Il regalo di Babbo Natale
di
ErosScritto
genere
incesti
Il campanello della villa di Giovanni squillò con un suono profondo e vibrante, che risuonò tra le pareti rivestite di marmo e legno pregiato. Davide, in piedi davanti all’imponente porta d’ingresso, si sistemò il costume da Babbo Natale con un ghigno compiaciuto. Non era il classico Santa Claus con la pancia gonfia e la barba bianca: il suo era un look tamarro, aderente, che metteva in risalto ogni muscolo scolpito del suo fisico palestrato. La giacca rossa, aperta sul petto, lasciava intravedere la pelle abbronzata e i tatuaggi che serpeggiavano lungo le braccia e il torace depilato. I pantaloni, attillati, non nascondevano affatto l’erezione già in crescita, mentre le scarpe nere lucide completavano l’outfit con un tocco di arroganza.
Non aveva suonato per caso. Sapeva benissimo che Giovanni era fuori città per lavoro, e che Iris sarebbe stata sola. La scatola gigante che stringeva tra le braccia, avvolta in una carta rossa lucida con un fiocco dorato, nascondeva qualcosa di molto più eccitante di un regalo tradizionale. Il peso lo faceva sorridere: dentro, nudo e pulsante, c’era il suo cazzo, già duro come l’acciaio, pronto per essere scopato.
La porta si aprì con un lieve scricchiolio, rivelando Iris. Il respiro gli si mozzò per un istante. La ragazza indossava un abito nero aderente, così stretto che sembrava dipinto sul suo corpo atletico. Il tessuto lucido accentuava ogni curva: il seno abbondante, sodo, che si sollevava a ogni respiro, la vita stretta che si allargava in fianchi sinuosi, e le gambe lunghe e toniche, frutto di anni di hip hop. I capelli castani, mossi e lucidi, le cadevano sulle spalle in onde morbide, incorniciando un viso da angelo con occhi azzurri che brillavano di malizia. Le labbra, carnose e leggermente dischiuse, erano dipinte di un rosso scuro, quasi a sfidarlo.
«Non c’è papà», disse lei, appoggiandosi allo stipite con un sorriso che era tutto fuorché innocente. Lo sguardo le scivolò lungo il corpo di Davide, indugiando su quel pacco che teneva in una posizione impossibile da ignorare.
Davide non perse tempo. «Lo so, tesoro. Non sono venuto per lui», rispose, la voce bassa e roca, carica di intenzioni. Fece un passo avanti, invasivo, costringendola a indietreggiare leggermente. L’odore del suo profumo, dolce e speziato, si mescolò al sentore di legna bruciata che veniva dal camino acceso in salotto. «Ho un pensiero per Natale. Solo per te.»
Iris inarcò un sopracciglio, giocando con una ciocca dei suoi capelli. «Un regalo? E perché dovrei volerlo?» chiese, anche se il tono tradiva già la sua curiosità. I suoi occhi scivolarono nuovamente sulla scatola, poi risalirono a incontrare i suoi, grigi e penetranti.
«Perché sai che ti piacerà», rispose lui, abbassando la voce a un sussurro. «Apri.»
Lei esitò solo un secondo, poi si fece da parte, lasciandolo entrare. L’ingresso era immenso, con un lampadario di cristallo che proiettava luci danzanti sul pavimento in marmo nero. Davide fece qualche passo in rirezione del divano in pelle bianca facendo attenzione a non spostare il regalo, poi si voltò verso di lei. Iris si era avvicinata, i tacchi che cliccavano sul pavimento, il corpo che ondeggiava con la grazia di una ballerina.
«Allora? Che aspetti?» chiese lui, le labbra curvate in un sorriso lascivo.
Iris non rispose. Invece, si chinò lentamente, la scollatura lasciava intravedere quei seni giovanili ma gonfi e slacciò il fiocco dorato. Le dita affusolate scartarono la carta con movimenti lenti, quasi sensuali, come se stesse spogliando un amante. Quando sollevò il coperchio, il suo respiro si bloccò.
Dentro, invece di un oggetto, c’era lui. Il suo cazzo, enorme, spesso, con le vene gonfie che pulsavano sotto la pelle tesa. La punta era già umida, un filo di pre-sperma che luccicava alla luce del lampadario. Davide aveva abbassato la cerniera e fatto un bel buco nella scatola per infilarcelo, un piano ben congegnato, e considerando com’è andato il suo matrimonio, probabilmente era abituato a fare cose del genere con la fortunata di turno.
«Porca puttana, e questo sarebbe il mi regalo?», sussurrò Iris, le guance che si colorivano di rosa. Non era una ragazza timida, ma quella vista la colpì dritta allo stomaco. Senza pensare, allungò una mano e lo avvolse con le dita. Era caldo, pesante, e sotto la sua carezza si irrigidì ancora di più, come se stesse per esplodere.
«Ti piace?» domandò Davide, la voce roca. Non aspettò una risposta. Con un movimento rapido, afferrò la nuca di Iris e la tirò a sé, schiacciando le sue labbra contro le sue. Il bacio fu immediato, famelico, lingue che si intrecciavano in una danza selvaggia. Lei gemette contro la sua bocca, le mani che scivolavano sul suo petto, sentendo i muscoli duri sotto la stoffa del costume.
La scatola cadde a terra con un tonfo sordo mentre Davide la spingeva contro il muro, il corpo di lei che si inarcava contro il suo. Le mani di Iris si aggrapparono alle sue spalle, le unghie che affondavano nella carne. Lui le sfilò il vestito con un rapido gesto e lo lascia scivolare a terra, rivelando un reggiseno di pizzo nero e un perizoma che copriva a malapena la sua figa già fradicia.
«Sei bagnata», ringhiò Davide, scendendo in ginocchio davanti a lei. Con un movimento secco, le abbasso completamente l’intimo, lasciandola nuda dalla vita in giù. L’odore della sua eccitazione era inebriante, dolce e muschiato. Senza preavviso, affondò la faccia tra le sue cosce, la lingua che si insinuava tra le labbra gonfie della sua figa.
«Ah! Cazzo!» gridò Iris, le dita che si intrecciavano nei suoi capelli biondi, tirandogli la testa contro di sé. Davide non si fermò. Leccò, succhiò, morse, la lingua che tracciava cerchi intorno al clitoride prima di affondare dentro di lei, tastando ogni piega bagnata. Le sue mani le afferravano le natiche, stringendole, spalancandole, mentre lei si dimenava contro la sua bocca, i fianchi che si muovevano in cerchi sempre più veloci.
«Davide, ti prego, cazzo, sto per—» non finì la frase. Un orgasmo la travolse, violento, le cosce che si chiudevano intorno alla sua testa mentre urlava, il corpo scosso da tremiti incontrollabili. Lui non si fermò neanche allora, leccando ogni goccia del suo piacere, assaporandola come se fosse il nettare più prezioso.
Quando finalmente si alzò, i suoi occhi erano scuri di desiderio. «Ora tocca a me», disse, liberando il suo cazzo dai pantaloni. Era enorme, rosso, le vene che pulsavano sotto la pelle tesa. Iris lo guardò con occhi lucidi, poi si girò, appoggiando le mani contro il muro, il culo tondo, sodo, perfetto offerto a lui.
«Prendimi», ordinò, la voce tremante.
Davide non se lo fece ripetere. Con una spinta potente, affondò dentro di lei in un solo colpo, riempiendola completamente. Iris gridò, le unghie che graffiavano la vernice del muro, il corpo che si adattava a malapena alla sua grandezza. Lui cominciò a muoversi, colpi profondi e regolari, ogni affondo che la faceva gemere sempre più forte.
«Sei così stretta, cazzo», ansimò Davide, le mani che le afferravano i fianchi, le dita che lasciavano segni rossi sulla sua pelle. «Ti scoperò fino a farti scordare il tuo nome.»
Iris rise, un suono rotto e sensuale. «Allora smettila di parlare e fottimi.»
Lui ubbidì. I colpi diventarono più duri, più veloci, il suono dei loro sessi che sbattevano l’uno nell’altra riempiva la stanza. Davide le tirò i capelli, costringendola ad inarcare la schiena, poi le infilò una mano sotto, trovando il suo clitoride già gonfio e sensibile. Iris urlò, il corpo che si contraeva intorno al suo cazzo, un altro orgasmo che la travolgeva mentre lui continuava a martellarla senza pietà.
«Di più», supplicò lei, la voce rotta. «Voglio sentirti dappertutto.»
Davide non aveva intenzione di fermarsi. La tirò via dal muro, la sollevò come se non pesasse nulla, e la portò sul divano bianco. La posò a pancia in giù, il culo ancora offerto, poi si inginocchiò dietro di lei. Senza preavviso, sputò sulla sua fessura stretta, poi cominciò a massaggiarla con il pollice, preparandola.
«Cosa stai—» iniziò Iris, ma la frase si trasformò in un grido quando lui spinse la punta del suo cazzo contro il suo ano, entrando lentamente, centimetro dopo centimetro.
«Respira», le ordinò Davide, la voce un ringhio. «Prendilo tutto.»
Iris obbedì, i muscoli che si rilassavano piano piano, permettendogli di affondare fino in fondo. Il dolore si mescolò al piacere, una sensazione così intensa che le fece girare la testa. Lui cominciò a muoversi, lentamente all’inizio, poi sempre più forte, ogni spinta che la faceva gemere, le mani che si aggrappavano ai cuscini del divano.
«Sei mia», ringhiò Davide, le palle che si contraevano, pronte a esplodere. «Ogni buca, ogni gemito. Tutto mio.»
Iris non rispose. Non poteva. Era troppo occupata a venire di nuovo, il corpo scosso da spasmi violenti mentre lui la prendeva senza pietà. Davide sentì il suo orgasmo avvicinarlo al limite. Con un ultimo, potente affondo, si seppellì dentro di lei e la riempì del suo sperma bollente— La porta d’ingresso si aprì di colpo.
«Iris? Sei qui?» La voce di Giovanni risuonò nella villa, chiara e inaspettata.
Davide si bloccò, il cazzo ancora sepolto nel culo stretto di Iris, il fiato mozzato. Iris si voltò di scatto, gli occhi sgranati estasiati dal piacere estremo provato, le labbra ancora gonfie per i baci, il corpo nudo e sudato.
Giovanni lasciò cadere la valigia. Il tonfo sul marmo nero fu l'unico rumore che ruppe il silenzio carico di sesso e incredulità. I suoi occhi, solitamente miti e un po' stanchi, si spalancarono, incapaci di elaborare l'immagine: sua figlia, nuda e ansimante, con la schiena arcuata contro il divano; Davide, il suo amico di una vita, la figura di Babbo Natale stravolta in una macabra parodia erotica, che si ritraeva da lei con un'espressione di soddisfazione sfacciata.
Non urlò. Non si arrabbiò immediatamente. C'era un vuoto, un istante di sospensione in cui il cervello rifiutava la realtà. La sua mascella si contrasse, e un tremito impercettibile gli scosse le mani. Guardò il vestito nero di Iris accartocciato a terra, la scatola del regalo sventrata e abbandonata, il luccichio opaco del fluido seminale e dei succhi di Iris che colava lungo la coscia di lei.
«Davide», mormorò Giovanni, il nome ridotto a un sibilo gutturale, irriconoscibile. Non era una domanda. Era una constatazione, una sentenza. Il tradimento era palpabile, denso come l'aria invernale.
Davide sorrise ancora, un gesto audace, senza rimorso. Si raddrizzò lentamente, coprendo a metà l'erezione calante con un lembo della giacca rossa, il suo sguardo non lasciò mai quello di Giovanni. «Avevi fretta di rientrare, vecchio mio», ripeté, dando alla frase un'enfasi che trasformava la confidenza amichevole in pura derisione.
Iris si tirò su, portandosi le mani al petto, ma il suo sguardo non era di vergogna, bensì di sfida, o forse un'esaltazione post-orgasmica che non riusciva a nascondere.
Giovanni chiuse gli occhi per un secondo, e quando li riaprì, il vuoto si stava riempiendo di qualcosa di inatteso, un calore che non aveva nulla a che fare con la rabbia. Il sangue gli pulsava nelle tempie, ma non per l'ira; era una corsa, un'eccitazione proibita che gli risaliva lungo la spina dorsale. La vista di sua figlia nuda, ansimante, con quel misto di sperma e desiderio che le imbrattava la coscia, non era disgustosa. Era, stranamente, potente. La Iris che conosceva era l'ingenua studentessa; questa Iris era una donna affamata, un oggetto di desiderio sessuale esplicito. E lui, suo padre, la vedeva così, per la prima volta.
La sua mano, invece di stringersi a pugno, si strinse lentamente sull'asta rigida che, inaspettatamente, gli stava crescendo sotto la cerniera dei pantaloni. Sentì l'onda del desiderio, sporco, sbagliato, che si sovrapponeva al senso di orrore.
«Vattene», disse, ma la sua voce era rauca, priva di vera minaccia. Era più un ordine per sé stesso, un tentativo di riprendere il controllo su un corpo che lo stava tradendo. «Ora.»
Davide colse immediatamente l'esitazione nella sua voce. Si strinse nelle spalle, raccogliendo i pantaloni e la cerniera con calma esasperante. «Sarà per un altro Natale, allora», rispose, lanciando un'ultima occhiata maliziosa a Iris, prima di infilarsi la giacca. Poi, superò Giovanni senza toccarlo, con la stessa arroganza con cui era entrato.
La porta si chiuse alle spalle di Babbo Natale, lasciando Giovanni solo nell'ingresso sfarzoso e silenzioso. L'eco della chiusura risuonò nella stanza. Lui si voltò lentamente verso Iris, che lo fissava in attesa, il fiato sospeso, nuda, in piedi in mezzo al caos.
Giovanni mosse la testa, scuotendo via la nebbia del moralismo. Non provava più l'urgenza di picchiare Davide. Provava un bisogno primario, un'attrazione complessa e disorientante verso la figura che aveva davanti: non più la sua bambina, ma la donna sessuale che il suo amico aveva appena creato.
Fece un passo avanti, non per urlare, ma per guardarla più da vicino. I suoi occhi indugiarono sul segno rosso sulla natica lasciato dalla mano di Davide, poi risalirono sul volto sfidante di Iris.
«Cos'è successo qui, Iris?» chiese, la voce ora solo un sussurro caldo, privo di giudizio. Invece di chiedere spiegazioni, la sua mano si sollevò e sfiorò esitante la sua guancia, un gesto ambiguo, a metà tra la carezza paterna e il tocco dell'amante.
Iris non si mosse, ma i suoi occhi, un attimo prima pieni di sfida, si sgranarono in un misto di sorpresa e comprensione. Poteva vedere l'eccitazione non celata negli occhi del padre, il modo in cui il suo sguardo la spogliava, ora con un desiderio diverso, più profondo e, in qualche modo, più pericoloso di quello di Davide.
La maschera di Giovanni era caduta. L'uomo che era entrato in casa era svanito, sostituito da una figura complessa, attratta dal proibito. Il respiro di Iris si accelerò. Sapeva che, in quel momento, la loro relazione era cambiata per sempre. Lui non l'aveva giudicata. L'aveva vista.
«È stato Babbo Natale, Papà», rispose lei, la voce tremante di un'emozione che non era paura, ma forse il brivido di un nuovo, inatteso potere. E mentre lo diceva, non coprì il suo corpo. Rimase nuda, offrendo al padre la scena intera, lasciando che il desiderio crescesse tra loro. Giovanni rimase lì, sulla soglia del salotto, paralizzato tra la figura paterna distrutta e un'eccitazione inaccettabile. Cosa sarebbe successo adesso che lui aveva visto e, peggio ancora, desiderato?
Giovanni fece un altro passo, l’ultima barriera di controllo che cedeva. La sua mano lasciò la guancia di Iris e scese lungo il collo, poi si posò sulla clavicola, spingendola leggermente verso il centro della stanza. Le labbra di lui erano dischiuse, gli occhi fissi, non sul suo viso, ma sulla scia lucida che le colava lungo la coscia.
«Babbo Natale, dici?» ripeté lui, e in quel nome c’era una sfumatura di complicità perversa. «E cosa ti ha portato Babbo Natale, Iris? Cosa ti ha fatto desiderare così tanto?»
Lei fece un leggero tremito, ma non di freddo. Il suo sguardo scese ai pantaloni di Giovanni, dove la stoffa era tesa in un rilievo inconfondibile. L’aria si fece pesante, carica di un odore acre di desiderio e, forse, di perdizione.
«Mi ha fatto capire cosa voglio davvero, Papà», rispose lei, la sua voce ora ferma, senza più il tremore dell'eccitazione passata, ma con il calore di quella appena nata. Fece un passo avanti, rompendo la distanza. La sua mano si allungò, audace e senza esitazione, e si posò proprio sopra il rigonfiamento nei suoi pantaloni.
Il respiro di Giovanni si bloccò in gola.
«E cosa vuoi, adesso, Iris?» chiese, la voce ora un sibilo strozzato, un'ultima, debole resistenza.
Iris sorrise. Un sorriso da adulta, predatorio. Si inginocchiò lentamente davanti a lui, abbassando il capo con un gesto di sottomissione che era, in realtà, puro controllo. Il pizzo nero del reggiseno sfiorò il marmo freddo.
«Voglio assaggiarlo», rispose, la voce che vibrava contro la stoffa dei suoi pantaloni.
Giovanni non ebbe la forza di fermarla. Rimase in piedi, una statua di carne in preda a una vertigine morale. Iris afferrò la cerniera, la tirò giù con un suono secco e liberatorio, poi liberò l'enorme membro di suo padre.
Il respiro le si mozzò. Non era come quello di Davide, che era muscoloso e sfacciato. Quello di suo padre era più scuro, più spesso, con una circonferenza che le riempiva completamente la mano, e una lunghezza inaspettata. Sembrava scolpito, una potenza matura che non aveva mai sospettato.
«Oh, Papà», sussurrò, i suoi occhi che si alzavano in un misto di stupore e un desiderio amplificato. «Anche tu... hai un regalo notevole.»
Non perse tempo in ulteriori parole. Affondò il viso, prendendo la punta tra le labbra con una delicatezza inaspettata, la lingua che tracciava un cerchio intorno al glande gonfio. La pelle era vellutata, calda, e il sapore era diverso, più intenso, più suo.
Giovanni emise un gemito di pura, inaccettabile gioia, la testa che si inclinava all'indietro. Le mani si chiusero a pugno, poi si rilassarono per afferrare i suoi capelli castani, non per tirarla via, ma per tenerla ferma, spingendola più a fondo.
Iris cominciò a lavorare su di lui con una maestria che non aveva mai saputo di possedere. La sua lingua era un fuoco, le labbra morbide e avvolgenti. Alternava succhiate lunghe e profonde che gli arrivavano fino alla radice con rapidi e precisi movimenti del polso. Era un'adorazione, non un atto, e per Giovanni era una tortura sublime. Ogni volta che Iris tirava indietro, il suo corpo si contraeva in attesa febbrile.
«Più... più forte, Iris», ansimò Giovanni, la sua voce irriconoscibile, una supplica che non avrebbe mai dovuto pronunciare.
Lei ubbidì, intensificando la pressione, aggiungendo un tocco di saliva per renderlo più viscido. I suoi occhi, pieni di lacrime di desiderio, si alzarono a incontrare quelli del padre. In quel momento, nel salotto silenzioso e sfarzoso, la figlia era diventata l'amante, e il padre, il suo schiavo.
Iris sentiva l'erezione del padre farsi dura come una roccia, le vene che si gonfiavano. Sapeva che era sul punto di esplodere, e l'idea di contenere quella forza proibita la portò sull'orlo del suo stesso piacere. Continuò, instancabile, sapendo che gli stava dando il miglior pompino della sua vita, e provando per la prima volta l'eccitazione di quel potere.
Con un ultimo, potentissimo affondo in gola, Giovanni urlò il suo nome, un grido strozzato di piacere e orrore. Il suo sperma caldo e denso inondò la sua bocca, un fiume di colpa e assoluzione. Iris inghiottì ogni goccia, la testa inclinata all'indietro, assaporando il suo regalo di Natale più oscuro. Quando si ritirò, le labbra sporche e lucide, guardò il padre con un’espressione di trionfo peccaminoso.
Il silenzio che seguì fu ancora più pesante. Giovanni la guardò, la mascella contratta, il respiro affannoso. Non c'era più rabbia, né repulsione. Solo una schiacciante, terrificante realizzazione di ciò che avevano fatto.
«Papà...» iniziò Iris, la voce appena un sussurro.
Giovanni non la lasciò finire. Allungò una mano e le accarezzò la testa, spostando una ciocca di capelli bagnati dal suo viso, il gesto ambiguo di prima ora intriso di una nuova, irreversibile intimità.
«Non una parola, Iris», sussurrò, la voce roca ma ferma. I suoi occhi non la giudicavano. La desideravano.
E la loro storia era appena cominciata.
Non aveva suonato per caso. Sapeva benissimo che Giovanni era fuori città per lavoro, e che Iris sarebbe stata sola. La scatola gigante che stringeva tra le braccia, avvolta in una carta rossa lucida con un fiocco dorato, nascondeva qualcosa di molto più eccitante di un regalo tradizionale. Il peso lo faceva sorridere: dentro, nudo e pulsante, c’era il suo cazzo, già duro come l’acciaio, pronto per essere scopato.
La porta si aprì con un lieve scricchiolio, rivelando Iris. Il respiro gli si mozzò per un istante. La ragazza indossava un abito nero aderente, così stretto che sembrava dipinto sul suo corpo atletico. Il tessuto lucido accentuava ogni curva: il seno abbondante, sodo, che si sollevava a ogni respiro, la vita stretta che si allargava in fianchi sinuosi, e le gambe lunghe e toniche, frutto di anni di hip hop. I capelli castani, mossi e lucidi, le cadevano sulle spalle in onde morbide, incorniciando un viso da angelo con occhi azzurri che brillavano di malizia. Le labbra, carnose e leggermente dischiuse, erano dipinte di un rosso scuro, quasi a sfidarlo.
«Non c’è papà», disse lei, appoggiandosi allo stipite con un sorriso che era tutto fuorché innocente. Lo sguardo le scivolò lungo il corpo di Davide, indugiando su quel pacco che teneva in una posizione impossibile da ignorare.
Davide non perse tempo. «Lo so, tesoro. Non sono venuto per lui», rispose, la voce bassa e roca, carica di intenzioni. Fece un passo avanti, invasivo, costringendola a indietreggiare leggermente. L’odore del suo profumo, dolce e speziato, si mescolò al sentore di legna bruciata che veniva dal camino acceso in salotto. «Ho un pensiero per Natale. Solo per te.»
Iris inarcò un sopracciglio, giocando con una ciocca dei suoi capelli. «Un regalo? E perché dovrei volerlo?» chiese, anche se il tono tradiva già la sua curiosità. I suoi occhi scivolarono nuovamente sulla scatola, poi risalirono a incontrare i suoi, grigi e penetranti.
«Perché sai che ti piacerà», rispose lui, abbassando la voce a un sussurro. «Apri.»
Lei esitò solo un secondo, poi si fece da parte, lasciandolo entrare. L’ingresso era immenso, con un lampadario di cristallo che proiettava luci danzanti sul pavimento in marmo nero. Davide fece qualche passo in rirezione del divano in pelle bianca facendo attenzione a non spostare il regalo, poi si voltò verso di lei. Iris si era avvicinata, i tacchi che cliccavano sul pavimento, il corpo che ondeggiava con la grazia di una ballerina.
«Allora? Che aspetti?» chiese lui, le labbra curvate in un sorriso lascivo.
Iris non rispose. Invece, si chinò lentamente, la scollatura lasciava intravedere quei seni giovanili ma gonfi e slacciò il fiocco dorato. Le dita affusolate scartarono la carta con movimenti lenti, quasi sensuali, come se stesse spogliando un amante. Quando sollevò il coperchio, il suo respiro si bloccò.
Dentro, invece di un oggetto, c’era lui. Il suo cazzo, enorme, spesso, con le vene gonfie che pulsavano sotto la pelle tesa. La punta era già umida, un filo di pre-sperma che luccicava alla luce del lampadario. Davide aveva abbassato la cerniera e fatto un bel buco nella scatola per infilarcelo, un piano ben congegnato, e considerando com’è andato il suo matrimonio, probabilmente era abituato a fare cose del genere con la fortunata di turno.
«Porca puttana, e questo sarebbe il mi regalo?», sussurrò Iris, le guance che si colorivano di rosa. Non era una ragazza timida, ma quella vista la colpì dritta allo stomaco. Senza pensare, allungò una mano e lo avvolse con le dita. Era caldo, pesante, e sotto la sua carezza si irrigidì ancora di più, come se stesse per esplodere.
«Ti piace?» domandò Davide, la voce roca. Non aspettò una risposta. Con un movimento rapido, afferrò la nuca di Iris e la tirò a sé, schiacciando le sue labbra contro le sue. Il bacio fu immediato, famelico, lingue che si intrecciavano in una danza selvaggia. Lei gemette contro la sua bocca, le mani che scivolavano sul suo petto, sentendo i muscoli duri sotto la stoffa del costume.
La scatola cadde a terra con un tonfo sordo mentre Davide la spingeva contro il muro, il corpo di lei che si inarcava contro il suo. Le mani di Iris si aggrapparono alle sue spalle, le unghie che affondavano nella carne. Lui le sfilò il vestito con un rapido gesto e lo lascia scivolare a terra, rivelando un reggiseno di pizzo nero e un perizoma che copriva a malapena la sua figa già fradicia.
«Sei bagnata», ringhiò Davide, scendendo in ginocchio davanti a lei. Con un movimento secco, le abbasso completamente l’intimo, lasciandola nuda dalla vita in giù. L’odore della sua eccitazione era inebriante, dolce e muschiato. Senza preavviso, affondò la faccia tra le sue cosce, la lingua che si insinuava tra le labbra gonfie della sua figa.
«Ah! Cazzo!» gridò Iris, le dita che si intrecciavano nei suoi capelli biondi, tirandogli la testa contro di sé. Davide non si fermò. Leccò, succhiò, morse, la lingua che tracciava cerchi intorno al clitoride prima di affondare dentro di lei, tastando ogni piega bagnata. Le sue mani le afferravano le natiche, stringendole, spalancandole, mentre lei si dimenava contro la sua bocca, i fianchi che si muovevano in cerchi sempre più veloci.
«Davide, ti prego, cazzo, sto per—» non finì la frase. Un orgasmo la travolse, violento, le cosce che si chiudevano intorno alla sua testa mentre urlava, il corpo scosso da tremiti incontrollabili. Lui non si fermò neanche allora, leccando ogni goccia del suo piacere, assaporandola come se fosse il nettare più prezioso.
Quando finalmente si alzò, i suoi occhi erano scuri di desiderio. «Ora tocca a me», disse, liberando il suo cazzo dai pantaloni. Era enorme, rosso, le vene che pulsavano sotto la pelle tesa. Iris lo guardò con occhi lucidi, poi si girò, appoggiando le mani contro il muro, il culo tondo, sodo, perfetto offerto a lui.
«Prendimi», ordinò, la voce tremante.
Davide non se lo fece ripetere. Con una spinta potente, affondò dentro di lei in un solo colpo, riempiendola completamente. Iris gridò, le unghie che graffiavano la vernice del muro, il corpo che si adattava a malapena alla sua grandezza. Lui cominciò a muoversi, colpi profondi e regolari, ogni affondo che la faceva gemere sempre più forte.
«Sei così stretta, cazzo», ansimò Davide, le mani che le afferravano i fianchi, le dita che lasciavano segni rossi sulla sua pelle. «Ti scoperò fino a farti scordare il tuo nome.»
Iris rise, un suono rotto e sensuale. «Allora smettila di parlare e fottimi.»
Lui ubbidì. I colpi diventarono più duri, più veloci, il suono dei loro sessi che sbattevano l’uno nell’altra riempiva la stanza. Davide le tirò i capelli, costringendola ad inarcare la schiena, poi le infilò una mano sotto, trovando il suo clitoride già gonfio e sensibile. Iris urlò, il corpo che si contraeva intorno al suo cazzo, un altro orgasmo che la travolgeva mentre lui continuava a martellarla senza pietà.
«Di più», supplicò lei, la voce rotta. «Voglio sentirti dappertutto.»
Davide non aveva intenzione di fermarsi. La tirò via dal muro, la sollevò come se non pesasse nulla, e la portò sul divano bianco. La posò a pancia in giù, il culo ancora offerto, poi si inginocchiò dietro di lei. Senza preavviso, sputò sulla sua fessura stretta, poi cominciò a massaggiarla con il pollice, preparandola.
«Cosa stai—» iniziò Iris, ma la frase si trasformò in un grido quando lui spinse la punta del suo cazzo contro il suo ano, entrando lentamente, centimetro dopo centimetro.
«Respira», le ordinò Davide, la voce un ringhio. «Prendilo tutto.»
Iris obbedì, i muscoli che si rilassavano piano piano, permettendogli di affondare fino in fondo. Il dolore si mescolò al piacere, una sensazione così intensa che le fece girare la testa. Lui cominciò a muoversi, lentamente all’inizio, poi sempre più forte, ogni spinta che la faceva gemere, le mani che si aggrappavano ai cuscini del divano.
«Sei mia», ringhiò Davide, le palle che si contraevano, pronte a esplodere. «Ogni buca, ogni gemito. Tutto mio.»
Iris non rispose. Non poteva. Era troppo occupata a venire di nuovo, il corpo scosso da spasmi violenti mentre lui la prendeva senza pietà. Davide sentì il suo orgasmo avvicinarlo al limite. Con un ultimo, potente affondo, si seppellì dentro di lei e la riempì del suo sperma bollente— La porta d’ingresso si aprì di colpo.
«Iris? Sei qui?» La voce di Giovanni risuonò nella villa, chiara e inaspettata.
Davide si bloccò, il cazzo ancora sepolto nel culo stretto di Iris, il fiato mozzato. Iris si voltò di scatto, gli occhi sgranati estasiati dal piacere estremo provato, le labbra ancora gonfie per i baci, il corpo nudo e sudato.
Giovanni lasciò cadere la valigia. Il tonfo sul marmo nero fu l'unico rumore che ruppe il silenzio carico di sesso e incredulità. I suoi occhi, solitamente miti e un po' stanchi, si spalancarono, incapaci di elaborare l'immagine: sua figlia, nuda e ansimante, con la schiena arcuata contro il divano; Davide, il suo amico di una vita, la figura di Babbo Natale stravolta in una macabra parodia erotica, che si ritraeva da lei con un'espressione di soddisfazione sfacciata.
Non urlò. Non si arrabbiò immediatamente. C'era un vuoto, un istante di sospensione in cui il cervello rifiutava la realtà. La sua mascella si contrasse, e un tremito impercettibile gli scosse le mani. Guardò il vestito nero di Iris accartocciato a terra, la scatola del regalo sventrata e abbandonata, il luccichio opaco del fluido seminale e dei succhi di Iris che colava lungo la coscia di lei.
«Davide», mormorò Giovanni, il nome ridotto a un sibilo gutturale, irriconoscibile. Non era una domanda. Era una constatazione, una sentenza. Il tradimento era palpabile, denso come l'aria invernale.
Davide sorrise ancora, un gesto audace, senza rimorso. Si raddrizzò lentamente, coprendo a metà l'erezione calante con un lembo della giacca rossa, il suo sguardo non lasciò mai quello di Giovanni. «Avevi fretta di rientrare, vecchio mio», ripeté, dando alla frase un'enfasi che trasformava la confidenza amichevole in pura derisione.
Iris si tirò su, portandosi le mani al petto, ma il suo sguardo non era di vergogna, bensì di sfida, o forse un'esaltazione post-orgasmica che non riusciva a nascondere.
Giovanni chiuse gli occhi per un secondo, e quando li riaprì, il vuoto si stava riempiendo di qualcosa di inatteso, un calore che non aveva nulla a che fare con la rabbia. Il sangue gli pulsava nelle tempie, ma non per l'ira; era una corsa, un'eccitazione proibita che gli risaliva lungo la spina dorsale. La vista di sua figlia nuda, ansimante, con quel misto di sperma e desiderio che le imbrattava la coscia, non era disgustosa. Era, stranamente, potente. La Iris che conosceva era l'ingenua studentessa; questa Iris era una donna affamata, un oggetto di desiderio sessuale esplicito. E lui, suo padre, la vedeva così, per la prima volta.
La sua mano, invece di stringersi a pugno, si strinse lentamente sull'asta rigida che, inaspettatamente, gli stava crescendo sotto la cerniera dei pantaloni. Sentì l'onda del desiderio, sporco, sbagliato, che si sovrapponeva al senso di orrore.
«Vattene», disse, ma la sua voce era rauca, priva di vera minaccia. Era più un ordine per sé stesso, un tentativo di riprendere il controllo su un corpo che lo stava tradendo. «Ora.»
Davide colse immediatamente l'esitazione nella sua voce. Si strinse nelle spalle, raccogliendo i pantaloni e la cerniera con calma esasperante. «Sarà per un altro Natale, allora», rispose, lanciando un'ultima occhiata maliziosa a Iris, prima di infilarsi la giacca. Poi, superò Giovanni senza toccarlo, con la stessa arroganza con cui era entrato.
La porta si chiuse alle spalle di Babbo Natale, lasciando Giovanni solo nell'ingresso sfarzoso e silenzioso. L'eco della chiusura risuonò nella stanza. Lui si voltò lentamente verso Iris, che lo fissava in attesa, il fiato sospeso, nuda, in piedi in mezzo al caos.
Giovanni mosse la testa, scuotendo via la nebbia del moralismo. Non provava più l'urgenza di picchiare Davide. Provava un bisogno primario, un'attrazione complessa e disorientante verso la figura che aveva davanti: non più la sua bambina, ma la donna sessuale che il suo amico aveva appena creato.
Fece un passo avanti, non per urlare, ma per guardarla più da vicino. I suoi occhi indugiarono sul segno rosso sulla natica lasciato dalla mano di Davide, poi risalirono sul volto sfidante di Iris.
«Cos'è successo qui, Iris?» chiese, la voce ora solo un sussurro caldo, privo di giudizio. Invece di chiedere spiegazioni, la sua mano si sollevò e sfiorò esitante la sua guancia, un gesto ambiguo, a metà tra la carezza paterna e il tocco dell'amante.
Iris non si mosse, ma i suoi occhi, un attimo prima pieni di sfida, si sgranarono in un misto di sorpresa e comprensione. Poteva vedere l'eccitazione non celata negli occhi del padre, il modo in cui il suo sguardo la spogliava, ora con un desiderio diverso, più profondo e, in qualche modo, più pericoloso di quello di Davide.
La maschera di Giovanni era caduta. L'uomo che era entrato in casa era svanito, sostituito da una figura complessa, attratta dal proibito. Il respiro di Iris si accelerò. Sapeva che, in quel momento, la loro relazione era cambiata per sempre. Lui non l'aveva giudicata. L'aveva vista.
«È stato Babbo Natale, Papà», rispose lei, la voce tremante di un'emozione che non era paura, ma forse il brivido di un nuovo, inatteso potere. E mentre lo diceva, non coprì il suo corpo. Rimase nuda, offrendo al padre la scena intera, lasciando che il desiderio crescesse tra loro. Giovanni rimase lì, sulla soglia del salotto, paralizzato tra la figura paterna distrutta e un'eccitazione inaccettabile. Cosa sarebbe successo adesso che lui aveva visto e, peggio ancora, desiderato?
Giovanni fece un altro passo, l’ultima barriera di controllo che cedeva. La sua mano lasciò la guancia di Iris e scese lungo il collo, poi si posò sulla clavicola, spingendola leggermente verso il centro della stanza. Le labbra di lui erano dischiuse, gli occhi fissi, non sul suo viso, ma sulla scia lucida che le colava lungo la coscia.
«Babbo Natale, dici?» ripeté lui, e in quel nome c’era una sfumatura di complicità perversa. «E cosa ti ha portato Babbo Natale, Iris? Cosa ti ha fatto desiderare così tanto?»
Lei fece un leggero tremito, ma non di freddo. Il suo sguardo scese ai pantaloni di Giovanni, dove la stoffa era tesa in un rilievo inconfondibile. L’aria si fece pesante, carica di un odore acre di desiderio e, forse, di perdizione.
«Mi ha fatto capire cosa voglio davvero, Papà», rispose lei, la sua voce ora ferma, senza più il tremore dell'eccitazione passata, ma con il calore di quella appena nata. Fece un passo avanti, rompendo la distanza. La sua mano si allungò, audace e senza esitazione, e si posò proprio sopra il rigonfiamento nei suoi pantaloni.
Il respiro di Giovanni si bloccò in gola.
«E cosa vuoi, adesso, Iris?» chiese, la voce ora un sibilo strozzato, un'ultima, debole resistenza.
Iris sorrise. Un sorriso da adulta, predatorio. Si inginocchiò lentamente davanti a lui, abbassando il capo con un gesto di sottomissione che era, in realtà, puro controllo. Il pizzo nero del reggiseno sfiorò il marmo freddo.
«Voglio assaggiarlo», rispose, la voce che vibrava contro la stoffa dei suoi pantaloni.
Giovanni non ebbe la forza di fermarla. Rimase in piedi, una statua di carne in preda a una vertigine morale. Iris afferrò la cerniera, la tirò giù con un suono secco e liberatorio, poi liberò l'enorme membro di suo padre.
Il respiro le si mozzò. Non era come quello di Davide, che era muscoloso e sfacciato. Quello di suo padre era più scuro, più spesso, con una circonferenza che le riempiva completamente la mano, e una lunghezza inaspettata. Sembrava scolpito, una potenza matura che non aveva mai sospettato.
«Oh, Papà», sussurrò, i suoi occhi che si alzavano in un misto di stupore e un desiderio amplificato. «Anche tu... hai un regalo notevole.»
Non perse tempo in ulteriori parole. Affondò il viso, prendendo la punta tra le labbra con una delicatezza inaspettata, la lingua che tracciava un cerchio intorno al glande gonfio. La pelle era vellutata, calda, e il sapore era diverso, più intenso, più suo.
Giovanni emise un gemito di pura, inaccettabile gioia, la testa che si inclinava all'indietro. Le mani si chiusero a pugno, poi si rilassarono per afferrare i suoi capelli castani, non per tirarla via, ma per tenerla ferma, spingendola più a fondo.
Iris cominciò a lavorare su di lui con una maestria che non aveva mai saputo di possedere. La sua lingua era un fuoco, le labbra morbide e avvolgenti. Alternava succhiate lunghe e profonde che gli arrivavano fino alla radice con rapidi e precisi movimenti del polso. Era un'adorazione, non un atto, e per Giovanni era una tortura sublime. Ogni volta che Iris tirava indietro, il suo corpo si contraeva in attesa febbrile.
«Più... più forte, Iris», ansimò Giovanni, la sua voce irriconoscibile, una supplica che non avrebbe mai dovuto pronunciare.
Lei ubbidì, intensificando la pressione, aggiungendo un tocco di saliva per renderlo più viscido. I suoi occhi, pieni di lacrime di desiderio, si alzarono a incontrare quelli del padre. In quel momento, nel salotto silenzioso e sfarzoso, la figlia era diventata l'amante, e il padre, il suo schiavo.
Iris sentiva l'erezione del padre farsi dura come una roccia, le vene che si gonfiavano. Sapeva che era sul punto di esplodere, e l'idea di contenere quella forza proibita la portò sull'orlo del suo stesso piacere. Continuò, instancabile, sapendo che gli stava dando il miglior pompino della sua vita, e provando per la prima volta l'eccitazione di quel potere.
Con un ultimo, potentissimo affondo in gola, Giovanni urlò il suo nome, un grido strozzato di piacere e orrore. Il suo sperma caldo e denso inondò la sua bocca, un fiume di colpa e assoluzione. Iris inghiottì ogni goccia, la testa inclinata all'indietro, assaporando il suo regalo di Natale più oscuro. Quando si ritirò, le labbra sporche e lucide, guardò il padre con un’espressione di trionfo peccaminoso.
Il silenzio che seguì fu ancora più pesante. Giovanni la guardò, la mascella contratta, il respiro affannoso. Non c'era più rabbia, né repulsione. Solo una schiacciante, terrificante realizzazione di ciò che avevano fatto.
«Papà...» iniziò Iris, la voce appena un sussurro.
Giovanni non la lasciò finire. Allungò una mano e le accarezzò la testa, spostando una ciocca di capelli bagnati dal suo viso, il gesto ambiguo di prima ora intriso di una nuova, irreversibile intimità.
«Non una parola, Iris», sussurrò, la voce roca ma ferma. I suoi occhi non la giudicavano. La desideravano.
E la loro storia era appena cominciata.
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