. Non era solo curiosità: era un desiderio voyeuristico di essere vista, valutata, forse punita da occhi invisibili che conoscevano i suoi segreti più intimi. Si morse il labbro inferiore, la mano che scivolava istintivamente tra le cosce, sfiorando il clitoride ancora sensibile con un tocco leggero, esplorativo. Il contatto la fece gemere piano, un suono involontario che le mandò ondate di calore su per la spina dorsale, mescolandosi al senso di colpa che le attanagliava lo stomaco. Se questo superiore esiste davvero, sa già quanto sono bagnata solo pensando a lui?
Si alzò piano, nuda e tremante nel freddo mattutino, raccogliendo il velo nero dal pavimento e sistemandoselo in testa con mani che tremavano non di freddo, ma di un’anticipazione residua che le pulsava nelle vene. Guardandosi allo specchio appannato del bagno, vide una versione di sé che la spaventava e la affascinava: il viso pallido incorniciato dal tulle oscuro, gli occhi verdi velati di stanchezza erotica, le labbra gonfie dai baci e dalle devozioni della notte. Il rosario le dondolava sui fianchi, sfiorandole il sesso umido ogni volta che si muoveva, un tocco accidentale che le strappava sospiri. Tornò in camera, chinandosi su Luca per svegliarlo con la bocca, come aveva fatto altre volte – la lingua che lo accarezzava piano, devota, mentre lui apriva gli occhi con un ghigno soddisfatto. "Buongiorno, suor Susanna," mormorò lui, infilandole una mano nei capelli sotto il velo, guidandola più a fondo. Lei accettò il nome senza proteste, il cuore che le scoppiava di una strana euforia: era suo, era reale, era la sua nuova pelle.
La mattinata si trascinò in un turbine di rituali domestici che le sembravano sempre più lontani, come se appartenesse a un’altra vita. Susanna tornò a casa per il pranzo di Capodanno, fingendo normalità con i genitori – sorrisi forzati, chiacchiere su buoni propositi e benedizioni divine – ma sotto la gonna lunga e la camicetta abbottonata, portava ancora il rosario avvolto intorno alla vita, nascosto come un segreto peccaminoso che le sfregava contro la pelle a ogni movimento, un promemoria costante che le faceva arrossire le guance e bagnare tra le cosce. Ogni sguardo dei genitori, ogni domanda innocente – "Stai bene, tesoro? Sembri distratta" – le sembrava un’accusa velata, un riflettore puntato sulla sua doppia vita. Se sapessero che mi chiamano suor Susanna, che prego in un altro modo... Il pensiero la tormentava, ma non con rimorso: con un’eccitazione perversa che le faceva stringere le cosce sotto il tavolo.
Nel pomeriggio, la messa di ringraziamento per l’anno nuovo fu il culmine della tensione. Susanna si inginocchiò nel banco in fondo, le mani giunte sul messale, la postura perfetta della ragazza devota che tutti conoscevano. Ma dentro era un turbine: riviveva la notte precedente, il velo nero, le preghiere blasfeme, e soprattutto l’idea del "superiore" la tormentava come un prurito psicologico incessante. Mi sta osservando ora? Attraverso Luca? O forse è qualcuno qui, in questa chiesa? Don Matteo celebrava dall’altare, la voce calda e paterna che riempiva la navata con parole di redenzione, misericordia e vigilanza contro le tentazioni dell’anno nuovo. Ma i suoi occhi – quegli occhi spessi dietro gli occhiali, penetranti come se potessero scavare nelle anime – si posarono su di lei più volte, prolungati, insistenti, facendola sobbalzare ogni volta. Mi vede davvero? Legge dentro di me, nei miei pensieri più sporchi? Il dubbio la consumava: il sesso che si contraeva involontariamente, umido contro il tessuto della gonna, il respiro che si faceva corto, i capezzoli che si indurivano sotto la camicetta. Ogni parola del parroco sembrava rivolta a lei sola – "Il demonio si nasconde nei desideri più profondi, figli miei, e sa leggere i cuori meglio di noi" – e Susanna sentì un’onda di panico misto a eccitazione travolgerla, le mani che tremavano sul messale, la mente che gridava silenziosamente: Sa. Deve sapere.
Dopo la messa, mentre i fedeli defluivano chiacchierando di pranzi e auguri, Don Matteo si avvicinò al suo banco con passo lento, deliberato, come se avesse aspettato quel momento. "Susanna, figlia mia," disse con quella voce gentile ma autorevole, posandole una mano sulla spalla – un tocco innocente, paterno, eppure lei lo sentì come una scottatura elettrica, un contatto che le fece contrarre i muscoli interni, il calore che le saliva dal basso ventre. "Ti vedo... diversa. Gli occhi persi, le guance arrossate anche ora. C’è qualcosa che ti tormenta l’anima? Il nuovo anno è tempo di confessioni sincere, di liberarsi dai pesi che ci divorano dall’interno."
Susanna deglutì, il cuore che le martellava nel petto come un tamburo di condanna, le mani che stringevano il messale fino a far sbiancare le nocche. Il rosario nascosto le sfregava contro il clitoride a ogni respiro affannoso, amplificando la tensione fino al punto di rottura. "N-no, padre," balbettò, evitando il suo sguardo, ma sentendo gli occhi di lui trapassarle la pelle, come se potesse vedere ogni marchio invisibile lasciato da Luca, ogni pensiero su "suor Susanna", ogni curiosità per il superiore misterioso. "Solo... pensieri. La stanchezza dell’anno nuovo."
Don Matteo annuì lentamente, ma non si mosse, la mano ancora sulla sua spalla, il pollice che sfiorava accidentalmente la clavicola – un gesto innocuo, eppure per Susanna fu come una carezza proibita, un tocco che le mandò scariche di calore giù per il ventre, facendola tremare visibilmente. "L’anima non mente, Susanna," sussurrò, chinandosi leggermente verso di lei, la voce bassa e intima, come se condividesse un segreto. "Ti conosco da anni, da quando eri bambina al catechismo. So quando qualcosa ti cambia dentro. Questi occhi... tradiscono conflitti profondi, desideri che lottano per emergere. Non avere paura di confessarli. Il Signore perdona, ma prima dobbiamo guardarli in faccia."
Le sue parole erano un bisturi psicologico: ogni sillaba sembrava scavare più a fondo, anticipare ogni difesa, toccare nervi scoperti che Susanna non sapeva nemmeno di avere. Legge dentro di me. Sa del nome che porto ora, suor Susanna. Sa del superiore, forse? Il pensiero la travolse: panico puro, ma intrecciato a un’eccitazione che le faceva pulsare il clitoride, le cosce che si stringevano involontariamente per arginare il calore liquido. "Padre, io... forse una confessione," mormorò alla fine, la voce tremante, incapace di resistere allo sguardo di lui, che sembrava conoscere ogni angolo oscuro della sua mente.
Don Matteo sorrise piano, un’espressione paterna ma con un’ombra indecifrabile – compassione? Comprensione? Qualcos’altro? – e la guidò verso il confessionale con una mano sulla schiena, un tocco fermo che le bruciava attraverso il tessuto, come se potesse sentire il rosario nascosto, il velo immaginario, l’identità segreta.
Nel confessionale buio, l’aria densa di incenso e silenzio opprimente, Susanna si inginocchiò dietro la grata, il cuore che le scoppiava, le cosce strette per arginare il flusso di eccitazione che le colava lungo l’interno gamba. Don Matteo si sedette dall’altro lato, la silhouette visibile attraverso la rete, la voce che emergeva come un giudizio inevitabile. "Dimmi, figlia mia. Quali pensieri ti consumano?"
Susanna esitò, le labbra socchiuse, il respiro affannoso. La tensione psicologica era insostenibile: voleva confessare tutto – il nome "suor Susanna", la curiosità per il superiore, il modo in cui il peccato la faceva sentire più vicina a qualcosa di vero – ma le parole le si bloccavano in gola, sostituite da un silenzio carico di significato. "Padre... ho pensieri impuri. Qualcuno mi chiama in un modo nuovo, e io... lo accetto. Mi fa sentire diversa. Viva." Le sue parole erano sussurri rotti, e mentre parlava, la mente correva: Sa. Mi sta leggendo dentro come un libro aperto. Vuole che dica di più, che mi esponga completamente.
Don Matteo tacque per un momento eterno, poi la sua voce emerse, bassa e penetrante: "Un nome nuovo può cambiare tutto, Susanna. Può rivelare chi siamo davvero, sotto la superficie. Descrivi questo nome. Descrivi cosa provi quando lo senti. Il Signore vede i cuori, ma io... voglio aiutarti a vederlo tu stessa." Le sue parole sembravano anticipare ogni pensiero, scavare nei recessi dove si nascondevano i suoi dubbi e desideri più profondi, e Susanna sentì un’onda di estasi psicologica travolgerla: il corpo che tremava, le lacrime che le rigavano le guance in silenzio, la mente che gridava di essere capita, esposta, forse perdonata – o condannata.
Uscì dalla chiesa con le gambe molli, la mente un turbine di tensione irrisolta: curiosità ossessiva per il superiore, euforia per il nome "suor Susanna", e un brivido profondo per Don Matteo, che sembrava sapere più di quanto dicesse, come se fosse lui la chiave di tutto. Il Capodanno era iniziato davvero, e lei si sentiva sul ciglio di un abisso che la chiamava con voce sempre più irresistibile.
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