Suor Matilde e l'ombra del desiderio
di
Matilde25
genere
etero
Ancora Firenze,ancora le Oblate, ancora Suor Matilde, la giovane Suora bionda con gambe affusolate e un fondoschiena favoloso che l'abito monacale velava con pudica eleganza.
Matilde aveva ormai abbracciato la sua doppia vita con serena accettazione. La fede la colmava durante le ore diurne, tra preghiere mattutine nella cappella interna e il meticoloso lavoro di catalogazione tra gli scaffali odorosi di carta antica, mentre il piacere carnale la vivificava nei momenti rubati, un'armonia perfetta che la rendeva raggiante, come se ogni amplesso fosse un atto di celebrazione divina. Non più ombre di dubbio a tormentarla; il sacro e il profano danzavano in lei come i riflessi sull'Arno al tramonto, e lei li accoglieva con entusiasmo, sempre pronta a mietere nuove conquiste che arricchissero il suo arazzo di esperienze.
Quel mattino di fine primavera, mentre il sole filtrava attraverso le vetrate gotiche della biblioteca, illuminando i tomi polverosi con un'aura quasi mistica, arrivò Filippo Ombra. Proveniente da una regione lontana, Filippo era un esperto restauratore di manoscritti antichi, inviato dalla Soprintendenza per un progetto speciale: il restauro di un codice miniato del XIV secolo, danneggiato dall'umidità e dal tempo, un tesoro custodito nelle Oblate che richiedeva mani esperte per essere salvato dall'oblio.
Filippo, 38 anni, con capelli neri ondulati e un fisico scolpito dal lavoro manuale tra polveri e inchiostri, aveva un'aria misteriosa, accentuata dal cognome che evocava tenebre e segreti. "Ombra... un nome che suona come un enigma," pensò Matilde quando lo vide entrare nella sala principale, la borsa piena di strumenti delicati, il sorriso cortese ma gli occhi scuri che scrutavano l'ambiente con curiosità da viaggiatore. La superiora lo presentò alle suore: "Filippo ci aiuterà a preservare il nostro patrimonio – trattatelo come un ospite del Signore."
Matilde, incaricata di assisterlo nella sala di restauro – una stanza appartata con finestre che davano sul giardino interno, dove il profumo di fiori si mescolava a quello di pergamena antica – sentì immediatamente un brivido di interesse. Non era solo la sua origine, con quell'accento caldo che evocava mari azzurri e vulcani dormienti, ma anche il cognome stesso: Ombra, una parola che le suggeriva giochi di parole infiniti, un'opportunità per tessere una seduzione sottile come una partita a scacchi, dove ogni mossa sarebbe calcolata per condurlo nella sua rete. "Benvenuto, Filippo – il tuo nome evoca mistero, come l'ombra del Duomo al tramonto," gli disse con un sorriso enigmatico, porgendogli un volume da esaminare. Lui rise, gli occhi che si posavano sui suoi con apprezzamento: "Grazie, suor Matilde. L'ombra è la mia compagna – nasconde e rivela." Matilde annuì, il suo animo già al lavoro: "Proprio come in una partita a scacchi, dove l'ombra di una mossa nasconde la strategia." Così iniziò il gioco, un lento crescendo di seduzione che Matilde orchestrava con maestria, entusiasta di quella nuova preda.
Nei giorni seguenti, il gioco si dispiegò come una partita a scacchi ben pianificata, con Matilde come regina astuta che muoveva i pedoni con precisione. Durante le ore di lavoro nella sala di restauro, Matilde si avvicinava a Filippo con scuse legate al codice: "Filippo, guarda qui – questa miniatura è nascosta nell'ombra del foglio, come il tuo cognome cela segreti." Lui sorrideva: "L'ombra protegge, ma la luce rivela – cosa nasconde il tuo cuore, restauratore?" Filippo, intrigato, rispondeva: "L'ombra è il mio rifugio, suor Matilde – ma con te, sento la luce avvicinarsi." Ogni scambio era una mossa: Matilde lo sfidava con giochi di parole, "Sei l'Ombra che segue la mia luce, o io che inseguo la tua oscurità?" e lui ribatteva, gli occhi che si fissavano nei suoi con intensità crescente, un'attrazione che montava come la marea dell'Arno dopo un temporale.
Tutto si intensificò durante una pausa nel giardino interno delle Oblate, con il profumo di rose e terra umida che saturava l'aria. Matilde lo condusse lì con una scusa: "Filippo, vieni – nell'ombra del chiostro, il codice sembrerà diverso." Seduti su una panchina di pietra, lei si avvicinò, la mano che sfiorava la sua mentre parlavano del restauro: "In una partita a scacchi, l'ombra di una pedina nasconde la mossa della regina – qual è la tua mossa, Filippo?" Lui, il respiro che si accelerava, le prese la mano: "La mia mossa è rivelarti il mio segreto – il tuo fascino mi ha catturato dall'arrivo." Matilde sorrise, le dita che intrecciavano le sue: "Allora gioca, Ombra – ma ricorda, la regina muove liberamente." Il tocco si fece più intimo, le labbra che si sfioravano in un bacio esitante, un crescendo che culminava in passione.
La sala di restauro della Biblioteca delle Oblate era immersa in un silenzio profondo, rotto solo dal ticchettio distante di un orologio e dal respiro accelerato di Matilde e Filippo. Erano arrivati lì dopo una giornata di lavoro sul codice miniato, con Matilde che aveva chiuso la porta con un gesto deliberato, il cuore che le batteva forte per l'anticipazione del gioco che aveva orchestrato. Filippo catturato dal suo fascino, l'aveva seguita con un sorriso complice, la borsa degli strumenti posata sul tavolo di legno antico, illuminato da una lampada fioca che proiettava ombre danzanti sui manoscritti aperti, creando un'atmosfera intima e proibita, come se i santi raffigurati nei fogli li osservassero con occhi muti.
Filippo si avvicinò a Matilde con passo felino, le mani che le sfioravano i fianchi attraverso l'abito monacale, tirandola a sé in un bacio profondo che sigillava il loro desiderio. "Ora sei mia, Matilde," mormorò contro le sue labbra, la voce calda che aggiungeva un velo di mistero. Lei rispose con fame, le dita che slacciavano i bottoni della sua camicia, esponendo il petto coperto da una leggera peluria, il corpo che si premeva contro il suo. Lui la spinse delicatamente contro il tavolo, le mani che salivano a slacciare l'abito dalle spalle, rivelando i seni che si ergevano al contatto con l'aria fresca della sala. Filippo si chinò, le labbra che sfioravano prima il collo, poi scese con la lingua che lambiva la curva superiore dei seni con leccate lente e deliberate, gesti ampi che evitavano i capezzoli per prolungare l'attesa, facendola fremere. "Sei perfetta," sussurrò, le mani che palpavano i seni con gentilezza possessiva, i pollici che sfioravano i capezzoli eretti senza premere, un tocco che le faceva inarcare la schiena, il respiro che si faceva corto.
Prolungò il piacere sui seni per minuti, la lingua che danzava attorno a un capezzolo con cerchi stretti e lenti, succhiandolo piano tra le labbra calde, tirandolo leggermente con i denti per un brivido di dolore misto a estasi, mentre l'altra mano massaggiava l'altro seno con rotazioni circolari, pizzicando il capezzolo tra pollice e indice con pressione crescente, facendola gemere piano, il corpo che si tendeva verso di lui, i fianchi che si muovevano involontariamente. "Filippo... continua," ansimò lei, le mani nei suoi capelli neri ondulati, guidandolo più in basso. Lui obbedì, inginocchiandosi davanti a lei, le mani che le accarezzavano le cosce con tocchi leggeri, partendo dalle ginocchia e risalendo lentamente verso l'interno, le dita che tracciavano linee invisibili sulla pelle sensibile, sfiorando ma non toccando il centro umido, prolungando l'attesa con leccate alternate sulle cosce, la lingua che lambiva la carne morbida, e si avvicinava sempre di più al calore tra le gambe, facendola tremare, il respiro che si accelerava in ansiti soffocati.
Solo dopo un'eternità di quella tortura dolce, Filippo raggiunse il suo centro: le labbra che si posavano sul clitoride con un bacio leggero, la lingua che lo lambiva con leccate insistenti, alternando succhiate profonde, le dita che penetravano il calore stretto, sfregando il punto sensibile all'interno, il suo aroma muschiato che lo inebriava, i gemiti di Matilde che echeggiavano nella sala, il corpo che si inarcava mentre un orgasmo la travolgeva in ondate violente, i muscoli interni che si contraevano in spasmi ritmici attorno alle dita, un culmine che la lasciava ansimante.
Filippo si alzò, il membro eretto che premeva contro i pantaloni, e la girò appoggiandola al tavolo di legno antico, le mani che le afferravano i fianchi mentre le cosce si aprivano, il fondoschiena favoloso esposto. Entrò in lei da dietro con un affondo lento ma deciso, il membro che la riempiva completamente, ogni spinta che sfregava contro le pareti interne, i fianchi che si muovevano in un ritmo crescente, le mani che le accarezzavano la schiena, sfiorando i seni con pizzichi ritmici, facendola gemere, fino al culmine quando si riversò dentro di lei con i loro gemiti che si mescolavano in un coro soffocato.
Matilde con un sorriso appagato disse: "L'ombra ha rivelato la luce."
Al ritorno alla routine, la biblioteca l'attendeva, ma il suo mondo era arricchito ancora di più da questa nuova esperienza era pronto a ulteriori nuovi giochi.
Matilde aveva ormai abbracciato la sua doppia vita con serena accettazione. La fede la colmava durante le ore diurne, tra preghiere mattutine nella cappella interna e il meticoloso lavoro di catalogazione tra gli scaffali odorosi di carta antica, mentre il piacere carnale la vivificava nei momenti rubati, un'armonia perfetta che la rendeva raggiante, come se ogni amplesso fosse un atto di celebrazione divina. Non più ombre di dubbio a tormentarla; il sacro e il profano danzavano in lei come i riflessi sull'Arno al tramonto, e lei li accoglieva con entusiasmo, sempre pronta a mietere nuove conquiste che arricchissero il suo arazzo di esperienze.
Quel mattino di fine primavera, mentre il sole filtrava attraverso le vetrate gotiche della biblioteca, illuminando i tomi polverosi con un'aura quasi mistica, arrivò Filippo Ombra. Proveniente da una regione lontana, Filippo era un esperto restauratore di manoscritti antichi, inviato dalla Soprintendenza per un progetto speciale: il restauro di un codice miniato del XIV secolo, danneggiato dall'umidità e dal tempo, un tesoro custodito nelle Oblate che richiedeva mani esperte per essere salvato dall'oblio.
Filippo, 38 anni, con capelli neri ondulati e un fisico scolpito dal lavoro manuale tra polveri e inchiostri, aveva un'aria misteriosa, accentuata dal cognome che evocava tenebre e segreti. "Ombra... un nome che suona come un enigma," pensò Matilde quando lo vide entrare nella sala principale, la borsa piena di strumenti delicati, il sorriso cortese ma gli occhi scuri che scrutavano l'ambiente con curiosità da viaggiatore. La superiora lo presentò alle suore: "Filippo ci aiuterà a preservare il nostro patrimonio – trattatelo come un ospite del Signore."
Matilde, incaricata di assisterlo nella sala di restauro – una stanza appartata con finestre che davano sul giardino interno, dove il profumo di fiori si mescolava a quello di pergamena antica – sentì immediatamente un brivido di interesse. Non era solo la sua origine, con quell'accento caldo che evocava mari azzurri e vulcani dormienti, ma anche il cognome stesso: Ombra, una parola che le suggeriva giochi di parole infiniti, un'opportunità per tessere una seduzione sottile come una partita a scacchi, dove ogni mossa sarebbe calcolata per condurlo nella sua rete. "Benvenuto, Filippo – il tuo nome evoca mistero, come l'ombra del Duomo al tramonto," gli disse con un sorriso enigmatico, porgendogli un volume da esaminare. Lui rise, gli occhi che si posavano sui suoi con apprezzamento: "Grazie, suor Matilde. L'ombra è la mia compagna – nasconde e rivela." Matilde annuì, il suo animo già al lavoro: "Proprio come in una partita a scacchi, dove l'ombra di una mossa nasconde la strategia." Così iniziò il gioco, un lento crescendo di seduzione che Matilde orchestrava con maestria, entusiasta di quella nuova preda.
Nei giorni seguenti, il gioco si dispiegò come una partita a scacchi ben pianificata, con Matilde come regina astuta che muoveva i pedoni con precisione. Durante le ore di lavoro nella sala di restauro, Matilde si avvicinava a Filippo con scuse legate al codice: "Filippo, guarda qui – questa miniatura è nascosta nell'ombra del foglio, come il tuo cognome cela segreti." Lui sorrideva: "L'ombra protegge, ma la luce rivela – cosa nasconde il tuo cuore, restauratore?" Filippo, intrigato, rispondeva: "L'ombra è il mio rifugio, suor Matilde – ma con te, sento la luce avvicinarsi." Ogni scambio era una mossa: Matilde lo sfidava con giochi di parole, "Sei l'Ombra che segue la mia luce, o io che inseguo la tua oscurità?" e lui ribatteva, gli occhi che si fissavano nei suoi con intensità crescente, un'attrazione che montava come la marea dell'Arno dopo un temporale.
Tutto si intensificò durante una pausa nel giardino interno delle Oblate, con il profumo di rose e terra umida che saturava l'aria. Matilde lo condusse lì con una scusa: "Filippo, vieni – nell'ombra del chiostro, il codice sembrerà diverso." Seduti su una panchina di pietra, lei si avvicinò, la mano che sfiorava la sua mentre parlavano del restauro: "In una partita a scacchi, l'ombra di una pedina nasconde la mossa della regina – qual è la tua mossa, Filippo?" Lui, il respiro che si accelerava, le prese la mano: "La mia mossa è rivelarti il mio segreto – il tuo fascino mi ha catturato dall'arrivo." Matilde sorrise, le dita che intrecciavano le sue: "Allora gioca, Ombra – ma ricorda, la regina muove liberamente." Il tocco si fece più intimo, le labbra che si sfioravano in un bacio esitante, un crescendo che culminava in passione.
La sala di restauro della Biblioteca delle Oblate era immersa in un silenzio profondo, rotto solo dal ticchettio distante di un orologio e dal respiro accelerato di Matilde e Filippo. Erano arrivati lì dopo una giornata di lavoro sul codice miniato, con Matilde che aveva chiuso la porta con un gesto deliberato, il cuore che le batteva forte per l'anticipazione del gioco che aveva orchestrato. Filippo catturato dal suo fascino, l'aveva seguita con un sorriso complice, la borsa degli strumenti posata sul tavolo di legno antico, illuminato da una lampada fioca che proiettava ombre danzanti sui manoscritti aperti, creando un'atmosfera intima e proibita, come se i santi raffigurati nei fogli li osservassero con occhi muti.
Filippo si avvicinò a Matilde con passo felino, le mani che le sfioravano i fianchi attraverso l'abito monacale, tirandola a sé in un bacio profondo che sigillava il loro desiderio. "Ora sei mia, Matilde," mormorò contro le sue labbra, la voce calda che aggiungeva un velo di mistero. Lei rispose con fame, le dita che slacciavano i bottoni della sua camicia, esponendo il petto coperto da una leggera peluria, il corpo che si premeva contro il suo. Lui la spinse delicatamente contro il tavolo, le mani che salivano a slacciare l'abito dalle spalle, rivelando i seni che si ergevano al contatto con l'aria fresca della sala. Filippo si chinò, le labbra che sfioravano prima il collo, poi scese con la lingua che lambiva la curva superiore dei seni con leccate lente e deliberate, gesti ampi che evitavano i capezzoli per prolungare l'attesa, facendola fremere. "Sei perfetta," sussurrò, le mani che palpavano i seni con gentilezza possessiva, i pollici che sfioravano i capezzoli eretti senza premere, un tocco che le faceva inarcare la schiena, il respiro che si faceva corto.
Prolungò il piacere sui seni per minuti, la lingua che danzava attorno a un capezzolo con cerchi stretti e lenti, succhiandolo piano tra le labbra calde, tirandolo leggermente con i denti per un brivido di dolore misto a estasi, mentre l'altra mano massaggiava l'altro seno con rotazioni circolari, pizzicando il capezzolo tra pollice e indice con pressione crescente, facendola gemere piano, il corpo che si tendeva verso di lui, i fianchi che si muovevano involontariamente. "Filippo... continua," ansimò lei, le mani nei suoi capelli neri ondulati, guidandolo più in basso. Lui obbedì, inginocchiandosi davanti a lei, le mani che le accarezzavano le cosce con tocchi leggeri, partendo dalle ginocchia e risalendo lentamente verso l'interno, le dita che tracciavano linee invisibili sulla pelle sensibile, sfiorando ma non toccando il centro umido, prolungando l'attesa con leccate alternate sulle cosce, la lingua che lambiva la carne morbida, e si avvicinava sempre di più al calore tra le gambe, facendola tremare, il respiro che si accelerava in ansiti soffocati.
Solo dopo un'eternità di quella tortura dolce, Filippo raggiunse il suo centro: le labbra che si posavano sul clitoride con un bacio leggero, la lingua che lo lambiva con leccate insistenti, alternando succhiate profonde, le dita che penetravano il calore stretto, sfregando il punto sensibile all'interno, il suo aroma muschiato che lo inebriava, i gemiti di Matilde che echeggiavano nella sala, il corpo che si inarcava mentre un orgasmo la travolgeva in ondate violente, i muscoli interni che si contraevano in spasmi ritmici attorno alle dita, un culmine che la lasciava ansimante.
Filippo si alzò, il membro eretto che premeva contro i pantaloni, e la girò appoggiandola al tavolo di legno antico, le mani che le afferravano i fianchi mentre le cosce si aprivano, il fondoschiena favoloso esposto. Entrò in lei da dietro con un affondo lento ma deciso, il membro che la riempiva completamente, ogni spinta che sfregava contro le pareti interne, i fianchi che si muovevano in un ritmo crescente, le mani che le accarezzavano la schiena, sfiorando i seni con pizzichi ritmici, facendola gemere, fino al culmine quando si riversò dentro di lei con i loro gemiti che si mescolavano in un coro soffocato.
Matilde con un sorriso appagato disse: "L'ombra ha rivelato la luce."
Al ritorno alla routine, la biblioteca l'attendeva, ma il suo mondo era arricchito ancora di più da questa nuova esperienza era pronto a ulteriori nuovi giochi.
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