Suor Matilde e l'incontro col manutentore

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prime esperienze

Firenze, con il suo Duomo che svettava come un faro di marmo sotto il cielo grigio autunnale, accolse Suor Matilde al ritorno dal Belgio con un abbraccio di strade affollate e il profumo di castagne arrostite lungo Via dell’Oriuolo. Il seminario di tre giorni nelle abbazie trappiste – Orval, Chimay, Westvleteren – era stato un viaggio spirituale, ma anche un terremoto interiore. Tra i chiostri nebbiosi delle Ardenne, l’aroma di malto e luppolo che permeava l’aria durante le degustazioni rituali, i monaci che parlavano di birra come atto di devozione, Matilde aveva cercato la purificazione della sua fede. Ma l’incontro con Alex, un giovane congolese di 25 anni, ingegnere in viaggio spirituale, aveva infranto ogni barriera.
La loro notte di passione – il suo membro imponente che la dilatava in un’estasi mista a dolore, orgasmi che la scuotevano in contrazioni violente – aveva lasciato un segno indelebile.

Tornata alle Oblate, il suo spirito era una turbine: la vocazione la richiamava alla purezza, ma il ricordo di Alex la faceva fremere “Il Signore mi perdonerà” si ripeteva, attraversando il giardino interno del convento, il cuore che accelerava al pensiero di confidarsi con Suor Maria Teresa, la sua guida, la sua amante segreta, un legame che la legava in un intreccio di devozione e desiderio, un dubbio che la assaliva: “Le dirò tutto? O terrò questo segreto per proteggerla?” Suor Maria Teresa, la accolse nella cappella interna delle Oblate, le cui pareti affrescate con scene bibliche sembravano scrutare ogni loro gesto. “Bentornata, sorella mia, quanto mi sei mancata!” disse con un abbraccio possessivo, la voce calda ma con gli occhi neri che cercavano risposte. Il suo animo era già in tumulto: da quando Matilde era partita, l’ossessione per lei si era acutizzata, le notti insonni passate a rivivere le loro notti proibite, le dita che esploravano il suo corpo al pensiero della giovane bionda, un desiderio che la consumava senza più spazio per la colpa, un’evoluzione interiore che la faceva sentire viva, padrona del suo fuoco represso.

Matilde, seduta accanto a lei sul banco di legno freddo, confidò tutto con voce tremante: “Sorella, in Belgio… ho peccato. Un giovane, Alex – congolese, devoto, ma… il suo corpo, la sua forza, mi hanno travolta” Descrisse l’incontro: l’affinità spirituale iniziale, i tocchi fugaci nel bosco, i dialoghi sulla fede che viravano sul personale, il bacio che aveva sciolto ogni resistenza, e l’amplesso – il membro imponente di Alex che la riempiva, i suoi affondi che la portavano al confine tra dolore ed estasi, orgasmi che la scuotevano come tempeste.

Maria Teresa ascoltava, il viso impassibile ma l’animo in subbuglio: un’eccitazione voyeuristica la travolgeva – immaginare Matilde nuda, posseduta da un altro – una gelosia bruciante la dilaniava, un senso di possesso che gridava: “È mia” Il suo cuore batteva furioso, un conflitto che la consumava tra l’amore sororale e quella voglia carnale mai sopita neanche durante la sua assenza.

Quella notte, sola nella sua cella, Maria Teresa iniziò a scrivere un diario – un quaderno nascosto tra i volumi di teologia, pagine bianche che divennero uno sfogo per le sue emozioni. “Oggi Matilde è tornata, e le sue parole mi hanno trafitta,” scrisse, l’inchiostro che tremava sulla carta come il suo animo macchiato dal desiderio. “Ha confessato di Alex, un giovane di colore che l’ha posseduta – il suo membro imponente, i suoi affondi che la facevano gemere. La gelosia mi divora come un fuoco, ma l’eccitazione mi infiamma: immagino lei, le gambe affusolate aperte, il corpo magro che si inarca sotto di lui. È mia, solo mia, eppure questo racconto mi fa ardere, come se il suo peccato alimentasse il mio. Signore, perché questo fuoco?”

Il diario divenne un rituale: ogni sera, dopo le preghiere, Maria Teresa riversava le sue emozioni – la gelosia che la rendeva possessiva durante il giorno, l’eccitazione che la travolgeva nelle notti solitarie, le dita che sfioravano il clitoride al pensiero di Matilde con Alex, orgasmi che la scuotevano in spasmi violenti, un desiderio sempre più dominante, un’evoluzione che la faceva dubitare: “Sto diventando schiava di questo? O è il mio cammino verso una verità più profonda?”

Ogni pagina era un grido silenzioso, il suo animo che oscillava tra la devozione e un’ossessione che si faceva sempre più audace.

Manuel, un elettricista di 28 anni che lavorava alle Oblate, fu chiamato da Suor Maria Teresta per un guasto banale nella cella: una lampada che sfarfallava, un problema che richiese il suo intervento un pomeriggio mentre la superiora era in cappella per una preghiera. Manuel era un ragazzo che da anni lavorara nella biblioteca: capelli castani arruffati e un sorriso sfrontato, si occupava della manutenzione – riparava prese, cablaggi, luci nelle sale affrescate – e conosceva i ritmi delle Oblate, i silenzi delle suore che lo guardavano con distacco. Ma in lui covava un desiderio represso per quelle figure eteree, un mix tra rispetto e fantasie proibite: “Sono intoccabili, ma quanto mi garberebbe profanarle” pensava spesso, il suo animo curioso e impulsivo che lo spingeva a osservare di nascosto. Quel giorno, nella cella di Maria Teresa, trovò il diario aperto sul comodino – lasciato lì per distrazione – e la curiosità lo travolse. “Solo un’occhiata,” si disse, ma le parole lo risucchiarono: descrizioni crude della passione di Matilde con Alex, la gelosia e l’eccitazione di Maria Teresa, ogni dettaglio che dipingeva Matilde come una donna viva sotto l’abito monacale. Il suo animo si infiammò: il membro si indurì nei pantaloni, un desiderio possessivo che sfociava in un impulso primitivo: “Suor Matilde…guarda un po' che donna si nasconde dietro i voti” pensò, l’eccitazione che lo consumava, il suo animo che virava verso un’eccitazione brutale, un piano che si formava nella sua mente – andare da lei, subito, e reclamare ciò che il diario gli aveva promesso.

Inventò una scusa per entrare nella cella di Suor Matilde quel pomeriggio dopo pranzo, mentre lei riposava: “C’è un problema al circuito generale – devo controllare le prese in tutte le celle” disse alla portinaia, il cuore che martellava per l’anticipazione, il suo animo in subbuglio, un misto di eccitazione e senso di potere che lo spingeva verso l’ignoto.
Matilde, sdraiata sul letto in un momento di pausa, aprì la porta con sonnolenza, l’abito monacale che le scivolava sulle spalle, ignara del fuoco che covava nel giovane, il suo animo devoto che non sospettava nulla, tornando a sedersi sul letto con un libro di preghiere in mano.

Manuel chiuse la porta con un clic deciso, il suono che echeggiava come un sigillo, il suo sguardo che la squadrava con fame, il corpo teso, il desiderio che lo consumava. “So quanto ti è piaciuto farti trombare in Belgio” disse senza preamboli, la voce dura e intrisa di disprezzo, un’affermazione che colpì Matilde come un fulmine.

Lei impallidì, il libro che cadeva sul letto, il cuore che accelerava per lo shock: “Cosa stai dicendo? Esci subito!” gridò, alzandosi di scatto, il suo animo devoto che si ribellava con furia – la paura mista a un brivido proibito, il ricordo di Alex che subito riaffiorava come un’eco, un dubbio che la assaliva: “Come lo sa? Signore, proteggimi!”

Manuel, eccitato dalla situazione, avanzò con decisione, il corpo muscoloso che torreggiava su di lei: “Non fare la santarellina – so che ti piace farti scopare. Smettila di fingere, lo vedo come mi guardi, non vedevi l’ora di farti sbattere.” La sua voce era un ringhio, ma non la toccò immediatamente; invece, rimase a un passo di distanza, gli occhi fissi nei suoi, come per sfidarla a negare. Matilde indietreggiò fino al muro, le mani tremanti che stringevano l’abito, il respiro affannoso: “Non è vero! Questo è un sacrilegio, Manuel – vattene prima che chiami le altre sorelle!”

"Ottima idea" rispose Manuel "Chiama Suor Maria Teresa, cosi ci divertiamo in tre".

"Ti prego, smettila subito" continuò Matilde. La sua voce era un misto di rabbia e terrore, il suo animo che si aggrappava disperatamente alla fede. Manuel rise piano, un suono basso e crudele che echeggiò nella cella spartana: “Chiamale pure, ma prima dimmi: com’era con quel congolese? Ti ha fatta urlare, eh? Il diario non mente – sei una che finge di essere santa, ma sotto sotto non vedi l'ora di essere sfondata”

Matilde sentì un nodo in gola, le lacrime che le offuscavano la vista: “Come osi? E soprattutto come fai a saperlo? È il mio privato, un peccato che non ti riguarda! Il Signore ti punirà per questo!”

Il suo corpo tremava, ma sotto la paura, un calore familiare cominciava a insinuarsi, il ricordo del Belgio tradiva la sua risolutezza, facendola dubitare: “No, non posso cedere di nuovo – è il demonio che mi tenta!” Manuel si avvicinò di un altro passo, il suo odore muschiato che invadeva lo spazio, ma ancora non la sfiorava; voleva prolungare il momento, assaporare la sua lotta interiore. “Punirmi? E tu, allora? Hai giurato fedeltà a Dio, ma ti sei fatta trombare da prima da una suora, poi da uno studente e infine da uno straniero. Dimmi, Matilde – com’era sentirlo dentro di te? T'ha aperto in due fino a farti male, vero? E tu hai goduto come una maiala!”

Le sue parole erano come pugnali, scelte per scavare nel suo conflitto, per far riemergere il desiderio represso. Matilde scosse la testa violentemente, le mani che si alzavano come per scacciare via quelle immagini: “Basta! Non capisci – è stato un errore, un momento di debolezza! Ho pregato per il perdono, ho giurato di non cadere più! Tu non sei niente per me, solo un intruso!” Ma la sua voce si incrinò, il corpo che tradiva un fremito, le gambe che si stringevano istintivamente come per contenere un calore crescente.

Manuel notò quel segno, i suoi occhi che si illuminavano di trionfo: “Un errore? Dal diario sembra che ti sia piaciuto da morire. E ora guardati – tremi, ma non solo di paura. Lo sento, Matilde: il tuo corpo lo vuole, anche se la tua bocca dice no” Si avvicinò ancora, il suo alito caldo sul suo viso, ma lei lo spinse via con forza inaspettata, le unghie che graffiavano il suo braccio: “Allontanati! Non sono quella donna – sono una suora, devota al Signore! Questa è violenza, non desiderio!”

Il suo animo era un vortice: aborrava l’idea di tradire di nuovo i voti, ma il ricordo di Alex, amplificato dalle parole crude di Manuel, accendeva un fuoco che lottava per spegnere. Il confronto si protrasse, un duello di parole e sguardi che sembrava eterno, il pathos che cresceva con ogni scambio.

Manuel non si arrese, girando intorno a lei come un predatore, descrivendo dettagli dal diario per erodere la sua difesa: “Hai parlato di orgasmi violenti, di contrazioni che ti scuotevano – dimmi che non lo rivuoi, bugiarda!” Matilde replicava con preghiere sussurrate, invocando la Vergine Maria, ma ogni negazione era più debole, il suo respiro che si faceva affannoso: “No… no, è peccato mortale! Ho già sofferto abbastanza per quei momenti – non mi farai cadere di nuovo!”

Le lacrime le rigavano il viso, il corpo teso come una corda, ma Manuel la incalzava, toccandola finalmente con un dito sul braccio, un contatto elettrico che la fece sussultare: “Vedi? Il tuo corpo dice il vero. Smettila di combattere, Matilde – sei nata per questo, non per pregare in una cella fredda” Lei lo schiaffeggiò, il suono che riecheggiava, ma lui la afferrò per i polsi, tenendola ferma senza violenza eccessiva, solo per prolungare la tensione: “Picchiami pure, ma lo sento che stai cedendo.” Matilde lottò internamente a quella tentazione, la vedeva come un abisso che l’avrebbe inghiottita, ma il calore tra le gambe cresceva, un tradimento fisico che la faceva dubitare della sua forza. “Signore, dammi la forza… non voglio questo” pensò, ma le parole di Manuel continuavano a martellare, un crescendo lento che erodeva la sua volontà.

Alla fine, dopo minuti che sembrarono ore, Matilde sentì la resistenza spezzarsi piano, il corpo che si rilassava contro il suo volere, un sussurro che le sfuggì: “Ti prego… no… ma…” Manuel sorrise, sapendo di aver vinto, e solo allora la spinse delicatamente verso il letto, mentre il suo animo possessivo che assaporava la capitolazione. “Ecco, lo sapevo – vuoi essere trombata!” disse, con voce trionfante.

Manuel la adagiò sul letto con una lentezza deliberata, le mani che le bloccavano i polsi sopra la testa, ma non con brutalità immediata; invece, iniziò con baci leggeri sul collo, la lingua che tracciava linee umide sulla pelle sensibile, facendola rabbrividire nonostante il rifiuto residuo. “Boia come tremi” mormorò, le labbra che scendevano verso il petto, svestendo piano l’abito per esporre i seni piccoli ma sodi, i capezzoli che si indurivano all’aria fresca della cella. Matilde gemette piano, un suono involontario che la tradiva: “No… fermati” sussurrò, ma il corpo si inarcava leggermente verso di lui, un brivido che le saliva dal basso ventre al suo tocco rude. Lui dedicò minuti interi a esplorare i suoi seni, la bocca che succhiava un capezzolo mentre la mano pizzicava l’altro, alternando pressione e delicatezza per costruire il desiderio, ogni morso leggero che le strappava un ansito, il suo animo che oscillava tra vergogna e un piacere crescente. “Vedi?! Il tuo corpo non mente” ringhiò, scendendo più in basso, le mani che le sollevavano l’abito con lentezza esasperante, esponendo le gambe affusolate, le cosce che tremavano al suo tocco.

Matilde chiuse gli occhi, le lacrime che continuavano a scorrere: “È sbagliato… sto peccando” pensò, ma le dita di Manuel che sfioravano l’interno delle cosce accendevano scintille, un calore umido che si diffondeva, facendola contorcere piano. Prolungò l’esplorazione, le dita che giravano intorno al suo sesso senza toccarlo direttamente, un teasing crudele che aumentava il pathos, il suo respiro caldo che soffiava sulla pelle esposta: “Dimmi che lo vuoi, Matilde – ammettilo!” Lei scosse la testa, ma un gemito le sfuggì quando finalmente la sfiorò, le dita che scivolavano sulla sua umidità, esplorando le pieghe con movimenti che la facevano ansimare. “No… sì… oh, Signore,” balbettò, il conflitto che la divorava mentre il piacere montava, ondate che le contraevano i muscoli interni. Manuel continuò per lunghi minuti, alternando carezze leggere e penetrazioni digitali profonde, il pollice che stimolava il clitoride in ritmi crescenti, portandola al bordo dell’orgasmo più volte senza concederglielo, un tormento che la faceva implorare nonostante se stessa: “Ti prego… basta… o continua…”

In quel momento di vulnerabilità, con il corpo in fiamme e la mente annebbiata dal desiderio represso, Matilde sentì un impulso primordiale emergere, un’eco del suo peccato in Belgio che ora si rivoltava contro di lei. Manuel, percependo la sua capitolazione incipiente, allentò la presa sui suoi polsi e si tirò indietro leggermente, slacciandosi i pantaloni con un gesto lento e provocatorio. Il suo membro eretto balzò libero, imponente e venoso, pulsante di anticipazione, e lo sfregò contro la sua guancia, tracciando una linea umida sulla pelle arrossata. “Se lo vuoi tanto, dimostramelo!” disse con voce bassa e autoritaria, gli occhi fissi nei suoi, sfidandola a superare l’ultimo baluardo di resistenza. Matilde esitò, il cuore che le martellava nel petto, le lacrime che continuavano a scendere mentre fissava quell’organo rude e mascolino, così diverso dal tocco gentile di Alex e l'esuberanza di Daniele, ma altrettanto irresistibile nel suo richiamo carnale. “Non posso… è un abominio!” mormorò, ma le sue labbra si schiusero involontariamente, il respiro affannoso che le sfiorava la pelle sensibile del glande.

Con un singhiozzo represso, Matilde cedette, le mani tremanti che si posavano sulle cosce muscolose di lui per stabilizzarsi. Iniziò con esitazione, la lingua che lambiva timidamente la punta, assaporando il sale muschiato della sua eccitazione, un sapore che le fece contrarre lo stomaco in un misto di disgusto e curiosità proibita. Manuel gemette piano, le dita che si intrecciavano nei suoi capelli biondi, guidandola senza forzare: “Brava, suora… leccalo come se fosse la tua ultima preghiera!” Incoraggiata dal suo suono di approvazione, Matilde si fece più audace, la bocca che si apriva per accoglierlo, le labbra che si stringevano intorno all’asta in un ritmo incerto ma crescente. Succhiò piano all’inizio, la lingua che roteava intorno al frenulo, esplorando ogni vena pulsante con una devozione che tradiva la sua riluttanza iniziale. Il membro di Manuel si indurì ulteriormente nella sua bocca calda e umida, e lei lo prese più a fondo, soffocando un conato quando la punta urtò la gola, ma persistendo con una determinazione nuova, come se quel gesto la stesse liberando da catene invisibili.

Per minuti interminabili, Matilde lo venerò oralmente, alternando succhiate profonde e leccate superficiali lungo l’intera lunghezza, le mani che lo accarezzavano alla base mentre la saliva le colava sul mento, rendendo il tutto un rituale bagnato e osceno. Manuel la guardava dall’alto, il respiro irregolare, mormorando incoraggiamenti crudi: “Brava suora, sì… ciuccialo per bene Matilde. Senti come ti piace averlo in bocca!” E lei, contro ogni aspettativa, sentì il calore tra le gambe intensificarsi, un’umidità che le inzuppava le cosce mentre il suo clitoride pulsava al ritmo delle sue stesse movenze. La riluttanza si dissolveva in un godimento colpevole, il corpo che rispondeva con fremiti involontari, i gemiti soffocati intorno al suo membro che vibravano contro di lui, amplificando il piacere di entrambi. “Mmm… è… troppo” ansimò lei tra un affondo e l’altro, ma non si fermò, anzi accelerò, la testa che si muoveva su e giù con un fervore che la sorprese, come se quel gesto fosse un atto di espiazione e di rivendicazione insieme.

Soddisfatto ma non ancora appagato, Manuel la ritrasse delicatamente per i capelli, il membro lucido che usciva dalla sua bocca con un suono bagnato, e la spinse di nuovo sul letto. “Ora tocca a me farti gridare!” ringhiò, sfregando il glande contro le sue labbra intime senza entrare, un frizione lenta che la faceva inarcare i fianchi involontariamente, il corpo che implorava ciò che la mente ancora negava. Matilde, con le labbra gonfie e arrossate dal pompino, lo guardò con occhi velati di lacrime e desiderio: “Ti prego… non farmelo fare di nuovo!” sussurrò, ma le sue mani si aggrappavano alle sue spalle, tirandolo più vicino. Quando finalmente la penetrò, fu con un affondo iniziale lento, deliberato, il membro che la riempiva centimetro per centimetro, dilatandola in un’estasi dolorosa che la fece gridare piano, i muscoli che si contraevano intorno a lui in spasmi ritmici. “Oh Dio… è… troppo grande!” gemette, ma stavolta non era solo dolore: il suo corpo, ancora sensibile dalle emozioni precedenti, accolse l’invasione con un brivido di puro piacere, le pareti interne che lo stringevano avidamente.

Manuel mantenne un ritmo misurato all’inizio, ogni spinta profonda ma controllata, ritirandosi quasi del tutto per poi rientrare, colpendo punti sensibili che la facevano gemere contro la sua volontà – o forse no, ormai. “Senti come ti stringi intorno a me – lo vuoi tutto dentro eh” mormorò, accelerando gradualmente, le mani che le stringevano i fianchi per guidarla contro di sé, il sudore che li univa in un groviglio carnale. Matilde si aggrappò alle lenzuola, il corpo che rispondeva con spinte proprie, un orgasmo che la travolse in ondate violente, i muscoli interni che pulsavano in contrazioni intense, scuotendola come una tempesta mentre lui continuava, prolungando il suo piacere con affondi variati – profondi, superficiali, rotanti – che la portavano a un secondo culmine, le unghie che gli graffiavano la schiena in un misto di resistenza e abbandono totale. “Sì… oh, sì, Manuel… più forte!” gridò ora senza freni, la voce rotta dal godimento, le gambe che si avvolgevano intorno ai suoi fianchi per tirarlo più a fondo, il bacino che roteava contro di lui in un ritmo selvaggio e istintivo.

Dopo il pompino, il suo abbandono era completo: ogni affondo la faceva gemere ad alta voce, il piacere che le contraeva il ventre in spasmi deliziosi, il clitoride che sfregava contro il suo pube ad ogni spinta, mandandola in estasi ripetute. “Non fermarti… ti prego, scopami così… è divino!” ansimava, le parole che le sfuggivano come preghiere profane, il corpo che si inarcava in archi perfetti, i seni che rimbalzavano al ritmo frenetico. Manuel, eccitato dal suo cambiamento, variò le posizioni con lentezza provocatoria: la girò a quattro zampe, penetrandola da dietro con affondi lenti e profondi che le sfioravano il collo dell’utero, le mani che le strizzavano i glutei mentre lei spingeva all’indietro, implorando: “Più a fondo… sì, proprio lì!” Il sudore le colava tra i seni, il respiro un coro di gemiti che echeggiava nella cella, e quando lui la fece sdraiare di nuovo, montandola a cavalcioni, Matilde prese l’iniziativa, cavalcandolo con ua foga animalesca, i fianchi che salivano e scendevano in un turbine di piacere, le mani sul suo petto per bilanciarsi mentre un terzo orgasmo la travolgeva, facendola urlare in un’estasi che le annebbiava la vista.

Solo dopo lunghi minuti di questo turbine – spinte alternate a pause in cui lui le leccava il collo o le mordeva i capezzoli, prolungando ogni sensazione fino al limite – Manuel accelerò al massimo, i suoi affondi che diventavano frenetici, le palle che sbattevano contro di lei in un ritmo selvaggio. Matilde, ormai persa nel godimento, lo strinse con le gambe, urlandogli: “Vieni dentro di me… riempimi, ti prego!” Lui obbedì, riversandosi dentro di lei in fiotti caldi e abbondanti, un culmine condiviso che la lasciò ansimante, il corpo scosso da un ultimo spasmo mentre il suo seme la inondava, un calore che la fece contrarre di nuovo in un orgasmo residuale, prolungato e delizioso.

Il sorriso confuso e appagato che le incurvò le labbra era il sigillo di una pace fragile: *Cosa ho fatto?* pensò, ma stavolta il rimpianto era offuscato da una soddisfazione profonda, un brivido che le sussurrava *ne voglio di più*. Il suo animo, un tempo un turbine di rimorso, ora oscillava verso un orizzonte incerto: la vocazione la chiamava ancora, con il suo Duomo accusatore fuori dalla finestra, ma il desiderio – per Alex, per Daniele, per Maria Teresa, per Manuel – era diventato un alleato, un fuoco che illuminava crepe nella sua armatura. La biblioteca delle Oblate l’attendeva, con i suoi volumi di teologia che ora sembravano ingannevoli, ma Matilde si alzò piano, l’abito che ricadeva sul corpo segnato, pronta a un nuovo capitolo dove il conflitto non era più solo lotta, ma danza tra luce e ombra.
scritto il
2025-11-03
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