Alisia - 03 - Initium Vindictae
di
Alessia&Nicola
genere
fantascienza
*** Inizia la vendetta… ***
Laboratorio 4B, livello −XV, Ministero del Benessere. Le luci bianche al neon mi bruciano le pupille, l’odore di candeggina si mescola a quello di carne aperta. Sono appesa al soffitto con le catene d’acciaio, i polsi stretti da manette imbottite di gomma, i piedi nudi sfiorano appena il pavimento di cemento grezzo.
L’Esecutore entra, indossa un camice grigio aperto sul petto peloso e guanti di lattice, in mano tiene una frusta di cuoio nero. Non ha nome. Per noi era solo l’Esecutore.
Alza il braccio e la frusta fende l’aria con un sibilo. Il primo colpo mi prende di lato sul seno sinistro, la pelle si apre subito, il sangue cola lento. Il secondo colpo arriva sulla pancia, più in basso. Il terzo mi colpisce sulle cosce. Urlo, ma l’urlo mi esce spezzato e finisce in un gemito profondo che non riesco a fermare.
Ogni colpo è un’esplosione di dolore che diventa fuoco tra le mie gambe.
Mi odio perché godo, mi odio perché la fica si contrae da sola, perché il clitoride pulsa come se mi stesse scopando la frusta stessa.
Un altro colpo, sulla fica, e stavolta vengo davvero, un orgasmo piccolo, umiliante, che fa tremare le catene
Dietro la scrivania Flavio è seduto su una sedia girevole, tiene un tablet in mano. Osserva i grafici mentre gli elettrodi incollati alle mie tempie lampeggiano. «Frequenza cardiaca 180, endorfine a 400%, dopamina alle stelle», dice al microfono. «Il dolore viene convertito in piacere in 0,8 secondi. Incredibile.»
L’Esecutore ride, una risata bassa da bestia, e infila due dita dentro di me senza preavviso, fino in fondo. Le tira fuori lucide, le annusa. «Questa troia è fradicia. Senti come cola.» Flavio alza un sopracciglio. «Il chip che le abbiamo inserito nel cervello confonde i segnali neurali. Non distinguono il dolore dal piacere. Abbiamo fatto un casino grosso nel lobo temporale. Molto pericoloso.»
L’Esecutore alza di nuovo la frusta. «Non mi sembra pericolosa, vediamo quanto regge prima di rompersi.»
Quattro colpi uno dietro l’altro. Fortissimi. Il dolore è bianco, accecante, poi diventa rosso, poi diventa furia.
Tiro le catene con tutta la forza e mi lancio in avanti, la fronte colpisce in pieno il suo zigomo sinistro. Sento l’osso che cede, il sopracciglio che si spacca e il sangue caldo che mi schizza sulla faccia. L’Esecutore barcolla, impreca, lascia cadere la frusta.
Poi si avventa su di me.
Il primo pugno mi spacca il labbro, il secondo mi rompe il naso, i calci arrivano nello stomaco, nelle costole, tra le gambe. Mi colpisce finché le catene non tremano più, finché il sangue non mi cola dalla bocca sul seno, l’ultima cosa che sento è la voce di Flavio, calma, quasi divertita: «Con questa non si ragiona».
Poi il mondo diventa nero.
Apro gli occhi: sono sotto la pioggia, livello −VIII. Per quanto sono stata assente? Le persone intorno sembrano non aver notato nulla, probabilmente sono mancata solo per qualche secondo. Cazzo! Questi sogni a occhi aperti sono sempre più reali, sembra di sentire il sapore del mio sangue in bocca… Ok, ora non ho tempo di pensarci, devo concentrarmi sul mio obiettivo: Flavio è vivo. Per ora.
Arrivo al suo indirizzo. Non so come ha fatto Marco a trovarlo, con quei suoi vecchi computer fa miracoli. Mi aspettavo un posto più esclusivo per un dipendente del Ministero: la zona non è molto meglio di dove vivo io, solo che qui le telecamere funzionano, devo fare attenzione, per fortuna portare la mascherina chirurgica è quasi normale, colpa dell’inquinamento. Dopo la crisi del debito e la fondazione della Nuova Patria Italica trovare l’energia è diventato difficile, le macchine sono tutte elettriche ma nessuno sa di preciso cosa brucia dentro le centrali…
La palazzina non ha antifurto o telecamere di sicurezza, salgo le scale cercando di non dare nell’occhio e arrivo davanti alla sua porta, aprirla è un gioco da ragazzi se si hanno gli attrezzi giusti.
Entro e mi siedo sul divano, controllo le sue abitudini da qualche giorno, dovrebbe tornare tra meno di mezz’ora. Aspetto.
Puntuale come la (sua) morte Flavio apre la porta e la richiude piano dietro di sé. La chiave gira due volte nella serratura. Accende la luce.
Io sono lì, seduta sul suo divano con le gambe accavallate. Lui mi guarda, spalanca gli occhi, la faccia che diventa bianca come il camice che portava anni fa. «Sei… la numero 10.» Non è una domanda.
Flavio appoggia la borsa, le mani che tremano appena. «Lo sapevo. Sapevo che uno dei cloni era scappato. E potevi essere solo tu. La più forte. La più ribelle. La più stronza. Quella che ha preso più botte e più cazzi di tutte le altre messe insieme.»
Mi alzo lentamente.
Deglutisce. «Mi ucciderai?» «Sì.»
Fa un passo verso di me. «E prima… mi scoperai?» Gli sorrido. «Sì, ma voglio delle informazioni.»
Flavio inspira e si passa una mano tra i capelli grigi. «Vuoi sapere tutto sul progetto Meretrix?» «Tutto.»
Scuote la testa. «È stato cancellato. Ordine diretto del Ministero. Hanno formattato i server, cancellato i backup, licenziato i tecnici. Hanno fatto sparire ogni traccia del fallimento. I cloni sono troppo difficili da gestire, o sono stupidi come zombi oppure troppo intelligenti, impossibili da controllare. Come te.»
Si china, apre un cassetto sotto il tavolino e tira fuori una vecchia scheda di memoria nera, grande come un’unghia. Me la porge. «Qui c’è tutto quello che ho. Nomi, indirizzi, video dei collaudi, firme digitali. Volevo ricattarli, poi mi è mancato il coraggio. C’è tutto quello che ti serve per avere la tua vendetta, perché è la vendetta che cerchi, giusto?» Fa una pausa. «In fondo se lo meritano… no, ce lo meritiamo.»
La prendo e la stringo tra le dita. Poi lo guardo fisso. «Spogliati.»
Flavio non chiede perché. Si toglie la camicia, i pantaloni, resta nudo. Trema. «Posso… vederti nuda?»
Non rispondo. Faccio scivolare giù il vestito, resto in piedi davanti a lui. Lui mi guarda come se vedesse un fantasma. O una dea.
«Sei ancora più bella di come ti ricordavo.»
Mi avvicino piano e gli metto una mano sul petto: il cuore gli batte così forte che sembra voglia scappare dal torace. «Sdraiati.»
Obbedisce senza una parola. Si stende sul tappeto, supino, le braccia lungo i fianchi, il cazzo già duro che punta il soffitto come se pregasse.
Mi metto a cavalcioni sopra di lui. Gli prendo il cazzo con due dita, l lo guido dentro di me, fino in fondo. Flavio geme forte e inarca la schiena.
Comincio a muovermi lenta, molto lenta. Alzo i fianchi, scendo, ruoto, stringo i muscoli della fica intorno al suo cazzo. Ogni volta che risalgo lo lascio quasi uscire, poi lo ingoio di nuovo fino alle palle. Lui ansima, le mani che tremano sui miei fianchi, gli occhi chiusi.
«Guardami.»
Accelero appena, poi rallento, poi mi fermo con lui tutto dentro e ruoto il bacino in cerchio, strofinando il clitoride contro il suo pube. Lo sento gonfiarsi ancora di più dentro di me. Gli passo le mani sul petto, gli pizzico i capezzoli fino a fargli male, poi glieli lecco, li mordo piano.
«Sei… perfetta… cazzo… sei perfetta…» sussurra.
Gli sorrido. In fondo è l’ultima volta che scopa in vita sua. Mi piego in avanti e gli metto le tette in faccia. Lui le succhia avidamente, mi morde i capezzoli, le mani che mi strizzano il culo come se volesse entrarmi dentro con le dita. Io continuo a cavalcarlo, sempre più forte, sempre più profondo, la fica che lo stringe, che lo fa impazzire. Sento il suo cazzo che pulsa, che si gonfia, sta per venire.
Gli metto le mani intorno al collo. Le stringo piano, solo un po’, quel tanto che basta a fargli mancare l’aria. Lui capisce, ma è troppo tardi. Viene forte, violentissimo, schizzando dentro di me a fiotti caldi, il corpo che trema tutto, le anche che spingono in alto come se volesse entrarmi nell’utero.
Ho un orgasmo devastante, da mancare il fiato, riesco solo a sussurrare: «Grazie, Flavio.»
Poi stringo.
Lui rantola, gli occhi sgranati, le mani che si alzano un secondo verso il mio polso, poi ricadono. Un ultimo spasmo, un ultimo schizzo, sento il suo cazzo morire dentro di me.
Mi alzo. Il suo sperma mi cola lungo la coscia. Mi pulisco. Mi vesto. Metto la scheda di memoria nello zaino. Esco senza voltarmi.
Ora ho i loro nomi.
Laboratorio 4B, livello −XV, Ministero del Benessere. Le luci bianche al neon mi bruciano le pupille, l’odore di candeggina si mescola a quello di carne aperta. Sono appesa al soffitto con le catene d’acciaio, i polsi stretti da manette imbottite di gomma, i piedi nudi sfiorano appena il pavimento di cemento grezzo.
L’Esecutore entra, indossa un camice grigio aperto sul petto peloso e guanti di lattice, in mano tiene una frusta di cuoio nero. Non ha nome. Per noi era solo l’Esecutore.
Alza il braccio e la frusta fende l’aria con un sibilo. Il primo colpo mi prende di lato sul seno sinistro, la pelle si apre subito, il sangue cola lento. Il secondo colpo arriva sulla pancia, più in basso. Il terzo mi colpisce sulle cosce. Urlo, ma l’urlo mi esce spezzato e finisce in un gemito profondo che non riesco a fermare.
Ogni colpo è un’esplosione di dolore che diventa fuoco tra le mie gambe.
Mi odio perché godo, mi odio perché la fica si contrae da sola, perché il clitoride pulsa come se mi stesse scopando la frusta stessa.
Un altro colpo, sulla fica, e stavolta vengo davvero, un orgasmo piccolo, umiliante, che fa tremare le catene
Dietro la scrivania Flavio è seduto su una sedia girevole, tiene un tablet in mano. Osserva i grafici mentre gli elettrodi incollati alle mie tempie lampeggiano. «Frequenza cardiaca 180, endorfine a 400%, dopamina alle stelle», dice al microfono. «Il dolore viene convertito in piacere in 0,8 secondi. Incredibile.»
L’Esecutore ride, una risata bassa da bestia, e infila due dita dentro di me senza preavviso, fino in fondo. Le tira fuori lucide, le annusa. «Questa troia è fradicia. Senti come cola.» Flavio alza un sopracciglio. «Il chip che le abbiamo inserito nel cervello confonde i segnali neurali. Non distinguono il dolore dal piacere. Abbiamo fatto un casino grosso nel lobo temporale. Molto pericoloso.»
L’Esecutore alza di nuovo la frusta. «Non mi sembra pericolosa, vediamo quanto regge prima di rompersi.»
Quattro colpi uno dietro l’altro. Fortissimi. Il dolore è bianco, accecante, poi diventa rosso, poi diventa furia.
Tiro le catene con tutta la forza e mi lancio in avanti, la fronte colpisce in pieno il suo zigomo sinistro. Sento l’osso che cede, il sopracciglio che si spacca e il sangue caldo che mi schizza sulla faccia. L’Esecutore barcolla, impreca, lascia cadere la frusta.
Poi si avventa su di me.
Il primo pugno mi spacca il labbro, il secondo mi rompe il naso, i calci arrivano nello stomaco, nelle costole, tra le gambe. Mi colpisce finché le catene non tremano più, finché il sangue non mi cola dalla bocca sul seno, l’ultima cosa che sento è la voce di Flavio, calma, quasi divertita: «Con questa non si ragiona».
Poi il mondo diventa nero.
Apro gli occhi: sono sotto la pioggia, livello −VIII. Per quanto sono stata assente? Le persone intorno sembrano non aver notato nulla, probabilmente sono mancata solo per qualche secondo. Cazzo! Questi sogni a occhi aperti sono sempre più reali, sembra di sentire il sapore del mio sangue in bocca… Ok, ora non ho tempo di pensarci, devo concentrarmi sul mio obiettivo: Flavio è vivo. Per ora.
Arrivo al suo indirizzo. Non so come ha fatto Marco a trovarlo, con quei suoi vecchi computer fa miracoli. Mi aspettavo un posto più esclusivo per un dipendente del Ministero: la zona non è molto meglio di dove vivo io, solo che qui le telecamere funzionano, devo fare attenzione, per fortuna portare la mascherina chirurgica è quasi normale, colpa dell’inquinamento. Dopo la crisi del debito e la fondazione della Nuova Patria Italica trovare l’energia è diventato difficile, le macchine sono tutte elettriche ma nessuno sa di preciso cosa brucia dentro le centrali…
La palazzina non ha antifurto o telecamere di sicurezza, salgo le scale cercando di non dare nell’occhio e arrivo davanti alla sua porta, aprirla è un gioco da ragazzi se si hanno gli attrezzi giusti.
Entro e mi siedo sul divano, controllo le sue abitudini da qualche giorno, dovrebbe tornare tra meno di mezz’ora. Aspetto.
Puntuale come la (sua) morte Flavio apre la porta e la richiude piano dietro di sé. La chiave gira due volte nella serratura. Accende la luce.
Io sono lì, seduta sul suo divano con le gambe accavallate. Lui mi guarda, spalanca gli occhi, la faccia che diventa bianca come il camice che portava anni fa. «Sei… la numero 10.» Non è una domanda.
Flavio appoggia la borsa, le mani che tremano appena. «Lo sapevo. Sapevo che uno dei cloni era scappato. E potevi essere solo tu. La più forte. La più ribelle. La più stronza. Quella che ha preso più botte e più cazzi di tutte le altre messe insieme.»
Mi alzo lentamente.
Deglutisce. «Mi ucciderai?» «Sì.»
Fa un passo verso di me. «E prima… mi scoperai?» Gli sorrido. «Sì, ma voglio delle informazioni.»
Flavio inspira e si passa una mano tra i capelli grigi. «Vuoi sapere tutto sul progetto Meretrix?» «Tutto.»
Scuote la testa. «È stato cancellato. Ordine diretto del Ministero. Hanno formattato i server, cancellato i backup, licenziato i tecnici. Hanno fatto sparire ogni traccia del fallimento. I cloni sono troppo difficili da gestire, o sono stupidi come zombi oppure troppo intelligenti, impossibili da controllare. Come te.»
Si china, apre un cassetto sotto il tavolino e tira fuori una vecchia scheda di memoria nera, grande come un’unghia. Me la porge. «Qui c’è tutto quello che ho. Nomi, indirizzi, video dei collaudi, firme digitali. Volevo ricattarli, poi mi è mancato il coraggio. C’è tutto quello che ti serve per avere la tua vendetta, perché è la vendetta che cerchi, giusto?» Fa una pausa. «In fondo se lo meritano… no, ce lo meritiamo.»
La prendo e la stringo tra le dita. Poi lo guardo fisso. «Spogliati.»
Flavio non chiede perché. Si toglie la camicia, i pantaloni, resta nudo. Trema. «Posso… vederti nuda?»
Non rispondo. Faccio scivolare giù il vestito, resto in piedi davanti a lui. Lui mi guarda come se vedesse un fantasma. O una dea.
«Sei ancora più bella di come ti ricordavo.»
Mi avvicino piano e gli metto una mano sul petto: il cuore gli batte così forte che sembra voglia scappare dal torace. «Sdraiati.»
Obbedisce senza una parola. Si stende sul tappeto, supino, le braccia lungo i fianchi, il cazzo già duro che punta il soffitto come se pregasse.
Mi metto a cavalcioni sopra di lui. Gli prendo il cazzo con due dita, l lo guido dentro di me, fino in fondo. Flavio geme forte e inarca la schiena.
Comincio a muovermi lenta, molto lenta. Alzo i fianchi, scendo, ruoto, stringo i muscoli della fica intorno al suo cazzo. Ogni volta che risalgo lo lascio quasi uscire, poi lo ingoio di nuovo fino alle palle. Lui ansima, le mani che tremano sui miei fianchi, gli occhi chiusi.
«Guardami.»
Accelero appena, poi rallento, poi mi fermo con lui tutto dentro e ruoto il bacino in cerchio, strofinando il clitoride contro il suo pube. Lo sento gonfiarsi ancora di più dentro di me. Gli passo le mani sul petto, gli pizzico i capezzoli fino a fargli male, poi glieli lecco, li mordo piano.
«Sei… perfetta… cazzo… sei perfetta…» sussurra.
Gli sorrido. In fondo è l’ultima volta che scopa in vita sua. Mi piego in avanti e gli metto le tette in faccia. Lui le succhia avidamente, mi morde i capezzoli, le mani che mi strizzano il culo come se volesse entrarmi dentro con le dita. Io continuo a cavalcarlo, sempre più forte, sempre più profondo, la fica che lo stringe, che lo fa impazzire. Sento il suo cazzo che pulsa, che si gonfia, sta per venire.
Gli metto le mani intorno al collo. Le stringo piano, solo un po’, quel tanto che basta a fargli mancare l’aria. Lui capisce, ma è troppo tardi. Viene forte, violentissimo, schizzando dentro di me a fiotti caldi, il corpo che trema tutto, le anche che spingono in alto come se volesse entrarmi nell’utero.
Ho un orgasmo devastante, da mancare il fiato, riesco solo a sussurrare: «Grazie, Flavio.»
Poi stringo.
Lui rantola, gli occhi sgranati, le mani che si alzano un secondo verso il mio polso, poi ricadono. Un ultimo spasmo, un ultimo schizzo, sento il suo cazzo morire dentro di me.
Mi alzo. Il suo sperma mi cola lungo la coscia. Mi pulisco. Mi vesto. Metto la scheda di memoria nello zaino. Esco senza voltarmi.
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