Partita a scacchi in treno

Una carrozza affollata, un'onda di corpi estranei, mi perdo nel frastuono, cerco rifugio nel tuo silenzio.

Vorrei un vagone vuoto, un'eco di rotaie che sussurra il nostro nome.

Ti vedo salire, il tuo passo da pedone cauto su questa scacchiera di cuoio logoro.

Seduti di fronte, le ginocchia che sfiorano l'aria, io come la Regina pronta a un assalto lento, inevitabile.

I miei occhi ti cercano, ti catturano senza parole – un balzo da cavallo, elegante, famelico.

Ti invade il mio sguardo, un filo di seta che annoda la tua pupilla alla mia, un invisibile legame, tocco che brucia senza fiamma, connessione che pulsa come vene sotto la pelle nuda.

I tuoi occhi mi sfiorano le labbra, scendono al collo e oltre.

Poi la voce – oh, la tua voce, bassa come un'onda che lambisce la riva dopo la tempesta degli sguardi.

Svela ciò che gli occhi hanno decretato: voglio te e solo te.

È un flusso, questo, un fiume di sensi che si susseguono – vista prima, mi spogli piano, strato dopo strato, fino all'osso del desiderio.

Udito poi che mi avvolge, la tua voce come eco tra le cosce, un invito a schiudermi.

E dopo? Il tatto attende, dita che sfiorano la pelle, la curva del fianco, sei un pedone che avanza verso la promozione, io una Regina di carne fremente.

Gusto, come la tua lingua immaginata, olfatto del tuo calore che mi invade, umido, come il treno che accelera verso la notte.

Ogni mossa una scossa, la scacchiera ribaltata in un groviglio di umori, il tuo peso su di me, lento, inesorabile, fino allo scacco matto dove crollo, rapita, nei tuoi occhi che non lasciano spazio.

Avvicinati ancora di più, sussurrami la prossimo mossa, perché in questa partita, il mio re sei già tu, il nostro desiderio un'eternità compressa in un solo, lungo sguardo.