Sonia & Tommaso - Capitolo 29: L'Ultima Cena
di
Sonia e Tommaso
genere
tradimenti
Mario non era solo. Accanto a lui, nel grosso SUV, c'era Enzo. Ci salutammo cordialmente, un sorriso sulle labbra che nascondeva un abisso di segreti e perversioni. Tommaso, ignaro come sempre, teneva in mano un paio di bottiglie di vino, il suo contributo ingenuo alla serata. Io e lui salimmo dietro, e i due partirono, lasciandosi alle spalle l'hotel e le sue false promesse di normalità.
Il viaggio fu abbastanza veloce, le luci di Rimini si allontanavano nel buio. Mario ed Enzo conversavano con Tommaso con una naturalezza disarmante, nulla che potesse far pensare a ciò che avevano fatto con me solo poche sere prima. Parlavano di lavoro, di calcio, di cose banali, mentre io ero già molto eccitata, la mia fica che fremeva al pensiero di ciò che sarebbe successo. L'aria nel SUV, per me, sembrava essere carica di una tensione che loro non avrebbero mai percepito.
Quando Mario ci mostrò la casa, finsi di meravigliarmi. «Oh, che bella casa, Mario!» esclamai, con la voce più acuta del solito. Dentro di me, un'onda di calore mi pervase. Quella stessa casa, dove poche sere prima avevamo scopato così a lungo e con molta passione, prima che mi portasse a battere nella zona industriale. Tutti quei cazzi che mi riempivano, il mio corpo che si muoveva in preda al piacere, ogni odore di sperma e sudore... era tutto lì, vivo e vivido nella mia memoria.
La cena fu sorprendentemente ottima. Mario aveva preso ogni piatto dalla gastronomia di fiducia, ma non mancava nulla: affettati, formaggi, lasagne, persino un arrosto. Mangiai molto bene, godendomi ogni boccone. L'atmosfera era piacevole e confortevole, quasi casalinga. Si chiacchierava, si beveva il buon vino che Tommaso aveva portato, e io finsi di essere la perfetta fidanzata a una cena tra amici. Gli sguardi che Mario mi lanciava di nascosto, però, non lasciavano dubbi sulle sue vere intenzioni. Erano lampi veloci, intensi, che mi bruciavano la pelle e mi promettevano piaceri ben diversi dal cibo. Lui fu bravo a fingere, mantenendo una conversazione allegra con Tommaso ed Enzo, ma io sentivo la tensione sessuale nell'aria, una corda tesa che aspettava solo di essere pizzicata.
Fu verso la fine della cena, quando i piatti erano ormai vuoti e le bottiglie quasi finite, che Tommaso iniziò a sbadigliare, gli occhi che gli si chiudevano sempre più spesso. Capii che il momento era giunto. Lo vidi alzarsi barcollando leggermente, mugugnare qualcosa sul troppo vino e accasciarsi sul divano, addormentandosi quasi all'istante, come un bambino sazio dopo la pappa.
Io rimasi seduta a tavola, in silenzio, assaporando quel momento. Non c'era fretta. I miei occhi si posarono su Mario ed Enzo. Quasi senza una parola, si sfilarono i pantaloni, e i loro due grossi cazzi balzarono fuori, turgidi e pronti. Entrambi si avvicinarono a me, uno per lato, i loro membri eretti che mi sfioravano il viso. Aprii la bocca, un sorriso di anticipazione che mi stirava le labbra. Non c'era bisogno di chiedere, non c'era bisogno di comandare. Era un patto silenzioso, una resa che bramavo.
Presi il cazzo di Mario in bocca, la sua consistenza calda e vellutata che mi riempiva la gola. Il suo gusto salmastro e forte che ormai riconoscevo, mi eccitava fino alle viscere. Contemporaneamente, la mia mano si muoveva sul cazzo di Enzo, tastando la sua lunghezza e la sua durezza. Succhiai anche il suo, cercando di accontentarli entrambi. Il mio sguardo si spostava da un viso all'altro, assaporando la loro soddisfazione. Sentivo i loro corpi fremere, i loro ansimi che si mescolavano al mio respirare affannoso. E lì, sul divano, Tommaso dormiva, la sua ignara presenza che rendeva tutto ancora più proibito, ancora più eccitante.
Continuai a succhiare, sentendo le loro verghe gonfiarsi e indurirsi sempre più nella mia bocca. Il mio palato era costantemente sollecitato, la mia lingua si muoveva abilmente, cercando di dare piacere a entrambi, alternando le spinte profonde alle leccate più delicate. La loro sborra sarebbe stata il mio dessert, e ne sentivo già il sapore denso e caldo che stava per riversarsi nella mia gola, un sapore che era diventato la mia droga più potente. Li sentii ansimare, il loro respiro farsi più rapido. Poi, con due lunghi spasmi simultanei, si svuotarono nella mia bocca. Ingoiai avidamente, sentendo il liquido denso e caldo scendere nella mia gola, il sapore forte e salmastro che mi riempiva la bocca e la pancia. Era un misto di nausea e piacere, un'estasi perversa che mi faceva sentire completa. Non una goccia andò sprecata. Pulii ogni residuo con la lingua, assicurandomi di non lasciare traccia.
Una volta finito, i loro cazzi ormai molli ma ancora vibranti, Mario tirò fuori dal taschino una piccola bustina con alcune pillole blu: Viagra. Poi, da un altro borsello, estrasse un sacchetto trasparente che conteneva cocaina, molta più di quanta ne avessi mai vista in vita mia. I miei occhi si dilatarono vedendo quella polvere bianca scintillare. Il tavolo della cena si trasformò subito in un altare per la perversione che stava per scatenarsi. Mario posò le pillole e la busta di cocaina sul tavolo, quasi con reverenza. I loro sguardi si incontrarono, un'intesa silenziosa. Vidi Mario ed Enzo mandarle giù con un sorso d'acqua, senza distogliere gli occhi dalla polvere bianca.
«E tu, Sonia?» fece Mario, la sua voce roca, indicando la coca. «Prendine un po'. Ti farà volare.» Non esitai. Presi un'abbondante dose dalla busta e l'inalai con avidità. Sentii il bruciore familiare nelle narici, il retrogusto amaro che mi scendeva in gola, e poi quella scarica elettrica che mi attraversò il corpo, facendomi vibrare ogni cellula. Le mie inibizioni, già labili, si azzerarono del tutto. Ogni senso si amplificò, il desiderio esplose in un fuoco incontrollabile. Mario ed Enzo fecero lo stesso, e in pochi istanti la stanza venne pervasa da un'energia frenetica. I loro occhi si accesero di una luce febbrile, i loro corpi si tesero. Non c'era bisogno di parole. Sapevo cosa volevano, cosa desideravo io stessa.
«Andiamo in camera,» disse Mario, la sua voce un sussurro rauco. Mi presero per mano, quasi trascinandomi, ma io non opposi resistenza. I miei piedi si muovevano da soli, seguendo il loro ritmo frenetico. Il corridoio era buio, ma la luce della luna che filtrava dalle finestre creava ombre danzanti. Entrai in una stanza che riconoscevo appena, se non fosse stato per il grande letto al centro. L'aria era densa, un mix di profumi di pelle maschile, di sudore che già iniziava a farsi sentire, e quel profumo chimico e pungente, quasi elettrico, che mi pizzicava le narici promettendo un'euforia che sapeva di metallo e onnipotenza. Mario mi spinse al centro del letto, le sue mani che mi afferravano i fianchi con forza.
I due non persero tempo: strapparono via il vestito con un gesto violento, e sentii il tessuto cedere, rivelando il mio corpo, i miei seni già turgidi, i capezzoli duri che sembravano chiedere di essere toccati. Mario si mise a cavalcioni su di me, il suo cazzo enorme, reso ancora più turgido dal Viagra, che mi sfiorava la pancia, pulsando. Enzo si posizionò ai miei piedi, le sue mani che mi accarezzavano le gambe, risalendo lentamente verso la mia fica. La cocaina mi faceva sentire ogni tocco, ogni fruscio, ogni respiro con un'intensità quasi dolorosa, eppure estatica. Il mio corpo fremeva, la fica bagnata, desiderosa di essere riempita. Guardai prima Mario, poi Enzo, i loro occhi che brillavano di desiderio. Ero pronta. Anzi, ero più che pronta.
Mario, con un ghigno, afferrò il mio viso con una mano e spinse il suo cazzo verso la mia bocca. Non aspettò che aprissi del tutto, forzò l'ingresso, riempiendomi la gola con violenza. Sentivo le sue palle pesanti sfiorarmi il mento, mentre il membro mi penetrava sempre più a fondo, fino a sentire il pube premere contro le mie labbra. Tossii leggermente, ma non mi tirai indietro. Strinsi le labbra intorno a lui, succhiando golosa; il sapore salmastro e intenso del suo seme che già mi saliva in gola.
Enzo, nel frattempo afferrò le mie cosce, allargandole con decisione. Il suo cazzo si posò sulla mia fica umida, e spinse con forza, entrando in me in un colpo solo. Un gemito mi sfuggì, un misto di piacere e sorpresa per quella penetrazione così diretta. Era una sensazione primitiva, carnale. Avevo la bocca piena del cazzo di Mario e la fica trafitta da quello di Enzo. I loro respiri ansimanti, il suono umido dei nostri corpi che si scontravano, il profumo acuto del loro sudore e del mio desiderio si mescolavano in un'orgia di sensi. Muovevo i fianchi, stringendomi ai loro cazzi, incitandoli, il mio corpo che rispondeva a ogni loro spinta, a ogni loro tocco. Non c'era spazio per il pensiero, solo per la pura, sfrenata libidine. La mia fica era un fuoco, il mio ano pulsava, desideroso di essere anch'esso riempito. Sentivo il mio triangolino di peli pubici bagnarsi sempre di più.
Mario cominciò a spingere con più forza nella mia bocca, il suo respiro che si faceva sempre più affannoso. Sentii il suo corpo tremare, e poi un getto caldo e denso riempirmi la gola. Ingoiai ogni goccia, la sua sborra che mi bruciava leggermente ma mi dava una scarica di piacere incredibile. Mentre lui si ritraeva, Enzo intensificò le sue spinte, il suo cazzo che affondava profondamente nella mia fica, facendomi gemere, godere. Sentii il suo spasmo, il suo corpo che si contraeva, e un altro getto caldo e abbondante mi riempì. La sensazione del suo sperma che si spandeva dentro di me era magnifica. Ripresi fiato per un istante, i loro corpi ancora su di me, i cazzi che si ritraevano lentamente, lasciandomi una sensazione di vuoto e pienezza al tempo stesso. Ma la cocaina e il Viagra li rendevano insaziabili, e il mio corpo, ormai drogato dal piacere, era pronto a ogni loro richiesta.
Mario, con uno strattone deciso, mi fece girare, mettendomi a quattro zampe sul letto. Il mio culo era in bella vista, l'ano leggermente dilatato e fremente, in attesa silenziosa per la prossima penetrazione. Sentii il suo cazzo enorme che si posizionava, caldo e duro, contro la mia fessura anale. Spinse, con un gemito, e fui riempita di nuovo, la sensazione del suo membro che si faceva strada in un'apertura così stretta, così sensibile. Strinsi i denti per un istante, un brivido di dolore e piacere che mi percorse la schiena. Le sue spinte erano profonde, ritmiche, e ogni volta sentivo il mio intestino vibrare sotto la forza dei suoi affondi. La coca amplificava ogni sensazione, trasformando il dolore in un'estasi perversa. Le sue palle sbattevano ritmicamente contro il mio perineo, un suono umido che mi eccitava.
Mentre Mario m’inculava, Enzo si posizionò davanti a me, le sue mani che mi accarezzavano il seno, poi scesero sulla mia fica, ormai gonfia e arrossata. Il mio corpo s’inarcò, diviso tra il piacere anale di Mario e la stimolazione di Enzo. Gemetti, il suono che mi usciva dalla gola era gutturale, quasi animalesco. Mario raggiunse il culmine per la seconda volta, un grido soffocato gli uscì dalla gola mentre si svuotava profondamente dentro il mio ano. Sentii il getto caldo e abbondante riempirmi, una sensazione di pienezza estrema che mi fece tremare. Si ritrasse, lasciando il mio culo umido e grondante, il suo sperma caldo che scivolava lentamente fuori.
Senza un attimo di pausa, Enzo era già lì, pronto. Spinse il suo cazzo lungo e duro nella mia fica, che lo accolse con un gemito di sollievo e desiderio. Le sue spinte erano veloci, aggressive, e mi prese con una foga che mi scosse fin nelle ossa. Il letto sembrava cedere sotto i nostri corpi, mentre il profumo del sesso riempiva la stanza. La mia fica lo risucchiava, mentre lui spingeva sempre più a fondo, cercando il mio punto più sensibile. Ogni sua spinta era una scarica elettrica. Enzo poi me lo mise nel culo, e il mio ano si aprì, accogliendolo con una stretta che sembrava volerlo imprigionare. Le sue spinte furono altrettanto violente e profonde, e sentii un'altra ondata di sperma caldo inondarmi l'intestino, mescolandosi a quello di Mario.
Ero stesa sul letto, il corpo tremante, la fica e il culo pieni del loro seme. I loro sguardi famelici su di me erano la mia unica realtà. Mi avevano fatta godere, ero venuta più volte, il mio corpo scosso da spasmi continui, eppure la mia notte era appena iniziata, lo sentivo. Mi dissero di rivestirmi. Senza fare domande, indossai il mio abito. La stoffa sfiorava la fica gonfia e il culo indolenzito. Sentivo su di me il profumo acre del sesso e dello sperma che si era attaccato alla mia pelle.
Tornammo in soggiorno. Tommaso dormiva beato sul divano, la sua bocca leggermente aperta, il respiro regolare. I due si avvicinarono a lui. Senza una parola, lo presero, lo spogliarono con una velocità sorprendente, e lo misero in quel letto che era ancora caldo dei nostri corpi, pieno delle nostre sborrate. Lo osservai, immobile, persa nella bolla ovattata della droga. La scena era surreale, e un brivido di perverso piacere mi attraversò.
Prima di uscire, sniffammo un altro po' di cocaina, il bruciore nelle narici che riaccendeva il fuoco dentro di me. Salimmo in macchina. Io, come sempre, seduta dietro. La curiosità e l'eccitazione mi divoravano. «Dove stiamo andando?» chiesi, la voce eccitata, i miei occhi che brillavano nel buio. «Mi portate a battere?» La domanda mi uscì spontanea, quasi un desiderio. Mario ed Enzo si guardarono, e una risata d'intesa riempì l'abitacolo. Le loro espressioni non mi diedero risposte chiare, ma il loro divertimento era un segnale. Non stavamo andando verso la campagna, ma ci dirigemmo rapidi verso i sobborghi della città, in cerca di un viale che conoscevano bene. Sentivo che l'aria si faceva più densa, più oscura, carica di desideri inconfessabili.
L'auto procedeva lentamente lungo una strada secondaria che costeggiava la zona industriale. Presto, l'oscurità fu interrotta da una sfilata di figure solitarie: donne, appoggiate ai muretti o in piedi sotto i lampioni. Eravamo sul viale delle prostitute. Mario rallentò l'auto, affiancando il marciapiede. Si girò verso di me, il suo volto illuminato dal chiarore fioco dei lampioni. «Guarda bene, Sonia,» mi disse. «La prossima sorpresa la scegli tu. Se ti è piaciuto essere sottomessa dalle ragazzine, meriti le padrone che desideri.» «Io... non so se ho capito bene,» mormorai, ero incredula, ma la mia fica grondava già per ciò che l’attendeva. «Devo scegliere… loro?» «Esattamente. Scegline due, quelle che ti ispirano di più. Le più belle, le più troie, quelle che vuoi. E loro faranno sesso con te.» Mario si protese e mi mise una mano sulla coscia, stringendola forte. «Scegli le tue regine per una notte, e non preoccuparti: saranno ben pagate.»
La sorpresa mi tolse il fiato. Cominciai a osservare, eccitata per quella novità. Mentre l’auto procedeva piano, vidi donne di ogni genere, ma in mezzo a loro, c'erano anche molte ragazze, splendide e mezze nude. Corpi giovani che si muovevano con una professionalità quasi felina, e il mio desiderio mi guidava verso la bellezza più perversa. «Voglio quella bionda, laggiù...» dissi, indicando una ragazza alta, con occhi verdi freddi che incrociarono subito i miei. Mi sorrise glaciale, ma il suo sguardo era pieno di una promessa di fuoco. «E quella con i capelli scuri, la più giovane. Quella con il perizoma bianco.» Mario ed Enzo sorrisero, annuendo con soddisfazione. «Perfetto. Ottimo gusto, troia. Ti sei scelta le più carine.» Mario accostò e scese dall'auto, dirigendosi verso le due donne. Parlò per un attimo, e lo vidi mostrare loro delle banconote. Queste ammiccarono, il loro cinismo che si scioglieva di fronte al denaro. Salirono in auto, accomodandosi al mio fianco sul sedile posteriore. La bionda, Daria, e la mora, Lidia. L'auto partì, e l'atmosfera divenne subito rovente. Lidia si girò verso di me, il suo volto molto vicino. «Dunque, sei tu la troietta che vuole divertirsi? Bene. Ci divertiremo.» Disse con un forte accento dell’Est, mentre le sue dita scivolavano lungo la mia coscia nuda. Sentii Daria appoggiarsi contro la mia spalla e soppesarmi il seno sinistro. «Non dubitare tesoro, ti faremo impazzire.» Poi la sua mano, calda e forte, si infilò sotto il mio vestito, accarezzando la fica grondante, facendomi gemere. Durante il tragitto, le due ragazze mi mandarono in estasi. I loro tocchi, i loro sguardi erano promesse di sottomissione. Ero in trappola, ma ero la loro preda volontaria.
Arrivammo ad una casa abbandonata. L'auto si fermò davanti a un cancello arrugginito. «È abbandonata da anni. Nessuno ci disturberà qui,» disse Mario, spegnendo il motore. L'edificio si stagliava contro il cielo notturno, scuro e sinistro, avvolto dall'odore di muffa, polvere e terra umida. La porta scricchiolò in modo inquietante, ed entrammo in un piccolo soggiorno. Era un luogo spettrale, i mobili coperti da teli bianchi, la polvere che ricopriva ogni superficie. Mario trovò l'interruttore e accese la luce. Una lampadina appesa, nuda e triste, diffuse un debole bagliore giallo, che illuminò una vecchia poltrona consunta di velluto rosso scuro, al centro della stanza. L'aria era pesante di ricordi e muffa.
Mario si rivolse a me, la voce bassa, carica di malizia. «Prego, accomodati. Queste belle ragazze sono qui solo per il tuo piacere. Dimostra loro la troia che sei.» Mi sedetti sulla poltrona di velluto. Daria e Lidia si tolsero subito i loro striminziti abiti con un gesto sfrontato, i loro occhi furbi che mi fissavano con sadica attesa. Lidia fu la prima. Si sfilò le mutandine, e sebbene il suo corpo fosse curato, un leggero odore acre e intimo si sprigionò nell'aria stantia. Me le passò sotto al naso, sorridendo con aria perversa. Lidia si mise a cavalcioni sul mio viso. «Comincia a leccare, puttanella,» mi ordinò, un sorriso crudele che le stirava le labbra. «Mi spiace, ma questa sera mi sono già presa diversi cazzi, e non sarà molto profumata.» Un brivido mi percorse la schiena. La sua dichiarazione implicita mi eccitò. Inspirai profondamente, e il profumo della sua fica, caldo e umido, invase le mie narici. Non era un odore di pulito, no. Era un mix acre, che sapeva di pelle sudata e profilattico. Era il velo sottile del degrado che sognavo.
Aprii la bocca, la lingua che già si muoveva in anticipo. Affondai il viso tra le sue cosce, e il primo contatto delle mie labbra con la sua fica fu un'esplosione di sensazioni. Il sapore... era pungente, con un retrogusto leggermente salato e acido. Sentivo la grana della sua pelle contro le mie labbra, la scia dei suoi umori che mi bagnavano il viso. La mia lingua cominciò a esplorare con avidità, cercando il clitoride, mentre Lidia gemeva sopra la mia testa, stringendomi con forza. Mario ed Enzo erano lì, in piedi, le loro ombre che si stagliavano sulla parete polverosa, eccitati dalla scena. Daria, la bionda, si chinò e, con un movimento deciso, mi alzò il vestito, fino alla vita. Ero senza mutandine, e sentii la sua lingua sulla mia fica gonfia, leccare con lo stesso accanimento che io ponevo su Lidia. Ero assalita, adorata e usata in un modo che mi mandava in estasi. Le mani di Lidia mi stringevano i capelli, guidando il mio viso; la bocca di Daria succhiava i miei umori.
Mario, visibilmente eccitato, dopo aver messo il preservativo, afferrò Daria per i fianchi e se la inculò. Spinse in lei con una violenza che fece sussultare il corpo della bionda. Fui travolta dal loro sesso: la bocca piena della fica di Lidia, la fica piena della lingua di Daria, mentre Mario la inculava. I loro gemiti, il rumore umido della loro penetrazione e l’odore delle due donne, mi portarono al culmine della perversione. La mia fica grondava per la stimolazione. Mario inculò Daria per un tempo che mi parve eterno, i suoi ansimi che risuonavano nel soggiorno. Quando venne, lo fece con un urlo rauco, tirò fuori il cazzo e si tolse il preservativo pieno, lasciandolo cadere sul pavimento impolverato.
«Adesso, Sonia!» urlò Mario, ansimando. «Lecca il mio cazzo. Subito! Voglio che pulisci la mia verga.» Lidia mi liberò il viso e Daria si spostò. Non esitai un istante. Mi alzai quel tanto che bastò per afferrare il cazzo di Mario, ancora grondante. Ingoiai, il sapore era intenso, un misto di sperma residuo e il succo intimo di Daria che si era attaccato alla sua pelle. Lo succhiai con ingordigia, leccandolo fino a quando non fu di nuovo turgido . Mario mi spinse di nuovo sulla poltrona. «Perfetto,» ansimò. «Adesso Enzo!»
Enzo era già pronto. Si avvicinò a Lidia. «Lidia, fammi vedere il tuo culo. E Sonia, tocca a te. Datti da fare.» Lidia si chinò senza esitare, offrendomi il suo culo. Sentii subito l'odore, il suo ano non era per nulla pulito. Un misto di sudore e un odore salmastro, più acre del normale, ma affondai il viso tra le sue natiche sode e, con la lingua che fremeva di piacere perverso, cominciai a leccare. Il sapore era crudo, selvatico, ma la cocaina amplificava il piacere, rendendo l'umiliazione un'estasi. Dopo averlo insalivato per bene, mi spostai. Enzo entrò in lei con una decisione che fece sussultare il corpo della ragazza. Lidia gemeva di dolore e piacere, la sua voce che tradiva la sua sottomissione al denaro e al maschio. La inculò per alcuni minuti, i suoi affondi sempre più rapidi. Venne con un urlo soffocato, svuotandosi completamente dentro di lei. Guardavo eccitata, e l'intera scena mi fece fremere di goduria masochista.
Quando Enzo si sfilò dal culo di Lidia, la mora barcollò e si sedette sulla poltrona, e senza che mi fosse chiesto, mi accovacciai tra le sue gambe e ripresi a leccarle la fica. La bocca sporca, la fica grondante, il corpo che vibrava per l'orgia. «Adesso basta con la dolcezza,» intervenne Mario, prendendo il comando. Si avvicinò a me, i suoi occhi famelici, iniettati di sangue. «Lidia, Daria! Sonia adora soffrire. È una troia e vuole essere punita. Fatela strillare.» Daria e Lidia si guardarono, e il sadismo che avevo intuito in loro si manifestò senza freni. Mi afferrarono con forza, strappandomi l'abito di dosso. Ero nuda, esposta, il mio corpo gettato nuovamente su quella sudicia poltrona.
Daria mi torse il capezzolo sinistro con aggressività; mentre Lidia mi azzannava il seno destro, tirando con i denti.
Il dolore era acuto, un piacere che la cocaina amplificava. Urlai, ma il mio grido era pieno di godimento. Sentivo la saliva di Lidia sulla pelle e le dita fredde di Daria che mi torturavano il seno. Mario ed Enzo assistevano con i cazzi turgidi, eccitati da quella crudeltà femminile. Ero la loro bambola, il loro giocattolo da spezzare e ricomporre con il dolore e il piacere. Daria lasciò il mio capezzolo, il mio seno era rosso e indolenzito, mentre Lidia, con le sue lunghe unghie, mi torturava il clitoride, pizzicando e tirando. Mario sorrise, il suo sguardo che bruciava di lussuria. Prese la busta di cocaina e la mise sul tavolo. «Prego ragazze! Prendete, e fatela soffrire la nostra puttana. Lei lo vuole, le piace essere la vostra troia.» Senza esitare, tutte e tre ne prendemmo. Il bruciore nelle narici fu un lampo che riaccese la furia e il desiderio. Sotto l'effetto della droga, il livello salì vertiginosamente.
Le due ragazze dimostrarono un sadismo che superava ogni mia aspettativa. Cominciarono a sputarmi in bocca, a schiaffeggiarmi il viso, il culo, le tette e la fica, con violenza. Fui costretta a implorarle di smettere e di continuare allo stesso tempo. Su quella poltrona, il gioco si trasformò in un'escalation di puro sadismo femminile. Mi leccavano e mi mordevano con ferocia, e in un turbinio di mani e bocche, fui costretta a leccare e succhiare i loro corpi ovunque. Il sudore, i loro fluidi, i loro sputi, mentre Enzo e Mario mi sbattevano a turno senza sosta, alternando penetrazioni nella fica e nel culo. Ero la schiava perfetta, la loro troia bramosa di degrado. Sentivo il mio corpo tremare e implorare la fine, eppure ogni umiliazione mi portava a un godimento ancora più profondo e perverso. La cocaina annullava ogni freno, e mi lasciai andare completamente.
Quando uscimmo da quella casa, il cielo iniziava a schiarire. Ero distrutta e mi reggevo a fatica. Avevo goduto in un modo indicibile, provando sensazioni nuove, impensabili, e che quasi mi spaventavano. Salimmo in macchina. Mario riportò per prima Daria e Lidia al viale. Le due scesero, i loro volti che esprimevano felicità per la nottata folle e i soldi guadagnati. Si salutarono con Mario ed Enzo, con un fare complice. «Siamo sempre qui, eh! Quando volete, chiamateci...» Prima di chiudere lo sportello, Lidia si sporse e, con un sorriso diabolico, mi sputò in faccia. «Addio, troietta. Spero che ti sia piaciuto.» Daria rise e batté sul mio sedere indolenzito.
L'auto ripartì. Ero seduta dietro, esausta, sfinita. Sentivo il mio corpo dolente, sporco, ma ero troppo stanca e soddisfatta per vergognarmi. Il viaggio di ritorno verso la casa di Mario fu silenzioso. La cocaina stava svanendo, lasciando il posto a una stanchezza fisica profonda, ma la mia mente era ancora un turbine di sensazioni e immagini. Appena arrivammo, mi accompagnarono in bagno. Una doccia calda fu la prima cosa. L'acqua bollente mi scivolò sul corpo, portando via lo sporco, ma non i ricordi. Sentivo ancora il bruciore sulla pelle irritata, il vago sentore dei fluidi che non si lavavano via facilmente. Poi, la sorpresa. Mi avevano preparato la jacuzzi. La vasca era colma di acqua calda, profumata da qualche essenza rilassante. Scivolai dentro, e il calore mi avvolse, sciogliendo ogni tensione muscolare. Chiusi gli occhi per un istante, assaporando quel tepore ristoratore.
Quando li aprii, Mario ed Enzo erano seduti ai bordi della vasca, guardandomi. Non parlavamo, ma i nostri sguardi si incrociavano, e un sorriso d'incredulità si disegnava sui nostri volti. Ciò che era successo quella notte era andato oltre ogni immaginazione, oltre ogni limite che avessimo mai pensato di superare. I loro visi non erano più famelici, non c'era quella brama predatrice che li aveva animati per ore. Mi guardavano quasi con dolcezza, con un rispetto strano, come se avessero assistito a qualcosa di unico, di profondamente condiviso. «Ti è piaciuto, vero?» sussurrò Mario, la sua voce ora morbida, quasi paterna. Annuii, incapace di parlare, il mio corpo ancora vibrava per l'intensità di quelle ore. «Prima del tuo ritorno a casa,» disse Enzo, la sua voce bassa, «abbiamo voluto lasciarti un ricordo indelebile.»
Le prime luci dell'alba cominciavano a filtrare dalle ante socchiuse, dipingendo la stanza di tenui colori rosati. Io ero lì, nella jacuzzi, avvolta dalle bolle e dall'acqua profumata, a farmi coccolare dai due uomini che mi avevano spinta oltre ogni limite. Mario ed Enzo non erano più i predatori della notte, ma si muovevano con una dolcezza inaspettata, quasi premurosa. M’imboccavano con fragole e panna, la dolcezza del frutto che contrastava con il retrogusto amaro e metallico che ancora percepivo in bocca. Il sapore dello champagne mi accarezzava il palato, una sensazione effimera di lusso in quel contesto così crudo. I loro sguardi erano un misto di tenerezza e compiacimento, come se mi avessero riconosciuta in una nuova forma, più vera, più estrema. Non parlavamo, ma l'intesa tra noi era palpabile, un legame forgiato nell'abisso della perversione.
Più tardi, quando l'alba era ormai completa e il sole cominciava a scaldare la stanza, uscimmo dalla jacuzzi. I loro corpi erano ancora tesi, ma con una calma diversa, quasi appagata. Avvolti in morbidi teli di spugna, ci spostammo nel salotto. Sul divano, in quel luogo dove poche ore prima avevo servito i loro cazzi, facemmo l'amore. Non era la furia brutale della notte, ma un vero “fare l'amore”, quasi una riconciliazione. Prima con Mario, poi con Enzo, i loro corpi che si muovevano con una passione contenuta, i baci che erano ora più lenti, le carezze più dolci. La mia fica, stanca ma ancora ricettiva, li accolse con una consapevolezza diversa, un piacere che era il risultato di un viaggio, non l'inizio.
Quando fummo tutti appagati, Mario mi prese in braccio, portandomi in camera da letto. Sentivo il calore del suo corpo contro il mio, un misto di affetto e possesso. Mi adagiò con delicatezza accanto a Tommaso, che dormiva ancora beato nel letto di Mario, ignaro di tutto. Mi coricai, sentendo il suo respiro regolare. Chiusi gli occhi, la mente un turbine di immagini e sensazioni. Sentivo che quella notte mi aveva segnata profondamente. Mi svegliai di soprassalto, la luce del sole che filtrava dalle finestre a illuminare una stanza sconosciuta. Guardai l'orologio sul comodino: mezzogiorno. Accanto a me, Tommaso dormiva ancora, il suo viso sereno e ignaro. Il mio corpo era indolenzito, la bocca amara, e un leggero mal di testa mi pulsava nelle tempie, residuo della notte di eccessi.
Poco dopo, Mario entrò in camera, con delle buste in mano. Aveva preso qualcosa da mangiare, il profumo di cornetti caldi e caffè riempiva la stanza. I suoi occhi erano stanchi, assonnati, ma brillavano ancora di una luce che solo io potevo comprendere. Enzo se n'era già andato, la sua assenza un'ulteriore conferma della stranezza di quella mattinata. Tommaso iniziò a muoversi, poi aprì gli occhi, confuso. Si guardò intorno, senza capire dove si trovasse. «Ma... dove siamo?» mormorò, la sua voce impastata dal sonno e dal vino.
Io e Mario ci guardammo, un'intesa silenziosa che ci permise di recitare la nostra parte alla perfezione. «Amore, eri ubriaco fradicio ieri sera,» dissi con una finta preoccupazione, mentre Mario annuiva. «Ti sei addormentato sul divano e Mario, da bravo amico, ci ha ospitati qui.» La bugia uscì così naturale, così convincente. Tommaso accettò la spiegazione, troppo intontito per dubitare. Facemmo colazione in silenzio, io e Mario che ci lanciavamo sguardi carichi di significati che Tommaso non avrebbe mai colto. Ogni morso, ogni sorso di caffè, era un promemoria di ciò che era successo in quelle stesse stanze.
Dopo pranzo, Mario ci riaccompagnò in hotel. Il viaggio in auto fu breve, l'atmosfera un po' malinconica, come la fine di un sogno proibito. Scendemmo davanti all'ingresso dell'albergo e ci salutammo con un abbraccio formale, l'ennesima finzione per gli occhi di Tommaso. Ma un attimo prima che Mario se ne andasse, sfruttando un momento di distrazione del mio fidanzato, compii un ultimo, rapido gesto. Mi avvicinai a Mario, il mio sguardo a cercare il suo. Le nostre mani si sfiorarono, un tocco lieve, quasi impercettibile. E poi, le nostre labbra si trovarono in un bacio fugace, un contatto leggero, ma sufficiente perché le nostre lingue si sfiorassero per un'ultima, voluttuosa volta. Era un addio e una promessa, un sigillo segreto di una notte che aveva cambiato tutto.
Il viaggio fu abbastanza veloce, le luci di Rimini si allontanavano nel buio. Mario ed Enzo conversavano con Tommaso con una naturalezza disarmante, nulla che potesse far pensare a ciò che avevano fatto con me solo poche sere prima. Parlavano di lavoro, di calcio, di cose banali, mentre io ero già molto eccitata, la mia fica che fremeva al pensiero di ciò che sarebbe successo. L'aria nel SUV, per me, sembrava essere carica di una tensione che loro non avrebbero mai percepito.
Quando Mario ci mostrò la casa, finsi di meravigliarmi. «Oh, che bella casa, Mario!» esclamai, con la voce più acuta del solito. Dentro di me, un'onda di calore mi pervase. Quella stessa casa, dove poche sere prima avevamo scopato così a lungo e con molta passione, prima che mi portasse a battere nella zona industriale. Tutti quei cazzi che mi riempivano, il mio corpo che si muoveva in preda al piacere, ogni odore di sperma e sudore... era tutto lì, vivo e vivido nella mia memoria.
La cena fu sorprendentemente ottima. Mario aveva preso ogni piatto dalla gastronomia di fiducia, ma non mancava nulla: affettati, formaggi, lasagne, persino un arrosto. Mangiai molto bene, godendomi ogni boccone. L'atmosfera era piacevole e confortevole, quasi casalinga. Si chiacchierava, si beveva il buon vino che Tommaso aveva portato, e io finsi di essere la perfetta fidanzata a una cena tra amici. Gli sguardi che Mario mi lanciava di nascosto, però, non lasciavano dubbi sulle sue vere intenzioni. Erano lampi veloci, intensi, che mi bruciavano la pelle e mi promettevano piaceri ben diversi dal cibo. Lui fu bravo a fingere, mantenendo una conversazione allegra con Tommaso ed Enzo, ma io sentivo la tensione sessuale nell'aria, una corda tesa che aspettava solo di essere pizzicata.
Fu verso la fine della cena, quando i piatti erano ormai vuoti e le bottiglie quasi finite, che Tommaso iniziò a sbadigliare, gli occhi che gli si chiudevano sempre più spesso. Capii che il momento era giunto. Lo vidi alzarsi barcollando leggermente, mugugnare qualcosa sul troppo vino e accasciarsi sul divano, addormentandosi quasi all'istante, come un bambino sazio dopo la pappa.
Io rimasi seduta a tavola, in silenzio, assaporando quel momento. Non c'era fretta. I miei occhi si posarono su Mario ed Enzo. Quasi senza una parola, si sfilarono i pantaloni, e i loro due grossi cazzi balzarono fuori, turgidi e pronti. Entrambi si avvicinarono a me, uno per lato, i loro membri eretti che mi sfioravano il viso. Aprii la bocca, un sorriso di anticipazione che mi stirava le labbra. Non c'era bisogno di chiedere, non c'era bisogno di comandare. Era un patto silenzioso, una resa che bramavo.
Presi il cazzo di Mario in bocca, la sua consistenza calda e vellutata che mi riempiva la gola. Il suo gusto salmastro e forte che ormai riconoscevo, mi eccitava fino alle viscere. Contemporaneamente, la mia mano si muoveva sul cazzo di Enzo, tastando la sua lunghezza e la sua durezza. Succhiai anche il suo, cercando di accontentarli entrambi. Il mio sguardo si spostava da un viso all'altro, assaporando la loro soddisfazione. Sentivo i loro corpi fremere, i loro ansimi che si mescolavano al mio respirare affannoso. E lì, sul divano, Tommaso dormiva, la sua ignara presenza che rendeva tutto ancora più proibito, ancora più eccitante.
Continuai a succhiare, sentendo le loro verghe gonfiarsi e indurirsi sempre più nella mia bocca. Il mio palato era costantemente sollecitato, la mia lingua si muoveva abilmente, cercando di dare piacere a entrambi, alternando le spinte profonde alle leccate più delicate. La loro sborra sarebbe stata il mio dessert, e ne sentivo già il sapore denso e caldo che stava per riversarsi nella mia gola, un sapore che era diventato la mia droga più potente. Li sentii ansimare, il loro respiro farsi più rapido. Poi, con due lunghi spasmi simultanei, si svuotarono nella mia bocca. Ingoiai avidamente, sentendo il liquido denso e caldo scendere nella mia gola, il sapore forte e salmastro che mi riempiva la bocca e la pancia. Era un misto di nausea e piacere, un'estasi perversa che mi faceva sentire completa. Non una goccia andò sprecata. Pulii ogni residuo con la lingua, assicurandomi di non lasciare traccia.
Una volta finito, i loro cazzi ormai molli ma ancora vibranti, Mario tirò fuori dal taschino una piccola bustina con alcune pillole blu: Viagra. Poi, da un altro borsello, estrasse un sacchetto trasparente che conteneva cocaina, molta più di quanta ne avessi mai vista in vita mia. I miei occhi si dilatarono vedendo quella polvere bianca scintillare. Il tavolo della cena si trasformò subito in un altare per la perversione che stava per scatenarsi. Mario posò le pillole e la busta di cocaina sul tavolo, quasi con reverenza. I loro sguardi si incontrarono, un'intesa silenziosa. Vidi Mario ed Enzo mandarle giù con un sorso d'acqua, senza distogliere gli occhi dalla polvere bianca.
«E tu, Sonia?» fece Mario, la sua voce roca, indicando la coca. «Prendine un po'. Ti farà volare.» Non esitai. Presi un'abbondante dose dalla busta e l'inalai con avidità. Sentii il bruciore familiare nelle narici, il retrogusto amaro che mi scendeva in gola, e poi quella scarica elettrica che mi attraversò il corpo, facendomi vibrare ogni cellula. Le mie inibizioni, già labili, si azzerarono del tutto. Ogni senso si amplificò, il desiderio esplose in un fuoco incontrollabile. Mario ed Enzo fecero lo stesso, e in pochi istanti la stanza venne pervasa da un'energia frenetica. I loro occhi si accesero di una luce febbrile, i loro corpi si tesero. Non c'era bisogno di parole. Sapevo cosa volevano, cosa desideravo io stessa.
«Andiamo in camera,» disse Mario, la sua voce un sussurro rauco. Mi presero per mano, quasi trascinandomi, ma io non opposi resistenza. I miei piedi si muovevano da soli, seguendo il loro ritmo frenetico. Il corridoio era buio, ma la luce della luna che filtrava dalle finestre creava ombre danzanti. Entrai in una stanza che riconoscevo appena, se non fosse stato per il grande letto al centro. L'aria era densa, un mix di profumi di pelle maschile, di sudore che già iniziava a farsi sentire, e quel profumo chimico e pungente, quasi elettrico, che mi pizzicava le narici promettendo un'euforia che sapeva di metallo e onnipotenza. Mario mi spinse al centro del letto, le sue mani che mi afferravano i fianchi con forza.
I due non persero tempo: strapparono via il vestito con un gesto violento, e sentii il tessuto cedere, rivelando il mio corpo, i miei seni già turgidi, i capezzoli duri che sembravano chiedere di essere toccati. Mario si mise a cavalcioni su di me, il suo cazzo enorme, reso ancora più turgido dal Viagra, che mi sfiorava la pancia, pulsando. Enzo si posizionò ai miei piedi, le sue mani che mi accarezzavano le gambe, risalendo lentamente verso la mia fica. La cocaina mi faceva sentire ogni tocco, ogni fruscio, ogni respiro con un'intensità quasi dolorosa, eppure estatica. Il mio corpo fremeva, la fica bagnata, desiderosa di essere riempita. Guardai prima Mario, poi Enzo, i loro occhi che brillavano di desiderio. Ero pronta. Anzi, ero più che pronta.
Mario, con un ghigno, afferrò il mio viso con una mano e spinse il suo cazzo verso la mia bocca. Non aspettò che aprissi del tutto, forzò l'ingresso, riempiendomi la gola con violenza. Sentivo le sue palle pesanti sfiorarmi il mento, mentre il membro mi penetrava sempre più a fondo, fino a sentire il pube premere contro le mie labbra. Tossii leggermente, ma non mi tirai indietro. Strinsi le labbra intorno a lui, succhiando golosa; il sapore salmastro e intenso del suo seme che già mi saliva in gola.
Enzo, nel frattempo afferrò le mie cosce, allargandole con decisione. Il suo cazzo si posò sulla mia fica umida, e spinse con forza, entrando in me in un colpo solo. Un gemito mi sfuggì, un misto di piacere e sorpresa per quella penetrazione così diretta. Era una sensazione primitiva, carnale. Avevo la bocca piena del cazzo di Mario e la fica trafitta da quello di Enzo. I loro respiri ansimanti, il suono umido dei nostri corpi che si scontravano, il profumo acuto del loro sudore e del mio desiderio si mescolavano in un'orgia di sensi. Muovevo i fianchi, stringendomi ai loro cazzi, incitandoli, il mio corpo che rispondeva a ogni loro spinta, a ogni loro tocco. Non c'era spazio per il pensiero, solo per la pura, sfrenata libidine. La mia fica era un fuoco, il mio ano pulsava, desideroso di essere anch'esso riempito. Sentivo il mio triangolino di peli pubici bagnarsi sempre di più.
Mario cominciò a spingere con più forza nella mia bocca, il suo respiro che si faceva sempre più affannoso. Sentii il suo corpo tremare, e poi un getto caldo e denso riempirmi la gola. Ingoiai ogni goccia, la sua sborra che mi bruciava leggermente ma mi dava una scarica di piacere incredibile. Mentre lui si ritraeva, Enzo intensificò le sue spinte, il suo cazzo che affondava profondamente nella mia fica, facendomi gemere, godere. Sentii il suo spasmo, il suo corpo che si contraeva, e un altro getto caldo e abbondante mi riempì. La sensazione del suo sperma che si spandeva dentro di me era magnifica. Ripresi fiato per un istante, i loro corpi ancora su di me, i cazzi che si ritraevano lentamente, lasciandomi una sensazione di vuoto e pienezza al tempo stesso. Ma la cocaina e il Viagra li rendevano insaziabili, e il mio corpo, ormai drogato dal piacere, era pronto a ogni loro richiesta.
Mario, con uno strattone deciso, mi fece girare, mettendomi a quattro zampe sul letto. Il mio culo era in bella vista, l'ano leggermente dilatato e fremente, in attesa silenziosa per la prossima penetrazione. Sentii il suo cazzo enorme che si posizionava, caldo e duro, contro la mia fessura anale. Spinse, con un gemito, e fui riempita di nuovo, la sensazione del suo membro che si faceva strada in un'apertura così stretta, così sensibile. Strinsi i denti per un istante, un brivido di dolore e piacere che mi percorse la schiena. Le sue spinte erano profonde, ritmiche, e ogni volta sentivo il mio intestino vibrare sotto la forza dei suoi affondi. La coca amplificava ogni sensazione, trasformando il dolore in un'estasi perversa. Le sue palle sbattevano ritmicamente contro il mio perineo, un suono umido che mi eccitava.
Mentre Mario m’inculava, Enzo si posizionò davanti a me, le sue mani che mi accarezzavano il seno, poi scesero sulla mia fica, ormai gonfia e arrossata. Il mio corpo s’inarcò, diviso tra il piacere anale di Mario e la stimolazione di Enzo. Gemetti, il suono che mi usciva dalla gola era gutturale, quasi animalesco. Mario raggiunse il culmine per la seconda volta, un grido soffocato gli uscì dalla gola mentre si svuotava profondamente dentro il mio ano. Sentii il getto caldo e abbondante riempirmi, una sensazione di pienezza estrema che mi fece tremare. Si ritrasse, lasciando il mio culo umido e grondante, il suo sperma caldo che scivolava lentamente fuori.
Senza un attimo di pausa, Enzo era già lì, pronto. Spinse il suo cazzo lungo e duro nella mia fica, che lo accolse con un gemito di sollievo e desiderio. Le sue spinte erano veloci, aggressive, e mi prese con una foga che mi scosse fin nelle ossa. Il letto sembrava cedere sotto i nostri corpi, mentre il profumo del sesso riempiva la stanza. La mia fica lo risucchiava, mentre lui spingeva sempre più a fondo, cercando il mio punto più sensibile. Ogni sua spinta era una scarica elettrica. Enzo poi me lo mise nel culo, e il mio ano si aprì, accogliendolo con una stretta che sembrava volerlo imprigionare. Le sue spinte furono altrettanto violente e profonde, e sentii un'altra ondata di sperma caldo inondarmi l'intestino, mescolandosi a quello di Mario.
Ero stesa sul letto, il corpo tremante, la fica e il culo pieni del loro seme. I loro sguardi famelici su di me erano la mia unica realtà. Mi avevano fatta godere, ero venuta più volte, il mio corpo scosso da spasmi continui, eppure la mia notte era appena iniziata, lo sentivo. Mi dissero di rivestirmi. Senza fare domande, indossai il mio abito. La stoffa sfiorava la fica gonfia e il culo indolenzito. Sentivo su di me il profumo acre del sesso e dello sperma che si era attaccato alla mia pelle.
Tornammo in soggiorno. Tommaso dormiva beato sul divano, la sua bocca leggermente aperta, il respiro regolare. I due si avvicinarono a lui. Senza una parola, lo presero, lo spogliarono con una velocità sorprendente, e lo misero in quel letto che era ancora caldo dei nostri corpi, pieno delle nostre sborrate. Lo osservai, immobile, persa nella bolla ovattata della droga. La scena era surreale, e un brivido di perverso piacere mi attraversò.
Prima di uscire, sniffammo un altro po' di cocaina, il bruciore nelle narici che riaccendeva il fuoco dentro di me. Salimmo in macchina. Io, come sempre, seduta dietro. La curiosità e l'eccitazione mi divoravano. «Dove stiamo andando?» chiesi, la voce eccitata, i miei occhi che brillavano nel buio. «Mi portate a battere?» La domanda mi uscì spontanea, quasi un desiderio. Mario ed Enzo si guardarono, e una risata d'intesa riempì l'abitacolo. Le loro espressioni non mi diedero risposte chiare, ma il loro divertimento era un segnale. Non stavamo andando verso la campagna, ma ci dirigemmo rapidi verso i sobborghi della città, in cerca di un viale che conoscevano bene. Sentivo che l'aria si faceva più densa, più oscura, carica di desideri inconfessabili.
L'auto procedeva lentamente lungo una strada secondaria che costeggiava la zona industriale. Presto, l'oscurità fu interrotta da una sfilata di figure solitarie: donne, appoggiate ai muretti o in piedi sotto i lampioni. Eravamo sul viale delle prostitute. Mario rallentò l'auto, affiancando il marciapiede. Si girò verso di me, il suo volto illuminato dal chiarore fioco dei lampioni. «Guarda bene, Sonia,» mi disse. «La prossima sorpresa la scegli tu. Se ti è piaciuto essere sottomessa dalle ragazzine, meriti le padrone che desideri.» «Io... non so se ho capito bene,» mormorai, ero incredula, ma la mia fica grondava già per ciò che l’attendeva. «Devo scegliere… loro?» «Esattamente. Scegline due, quelle che ti ispirano di più. Le più belle, le più troie, quelle che vuoi. E loro faranno sesso con te.» Mario si protese e mi mise una mano sulla coscia, stringendola forte. «Scegli le tue regine per una notte, e non preoccuparti: saranno ben pagate.»
La sorpresa mi tolse il fiato. Cominciai a osservare, eccitata per quella novità. Mentre l’auto procedeva piano, vidi donne di ogni genere, ma in mezzo a loro, c'erano anche molte ragazze, splendide e mezze nude. Corpi giovani che si muovevano con una professionalità quasi felina, e il mio desiderio mi guidava verso la bellezza più perversa. «Voglio quella bionda, laggiù...» dissi, indicando una ragazza alta, con occhi verdi freddi che incrociarono subito i miei. Mi sorrise glaciale, ma il suo sguardo era pieno di una promessa di fuoco. «E quella con i capelli scuri, la più giovane. Quella con il perizoma bianco.» Mario ed Enzo sorrisero, annuendo con soddisfazione. «Perfetto. Ottimo gusto, troia. Ti sei scelta le più carine.» Mario accostò e scese dall'auto, dirigendosi verso le due donne. Parlò per un attimo, e lo vidi mostrare loro delle banconote. Queste ammiccarono, il loro cinismo che si scioglieva di fronte al denaro. Salirono in auto, accomodandosi al mio fianco sul sedile posteriore. La bionda, Daria, e la mora, Lidia. L'auto partì, e l'atmosfera divenne subito rovente. Lidia si girò verso di me, il suo volto molto vicino. «Dunque, sei tu la troietta che vuole divertirsi? Bene. Ci divertiremo.» Disse con un forte accento dell’Est, mentre le sue dita scivolavano lungo la mia coscia nuda. Sentii Daria appoggiarsi contro la mia spalla e soppesarmi il seno sinistro. «Non dubitare tesoro, ti faremo impazzire.» Poi la sua mano, calda e forte, si infilò sotto il mio vestito, accarezzando la fica grondante, facendomi gemere. Durante il tragitto, le due ragazze mi mandarono in estasi. I loro tocchi, i loro sguardi erano promesse di sottomissione. Ero in trappola, ma ero la loro preda volontaria.
Arrivammo ad una casa abbandonata. L'auto si fermò davanti a un cancello arrugginito. «È abbandonata da anni. Nessuno ci disturberà qui,» disse Mario, spegnendo il motore. L'edificio si stagliava contro il cielo notturno, scuro e sinistro, avvolto dall'odore di muffa, polvere e terra umida. La porta scricchiolò in modo inquietante, ed entrammo in un piccolo soggiorno. Era un luogo spettrale, i mobili coperti da teli bianchi, la polvere che ricopriva ogni superficie. Mario trovò l'interruttore e accese la luce. Una lampadina appesa, nuda e triste, diffuse un debole bagliore giallo, che illuminò una vecchia poltrona consunta di velluto rosso scuro, al centro della stanza. L'aria era pesante di ricordi e muffa.
Mario si rivolse a me, la voce bassa, carica di malizia. «Prego, accomodati. Queste belle ragazze sono qui solo per il tuo piacere. Dimostra loro la troia che sei.» Mi sedetti sulla poltrona di velluto. Daria e Lidia si tolsero subito i loro striminziti abiti con un gesto sfrontato, i loro occhi furbi che mi fissavano con sadica attesa. Lidia fu la prima. Si sfilò le mutandine, e sebbene il suo corpo fosse curato, un leggero odore acre e intimo si sprigionò nell'aria stantia. Me le passò sotto al naso, sorridendo con aria perversa. Lidia si mise a cavalcioni sul mio viso. «Comincia a leccare, puttanella,» mi ordinò, un sorriso crudele che le stirava le labbra. «Mi spiace, ma questa sera mi sono già presa diversi cazzi, e non sarà molto profumata.» Un brivido mi percorse la schiena. La sua dichiarazione implicita mi eccitò. Inspirai profondamente, e il profumo della sua fica, caldo e umido, invase le mie narici. Non era un odore di pulito, no. Era un mix acre, che sapeva di pelle sudata e profilattico. Era il velo sottile del degrado che sognavo.
Aprii la bocca, la lingua che già si muoveva in anticipo. Affondai il viso tra le sue cosce, e il primo contatto delle mie labbra con la sua fica fu un'esplosione di sensazioni. Il sapore... era pungente, con un retrogusto leggermente salato e acido. Sentivo la grana della sua pelle contro le mie labbra, la scia dei suoi umori che mi bagnavano il viso. La mia lingua cominciò a esplorare con avidità, cercando il clitoride, mentre Lidia gemeva sopra la mia testa, stringendomi con forza. Mario ed Enzo erano lì, in piedi, le loro ombre che si stagliavano sulla parete polverosa, eccitati dalla scena. Daria, la bionda, si chinò e, con un movimento deciso, mi alzò il vestito, fino alla vita. Ero senza mutandine, e sentii la sua lingua sulla mia fica gonfia, leccare con lo stesso accanimento che io ponevo su Lidia. Ero assalita, adorata e usata in un modo che mi mandava in estasi. Le mani di Lidia mi stringevano i capelli, guidando il mio viso; la bocca di Daria succhiava i miei umori.
Mario, visibilmente eccitato, dopo aver messo il preservativo, afferrò Daria per i fianchi e se la inculò. Spinse in lei con una violenza che fece sussultare il corpo della bionda. Fui travolta dal loro sesso: la bocca piena della fica di Lidia, la fica piena della lingua di Daria, mentre Mario la inculava. I loro gemiti, il rumore umido della loro penetrazione e l’odore delle due donne, mi portarono al culmine della perversione. La mia fica grondava per la stimolazione. Mario inculò Daria per un tempo che mi parve eterno, i suoi ansimi che risuonavano nel soggiorno. Quando venne, lo fece con un urlo rauco, tirò fuori il cazzo e si tolse il preservativo pieno, lasciandolo cadere sul pavimento impolverato.
«Adesso, Sonia!» urlò Mario, ansimando. «Lecca il mio cazzo. Subito! Voglio che pulisci la mia verga.» Lidia mi liberò il viso e Daria si spostò. Non esitai un istante. Mi alzai quel tanto che bastò per afferrare il cazzo di Mario, ancora grondante. Ingoiai, il sapore era intenso, un misto di sperma residuo e il succo intimo di Daria che si era attaccato alla sua pelle. Lo succhiai con ingordigia, leccandolo fino a quando non fu di nuovo turgido . Mario mi spinse di nuovo sulla poltrona. «Perfetto,» ansimò. «Adesso Enzo!»
Enzo era già pronto. Si avvicinò a Lidia. «Lidia, fammi vedere il tuo culo. E Sonia, tocca a te. Datti da fare.» Lidia si chinò senza esitare, offrendomi il suo culo. Sentii subito l'odore, il suo ano non era per nulla pulito. Un misto di sudore e un odore salmastro, più acre del normale, ma affondai il viso tra le sue natiche sode e, con la lingua che fremeva di piacere perverso, cominciai a leccare. Il sapore era crudo, selvatico, ma la cocaina amplificava il piacere, rendendo l'umiliazione un'estasi. Dopo averlo insalivato per bene, mi spostai. Enzo entrò in lei con una decisione che fece sussultare il corpo della ragazza. Lidia gemeva di dolore e piacere, la sua voce che tradiva la sua sottomissione al denaro e al maschio. La inculò per alcuni minuti, i suoi affondi sempre più rapidi. Venne con un urlo soffocato, svuotandosi completamente dentro di lei. Guardavo eccitata, e l'intera scena mi fece fremere di goduria masochista.
Quando Enzo si sfilò dal culo di Lidia, la mora barcollò e si sedette sulla poltrona, e senza che mi fosse chiesto, mi accovacciai tra le sue gambe e ripresi a leccarle la fica. La bocca sporca, la fica grondante, il corpo che vibrava per l'orgia. «Adesso basta con la dolcezza,» intervenne Mario, prendendo il comando. Si avvicinò a me, i suoi occhi famelici, iniettati di sangue. «Lidia, Daria! Sonia adora soffrire. È una troia e vuole essere punita. Fatela strillare.» Daria e Lidia si guardarono, e il sadismo che avevo intuito in loro si manifestò senza freni. Mi afferrarono con forza, strappandomi l'abito di dosso. Ero nuda, esposta, il mio corpo gettato nuovamente su quella sudicia poltrona.
Daria mi torse il capezzolo sinistro con aggressività; mentre Lidia mi azzannava il seno destro, tirando con i denti.
Il dolore era acuto, un piacere che la cocaina amplificava. Urlai, ma il mio grido era pieno di godimento. Sentivo la saliva di Lidia sulla pelle e le dita fredde di Daria che mi torturavano il seno. Mario ed Enzo assistevano con i cazzi turgidi, eccitati da quella crudeltà femminile. Ero la loro bambola, il loro giocattolo da spezzare e ricomporre con il dolore e il piacere. Daria lasciò il mio capezzolo, il mio seno era rosso e indolenzito, mentre Lidia, con le sue lunghe unghie, mi torturava il clitoride, pizzicando e tirando. Mario sorrise, il suo sguardo che bruciava di lussuria. Prese la busta di cocaina e la mise sul tavolo. «Prego ragazze! Prendete, e fatela soffrire la nostra puttana. Lei lo vuole, le piace essere la vostra troia.» Senza esitare, tutte e tre ne prendemmo. Il bruciore nelle narici fu un lampo che riaccese la furia e il desiderio. Sotto l'effetto della droga, il livello salì vertiginosamente.
Le due ragazze dimostrarono un sadismo che superava ogni mia aspettativa. Cominciarono a sputarmi in bocca, a schiaffeggiarmi il viso, il culo, le tette e la fica, con violenza. Fui costretta a implorarle di smettere e di continuare allo stesso tempo. Su quella poltrona, il gioco si trasformò in un'escalation di puro sadismo femminile. Mi leccavano e mi mordevano con ferocia, e in un turbinio di mani e bocche, fui costretta a leccare e succhiare i loro corpi ovunque. Il sudore, i loro fluidi, i loro sputi, mentre Enzo e Mario mi sbattevano a turno senza sosta, alternando penetrazioni nella fica e nel culo. Ero la schiava perfetta, la loro troia bramosa di degrado. Sentivo il mio corpo tremare e implorare la fine, eppure ogni umiliazione mi portava a un godimento ancora più profondo e perverso. La cocaina annullava ogni freno, e mi lasciai andare completamente.
Quando uscimmo da quella casa, il cielo iniziava a schiarire. Ero distrutta e mi reggevo a fatica. Avevo goduto in un modo indicibile, provando sensazioni nuove, impensabili, e che quasi mi spaventavano. Salimmo in macchina. Mario riportò per prima Daria e Lidia al viale. Le due scesero, i loro volti che esprimevano felicità per la nottata folle e i soldi guadagnati. Si salutarono con Mario ed Enzo, con un fare complice. «Siamo sempre qui, eh! Quando volete, chiamateci...» Prima di chiudere lo sportello, Lidia si sporse e, con un sorriso diabolico, mi sputò in faccia. «Addio, troietta. Spero che ti sia piaciuto.» Daria rise e batté sul mio sedere indolenzito.
L'auto ripartì. Ero seduta dietro, esausta, sfinita. Sentivo il mio corpo dolente, sporco, ma ero troppo stanca e soddisfatta per vergognarmi. Il viaggio di ritorno verso la casa di Mario fu silenzioso. La cocaina stava svanendo, lasciando il posto a una stanchezza fisica profonda, ma la mia mente era ancora un turbine di sensazioni e immagini. Appena arrivammo, mi accompagnarono in bagno. Una doccia calda fu la prima cosa. L'acqua bollente mi scivolò sul corpo, portando via lo sporco, ma non i ricordi. Sentivo ancora il bruciore sulla pelle irritata, il vago sentore dei fluidi che non si lavavano via facilmente. Poi, la sorpresa. Mi avevano preparato la jacuzzi. La vasca era colma di acqua calda, profumata da qualche essenza rilassante. Scivolai dentro, e il calore mi avvolse, sciogliendo ogni tensione muscolare. Chiusi gli occhi per un istante, assaporando quel tepore ristoratore.
Quando li aprii, Mario ed Enzo erano seduti ai bordi della vasca, guardandomi. Non parlavamo, ma i nostri sguardi si incrociavano, e un sorriso d'incredulità si disegnava sui nostri volti. Ciò che era successo quella notte era andato oltre ogni immaginazione, oltre ogni limite che avessimo mai pensato di superare. I loro visi non erano più famelici, non c'era quella brama predatrice che li aveva animati per ore. Mi guardavano quasi con dolcezza, con un rispetto strano, come se avessero assistito a qualcosa di unico, di profondamente condiviso. «Ti è piaciuto, vero?» sussurrò Mario, la sua voce ora morbida, quasi paterna. Annuii, incapace di parlare, il mio corpo ancora vibrava per l'intensità di quelle ore. «Prima del tuo ritorno a casa,» disse Enzo, la sua voce bassa, «abbiamo voluto lasciarti un ricordo indelebile.»
Le prime luci dell'alba cominciavano a filtrare dalle ante socchiuse, dipingendo la stanza di tenui colori rosati. Io ero lì, nella jacuzzi, avvolta dalle bolle e dall'acqua profumata, a farmi coccolare dai due uomini che mi avevano spinta oltre ogni limite. Mario ed Enzo non erano più i predatori della notte, ma si muovevano con una dolcezza inaspettata, quasi premurosa. M’imboccavano con fragole e panna, la dolcezza del frutto che contrastava con il retrogusto amaro e metallico che ancora percepivo in bocca. Il sapore dello champagne mi accarezzava il palato, una sensazione effimera di lusso in quel contesto così crudo. I loro sguardi erano un misto di tenerezza e compiacimento, come se mi avessero riconosciuta in una nuova forma, più vera, più estrema. Non parlavamo, ma l'intesa tra noi era palpabile, un legame forgiato nell'abisso della perversione.
Più tardi, quando l'alba era ormai completa e il sole cominciava a scaldare la stanza, uscimmo dalla jacuzzi. I loro corpi erano ancora tesi, ma con una calma diversa, quasi appagata. Avvolti in morbidi teli di spugna, ci spostammo nel salotto. Sul divano, in quel luogo dove poche ore prima avevo servito i loro cazzi, facemmo l'amore. Non era la furia brutale della notte, ma un vero “fare l'amore”, quasi una riconciliazione. Prima con Mario, poi con Enzo, i loro corpi che si muovevano con una passione contenuta, i baci che erano ora più lenti, le carezze più dolci. La mia fica, stanca ma ancora ricettiva, li accolse con una consapevolezza diversa, un piacere che era il risultato di un viaggio, non l'inizio.
Quando fummo tutti appagati, Mario mi prese in braccio, portandomi in camera da letto. Sentivo il calore del suo corpo contro il mio, un misto di affetto e possesso. Mi adagiò con delicatezza accanto a Tommaso, che dormiva ancora beato nel letto di Mario, ignaro di tutto. Mi coricai, sentendo il suo respiro regolare. Chiusi gli occhi, la mente un turbine di immagini e sensazioni. Sentivo che quella notte mi aveva segnata profondamente. Mi svegliai di soprassalto, la luce del sole che filtrava dalle finestre a illuminare una stanza sconosciuta. Guardai l'orologio sul comodino: mezzogiorno. Accanto a me, Tommaso dormiva ancora, il suo viso sereno e ignaro. Il mio corpo era indolenzito, la bocca amara, e un leggero mal di testa mi pulsava nelle tempie, residuo della notte di eccessi.
Poco dopo, Mario entrò in camera, con delle buste in mano. Aveva preso qualcosa da mangiare, il profumo di cornetti caldi e caffè riempiva la stanza. I suoi occhi erano stanchi, assonnati, ma brillavano ancora di una luce che solo io potevo comprendere. Enzo se n'era già andato, la sua assenza un'ulteriore conferma della stranezza di quella mattinata. Tommaso iniziò a muoversi, poi aprì gli occhi, confuso. Si guardò intorno, senza capire dove si trovasse. «Ma... dove siamo?» mormorò, la sua voce impastata dal sonno e dal vino.
Io e Mario ci guardammo, un'intesa silenziosa che ci permise di recitare la nostra parte alla perfezione. «Amore, eri ubriaco fradicio ieri sera,» dissi con una finta preoccupazione, mentre Mario annuiva. «Ti sei addormentato sul divano e Mario, da bravo amico, ci ha ospitati qui.» La bugia uscì così naturale, così convincente. Tommaso accettò la spiegazione, troppo intontito per dubitare. Facemmo colazione in silenzio, io e Mario che ci lanciavamo sguardi carichi di significati che Tommaso non avrebbe mai colto. Ogni morso, ogni sorso di caffè, era un promemoria di ciò che era successo in quelle stesse stanze.
Dopo pranzo, Mario ci riaccompagnò in hotel. Il viaggio in auto fu breve, l'atmosfera un po' malinconica, come la fine di un sogno proibito. Scendemmo davanti all'ingresso dell'albergo e ci salutammo con un abbraccio formale, l'ennesima finzione per gli occhi di Tommaso. Ma un attimo prima che Mario se ne andasse, sfruttando un momento di distrazione del mio fidanzato, compii un ultimo, rapido gesto. Mi avvicinai a Mario, il mio sguardo a cercare il suo. Le nostre mani si sfiorarono, un tocco lieve, quasi impercettibile. E poi, le nostre labbra si trovarono in un bacio fugace, un contatto leggero, ma sufficiente perché le nostre lingue si sfiorassero per un'ultima, voluttuosa volta. Era un addio e una promessa, un sigillo segreto di una notte che aveva cambiato tutto.
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