La visita…proibita! - parte 2
di
ErosScritto
genere
prime esperienze
L’aria nello studio era densa, satura dell’odore metallico del lattice e di un sottile profumo di sudore e eccitazione. Sofia giaceva sul lettino ginecologico, le cosce tremanti ancora aperte, la pelle arrossata dai morsi delle dita del dottore. Il suo respiro era affannoso, i capezzoli duri come sassi sotto la luce fredda del soffitto, mentre il Dottor Moretti si inginocchiava tra le sue gambe, gli occhi nocciola fissi sul suo sesso gonfio e lucido.
«Sei pronta, Sofia?» La sua voce era un sussurro roco, un filo di fumo caldo nell'aria tesa, carico di una promessa implicita che le fece vibrare i nervi. Non aspettò una risposta. Non ne aveva bisogno. Gli occhi di Sofia, dilatati e scuri come inchiostro, erano già la sua unica affermazione.
Con un movimento fluido e predatorio che smentiva la professionalità del suo camice, il medico si chinò su di lei. L'ombra del suo viso si proiettò sul corpo esposto di Sofia, aggiungendo un'intimità rubata alla luce fredda della stanza. La lingua, calda e umida, esperta in anatomia ma usata in un modo inequivocabilmente profano, si posò sul suo clitoride con una pressione precisa, inaspettata eppure attesa.
Sofia sobbalzò, l'elettricità di quel contatto che le percorse la spina dorsale come un fulmine. Un gemito strozzato, un suono che non sapeva di poter emettere, le sfuggì dalle labbra semiaperte, trasformandosi quasi in un lamento. «Cazzo—!» fu l'unica parola, un'imprecazione mista a disperazione e piacere, che riuscì a forzare fuori.
Le dita si aggrapparono con forza disperata alle lenzuola di carta, il materiale sottile e sterile che si increspò e si strappò quasi sotto la tensione dei suoi muscoli. Era un tentativo vano di ancorarsi alla realtà, mentre la lingua del medico iniziava la sua meticolosa, devastante esplorazione.
Iniziò tracciando cerchi lenti, quasi timidi, un preludio che le fece tendere ogni fibra. Poi, i movimenti si fecero veloci, più urgenti, un ritmo incalzante che pompava il sangue nelle sue vene e le offuscava la vista. Infine, rallentò di nuovo, tornando a cerchi lenti e sensuali, come se volesse deliberatamente prolungare la tortura dolce. Era un rituale, una danza precisa, quasi come se volesse memorizzare non solo l'anatomia, ma ogni singola, viscerale reazione di ogni centimetro della sua carne, marchiando quel momento come loro e proibito. L'aria divenne spessa, satura di un desiderio così intenso da essere quasi palpabile, e Sofia sapeva che non c'era modo di tornare indietro.
«Sei così dolce… così bagnata per me», mormorò lui contro le sue labbra intime, il respiro caldo che le accarezzava la pelle sensibile, la voce vibrante che le faceva tremare l’interno delle cosce fin dentro l'anima. La pressione della sua bocca era sapiente, un misto di urgenza e di misurata dolcezza che le toglieva ogni residuo di lucidità.
Sofia si aggrappò con le mani alla spalliera metallica del lettino di visita, sentiva il proprio cuore martellarle nelle orecchie come un tamburo impazzito, il sangue che le pulsava non solo tra le gambe, ma in ogni vena, ogni nervo. Era una melodia frenetica, la colonna sonora della loro trasgressione. Il bisogno di essere riempita, di sentire il peso e la pienezza di lui, le attanagliava il ventre con spasmi che la rendevano incapace di pensare lucidamente.
«D-dottore, per favore—» riuscì a sussurrare, il fiato corto, le parole che le morivano in gola. Non sapeva più cosa stesse implorando: che si fermasse o, al contrario, che non smettesse mai. Il titolo professionale, "dottore", era l'ultima, flebile barriera tra il decoro e il caos, tra la clinica asettica e la passione proibita che li stava consumando.
Lui sollevò il capo per un istante, i suoi occhi scuri, solitamente professionali e distaccati, ora ardenti di un desiderio crudo e innegabile. Le diede un bacio lento e profondo, non sulle labbra della bocca, ma più in basso, un contatto che le fece inarcare la schiena con un gemito soffocato. «È tardi per le formalità, Sofia», le rispose, la sua voce roca era una carezza voluttuosa e minacciosa. «Chiamami pure con il mio nome, qui, dove nessuno può sentirci, se non i tuoi gemiti». La presa delle sue mani le risalì sui fianchi, un tocco che era promessa e possesso, spingendola ancora di più verso il baratro del piacere.
«Dimmi, amore», continuò lui, sollevando appena lo sguardo, un sorriso soddisfatto e pigro che gli incurvava gli angoli della bocca, le labbra lucide dei suoi succhi. L'odore muschiato e intenso del loro incontro le riempiva le narici, un misto inebriante di pelle, desiderio e segreti. «Come ti tratta il tuo fidanzatino? Ti fa sentire così?»
La domanda era una carezza sferzante, un dardo velenoso lanciato con un tono che non ammetteva bugie. E mentre parlava, la sua mano scendeva, imitando il tocco intimo della sua lingua. Le dita si unirono al piacere bagnato, due dita lunghe e sapienti che si insinuarono dentro di lei con un movimento lento, una penetrazione consapevole e misurata. Le unghie ben curate sfioravano appena la carne interna, curvandosi poi per strofinare con precisione chirurgica quel punto esatto che la faceva impazzire, il centro nevralgico della sua eccitazione.
Sofia inarcò la schiena in un arco convulso, le lenzuola di seta fredda che le sfioravano la pelle nuda. Un grido soffocato, un lamento che somigliava più a un singulto di piacere e vergogna, le esplose in gola. La testa le ricadde all'indietro contro il cuscino, i capelli scuri sparsi come inchiostro sulla biancheria chiara. Le lacrime premevano dietro gli occhi, ma non erano di dolore. Erano la manifestazione fisica della sua capitolazione, della sua resa totale in quel momento proibito.
«N-no… lui è così… piccolo», ansimò, la voce rotta, ogni parola un'amara confessione. Le parole le uscivano a fatica, umilianti e vere, bruciandole la lingua mentre le pronunciava. La menzogna che aveva tenuto nascosta per mesi, la frustrazione silenziosa accumulata nelle notti passate accanto a un uomo che la amava ma non la possedeva in quel modo, si riversava fuori come un fiume in piena.
Non aveva mai osato dirlo ad alta voce a nessuno. Non alla sua migliore amica, non a se stessa guardandosi allo specchio. Ma ora, sotto lo sguardo penetrante di lui, un uomo con l'autorità non detta di un dominatore, non poteva mentire. Lui era il suo segreto, la sua unica via di fuga da una vita perfetta e insoddisfacente. I suoi occhi scuri la fissavano, non con giudizio, ma con la piena consapevolezza del suo potere.
Lui ritirò le dita con un lento e sensuale suono di schiocco, lasciandola a tremare sulla soglia di un orgasmo implorato e interrotto. Si sporse in avanti, il respiro caldo sul suo orecchio. «Continua pure a dirmi quanto sono patetici i tuoi tentativi di normalità, Sofia. E io continuerò a mostrarti cosa ti stai perdendo.» La sua voce era un sussurro rauco, l'unica verità che le importasse in quel momento.
Moretti rise, un suono basso e compiaciuto che vibrava nell'aria tesa, un presagio di ciò che sarebbe accaduto. Si alzò con una lentezza studiata, un predatore che si gode l'anticipazione della caccia, e si sfilò i guanti di pelle scura con un gesto teatrale, quasi stesse chiudendo una rappresentazione per iniziarne un'altra, più intima e pericolosa.
«Allora è ora che tu impari cosa significa essere scopata da un uomo vero,» sussurrò, le parole cariche di un'autorità che non ammetteva repliche, il suo sguardo scuro inchiodato su Sofia, leggendo l'emozione che le danzava negli occhi: paura, certo, ma anche una scintilla innegabile di curiosità e sottomissione.
I suoi movimenti erano misurati, quasi rituali. Si slacciò i pantaloni con una calma esasperante, rivelando l'erezione che premeva contro il tessuto. Con un gesto rapido e deciso, abbassò la cerniera e poi il tessuto, estraendo il suo cazzo. Era già duro, pulsante di vita, avvolto in un preservativo di lattice che luccicava, riflettendo la luce artificiale e fredda della stanza, un contrasto stridente con il calore della carne.
Sofia lo fissò, il respiro bloccato in gola, gli occhi sgranati in un misto di choc e fascinazione. Era grosso, imponente, molto più di quanto avesse potuto immaginare dalle poche esperienze avute fino a quel momento. Le vene, gonfie e turgide, si snodavano sulla superficie, pulsando ritmicamente sotto la pelle olivastra, scura e liscia, promettendo una pienezza e una forza che le fecero tremare le gambe.
Moretti fece un passo avanti, accorciando la distanza tra loro, la sua ombra che la inghiottiva. Il profumo del suo dopobarba si mescolò all'odore acre della sua eccitazione, una miscela inebriante e intimidatoria. Sollevò una mano per sfiorarle il mento, costringendola ad alzare lo sguardo e a confrontarsi con la cruda, maschile realtà che le si parava davanti.
«Ti piace quello che vedi, bambina?» la voce era roca, un ringhio soddisfatto. La mano le scese lungo il collo, poi si posò sulla sua spalla, la pressione un muto comando. Sofia non riuscì a parlare, poteva solo deglutire a fatica, la gola secca. La sua mente era un turbine di ansia e lussuria inespressa, una battaglia che sapeva già di aver perso. Il suo corpo, traditore, si stava già preparando ad accoglierlo, una resa incondizionata che le faceva affondare le unghie nei palmi. L'attesa si faceva insopportabile, carica di una tensione erotica che saturava ogni angolo della stanza.
Non le diede tempo di prepararsi, l'anticipazione bruciava tra loro, un fuoco rapido che lui non aveva intenzione di domare. Con una spinta decisa e potente, la penetrò in un istante, affondando interamente dentro di lei con un gemito gutturale che gli uscì dalle profondità del petto. L'impatto fu mozzafiato, una scossa che fece sussultare il lettino sotto di loro.
«Dio, sei stretta», ringhiò il dottore, il tono basso e roco, quasi incredulo. Le dita forti e ansiose le si conficcavano nei fianchi, una presa ferrea che la teneva ancorata alla realtà mentre il mondo sembrava sciogliersi. Non aspettò un secondo di più e cominciò a muoversi. All'inizio, i colpi erano lenti e profondi, misurati solo dalla loro intensità. Ogni affondo era una promessa, un lento stiramento che la preparava al turbine imminente.
Poi, il ritmo cambiò. Improvvisamente, la lentezza lasciò spazio a una furia primitiva. I colpi si fecero sempre più veloci, sempre più duri, un martellamento ritmico e implacabile che annullava ogni pensiero razionale. Il lettino scricchiolava e cigolava in protesta sotto il peso dei loro corpi e la violenza della loro unione, i rumori amplificati nel silenzio quasi sacrale della stanza. I loro corpi si scontravano in un ritmo selvaggio, pelle contro pelle, il suono umido della loro unione che riempiva l'aria. Il respiro del dottore si fece affannoso, il sudore gli imperlava la fronte mentre i suoi occhi scuri la fissavano con una possessività ardente.
«Sei tutta mia oggi, Sofia», sussurrò con voce roca, un misto di ordine e affermazione. Il suo volto era contratto in una smorfia di desiderio e controllo assoluto. «Goditi ogni secondo. Voglio sentire quanto lo desideri.»
Sofia non poteva fare altro che sottomettersi all'ondata di sensazioni che la travolgeva. Ogni singola spinta la faceva salire più in alto, il piacere che le si avvolgeva attorno come una morsa d'acciaio incandescente, soffocante nella sua intensità e, al contempo, perfettamente desiderato. Era un punto di non ritorno, una vertigine da cui non voleva più tornare indietro. Le sue unghie cercarono e trovarono la pelle tesa sulla schiena del dottore, graffiandola con disperazione e urgenza. Le gambe le si avvinghiavano attorno alla sua vita, tirandolo più in profondità, in un gesto istintivo e disperato di non lasciarlo andare.
«Sì! Così, cazzo, così—!» La sua voce si spezzò in un urlo gutturale che non le sembrava appartenere. L'eco della sua resa risuonò nella stanza proprio mentre lui, con una maestria quasi crudele, cambiò l'angolo della penetrazione. Il colpo fu preciso, diretto proprio a quel punto incandescente e proibito dentro di lei che la faceva vedere le stelle, un'esplosione di sensazioni che le tolse il respiro e la scaraventò oltre il precipizio. Un lungo, straziante gemito di piacere puro le sfuggì dalle labbra, mentre il mondo intero si riduceva a quell'unica, incredibile sensazione.
Moretti non si mosse subito, ma la fissò, gli occhi nocciola che bruciavano di trionfo e possessività. Lasciò che il suono dei suoi gemiti disperati e della sua resa echeggiasse nella stanza per qualche secondo, un'eco dolce della sua capitolazione.
«Non è ancora finita, bambina,» le sussurrò, la voce roca e bassa, il fiato caldo sul suo orecchio. Ritirò lentamente il cazzo, il suo ano stretto che l'allentò con un suono umido, sensuale.
La fece girare con un movimento rapido, costringendola a mettersi a quattro zampe, i palmi delle mani che premevano sul lettino macchiato. Il suo sesso, ancora gonfio e palpitante dal precedente orgasmo, era esposto e vulnerabile.
Invece di affondare immediatamente in lei, Moretti si inginocchiò dietro di lei, la punta calda del suo dito che si posò sul suo clitoride pulsante. «Prima, voglio vedere quanto sei una troietta affamata,» le ordinò.
Iniziò a stimolare con il dito quel punto esatto, con un ritmo lento ma inesorabile. Non era un gioco, era una tortura sapiente. La sua altra mano si insinuò tra le sue labbra umide, due dita che si aprirono per darle un accesso migliore, mentre il pollice premeva con forza sul clitoride.
Sofia ansimò, il corpo teso come un arco, la testa che le ricadde all'indietro. «No… D-dottore, la prego…» implorò, la voce strozzata. Ma il suo corpo la tradiva, contraendosi e chiedendo di più.
Lui non la ascoltò. Aumentò la pressione, i movimenti delle dita che si fecero più veloci e disperati, simulando una spinta brutale. «Voglio vederti bagnare questo lettino, puttana. Voglio il tuo succo.»
E fu in quell'istante, con le mani che le affondavano nella pelle come artigli e il suo grido soffocato che si trasformava in un gorgoglio, che la sua schiena si inarcò in modo convulso. L'orgasmo la colpì con la forza di un'onda anomala, e il liquido caldo e abbondante si riversò da lei, bagnando il lenzuolo di carta e schizzando il suo cazzo. Un lungo, incredibile squirt che la lasciò senza fiato e in preda a tremiti irrefrenabili.
Moretti rise, un suono basso e trionfante. «Adesso sei pronta per me, piccola.» Sollevò il cazzo, bagnato e pulsante, e lo strofinò con impazienza contro l'apertura stretta del suo ano. Un dito, caldo e lubrificato dal suo stesso piacere, si insinuò dentro, preparandola con movimenti circolari. «Rilassati», le ordinò lui, la voce un comando che non ammetteva repliche. Poi, con una spinta decisa, la penetrò lì, il suo cazzo che si faceva strada dentro il suo buco stretto e inesplorato.
«Ahhh—!» Il dolore si mescolò al piacere in un turbine di sensazioni che la lasciarono senza fiato. Era troppo, era tutto troppo intenso, ma non voleva che smettesse. Mai.
«Sei perfetta», le sussurrò all’orecchio, una mano che le afferrava un seno, l’altra che le teneva il fianco mentre cominciava a pompare, ogni spinta che la faceva gemere, ogni ritiro che la faceva supplicare. «Dimmi, Sofia… ti piace così? Ti piace essere la mia puttana?»
«Sì!», gridò lei, le lacrime che le scendevano lungo le guance, il corpo scosso da tremiti incontrollabili. «Sono tua, dottore, sono tutta tua—»
Lui aumentò il ritmo, i fianchi che sbattevano contro il suo culo con un suono umido, osceno. «E il tuo fidanzato? Sa quanto sei una troietta? Sa che vieni come una fontana quando ti scopo nel culo?» Le sue parole erano sporche, crudeli, e Sofia le amava. Ogni parola la spingeva più vicino al baratro, fino a quando non venne, urlando, il corpo che si contraeva attorno a lui, il sesso che gocciolava lungo le cosce, il suo ano che lo stringeva come una morsa.
Moretti non si fermò. La fame che lo spingeva era una forza bruta, inarrestabile, e Sofia era la sua preda volenterosa, la tela su cui dipingere la sua ossessione. La fece venire ancora, e ancora, con movimenti precisi, ritmi che la portavano sull'orlo del baratro per poi farla precipitare nel piacere, in un ciclo infinito e snervante. I suoi gemiti, inizialmente acuti e carichi di un godimento quasi selvaggio, si trasformarono gradualmente in singhiozzi disperati, straziati, quasi un lamento per l'eccesso di sensazione, il corpo ridotto a una corda di violino vibrante, esausto ma ancora, incredibilmente, affamato di quel tormento dolce.
Solo quando percepì che non c'era più nulla da spremere, che la sua schiava del piacere era al limite del collasso, si ritirò con uno strappo violento, il preservativo gettato via come un involucro inutile. L'aria fredda colpì la pelle sudata di Sofia, ma il calore dell'anticipazione sostituì presto il brivido. Moretti si voltò, gli occhi che brillavano di un'intensità quasi febbrile. «Ora ti marco», le disse, la voce roca, carica di un possesso primordiale che non ammetteva repliche. La sua mano si strinse attorno al cazzo teso, una vena pulsante sulla fronte. I muscoli dell'avambraccio erano duri come pietra mentre cominciava a strofinarsi con movimenti lenti, metodici, quasi cerimoniali. I suoi occhi rimasero fissi su di lei, un misto di trionfo e brama, registrando ogni sua reazione, ogni minimo sussulto. Voleva che vedesse, che sentisse l'atto del suo marchiarsi.
Il primo getto di sperma fu un proiettile caldo e denso che si schiantò contro il seno sinistro di Sofia, il contrasto sulla sua pelle arrossata e umida era netto. Seguirono altri getti, a cascata, sparsi con precisione brutale. Le gocce bianche e appiccicose le ricoprirono i capezzoli gonfi e turgidi, scivolarono lungo il collo, bagnando le ciocche di capelli umidi, e infine macchiarono le sue labbra semiaperte, incorniciate da un residuo di bava e piacere.
Sofia non si ritrasse. Un gemito basso, quasi un ringhio, le sfuggì dalle labbra imbrattate. Le sue dita si mossero con un'istintiva, quasi automatica, devozione. Non era disgusto, ma un bisogno viscerale. Cominciò a spalmare il suo seme sulla pelle, disegnando scie irregolari sul petto e sul collo, come se volesse assorbirlo in ogni poro, integrarlo, tenerlo con sé come un sigillo, la prova inconfutabile e olfattiva del possesso appena consumato. Era il suo inchiostro, e lei era la sua pergamena. Il suo profumo forte e acre si mescolò all'odore di sudore e sesso nella stanza, creando l'afrore inebriante della loro unione proibita.
Quando lui finì, un sospiro profondo gli liberò il respiro, e il suo volto, prima teso nello sforzo e nel piacere, si distese in un’espressione di quiete appagata. Le accarezzò il viso con una dolcezza quasi inattesa, il pollice che indugiava sul labbro inferiore di lei, quasi a tracciarne il contorno arrossato. «Brava ragazza», le disse, la voce tornata calma, quasi paterna, una tonalità che contrastava stranamente con la passione appena consumata. «Sei stata perfetta. Assolutamente perfetta.»
Sofia non rispose subito. I suoi occhi, solitamente vivaci e guardinghi, erano ancora annebbiati e pesanti, velati dal turbinio del piacere che l'aveva travolta, un piacere proibito e per questo ancora più intenso. Un sorriso languido le increspò le labbra, mentre le dita, con una familiarità che l’avrebbe spaventata solo un’ora prima, giocavano con il suo sperma appiccicoso, quasi un trofeo. «Dottore…», mormorò, la voce rotta da un’emozione che oscillava tra l'imbarazzo e l'eccitazione. Sollevò lo sguardo su di lui, una luce supplichevole e al contempo audace accesa nelle iridi. «Devo tornare presto. Non posso aspettare. Voglio… voglio sentire di nuovo questa sensazione. Ho bisogno di sentirla.»
Moretti non esitò. Le prese la mano con un gesto saldo e rassicurante, guidandola verso il centro del suo petto, dove lei poteva sentire il battito del suo cuore ancora martellante, un ritmo accelerato che testimoniava il loro incontro. «Sarò sempre qui per te, Sofia», le promise, le labbra che le sfioravano la fronte con la leggerezza di una benedizione, o di un sigillo. «Sempre pronto ad accoglierti e a prendermi cura di te. Questo è il nostro segreto, il nostro rifugio.»
Lei annuì, un moto quasi impercettibile, ma che per lui valeva come un patto sigillato. Estraendo il telefono dalla borsa con movimenti lenti, quasi rituali, la mente ancora intorpidita, si concentrò. Con dita che le tremavano leggermente per l'adrenalina residua, digitò il suo numero sul display, poi glielo porse, lo sguardo carico di una promessa che andava oltre le parole, un’intesa muta e profonda. «Chiamami», sussurrò, la voce tornata un filo di voce, ma la determinazione incrollabile. «Presto. Non farmi aspettare.»
Moretti sorrise, un sorriso che non raggiunse solo gli occhi, ma che gli illuminò l’intero volto, un’espressione di soddisfazione profonda e inequivocabile. Prese il telefono, i suoi occhi che brillavano di un luccichio astuto e compiaciuto. «Non dovrai aspettare a lungo, tesoro. Ti mancherò prima io di quanto tu non mancherai a me.»
E mentre Sofia si rivestiva, ogni pezzo di stoffa che tornava al suo posto le sembrava un peso superfluo, una maschera che doveva rimettere. Il suo corpo era ancora scosso da lievi tremori, i postumi dell’orgasmo che le avevano lasciato una dolce spossatezza e un senso di vertigine. In quel momento, ricomponendosi davanti a lui, sapeva una cosa con certezza granitica: non sarebbe stata l’ultima volta. Non poteva esserlo. Il velo della sua vita precedente, quella di brava ragazza, di paziente ligia, era stato squarciato. Non sarebbe mai più tornata indietro, non dopo aver scoperto la sua vera, sconvolgente natura. Era caduta, e in quella caduta aveva trovato un piacere e un potere che non era disposta a rinunciare.
«Sei pronta, Sofia?» La sua voce era un sussurro roco, un filo di fumo caldo nell'aria tesa, carico di una promessa implicita che le fece vibrare i nervi. Non aspettò una risposta. Non ne aveva bisogno. Gli occhi di Sofia, dilatati e scuri come inchiostro, erano già la sua unica affermazione.
Con un movimento fluido e predatorio che smentiva la professionalità del suo camice, il medico si chinò su di lei. L'ombra del suo viso si proiettò sul corpo esposto di Sofia, aggiungendo un'intimità rubata alla luce fredda della stanza. La lingua, calda e umida, esperta in anatomia ma usata in un modo inequivocabilmente profano, si posò sul suo clitoride con una pressione precisa, inaspettata eppure attesa.
Sofia sobbalzò, l'elettricità di quel contatto che le percorse la spina dorsale come un fulmine. Un gemito strozzato, un suono che non sapeva di poter emettere, le sfuggì dalle labbra semiaperte, trasformandosi quasi in un lamento. «Cazzo—!» fu l'unica parola, un'imprecazione mista a disperazione e piacere, che riuscì a forzare fuori.
Le dita si aggrapparono con forza disperata alle lenzuola di carta, il materiale sottile e sterile che si increspò e si strappò quasi sotto la tensione dei suoi muscoli. Era un tentativo vano di ancorarsi alla realtà, mentre la lingua del medico iniziava la sua meticolosa, devastante esplorazione.
Iniziò tracciando cerchi lenti, quasi timidi, un preludio che le fece tendere ogni fibra. Poi, i movimenti si fecero veloci, più urgenti, un ritmo incalzante che pompava il sangue nelle sue vene e le offuscava la vista. Infine, rallentò di nuovo, tornando a cerchi lenti e sensuali, come se volesse deliberatamente prolungare la tortura dolce. Era un rituale, una danza precisa, quasi come se volesse memorizzare non solo l'anatomia, ma ogni singola, viscerale reazione di ogni centimetro della sua carne, marchiando quel momento come loro e proibito. L'aria divenne spessa, satura di un desiderio così intenso da essere quasi palpabile, e Sofia sapeva che non c'era modo di tornare indietro.
«Sei così dolce… così bagnata per me», mormorò lui contro le sue labbra intime, il respiro caldo che le accarezzava la pelle sensibile, la voce vibrante che le faceva tremare l’interno delle cosce fin dentro l'anima. La pressione della sua bocca era sapiente, un misto di urgenza e di misurata dolcezza che le toglieva ogni residuo di lucidità.
Sofia si aggrappò con le mani alla spalliera metallica del lettino di visita, sentiva il proprio cuore martellarle nelle orecchie come un tamburo impazzito, il sangue che le pulsava non solo tra le gambe, ma in ogni vena, ogni nervo. Era una melodia frenetica, la colonna sonora della loro trasgressione. Il bisogno di essere riempita, di sentire il peso e la pienezza di lui, le attanagliava il ventre con spasmi che la rendevano incapace di pensare lucidamente.
«D-dottore, per favore—» riuscì a sussurrare, il fiato corto, le parole che le morivano in gola. Non sapeva più cosa stesse implorando: che si fermasse o, al contrario, che non smettesse mai. Il titolo professionale, "dottore", era l'ultima, flebile barriera tra il decoro e il caos, tra la clinica asettica e la passione proibita che li stava consumando.
Lui sollevò il capo per un istante, i suoi occhi scuri, solitamente professionali e distaccati, ora ardenti di un desiderio crudo e innegabile. Le diede un bacio lento e profondo, non sulle labbra della bocca, ma più in basso, un contatto che le fece inarcare la schiena con un gemito soffocato. «È tardi per le formalità, Sofia», le rispose, la sua voce roca era una carezza voluttuosa e minacciosa. «Chiamami pure con il mio nome, qui, dove nessuno può sentirci, se non i tuoi gemiti». La presa delle sue mani le risalì sui fianchi, un tocco che era promessa e possesso, spingendola ancora di più verso il baratro del piacere.
«Dimmi, amore», continuò lui, sollevando appena lo sguardo, un sorriso soddisfatto e pigro che gli incurvava gli angoli della bocca, le labbra lucide dei suoi succhi. L'odore muschiato e intenso del loro incontro le riempiva le narici, un misto inebriante di pelle, desiderio e segreti. «Come ti tratta il tuo fidanzatino? Ti fa sentire così?»
La domanda era una carezza sferzante, un dardo velenoso lanciato con un tono che non ammetteva bugie. E mentre parlava, la sua mano scendeva, imitando il tocco intimo della sua lingua. Le dita si unirono al piacere bagnato, due dita lunghe e sapienti che si insinuarono dentro di lei con un movimento lento, una penetrazione consapevole e misurata. Le unghie ben curate sfioravano appena la carne interna, curvandosi poi per strofinare con precisione chirurgica quel punto esatto che la faceva impazzire, il centro nevralgico della sua eccitazione.
Sofia inarcò la schiena in un arco convulso, le lenzuola di seta fredda che le sfioravano la pelle nuda. Un grido soffocato, un lamento che somigliava più a un singulto di piacere e vergogna, le esplose in gola. La testa le ricadde all'indietro contro il cuscino, i capelli scuri sparsi come inchiostro sulla biancheria chiara. Le lacrime premevano dietro gli occhi, ma non erano di dolore. Erano la manifestazione fisica della sua capitolazione, della sua resa totale in quel momento proibito.
«N-no… lui è così… piccolo», ansimò, la voce rotta, ogni parola un'amara confessione. Le parole le uscivano a fatica, umilianti e vere, bruciandole la lingua mentre le pronunciava. La menzogna che aveva tenuto nascosta per mesi, la frustrazione silenziosa accumulata nelle notti passate accanto a un uomo che la amava ma non la possedeva in quel modo, si riversava fuori come un fiume in piena.
Non aveva mai osato dirlo ad alta voce a nessuno. Non alla sua migliore amica, non a se stessa guardandosi allo specchio. Ma ora, sotto lo sguardo penetrante di lui, un uomo con l'autorità non detta di un dominatore, non poteva mentire. Lui era il suo segreto, la sua unica via di fuga da una vita perfetta e insoddisfacente. I suoi occhi scuri la fissavano, non con giudizio, ma con la piena consapevolezza del suo potere.
Lui ritirò le dita con un lento e sensuale suono di schiocco, lasciandola a tremare sulla soglia di un orgasmo implorato e interrotto. Si sporse in avanti, il respiro caldo sul suo orecchio. «Continua pure a dirmi quanto sono patetici i tuoi tentativi di normalità, Sofia. E io continuerò a mostrarti cosa ti stai perdendo.» La sua voce era un sussurro rauco, l'unica verità che le importasse in quel momento.
Moretti rise, un suono basso e compiaciuto che vibrava nell'aria tesa, un presagio di ciò che sarebbe accaduto. Si alzò con una lentezza studiata, un predatore che si gode l'anticipazione della caccia, e si sfilò i guanti di pelle scura con un gesto teatrale, quasi stesse chiudendo una rappresentazione per iniziarne un'altra, più intima e pericolosa.
«Allora è ora che tu impari cosa significa essere scopata da un uomo vero,» sussurrò, le parole cariche di un'autorità che non ammetteva repliche, il suo sguardo scuro inchiodato su Sofia, leggendo l'emozione che le danzava negli occhi: paura, certo, ma anche una scintilla innegabile di curiosità e sottomissione.
I suoi movimenti erano misurati, quasi rituali. Si slacciò i pantaloni con una calma esasperante, rivelando l'erezione che premeva contro il tessuto. Con un gesto rapido e deciso, abbassò la cerniera e poi il tessuto, estraendo il suo cazzo. Era già duro, pulsante di vita, avvolto in un preservativo di lattice che luccicava, riflettendo la luce artificiale e fredda della stanza, un contrasto stridente con il calore della carne.
Sofia lo fissò, il respiro bloccato in gola, gli occhi sgranati in un misto di choc e fascinazione. Era grosso, imponente, molto più di quanto avesse potuto immaginare dalle poche esperienze avute fino a quel momento. Le vene, gonfie e turgide, si snodavano sulla superficie, pulsando ritmicamente sotto la pelle olivastra, scura e liscia, promettendo una pienezza e una forza che le fecero tremare le gambe.
Moretti fece un passo avanti, accorciando la distanza tra loro, la sua ombra che la inghiottiva. Il profumo del suo dopobarba si mescolò all'odore acre della sua eccitazione, una miscela inebriante e intimidatoria. Sollevò una mano per sfiorarle il mento, costringendola ad alzare lo sguardo e a confrontarsi con la cruda, maschile realtà che le si parava davanti.
«Ti piace quello che vedi, bambina?» la voce era roca, un ringhio soddisfatto. La mano le scese lungo il collo, poi si posò sulla sua spalla, la pressione un muto comando. Sofia non riuscì a parlare, poteva solo deglutire a fatica, la gola secca. La sua mente era un turbine di ansia e lussuria inespressa, una battaglia che sapeva già di aver perso. Il suo corpo, traditore, si stava già preparando ad accoglierlo, una resa incondizionata che le faceva affondare le unghie nei palmi. L'attesa si faceva insopportabile, carica di una tensione erotica che saturava ogni angolo della stanza.
Non le diede tempo di prepararsi, l'anticipazione bruciava tra loro, un fuoco rapido che lui non aveva intenzione di domare. Con una spinta decisa e potente, la penetrò in un istante, affondando interamente dentro di lei con un gemito gutturale che gli uscì dalle profondità del petto. L'impatto fu mozzafiato, una scossa che fece sussultare il lettino sotto di loro.
«Dio, sei stretta», ringhiò il dottore, il tono basso e roco, quasi incredulo. Le dita forti e ansiose le si conficcavano nei fianchi, una presa ferrea che la teneva ancorata alla realtà mentre il mondo sembrava sciogliersi. Non aspettò un secondo di più e cominciò a muoversi. All'inizio, i colpi erano lenti e profondi, misurati solo dalla loro intensità. Ogni affondo era una promessa, un lento stiramento che la preparava al turbine imminente.
Poi, il ritmo cambiò. Improvvisamente, la lentezza lasciò spazio a una furia primitiva. I colpi si fecero sempre più veloci, sempre più duri, un martellamento ritmico e implacabile che annullava ogni pensiero razionale. Il lettino scricchiolava e cigolava in protesta sotto il peso dei loro corpi e la violenza della loro unione, i rumori amplificati nel silenzio quasi sacrale della stanza. I loro corpi si scontravano in un ritmo selvaggio, pelle contro pelle, il suono umido della loro unione che riempiva l'aria. Il respiro del dottore si fece affannoso, il sudore gli imperlava la fronte mentre i suoi occhi scuri la fissavano con una possessività ardente.
«Sei tutta mia oggi, Sofia», sussurrò con voce roca, un misto di ordine e affermazione. Il suo volto era contratto in una smorfia di desiderio e controllo assoluto. «Goditi ogni secondo. Voglio sentire quanto lo desideri.»
Sofia non poteva fare altro che sottomettersi all'ondata di sensazioni che la travolgeva. Ogni singola spinta la faceva salire più in alto, il piacere che le si avvolgeva attorno come una morsa d'acciaio incandescente, soffocante nella sua intensità e, al contempo, perfettamente desiderato. Era un punto di non ritorno, una vertigine da cui non voleva più tornare indietro. Le sue unghie cercarono e trovarono la pelle tesa sulla schiena del dottore, graffiandola con disperazione e urgenza. Le gambe le si avvinghiavano attorno alla sua vita, tirandolo più in profondità, in un gesto istintivo e disperato di non lasciarlo andare.
«Sì! Così, cazzo, così—!» La sua voce si spezzò in un urlo gutturale che non le sembrava appartenere. L'eco della sua resa risuonò nella stanza proprio mentre lui, con una maestria quasi crudele, cambiò l'angolo della penetrazione. Il colpo fu preciso, diretto proprio a quel punto incandescente e proibito dentro di lei che la faceva vedere le stelle, un'esplosione di sensazioni che le tolse il respiro e la scaraventò oltre il precipizio. Un lungo, straziante gemito di piacere puro le sfuggì dalle labbra, mentre il mondo intero si riduceva a quell'unica, incredibile sensazione.
Moretti non si mosse subito, ma la fissò, gli occhi nocciola che bruciavano di trionfo e possessività. Lasciò che il suono dei suoi gemiti disperati e della sua resa echeggiasse nella stanza per qualche secondo, un'eco dolce della sua capitolazione.
«Non è ancora finita, bambina,» le sussurrò, la voce roca e bassa, il fiato caldo sul suo orecchio. Ritirò lentamente il cazzo, il suo ano stretto che l'allentò con un suono umido, sensuale.
La fece girare con un movimento rapido, costringendola a mettersi a quattro zampe, i palmi delle mani che premevano sul lettino macchiato. Il suo sesso, ancora gonfio e palpitante dal precedente orgasmo, era esposto e vulnerabile.
Invece di affondare immediatamente in lei, Moretti si inginocchiò dietro di lei, la punta calda del suo dito che si posò sul suo clitoride pulsante. «Prima, voglio vedere quanto sei una troietta affamata,» le ordinò.
Iniziò a stimolare con il dito quel punto esatto, con un ritmo lento ma inesorabile. Non era un gioco, era una tortura sapiente. La sua altra mano si insinuò tra le sue labbra umide, due dita che si aprirono per darle un accesso migliore, mentre il pollice premeva con forza sul clitoride.
Sofia ansimò, il corpo teso come un arco, la testa che le ricadde all'indietro. «No… D-dottore, la prego…» implorò, la voce strozzata. Ma il suo corpo la tradiva, contraendosi e chiedendo di più.
Lui non la ascoltò. Aumentò la pressione, i movimenti delle dita che si fecero più veloci e disperati, simulando una spinta brutale. «Voglio vederti bagnare questo lettino, puttana. Voglio il tuo succo.»
E fu in quell'istante, con le mani che le affondavano nella pelle come artigli e il suo grido soffocato che si trasformava in un gorgoglio, che la sua schiena si inarcò in modo convulso. L'orgasmo la colpì con la forza di un'onda anomala, e il liquido caldo e abbondante si riversò da lei, bagnando il lenzuolo di carta e schizzando il suo cazzo. Un lungo, incredibile squirt che la lasciò senza fiato e in preda a tremiti irrefrenabili.
Moretti rise, un suono basso e trionfante. «Adesso sei pronta per me, piccola.» Sollevò il cazzo, bagnato e pulsante, e lo strofinò con impazienza contro l'apertura stretta del suo ano. Un dito, caldo e lubrificato dal suo stesso piacere, si insinuò dentro, preparandola con movimenti circolari. «Rilassati», le ordinò lui, la voce un comando che non ammetteva repliche. Poi, con una spinta decisa, la penetrò lì, il suo cazzo che si faceva strada dentro il suo buco stretto e inesplorato.
«Ahhh—!» Il dolore si mescolò al piacere in un turbine di sensazioni che la lasciarono senza fiato. Era troppo, era tutto troppo intenso, ma non voleva che smettesse. Mai.
«Sei perfetta», le sussurrò all’orecchio, una mano che le afferrava un seno, l’altra che le teneva il fianco mentre cominciava a pompare, ogni spinta che la faceva gemere, ogni ritiro che la faceva supplicare. «Dimmi, Sofia… ti piace così? Ti piace essere la mia puttana?»
«Sì!», gridò lei, le lacrime che le scendevano lungo le guance, il corpo scosso da tremiti incontrollabili. «Sono tua, dottore, sono tutta tua—»
Lui aumentò il ritmo, i fianchi che sbattevano contro il suo culo con un suono umido, osceno. «E il tuo fidanzato? Sa quanto sei una troietta? Sa che vieni come una fontana quando ti scopo nel culo?» Le sue parole erano sporche, crudeli, e Sofia le amava. Ogni parola la spingeva più vicino al baratro, fino a quando non venne, urlando, il corpo che si contraeva attorno a lui, il sesso che gocciolava lungo le cosce, il suo ano che lo stringeva come una morsa.
Moretti non si fermò. La fame che lo spingeva era una forza bruta, inarrestabile, e Sofia era la sua preda volenterosa, la tela su cui dipingere la sua ossessione. La fece venire ancora, e ancora, con movimenti precisi, ritmi che la portavano sull'orlo del baratro per poi farla precipitare nel piacere, in un ciclo infinito e snervante. I suoi gemiti, inizialmente acuti e carichi di un godimento quasi selvaggio, si trasformarono gradualmente in singhiozzi disperati, straziati, quasi un lamento per l'eccesso di sensazione, il corpo ridotto a una corda di violino vibrante, esausto ma ancora, incredibilmente, affamato di quel tormento dolce.
Solo quando percepì che non c'era più nulla da spremere, che la sua schiava del piacere era al limite del collasso, si ritirò con uno strappo violento, il preservativo gettato via come un involucro inutile. L'aria fredda colpì la pelle sudata di Sofia, ma il calore dell'anticipazione sostituì presto il brivido. Moretti si voltò, gli occhi che brillavano di un'intensità quasi febbrile. «Ora ti marco», le disse, la voce roca, carica di un possesso primordiale che non ammetteva repliche. La sua mano si strinse attorno al cazzo teso, una vena pulsante sulla fronte. I muscoli dell'avambraccio erano duri come pietra mentre cominciava a strofinarsi con movimenti lenti, metodici, quasi cerimoniali. I suoi occhi rimasero fissi su di lei, un misto di trionfo e brama, registrando ogni sua reazione, ogni minimo sussulto. Voleva che vedesse, che sentisse l'atto del suo marchiarsi.
Il primo getto di sperma fu un proiettile caldo e denso che si schiantò contro il seno sinistro di Sofia, il contrasto sulla sua pelle arrossata e umida era netto. Seguirono altri getti, a cascata, sparsi con precisione brutale. Le gocce bianche e appiccicose le ricoprirono i capezzoli gonfi e turgidi, scivolarono lungo il collo, bagnando le ciocche di capelli umidi, e infine macchiarono le sue labbra semiaperte, incorniciate da un residuo di bava e piacere.
Sofia non si ritrasse. Un gemito basso, quasi un ringhio, le sfuggì dalle labbra imbrattate. Le sue dita si mossero con un'istintiva, quasi automatica, devozione. Non era disgusto, ma un bisogno viscerale. Cominciò a spalmare il suo seme sulla pelle, disegnando scie irregolari sul petto e sul collo, come se volesse assorbirlo in ogni poro, integrarlo, tenerlo con sé come un sigillo, la prova inconfutabile e olfattiva del possesso appena consumato. Era il suo inchiostro, e lei era la sua pergamena. Il suo profumo forte e acre si mescolò all'odore di sudore e sesso nella stanza, creando l'afrore inebriante della loro unione proibita.
Quando lui finì, un sospiro profondo gli liberò il respiro, e il suo volto, prima teso nello sforzo e nel piacere, si distese in un’espressione di quiete appagata. Le accarezzò il viso con una dolcezza quasi inattesa, il pollice che indugiava sul labbro inferiore di lei, quasi a tracciarne il contorno arrossato. «Brava ragazza», le disse, la voce tornata calma, quasi paterna, una tonalità che contrastava stranamente con la passione appena consumata. «Sei stata perfetta. Assolutamente perfetta.»
Sofia non rispose subito. I suoi occhi, solitamente vivaci e guardinghi, erano ancora annebbiati e pesanti, velati dal turbinio del piacere che l'aveva travolta, un piacere proibito e per questo ancora più intenso. Un sorriso languido le increspò le labbra, mentre le dita, con una familiarità che l’avrebbe spaventata solo un’ora prima, giocavano con il suo sperma appiccicoso, quasi un trofeo. «Dottore…», mormorò, la voce rotta da un’emozione che oscillava tra l'imbarazzo e l'eccitazione. Sollevò lo sguardo su di lui, una luce supplichevole e al contempo audace accesa nelle iridi. «Devo tornare presto. Non posso aspettare. Voglio… voglio sentire di nuovo questa sensazione. Ho bisogno di sentirla.»
Moretti non esitò. Le prese la mano con un gesto saldo e rassicurante, guidandola verso il centro del suo petto, dove lei poteva sentire il battito del suo cuore ancora martellante, un ritmo accelerato che testimoniava il loro incontro. «Sarò sempre qui per te, Sofia», le promise, le labbra che le sfioravano la fronte con la leggerezza di una benedizione, o di un sigillo. «Sempre pronto ad accoglierti e a prendermi cura di te. Questo è il nostro segreto, il nostro rifugio.»
Lei annuì, un moto quasi impercettibile, ma che per lui valeva come un patto sigillato. Estraendo il telefono dalla borsa con movimenti lenti, quasi rituali, la mente ancora intorpidita, si concentrò. Con dita che le tremavano leggermente per l'adrenalina residua, digitò il suo numero sul display, poi glielo porse, lo sguardo carico di una promessa che andava oltre le parole, un’intesa muta e profonda. «Chiamami», sussurrò, la voce tornata un filo di voce, ma la determinazione incrollabile. «Presto. Non farmi aspettare.»
Moretti sorrise, un sorriso che non raggiunse solo gli occhi, ma che gli illuminò l’intero volto, un’espressione di soddisfazione profonda e inequivocabile. Prese il telefono, i suoi occhi che brillavano di un luccichio astuto e compiaciuto. «Non dovrai aspettare a lungo, tesoro. Ti mancherò prima io di quanto tu non mancherai a me.»
E mentre Sofia si rivestiva, ogni pezzo di stoffa che tornava al suo posto le sembrava un peso superfluo, una maschera che doveva rimettere. Il suo corpo era ancora scosso da lievi tremori, i postumi dell’orgasmo che le avevano lasciato una dolce spossatezza e un senso di vertigine. In quel momento, ricomponendosi davanti a lui, sapeva una cosa con certezza granitica: non sarebbe stata l’ultima volta. Non poteva esserlo. Il velo della sua vita precedente, quella di brava ragazza, di paziente ligia, era stato squarciato. Non sarebbe mai più tornata indietro, non dopo aver scoperto la sua vera, sconvolgente natura. Era caduta, e in quella caduta aveva trovato un piacere e un potere che non era disposta a rinunciare.
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