Estate 2025 - 10 - Anita
di
Alessia&Nicola
genere
esibizionismo
*** Una cena con la persona sbagliata accende la gelosia, Alessia risolve a modo suo. ***
«Allora, te la sei goduta Anita?» chiede Alessia mentre prende una sigaretta. Il tono non promette niente di buono, ma è meglio di niente, non mi ha quasi parlato per tutto il giorno.
Accettare l'invito a cena di Anita non è stata decisamente una buona idea.
Sospiro, cerco di misurare le parole: «Ale, onestamente sì. Cena buona, ottimo vino, e poi… insomma, ci siamo divertiti.»
Lei si mette gli occhiali da sole. «Avete scopato, ti è piaciuto?» Fa una risatina secca, cattiva.
«Abbiamo scopato Ale, non è stato male.»
Alessia non è intenzionata a lasciar perdere: «Ti ha dato anche il culo, la troia?»
Mi sale il sangue alla testa. «Sì. Gliel'ho messo anche lì, purtroppo non sono riuscito a farla gridare come facevi tu mentre il nostro amico marocchino ti inculava nel canneto.»
Alessia si blocca, la sigaretta a mezz’aria. «Ci hai seguiti? Ti avevo detto di aspettare…»
«Senti Ale, non ho voglia di litigare, vado a fare una nuotata.» Mi alzo, cammino verso il mare, entro fino al costume, poi mi tuffo e nuoto fino a finire il fiato, poi mi lascio galleggiare.
Ripenso alla sera prima.
Anita che ride con il bicchiere di vino rosso in mano, la camicetta bianca aperta di tre bottoni, il reggiseno di pizzo nero che si vede appena. Io che le passo un dito sul collo, lei che mi morde il labbro. Le mani sotto la camicetta, le sue tette sode, i capezzoli duri contro i miei palmi. Baci lenti, bagnati, sul divano, lei sopra di me che si struscia, il respiro che diventa gemito.
Le mutandine nere che scivolano sul parquet. La prendo lentamente, la fica calda, lei che mi stringe le spalle e sussurra «non fermarti». Continuo fino a farla venire. Poi la giro, a pancia in giù, le alzo il culo, le passo la lingua sul buco, lei trema. Entro piano nel culo, centimetro dopo centimetro, lei che ansima «Nico…». Comincio a spingere forte, sempre più forte, lei che urla il mio nome. Vengo dentro di lei, insieme a lei, resto lì a sentirla pulsare intorno al cazzo.
Guardo verso la spiaggia, Alessia è ancora lì. Vicino a lei è seduto un ragazzo: moro, spalle larghe, molto abbronzato. Lei gli dice qualcosa, gli fa cenno di avvicinarsi, poi gli passa la crema solare e si sdraia a pancia in giù. Il ragazzo si inginocchia, versa la crema sulle spalle, comincia a spalmare piano, scende sulla schiena, arriva al bordo del costume, poi sul culo. Alessia alza appena i fianchi: le mani di lui spariscono sotto il tessuto, restano lì qualche secondo di troppo.
Lei si gira. Le tette scoperte, come sempre. Gli passa di nuovo la crema. Il ragazzo le spalma prima le gambe, la pancia, poi, un po' esitante, il seno. Alessia abbassa il costume di qualche centimetro, si fa spalmare la crema fino al bordo della fica. Si fermano, lei si alza, prende il telefono in mano e si fanno un selfie, il braccio di lui intorno alla sua vita nuda. Poi il ragazzo torna al suo ombrellone, continua a scattare foto col telefono mentre lei prende il sole. Le gambe divaricate, le tette al vento, come se non esistesse nessun altro al mondo.
Quando esco dall'acque e mi siedo accanto a lei, il silenzio è pesante.
«Hai bisogno di qualcuno che ti metta la crema?» Voleva essere una battuta, ma la voce mi esce rauca, provocatoria.
Lei si gira, mi prende la mano. «Scusa.» La voce bassa, quasi un sussurro. «Non ho nessun diritto di incazzarmi, non dopo tutto quello che abbiamo combinato ultimamente… è che… che… Anita mi sta sulle palle da morire, cazzo! Proprio lei ti dovevi scopare?»
Scoppio a ridere, la tiro a me, le bacio la fronte. «Pace?» «Pace, ma la prossima che ti porti a letto la scelgo io, va bene?»
Ci alziamo, mano nella mano, entriamo in acqua. Ci abbracciamo tra le onde, ridiamo come due ragazzini.
Quando torniamo sulla spiaggia è già ora di tornare a casa. Raccogliamo le nostre cose. Alessia si infila una canottiera bianca che arriva poco sotto l'ombelico. Il tessuto si attacca subito alla pelle bagnata, i capezzoli si vedono perfettamente, tanto valeva restare in costume.
Andiamo verso il parcheggio.
La macchina non parte. Batteria morta. Bestemmie.
Controlliamo il telefono. «Marchebus linea 35, direzione Marotta-Pergola, ore 18:20.» Di corsa fino alla fermata, arriviamo appena in tempo.
Saliamo dal retro, l’autobus è un forno: una quarantina di operai che tornano dai cantieri navali. Camicie sbottonate, tute arancioni sporche di resina e vernice, odore di sudore, sigarette.
Io resto incastrato tra la porta e un tizio che puzza di birra. Alessia viene spinta dentro dalla folla e finisce tre metri più avanti, in piedi nel corridoio centrale, circondata, col costume ancora bagnato e la canottiera leggera.
L'autobus parte, alla prima curva l'autista frena con troppa decisione, lei perde l’equilibrio e finisce con il culo contro la patta di un rumeno tarchiato in tuta da lavoro. Lui non si muove. Anzi, abbassa appena il bacino e si preme di più. Alessia mi guarda, sorride, alza le spalle come a dire «ops».
Seconda curva: un marocchino dietro di lei le si incolla alla schiena, il pacco che le preme tra le chiappe. Lei si appoggia appena indietro, come per stare più comoda.
Da lì è un gioco silenzioso e perfetto.
Le mani cominciano a “cadere” per caso. Un operaio le appoggia la mano aperta sulla pancia nuda, poi scivola giù piano piano, le dita sfiorano l’elastico del bikini, si fermano un secondo proprio sopra la fica. Un altro le passa il braccio intorno alla vita “per tenersi”, il dorso della mano le preme tra le cosce. Lei non si sposta mai. Anzi, ogni volta che succede mi guarda, sorride.
Non hanno capito con chi hanno a che fare. Comincia a giocare anche lei. Ha le mani libere, le usa. Quando l’autobus ondeggia si appoggia “per caso” con la mano sul pacco di quello davanti, sfiora la patta di quello a fianco, la accarezza piano come se stesse cercando il corrimano. Un ragazzo le finisce così vicino che lei gli preme il palmo sul cazzo attraverso la tuta.
Alessia se la sta godendo, ogni tanto guarda verso di me e sorride. Io vedo tutto, schiacciato a tre metri di distanza, il cazzo che mi fa male nei pantaloni, e non sono l'unico in quelle condizioni.
Dopo una fermata Alessia si sposta in avanti di mezzo metro. Davanti a lei c’è un ragazzo giovane, vent’anni al massimo, poco più basso di lei, tuta da lavoro aperta sul petto abbronzato, capelli corti, occhi scuri. Lei gli si incolla addosso senza ritegno: le tette nude sotto la canottiera schiacciate sul torace, la fica preme esattamente contro il rigonfiamento della tuta.
Ogni volta che l’autobus frena, lei spinge contro di lui, contro il suo cazzo. Comincia a muovere il bacino lentamente, in cerchio, su e giù, un movimento piccolo ma continuo, quasi impercettibile per chi guarda… ma non per lui.
Lo fissa dritto negli occhi, la lingua che ogni tanto le passa sul labbro inferiore. Il ragazzo diventa paonazzo, cerca di non guardarla, fissa il soffitto. Le mani stringono il corrimano fino a far sbiancare le nocche.
Un fremito gli attraversa le spalle. Un piccolo scatto del bacino, quasi involontario. Poi un altro. Alessia sorride appena, un sorriso lento, cattivo. Spinge un’ultima volta, forte, e resta lì, immobile, mentre lui si irrigidisce tutto, gli occhi spalancati, un rantolo soffocato che si perde nel rumore del motore.
Un secondo dopo il ragazzo abbassa lo sguardo, mortificato, le guance in fiamme. Alessia si scosta piano, si gira verso di me, soddisfatta. Lui si stringe appena la tuta con una mano, come per nascondere l’evidenza.
Arriviamo alla nostra fermata. Scendiamo per ultimi. Lei cammina di fianco a me, il costume bagnato fradicio tra le cosce.
«Ti sei divertita? A qualcuno stanno scoppiando le palle su quell'autobus».
Mi guarda sfrontata. «Diciamo che era un aperitivo, adesso andiamo a casa, quando avrò finito con te non ricorderai neanche che faccia ha Anita.»
«Allora, te la sei goduta Anita?» chiede Alessia mentre prende una sigaretta. Il tono non promette niente di buono, ma è meglio di niente, non mi ha quasi parlato per tutto il giorno.
Accettare l'invito a cena di Anita non è stata decisamente una buona idea.
Sospiro, cerco di misurare le parole: «Ale, onestamente sì. Cena buona, ottimo vino, e poi… insomma, ci siamo divertiti.»
Lei si mette gli occhiali da sole. «Avete scopato, ti è piaciuto?» Fa una risatina secca, cattiva.
«Abbiamo scopato Ale, non è stato male.»
Alessia non è intenzionata a lasciar perdere: «Ti ha dato anche il culo, la troia?»
Mi sale il sangue alla testa. «Sì. Gliel'ho messo anche lì, purtroppo non sono riuscito a farla gridare come facevi tu mentre il nostro amico marocchino ti inculava nel canneto.»
Alessia si blocca, la sigaretta a mezz’aria. «Ci hai seguiti? Ti avevo detto di aspettare…»
«Senti Ale, non ho voglia di litigare, vado a fare una nuotata.» Mi alzo, cammino verso il mare, entro fino al costume, poi mi tuffo e nuoto fino a finire il fiato, poi mi lascio galleggiare.
Ripenso alla sera prima.
Anita che ride con il bicchiere di vino rosso in mano, la camicetta bianca aperta di tre bottoni, il reggiseno di pizzo nero che si vede appena. Io che le passo un dito sul collo, lei che mi morde il labbro. Le mani sotto la camicetta, le sue tette sode, i capezzoli duri contro i miei palmi. Baci lenti, bagnati, sul divano, lei sopra di me che si struscia, il respiro che diventa gemito.
Le mutandine nere che scivolano sul parquet. La prendo lentamente, la fica calda, lei che mi stringe le spalle e sussurra «non fermarti». Continuo fino a farla venire. Poi la giro, a pancia in giù, le alzo il culo, le passo la lingua sul buco, lei trema. Entro piano nel culo, centimetro dopo centimetro, lei che ansima «Nico…». Comincio a spingere forte, sempre più forte, lei che urla il mio nome. Vengo dentro di lei, insieme a lei, resto lì a sentirla pulsare intorno al cazzo.
Guardo verso la spiaggia, Alessia è ancora lì. Vicino a lei è seduto un ragazzo: moro, spalle larghe, molto abbronzato. Lei gli dice qualcosa, gli fa cenno di avvicinarsi, poi gli passa la crema solare e si sdraia a pancia in giù. Il ragazzo si inginocchia, versa la crema sulle spalle, comincia a spalmare piano, scende sulla schiena, arriva al bordo del costume, poi sul culo. Alessia alza appena i fianchi: le mani di lui spariscono sotto il tessuto, restano lì qualche secondo di troppo.
Lei si gira. Le tette scoperte, come sempre. Gli passa di nuovo la crema. Il ragazzo le spalma prima le gambe, la pancia, poi, un po' esitante, il seno. Alessia abbassa il costume di qualche centimetro, si fa spalmare la crema fino al bordo della fica. Si fermano, lei si alza, prende il telefono in mano e si fanno un selfie, il braccio di lui intorno alla sua vita nuda. Poi il ragazzo torna al suo ombrellone, continua a scattare foto col telefono mentre lei prende il sole. Le gambe divaricate, le tette al vento, come se non esistesse nessun altro al mondo.
Quando esco dall'acque e mi siedo accanto a lei, il silenzio è pesante.
«Hai bisogno di qualcuno che ti metta la crema?» Voleva essere una battuta, ma la voce mi esce rauca, provocatoria.
Lei si gira, mi prende la mano. «Scusa.» La voce bassa, quasi un sussurro. «Non ho nessun diritto di incazzarmi, non dopo tutto quello che abbiamo combinato ultimamente… è che… che… Anita mi sta sulle palle da morire, cazzo! Proprio lei ti dovevi scopare?»
Scoppio a ridere, la tiro a me, le bacio la fronte. «Pace?» «Pace, ma la prossima che ti porti a letto la scelgo io, va bene?»
Ci alziamo, mano nella mano, entriamo in acqua. Ci abbracciamo tra le onde, ridiamo come due ragazzini.
Quando torniamo sulla spiaggia è già ora di tornare a casa. Raccogliamo le nostre cose. Alessia si infila una canottiera bianca che arriva poco sotto l'ombelico. Il tessuto si attacca subito alla pelle bagnata, i capezzoli si vedono perfettamente, tanto valeva restare in costume.
Andiamo verso il parcheggio.
La macchina non parte. Batteria morta. Bestemmie.
Controlliamo il telefono. «Marchebus linea 35, direzione Marotta-Pergola, ore 18:20.» Di corsa fino alla fermata, arriviamo appena in tempo.
Saliamo dal retro, l’autobus è un forno: una quarantina di operai che tornano dai cantieri navali. Camicie sbottonate, tute arancioni sporche di resina e vernice, odore di sudore, sigarette.
Io resto incastrato tra la porta e un tizio che puzza di birra. Alessia viene spinta dentro dalla folla e finisce tre metri più avanti, in piedi nel corridoio centrale, circondata, col costume ancora bagnato e la canottiera leggera.
L'autobus parte, alla prima curva l'autista frena con troppa decisione, lei perde l’equilibrio e finisce con il culo contro la patta di un rumeno tarchiato in tuta da lavoro. Lui non si muove. Anzi, abbassa appena il bacino e si preme di più. Alessia mi guarda, sorride, alza le spalle come a dire «ops».
Seconda curva: un marocchino dietro di lei le si incolla alla schiena, il pacco che le preme tra le chiappe. Lei si appoggia appena indietro, come per stare più comoda.
Da lì è un gioco silenzioso e perfetto.
Le mani cominciano a “cadere” per caso. Un operaio le appoggia la mano aperta sulla pancia nuda, poi scivola giù piano piano, le dita sfiorano l’elastico del bikini, si fermano un secondo proprio sopra la fica. Un altro le passa il braccio intorno alla vita “per tenersi”, il dorso della mano le preme tra le cosce. Lei non si sposta mai. Anzi, ogni volta che succede mi guarda, sorride.
Non hanno capito con chi hanno a che fare. Comincia a giocare anche lei. Ha le mani libere, le usa. Quando l’autobus ondeggia si appoggia “per caso” con la mano sul pacco di quello davanti, sfiora la patta di quello a fianco, la accarezza piano come se stesse cercando il corrimano. Un ragazzo le finisce così vicino che lei gli preme il palmo sul cazzo attraverso la tuta.
Alessia se la sta godendo, ogni tanto guarda verso di me e sorride. Io vedo tutto, schiacciato a tre metri di distanza, il cazzo che mi fa male nei pantaloni, e non sono l'unico in quelle condizioni.
Dopo una fermata Alessia si sposta in avanti di mezzo metro. Davanti a lei c’è un ragazzo giovane, vent’anni al massimo, poco più basso di lei, tuta da lavoro aperta sul petto abbronzato, capelli corti, occhi scuri. Lei gli si incolla addosso senza ritegno: le tette nude sotto la canottiera schiacciate sul torace, la fica preme esattamente contro il rigonfiamento della tuta.
Ogni volta che l’autobus frena, lei spinge contro di lui, contro il suo cazzo. Comincia a muovere il bacino lentamente, in cerchio, su e giù, un movimento piccolo ma continuo, quasi impercettibile per chi guarda… ma non per lui.
Lo fissa dritto negli occhi, la lingua che ogni tanto le passa sul labbro inferiore. Il ragazzo diventa paonazzo, cerca di non guardarla, fissa il soffitto. Le mani stringono il corrimano fino a far sbiancare le nocche.
Un fremito gli attraversa le spalle. Un piccolo scatto del bacino, quasi involontario. Poi un altro. Alessia sorride appena, un sorriso lento, cattivo. Spinge un’ultima volta, forte, e resta lì, immobile, mentre lui si irrigidisce tutto, gli occhi spalancati, un rantolo soffocato che si perde nel rumore del motore.
Un secondo dopo il ragazzo abbassa lo sguardo, mortificato, le guance in fiamme. Alessia si scosta piano, si gira verso di me, soddisfatta. Lui si stringe appena la tuta con una mano, come per nascondere l’evidenza.
Arriviamo alla nostra fermata. Scendiamo per ultimi. Lei cammina di fianco a me, il costume bagnato fradicio tra le cosce.
«Ti sei divertita? A qualcuno stanno scoppiando le palle su quell'autobus».
Mi guarda sfrontata. «Diciamo che era un aperitivo, adesso andiamo a casa, quando avrò finito con te non ricorderai neanche che faccia ha Anita.»
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