Sonia & Tommaso - Capitolo 19: La Regina della Notte

di
genere
tradimenti

Il profumo dolce e acre della cocaina mi bruciava ancora le narici, ma la scarica di adrenalina era perfetta. Mezz'ora dopo aver lasciato l'elegante appartamento di Mario, mi sono ritrovata sul marciapiede di una strada di periferia, il cuore che mi martellava per l'eccitazione e la paura. La mia borsetta era piena zeppa di bustine di profilattici, la mia fica già umida e pronta a esplodere.
Prima di uscire, io e Mario ci eravamo fatti un paio di piste ciascuno. Quella polvere bianca mi rendeva invincibile, priva di inibizioni, pronta a ogni perversione. Poi, con un gesto inaspettato, lui ha tirato fuori una pistola da un cassetto della camera. "La zona è malfamata," mi ha detto, la voce roca, "non si sa mai. Per non correre rischi." Un brivido freddo mi ha percorso la schiena, un brivido che non era di paura, ma di un'eccitazione profonda. La sua attenzione per la mia sicurezza, così perversa, mi ha fatta sentire ancora più sua, protetta da un vero maschio.
Sapevo cosa mi aspettava: ore di intenso lavoro, una notte di sesso crudo e sfrenato, proprio come cominciava a piacere alla mia nuova anima. Mario, oltre ai preservativi, mi aveva detto quali erano le tariffe da chiedere. La mia fica già pulsava per l'anticipazione, e il primo cliente non si è fatto attendere. Un uomo sulla cinquantina, dall'aspetto trasandato, si è fermato. Il suo alito sapeva di fumo e birra. I suoi occhi mi scorrevano addosso, famelici.
"Quanto vuoi, bellezza?"
"Cinquanta per un pompino, cento se mi vuoi scopare," ho risposto, la voce ferma, quasi automatica. Le parole mi sono uscite di bocca con una facilità disarmante, come se lo avessi fatto tutta la vita.
In un vicolo buio, con l'odore acido di urina e spazzatura che mi avvolgeva, senza una parola, si è tirato giù i pantaloni. Il suo cazzo era medio, non particolarmente grosso, ma la sua fame era palpabile. L’ho preso in mano, iniziando poi a leccarlo con un'attenzione che ha sorpreso anche me stessa. Il sapore era un misto di pelle, sudore e un retrogusto metallico che mi ha dato un'improvvisa scossa di perversione. L’ho succhiato con foga, la mia gola che si adattava alla sua dimensione. Le sue mani mi hanno afferrato la testa, spingendomi più a fondo. Ho sentito un gemito strozzato dalla sua gola, e poi un getto caldo e amaro inondarmi la bocca. L’ho sputato con un gesto rapido, ma il suo sapore, così crudo, mi ha dato un brivido di trasgressione.
Il secondo cliente è arrivato quasi subito dopo, un giovane, forse mio coetaneo, con occhi impazienti. Sembrava nervoso, quasi intimidito dalla mia sfrontatezza.
"Voglio... voglio scoparti." La sua voce era quasi un sussurro.
"Cento, e il preservativo." Gli ho porto una bustina dalla mia borsetta.
Si è fermato accanto ad un cassonetto, l'odore nauseabondo dell'immondizia che entrava dai finestrini abbassati. Lui era ansioso, quasi tremante. Mi ha sollevato l’abito con mani tremanti. Ero completamente esposta. Il suo cazzo era piccolo, forse la sua prima volta con una puttana. Indossato il preservativo, si è spinto dentro la mia fica con una foga quasi disperata. Non era la rudezza, ma la fame di un giovane uomo. Ho percepito la sua verginità, la sua inesperienza, e questo mi ha eccitata. Si è mosso rapidamente, i suoi fianchi che spingevano, e in pochi istanti il suo sperma ha riempito il preservativo. Un gemito strozzato, e poi è crollato su di me, il respiro affannoso.
Il terzo cliente, un uomo robusto, con una barba folta e gli occhi che brillavano di un'insolita intensità, voleva il culo. Gli dissi di no.
"Se me lo dai, bellezza, ti do il doppio." Ha insistito.
"Mi spiace, ma per questa sera non se ne parla." Gli ho risposto.
Mi ha fatto salire, accostando poco più avanti. L'interno sapeva di fumo e di un profumo maschile da pochi soldi. Si è tolto i pantaloni con calma, rivelando un cazzo grosso e scuro, che mi ha fatto pulsare la figa. "Vai dietro," mi ha ordinato, la voce bassa e profonda.
Mi sono messa a quattro zampe sul sedile posteriore, il mio culetto esposto. Ho sentito le sue dita allargarmi, e poi il tocco freddo e scivoloso del preservativo. Si è spinto dentro la mia fica con una lentezza esasperante, facendomi gemere. Era doloroso all'inizio, ma presto si è trasformato in un piacere abissale. La mia fica era una fontana, rispondeva alla stimolazione con spasmi interni. Si è mosso, ritmico, profondo. Ogni spinta mi portava più a fondo nella perversione. Poi, la sua mano è scesa e ha afferrato i miei capezzoli, tormentandoli con una forza che mi ha fatto urlare. Il dolore si univa al piacere, amplificando ogni sensazione. Gemevo e godevo come una troia, fino a che, con un grugnito animale, è venuto.
L'aria notturna mi accarezzava la pelle, irrigidendomi i capezzoli, e il tessuto aderente del mio vestito faceva risaltare ogni curva del mio corpo. Sapevo di essere una tentazione irresistibile, una silhouette scura contro le luci fioche della periferia.
Il quarto cliente era un tipo strano, con gli occhiali spessi. I suoi occhi, dietro le lenti, erano pieni di un desiderio represso. Era un tipo muscoloso, con tatuaggi sulle braccia, e uno sguardo diretto, quasi prepotente.
"Quanto per una scopata veloce?", la sua voce roca, quasi un ringhio.
"Cento. E il preservativo è d'obbligo." Non ha battuto ciglio.
Mi ha portato in una stradina laterale, l'odore di gomma bruciata e benzina che mi avvolgeva. Si è slacciato i pantaloni con impazienza, rivelando un cazzo robusto, venoso. L’ho preso in bocca, e ho succhiato con foga, il mio vestito nero che mi fasciava il corpo mentre mi inginocchiavo. Ho sentito il sapore di pelle e un leggero retrogusto salato. Quando stava per venire, mi ha fatto alzare, e ha sollevato l'abito. Il suo cazzo è entrato nella mia fica con una spinta decisa. Si è mosso con foga, quasi con rabbia, e io l’ho incitato con i miei gemiti. Non c'era tenerezza, solo la pura e cruda urgenza del desiderio. Un paio di spinte, un gemito strozzato, e il suo corpo si è contratto, riversando il suo sperma nel preservativo. Mi ha dato i soldi, e se n'è andato senza una parola.
Poi si è fermato un SUV, con a bordo tre ragazzi, ubriachi e chiassosi, non più che ventenni. Il più sfrontato si è fatto avanti.
"Quanto ci fai per tutti e tre? Vogliamo una vera troia stasera."
"Trecento per tutti e tre. Ma uno alla volta. E con il preservativo."
Mi hanno portato in un vicolo ancora più appartato, l'aria fredda della notte che penetrava dalle portiere aperte. Il primo ha tirato giù i pantaloni, il suo cazzo medio ma turgido. Si è spinto dentro la mia fica con una foga quasi animalesca, mentre gli altri due guardavano, incitandolo. Ho sentito il preservativo sfregare contro la mia fica bagnata, il suo respiro affannoso sul mio viso. Si è mosso con spinte veloci, e in pochi istanti è venuto. Poi è toccato al secondo, un ragazzo più magro e timido. Il suo cazzo era più piccolo, ma il suo desiderio era palpabile. Mi ha penetrata con una tenerezza quasi imbarazzante, e si è svuotato rapidamente. Infine, il terzo, il più silenzioso. Il suo cazzo era il più grosso dei tre. Mi ha fatto mettere a quattro zampe, e mi ha penetrato con una spinta decisa. Il dolore è stato forte, ma il piacere ancora di più. Mi ha sbattuta fino a farmi godere, poi è venuto dentro di me con un gemito. Mi hanno lasciato i trecento euro, poi, con schiamazzi e lo stereo a tutto volume, se ne sono andati.
Tra i molti, un tipo grasso e puzzolente, l'odore della sua pelle unta e di sudore acido mi è arrivato prima ancora che si avvicinasse. La mia bocca si è riempita di una saliva amara. Si è fermato davanti a me con un'auto vecchia e scassata, e mi ha fatto cenno di salire. Non c'era nulla di invitante, solo la certezza che avrei dovuto fare il mio "lavoro".
L'interno dell'auto era un condensato del suo odore, un misto di rancido e muffa. Si è fermato in uno di quei vicoli che ormai conoscevo a memoria, dove i fazzoletti di carta e i preservativi usati erano i soli testimoni dei miei piaceri clandestini. Si è buttato su di me, il suo peso che mi schiacciava contro il sedile. Non è stato piacevole, no. È stato come essere montata da un suino. Il suo corpo grasso, la sua pelle flaccida che premeva contro la mia. Il suo cazzo era medio, ma la sua carne molle e il suo odore nauseabondo rendevano ogni spinta una prova da superare per il mio piacere perverso.
Si è mosso con goffaggine, il suo fiato pesante sul mio viso, e io ho sentito la mia voglia di trasgressione salire, mescolata a un sottile senso di fastidio fisico. La mia fica era aperta, ma non c'era piacere, solo la sensazione di essere un oggetto, una carne da macello pronta a essere usata. Mi ha penetrata, e il suo corpo che si agitava sopra di me mi ha fatto quasi vomitare. Poi, quando è venuto, ha perso ogni controllo. Ho sentito il suo corpo irrigidirsi sopra il mio, e poi la sua bava calda e appiccicosa che mi è scivolata sul collo, mescolandosi al sudore e alle lacrime. È stato un momento di pura follia sensoriale, una nuova soglia raggiunta dalla mia perversa fame.
Il mio vestito era impregnato di odori sconosciuti, ma io ero più viva che mai. Ogni cliente, una nuova storia, un nuovo brivido da aggiungere alla mia collezione di piaceri proibiti. La mia fica era una macchina perfetta, pronta a tutto.
Si è fermata una monovolume scura, e da essa sono usciti quattro ragazzi. Erano giovani, l'aria da spacconi, i loro sguardi che mi spogliavano con una sfacciataggine che non ammetteva repliche. Un'altra ragazza, una "puttana" qualsiasi, avrebbe rifiutato un gruppo del genere. Ma io no. Io non ero una puttana qualsiasi. Io lo facevo perché mi piaceva, perché la loro brama accendeva la mia.
Sono salita in auto, e mi hanno portato in un posto appartato, lontano da occhi indiscreti, dove l'oscurità era complice dei loro desideri. Non ci sono stati preamboli. Si sono susseguiti a turno, uno dopo l'altro. La mia fica era la loro porta d'ingresso, il mio corpo il loro parco giochi. Ogni volta che uno finiva, l'altro era già pronto; cazzi che entravano e uscivano.
Nonostante le mie suppliche, i miei "ti prego, no, metti il preservativo!" che forse suonavano più come un incoraggiamento che come un rifiuto, non hanno ascoltato. O forse, in fondo, non volevo davvero che mi ascoltassero. Mi hanno scopata tutti a pelle, senza profilattico, e uno dopo l'altro, tutti mi sono venuti dentro. Ho sentito la loro sborra calda riempirmi la fica, un fiume di calore appiccicoso che mi ha invasa completamente. Il loro sperma si mescolava al mio, un miscuglio appiccicoso e abbondante.
Quando hanno finito, non mi hanno dato nemmeno un euro. Mi hanno lasciato lì, su quel marciapiede, con la loro sborra che mi colava libera lungo le cosce, spogliata di ogni dignità, ma stranamente appagata dalla violenza subita, da quella totale perdita di controllo.
Quella strada di periferia era diventata il mio regno, la mia postazione di lavoro. Mario mi aveva lasciato lì, e non sapevo nemmeno cosa stesse facendo. La sua assenza era un misto di abbandono e di una libertà perversa che mi permetteva di perdermi completamente.
La notte continuava a scorrere, un fiume nero di corpi e desideri. I posti appartati, ora, cominciavano a essermi familiari, testimoni di gemiti e sborrate.
Ci sono stati altri clienti, dieci, quindici? Non lo so. Ognuno con i suoi desideri, le sue manie. C'era chi voleva il culo, chi la fica, pochi si accontentavano solo di un pompino. La mia borsetta, intanto, si era svuotata dai preservativi e si era riempita di denaro. Ogni banconota era un'ulteriore prova della mia forza e potere, e la mia fica pulsava, esausta ma appagata.
Il cielo cominciava a schiarire, tingendosi di un grigio pallido che annunciava l'alba. Proprio in quel momento, la macchina di Mario si fermò davanti a me. Scese, i suoi occhi che mi scrutavano con la solita intensità, ma con un velo di stanchezza che non gli avevo mai visto.
"Quanto vuoi, troia?" mi chiese, la sua voce roca.
Non esitai un istante. Con un largo sorriso, che era sincero nonostante la stanchezza e lo sporco, gli risposi: "Per te, capo, la mia fica e il mio culo sono sempre gratis." Non stavo scherzando. Nonostante l'ora tarda, nonostante la notte infinita di carne, lo volevo. Volevo lui, volevo sentirmi sua, volevo che mi facesse godere.
Fu una stradina di campagna la nostra alcova di sesso, la stessa che portava a dove avevamo cenato ore prima, ora silenziosa e avvolta dalla luce incerta del mattino. Si spinse dentro di me con una foga che non avevo sentito in tutta la notte, e la mia fica, anche se provata, si aprì per lui. Ogni spinta era un'affermazione del suo possesso, un legame che andava oltre il denaro e la perversione.
"Picchiami, Mario," gli chiesi, la voce un sussurro disperato, quasi un lamento. "Voglio che mi fai male. Voglio essere la tua puttana."
All'inizio, lui lo fece con delicatezza, le sue mani che mi accarezzavano le chiappe, le sue dita che si posavano leggere sul mio viso. Ma io volevo di più. Volevo sentire il bruciore, la degradazione. "Più forte, Mario! Fammi sentire che sono tua!"
E lui mi accontentò. I suoi schiaffi, sulle chiappe e poi sul mio viso, diventarono più forti, più decisi. Sentii il dolore, ma era un dolore che mi eccitava da morire. Ogni colpo era una conferma del suo potere su di me, un ulteriore anello nella catena che ci legava. La mia fica si strinse attorno al suo cazzo, in un potente orgasmo, un grido strozzato che si perse nel silenzio dell'alba.
Quando mi riaccompagnò in hotel, la luce del mattino era ormai piena. Ero stanca, dolorante, ma estremamente serena. Volevo lasciargli tutto il mio incasso, il denaro che avevo guadagnato con il mio corpo in quella notte di degrado. Ma su quello fu irremovibile. "Quelli sono tuoi," disse, la sua voce ferma. Non accettò nemmeno un euro.
L'auto di Mario era ferma proprio davanti all'entrata dell'hotel, nonostante fosse ormai mattina. Non riuscii a resistere. Non potevo. Quella serata e quella notte, trascorsa sola con lui, mi aveva segnato profondamente, aumentando ancora di più la confusione che mi attanagliava. La mia fica ancora pulsava per le sensazioni, le umiliazioni e i piaceri che avevo provato.
Senza pensarci due volte, gli salii in braccio, le mie gambe che gli stringevano i fianchi. Lo baciai con una passione travolgente, cercando la sua bocca con una fame inestinguibile. Non mi importava di chi potesse vederci. I giardinieri bagnavano le piante, i primi fornitori scaricavano le vivande per la colazione, e noi eravamo lì, avvolti nel nostro bacio proibito, incuranti dei loro sguardi curiosi. Il suo sapore, il suo odore, la sensazione del suo corpo contro il mio, erano tutto ciò che contava in quel momento.
"Lasciato Mario, salii in ascensore. Ero a pezzi, il corpo esausto e la mente in un turbine, ma dentro di me sapevo la verità: quell'uomo mi piaceva, mi piaceva da impazzire. Molto più di quanto volessi ammettere."
Bussai più volte alla porta della nostra camera prima che Tommaso, assonnato e con i capelli arruffati, mi aprisse. Non un lamento, non una contestazione. Solo il suo sorriso bonario e un semplice: "Ciao amore, ti sei divertita?"
La sua ingenuità era quasi un colpo al cuore. Era lì, davanti a me, il mio fidanzato, ignaro della puttana che ero diventata, della notte di sesso sfrenato che avevo appena trascorso. Non gli risposi subito. Lo guardai, la mia mente che ripercorreva ogni singolo tocco, ogni umiliazione, ogni piacere.
Tommaso non si accorse di nulla. Non sentì l'odore di lattice che mi impregnava la pelle, né quello pungente di sperma che, invece, a me sembrava così forte da accecare. Eppure, io mi sentivo puzzare, intrisa del sudore e della sborra di chissà quanti uomini. Il mio corpo e il mio vestito erano un catalogo vivente di quella notte di degrado.
Alcuni di loro, tenendomi per i capelli, mi erano venuti in faccia. La loro sborra calda e appiccicosa mi si era rappresa sulla pelle, sulle guance, persino sulle ciglia. Sulle mie gambe, e attorcigliata ai miei peli pubici, c'era ancora la sborra di Mario e di quei quattro ragazzi che mi avevano usata senza ritegno. E poi la mia bocca. Quella notte, la maggior parte dei cazzi che avevo succhiato non erano per nulla puliti. Alcuni avevano evidenti tracce di smegma sotto la cappella, altri sentivano fortemente di piscio. A questi avevo inutilmente chiesto di mettere il preservativo, le mie timide e poco convinte richieste erano state ignorate con un'arroganza che mi aveva fatta fremere.
Eppure, Tommaso è tornato a letto a dormire, ignaro di tutto. Non un lamento, non una domanda, solo il suo russare leggero. Mi chiesi persino se quell'ingenuità non nascondesse invece una sua perversione inconfessabile, una sua strana forma di accondiscendenza al mio doppio gioco. Ma conoscevo bene il mio ragazzo e sapevo che lui era proprio così: puro, semplice, forse un po' cieco.
Chiusa in bagno, mi tolsi l'abito. Era ormai in condizioni pietose, macchiato, sgualcito, intriso di odori. Lo lasciai cadere a terra e mi misi sotto la doccia. L'acqua calda mi scivolava addosso, lavando via lo sporco, ma non le sensazioni. Nonostante tutto, ero ancora eccitata. La mia fica pulsava, il mio corpo vibrava per i ricordi, per la stanchezza, per la consapevolezza di ciò che ero diventata. E un sorriso, un sorriso strano, perverso, mi si disegnò sulle labbra.
scritto il
2025-12-14
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