Suor Matilde e il secondo magico triangolo
di
Matilde25
genere
prime esperienze
Il giorno dopo l’incontro proibito nella sua cella, Suor Matilde si svegliò all’alba con il cuore pesante come piombo, il corpo ancora indolenzito dai segni invisibili del pomeriggio di passione con Manuel. La luce grigia dell’autunno fiorentino filtrava attraverso le persiane socchiuse, illuminando le lenzuola arruffate che odoravano di sudore e di peccato. Si alzò di scatto, le mani che tremavano mentre si portava al petto il crocifisso d’argento, mormorando una preghiera frettolosa:
“Signore, che ho fatto? Mi sono lasciata travolgere un'altra volta come una foglia nel vento, ho tradito nuovamente i miei voti, Maria Teresa, me stessa”
Il ricordo di Manuel – il suo membro rude che la dilatava, gli affondi che l’avevano fatta urlare in estasi colpevole, il rapporto orale che aveva iniziato con disgusto e finito in un fervore che la spaventava – le bruciava nella mente come un marchio. "Ero io? Quella donna che implorava di più, che cavalcava il piacere come una cavallerizza impazzita?" Il rimorso la straziava: da un lato, la suora devota che aspirava alla purificazione; dall’altro, una parte di sé risvegliata, che sussurrava "era divino, era vita vera".
Si lavò il viso con acqua fredda dal catino, l’abito monacale che le sembrava una prigione troppo stretta, e decise: doveva confessarsi a Maria Teresa, la sua àncora, la sua amante segreta. Solo lei poteva assolvere quel peso, o almeno condividerlo. Voleva anche ricevere spiegazioni, su come avesse fatto Manuel a sapere del Belgio. Solo lei ne era a conoscenza.
Nel pomeriggio, durante la pausa dopo il pranzo comunitario, Matilde bussò alla porta della cella di Maria Teresa, il cuore che le martellava come un tamburo di guerra. La superiora la accolse con un sorriso stanco, gli occhi neri che scrutavano il suo viso arrossato: “Sorella mia, cosa ti tormenta? Sembri un fantasma” Matilde crollò in ginocchio, le parole che le uscivano in un torrente tremante: “Ho peccato di nuovo, Maria Teresa. Ieri pomeriggio, qui, nella mia cella… Manuel, l’elettricista. Mi ha sorpresa, sapeva di Alex – del Belgio – e mi ha… mi ha presa. Ho resistito, giuro, ma poi… oh, Signore, ho ceduto. Il suo tocco, il suo corpo… mi ha fatto cose che non posso ripetere, e io… io ho goduto, come una dannata!”
Descrisse tutto in sussurri rotti: il rituale crudele delle sue dita, il pompino che aveva iniziato con lacrime e finito con un’urgenza famelica, gli orgasmi multipli che l’avevano scossa in contrazioni violente, il suo abbandono totale mentre lo cavalcava.
Maria Teresa ascoltava, il viso che impallidiva, le mani strette in grembo fino a sbiancare le nocche. “E come poteva saperlo? Di Alex, dei dettagli… solo tu lo sai!” esclamò Matilde, la voce incrinata dal panico.
Maria Teresa esitò, gli occhi che si riempivano di lacrime, e poi crollò: “Il diario… il mio diario. L’ho lasciato aperto, per distrazione, mentre lui riparava la lampada. Deve averlo letto, sia dannata per l'eternità la sua insolenza. Ho scritto tutto, Matilde: la tua confessione, i miei pensieri… la gelosia, l’eccitazione nell'immaginare te con Alex. Signore, perdonami!” Singhiozzò, il corpo imponente che tremava, i seni che si alzavano e abbassavano sotto l’abito austero.
Matilde la strinse a sé, ma il gesto era goffo, contaminato dal tradimento reciproco: “Il tuo diario?! Hai scritto di noi… di me?”
Maria Teresa si ritrasse, il viso distorto dal dolore: “Vai via ora, sorella. Ho bisogno di pregare.” Matilde uscì barcollando, l’animo in un vortice: "L’ho ferita, e lei ha ferito me con quelle parole scritte. Siamo entrambe cadute, ma questo ci divide invece di unirci"
Il gelo si insinuò tra di loro come una nebbia autunnale, un silenzio pesante che durò minuti, ore, giorni.
Nei giorni successivi, il convento divenne un’arena di tensioni silenziose. Manuel, con il suo sorriso sfrontato e i muscoli tesi dal lavoro, non perse tempo a punzecchiare Matilde: durante una riparazione nel refettorio, le sfiorò il braccio di proposito, sussurrando: “Sorella, stanotte sogni quel pompino? O preferisci che ti ricordi come ti stringevi intorno a me?” Lei arrossì furiosamente, balbettando suoni incomprensibili mentre le altre suore chiacchieravano ignare, il cuore che accelerava per un misto di rabbia e brivido proibito.
Durante il rosario nel giardino, lui le passò accanto con un’occhiata complice, mimando un gesto osceno con le dita che solo lei capì, facendola tremare di umiliazione. "Basta, non posso più resistere a questo gioco", pensava Matilde, ma il corpo la tradiva con ormai il solito calore tra le sue cosce.
Maria Teresa, dal canto suo, reagiva sempre peggio: durante le lezioni di teologia, la rimproverava per sciocchezze – “Matilde, la tua pronuncia è pigra, come il tuo spirito!” – con una crudeltà che feriva più delle parole, gli occhi neri che saettavano di gelosia repressa. Le notti di passione condivise svanirono; al loro posto, silenzi gelidi e sguardi obliqui.
Matilde capì di aver esagerato: il suo tradimento con Manuel aveva incrinato il legame più sacro della sua vita, quello con Maria Teresa, la donna che l’aveva introdotta al piacere proibito, che l’aveva fatta sentire amata oltre i voti. "Devo riparare, unirci di nuovo… anche se dovesse significare condividere il fuoco"
Elaborò un piano audace, nato da un mix di rimorso e desiderio: far incontrare Manuel e Maria Teresa, nella cappella interna delle Oblate, quel santuario affrescato con scene bibliche che sembravano giudicare ogni sussurro, alle 19, l’ora del vespro, quando il convento era immerso nel silenzio delle preghiere vespertine.
A Manuel, durante una “riparazione” casuale nel corridoio, sussurrò con finta malizia: “Stasera, cappella, alle 19. Non ce la faccio più… ho ancora voglia di te, di sentirti dentro.” Lui annuì con un ghigno predatorio, gli occhi che brillavano.
A Maria Teresa, invece, durante un momento di pausa in biblioteca, disse con voce tremante di sincerità: “Sorella mia, prego per noi. Incontriamoci in cappella alle 19 per una preghiera comune, per guarire questo gelo. Ti supplico”
Maria Teresa esitò, il viso segnato da occhiaie profonde, ma annuì: “Per te, Matilde… per noi”
Alle 19 Matilde non si presentò subito: si nascose dietro un ingresso secondario della cappella, il cuore che le rimbombava nelle orecchie, lo stomaco annodato dall’ansia. "Signore, guidami in questo abisso. Se è peccato, che sia per amore"
Dentro la cappella, illuminata da candele tremolanti che proiettavano ombre danzanti sulle pareti affrescate – angeli e santi che sembravano voltare lo sguardo – Manuel entrò per primo, con il suo passo sicuro, e il corpo teso dall’attesa. Trovò Maria Teresa inginocchiata sul banco di legno freddo, le mani giunte in preghiera, lo chignon austero che le incorniciava il viso pallido.
La sorpresa lo colpì come un fulmine: “Tu che fai qui? Dove diavolo è Matilde?” ringhiò piano, ma la sua voce era intrisa di quel fascino rude che aveva spezzato Matilde.
Maria Teresa si alzò di scatto, gli occhi neri dilatati: “Che ci fai qui, intruso? Questa è casa di Dio, non il tuo bordello!”
Manuel rise basso, avanzando con la stessa strategia usata giorni prima: un misto di sfida e seduzione, gli occhi fissi nei suoi come per scavare nell’anima. “Oh, sorella, lo so bene cos’è la casa di Dio per te. Il tuo diario non mente: ti trombi Matilde la notte, le tue dita che la fanno godere, le tue tettone che lei bacia come fossero reliquie. Gelosa di quel congolese? E ora di me? Beh, tocca a te. Matilde mi ha succhiato il membro l’altro giorno, con lacrime e poi con fame da lupa. Ora fai lo stesso, superiora – inginocchiati e mostrami quanto desideri ciò che non puoi avere.”
Maria Teresa indietreggiò, il respiro affannoso, le mani che stringevano il rosario come un’arma: “Vattene, demonio! Sono una sposa di Cristo!”
Ma le parole di Manuel erano pugnali precisi, evocando le pagine del diario – la sua ossessione per Matilde, l’eccitazione voyeuristica nell'immaginare lei posseduta – e un calore traditore si accese nel suo basso ventre. "No, non posso… è un sacrilegio" pensò, ma il corpo imponente la tradiva: i capezzoli che si indurivano sotto l’abito, un’umidità che le bagnava le cosce.
Manuel si avvicinò, slacciandosi i pantaloni con lentezza provocatoria, il membro eretto che balzava libero, venoso e imponente, sfregandolo contro il suo palmo chiuso. “Senti come è duro per te. Il diario dice che sogni di essere riempita, di urlare come Matilde. Non fingere, suora – inginocchiati, e leccalo. È il tuo nuovo rosario”
Lei tentennò, le lacrime che le rigavano il viso, un singhiozzo represso: “È sbagliato… il Signore mi castigherà!” Ma cedette, piano, le ginocchia che toccavano il pavimento di pietra fredda, la bocca che si apriva esitante sulla punta, assaporando il sale muschiato con un disgusto che celermente mutava in piacere.
“Brava… succhialo come preghi” mormorò lui, le mani nei suoi capelli neri, guidandola in un ritmo crescente. Maria Teresa iniziò timida, la lingua che lambiva il glande, ma presto lo prese più a fondo, le labbra che si stringevano intorno all’asta, soffocando conati mentre lo venerava con una devozione profana, i gemiti soffocati che vibravano contro di lui. Il suo corpo rispondeva: le mani che accarezzavano la base, la saliva che colava sul mento, un piacere voyeuristico che la consumava – *Sto sbagliando tutto, ma è così vivo, così mio!*
Fuori dalla porta, intanto Matilde spiava il tutto, il fiato corto e mozzo come un rantolo di agonia estatica, una mano che scivolava sotto l’abito monacale con urgenza sacrilega, le dita affusolate che affondavano piano nelle pieghe gonfie e vellutate del suo sesso umido, tracciando cerchi lenti e febbrili intorno al clitoride eretto e pulsante, un nodo di fuoco liquido che le trafiggeva il ventre come una croce capovolta.
"Sì… guardala, Maria Teresa, libera e dissoluta come l’ho sognata nelle mie notti di penitenza ardente, il tuo corpo che si arrende a quel demone di carne" pensò, con il calore che le saliva dal basso ventre in ondate viscerali e inarrestabili, un fiume di lava che le contraeva i muscoli interni in spasmi anticipatori, mentre osservava il fervore crescente e animalesco con cui Maria Teresa succhiava il membro di quel ragazzo sbruffone ma irresistibilmente magnetico, la testa che si muoveva su e giù con un ritmo ipnotico e vorace, le labbra carnose e peccaminose che si tendevano intorno all’asta venosa e turgida, succhiando con un suono bagnato e osceno, mentre la saliva le colava in rivoli lucidi sul mento e sul collo, mescolandosi al sudore che le imperlava la pelle olivastra.
Non resistette più: il piacere voyeuristico la spinse oltre il baratro, entrò nella cappella con passo felino e predatorio, chiudendo la porta con un clic sommesso che suonò come il sigillo di un patto demoniaco, un invito fatale e irresistibile.
I due si voltarono di scatto, sorpresi e trafitti da un desiderio che era una lama rovente – Manuel con un ghigno trionfante e famelico, gli occhi castani che divoravano la sua figura tremante come un lupo affamato di carne sacra; Maria Teresa con la bocca ancora lucida di saliva viscida e pre-eiaculatio, le labbra gonfie e arrossate come petali straziati, gli occhi neri velati di vergogna liquida e un desiderio rovente che le faceva tremare le mani.
Matilde non parlò; il suo corpo era un inno muto e lascivo, un silenzio carico di promesse proibite. Si spogliò con una lentezza torturante e sensuale, un rituale di seduzione che era una litania erotica: le dita tremanti slacciavano l’abito monacale come se fosse una tunica da sacrificare, il tessuto nero e ruvido che scivolava dalle spalle con un fruscio peccaminoso, rivelando i seni sodi che si alzavano e abbassavano con il respiro affannoso e irregolare, i capezzoli rosa e turgidi come boccioli di rose profanate, eretti e imploranti di essere morsi, succhiati, tormentati fino al dolore estatico; poi, con un sospiro tremante e roco che le sfuggì dalle labbra, le mutande intrise di umidità le calarono lungo le cosce affusolate e morbide come seta bagnata, esponendo il sesso, le labbra intime gonfie, rosse e spalancate come un fiore carnivoro, lucide di umidità viscida, il clitoride che spuntava eretto e sensibile come un altare pulsante, un invito rovente sotto la luce tremolante e complice delle candele.
Rimase nuda al centro della cappella, la pelle d’oca per l’aria fresca che le accarezzava i capezzoli e il sesso esposto, e fece segno con un dito tremante, la voce un sussurro rauco, spezzato e implorante che era un’invocazione pagana:
“Venite… entrambi. Prendetemi, fate di me il vostro calice di peccato. Questo ci unirà nel peccato più profondo"
Manuel fu il primo a muoversi, il suo corpo muscoloso e sudato che si ergeva come un dio pagano soddisfatto e insaziabile, con una mano possessiva e rude, le dita callose che sfregavano contro la pelle della superiora, afferrò Maria Teresa per il braccio carnoso, spingendola verso Matilde con una forza che era tenerezza brutale e dominante, mentre con l’altra si accarezzava il membro eretto e lucido di saliva, la pelle tesa e venosa che pulsava come un cuore esposto e famelico.
Maria Teresa, esitò solo un istante – un lampo di resistenza che svanì come nebbia al sole del desiderio – ma lo sguardo di Matilde, colmo di supplica ardente, di lacrime di fuoco liquido e di un desiderio che le faceva luccicare la pelle come olio santo, la sciolse come cera sotto fiamma infernale: “Sorella mia… oh, sì, ti voglio così, nuda e mia, da leccare fino all’oblio,” sussurrò con voce spezzata e vellutata, il tono un misto di resa totale, un raschio basso che le risaliva dalla gola mentre si inginocchiava accanto a Matilde, che si era adagiata sul bordo del banco di legno antico e ruvido, le gambe divaricate in un’offerta lasciva, i talloni piantati sul pavimento freddo e irregolare per inarcare il bacino snello, esponendo il sesso fremente e gocciolante al loro sguardo vorace e predatorio, i capezzoli che sfregavano contro l’aria carica di incenso.
Iniziarono piano, ma con un’intensità che era un crescendo di lava bollente e inarrestabile, un trio di corpi intrecciati in un rituale profano e meticoloso, con Matilde al centro assoluto come un cuore pulsante di carne bagnata e peccaminosa, un epicentro di lussuria che li risucchiava tutti.
Manuel si inginocchiò tra le sue gambe aperte e tremanti come foglie in tempesta, le mani callose e forti che le afferravano le cosce morbide e pallide per sollevarle e divaricarle ulteriormente in un’apertura totale e vulnerabile, con un affondo lento, deliberato e torturante fino al delirio, la penetrò fino in fondo, il membro venoso e rovente come ferro incandescente che la dilatava centimetro per centimetro in un’invasione lenta e crudele,
“Oh sì… riempimi, Manuel, oh Dio maledetto, sì… più a fondo, fammi tua con quel membro duro come il peccato!”
Maria Teresa, inginocchiata al fianco destro di Matilde come una sacerdotessa devota e corrotta fino al midollo, si chinò sul suo petto esposto e fremente, le labbra carnose che catturavano un capezzolo turgido e sensibile come un frutto proibito, succhiandolo con una fame insaziabile, la lingua che roteava in movimenti lenti all’areola ruvida, alternando morsi leggeri ma taglienti come spine di rose, che le strappavano ansiti acuti; la sua mano libera, scivolava sul ventre piatto e fremente di Matilde, sfiorando il clitoride gonfio e scivoloso con il pollice in movimenti insistenti e crudeli, sincronizzati con le spinte potenti di Manuel, che ora accelerava il ritmo in un crescendo selvaggio, ogni affondo la colpiva nel punto più segreto e proibito, facendola contrarre intorno a lui in spasmi sempre più violenti.
Matilde era il fulcro infuocato: il suo corpo fremeva e si contorceva tra i due come una fiamma viva, le gambe affusolate avvolte intorno ai fianchi stretti e sudati di Manuel per tirarlo più a fondo in un abbraccio disperato e possessivo, i talloni che gli premevano contro la sua schiena muscolosa in un uncino di carne, mentre la bocca si apriva in gemiti imploranti che echeggiavano contro le pareti affrescate – “Sì… più forte, vi prego, fate di me ciò che volete… oh, Maria Teresa, mordimi fino al sangue, Manuel, scopami fino a squarciarmi l’anima!” – e le mani si intrecciavano nei capelli setosi di Maria Teresa, guidandola da un seno all’altro con una presa possessiva e tremante, le unghie che le graffiavano il cuoio capelluto in segni di passione febbrile, il piacere che le saliva dal basso ventre in ondate crescenti e inarrestabili.
Dopo minuti di questo ritmo ipnotico e torturante, che sembrava durare un’eternità di estasi negata e prolungata fino al limite della follia, Manuel si ritrasse, un movimento lascivo che risuonò come un’imprecazione, il membro lucido di umori e saliva che pulsava nell’aria fresca come un’arma rovente e gocciolante, e fece cenno a Maria Teresa con un ghigno diabolico e sudato: “Ora tocca a te sentirlo dentro, superiora – ma resta con lei, leccala mentre ti riempio, fatevi venire insieme in un fiume di peccato.”
Maria Teresa, con un singhiozzo di resa totale e passione travolgente che le squassò i seni, si alzò quel tanto che bastava per sollevare l’abito monacale sulle cosce possenti e carnose con un gesto frenetico, rivelando il sesso maturo, le labbra gonfie che luccicavano alla luce delle candele come un frutto proibito; si posizionò a cavalcioni sul viso di Matilde, che era sdraiata supina sul banco con la testa reclinata all’indietro in un abbandono totale e masochista, le gambe ancora divaricate e tremanti verso Manuel.
La superiora abbassò il bacino con una lentezza esasperante, un movimento ondulatorio che sfregava il suo sesso umido e profumato di devozione corrotta contro le labbra di Matilde, che lo accolse avidamente con la lingua affamata e guizzante, leccando le pieghe gonfie e vellutate in lambite lunghe, dal basso verso l’alto in tracciati di fuoco preciso lungo il perineo sensibile e contratto, concentrandosi sul clitoride eretto con la punta della lingua in vibrazioni rapide che erano un tormento delizioso, succhiandolo come un nettare divino mentre le labbra lo sigillavano in un bacio bagnato e voracei suoi gemiti profondi e gutturali che rimbombavano come preghiere profanate e spezzate, un coro di “Matilde… sì, sorella mia, leccami così, la tua bocca è il mio inferno dolce… più a fondo, succhiami il clitoride fino a farmelo esplodere, fammi tua”
Manuel, riprese la sua posizione tra le gambe spalancate e fradice di Matilde, penetrandola di nuovo da quell’angolazione profonda e intima – lei sdraiata, lui in piedi che la teneva per i fianchi snelli con mani ferree e possessive – con affondi più rapidi e voraci, un ritmo carnale, il bacino che sbatteva contro il suo ,il pube ruvido e sudato che sfregava il clitoride di Matilde a ogni spinta potente e rotante.
Matilde, al centro di quell’uragano sensuale e annichilente, era travolta da un piacere doppio e divorante: la bocca occupata dal sapore salato, dolce e inebriante di Maria Teresa sotto, il membro di Manuel che la riempiva e la dilatava fino al limite della rottura, colpendo quel punto interno segreto con una precisione brutale e implacabile che le mandava scintille di estasi pura.
Il piacere montava sincronizzato come una sinfonia proibita: Matilde sentì il primo orgasmo travolgerla come una tempesta devastante, un’esplosione che le squassò il corpo intero, un fiotto caldo e abbondante di umidità che le sfuggiva in spruzzi liquidi e incontrollabili mentre urlava contro il sesso di Maria Teresa – “Sto venendo…" le vibrazioni della sua voce rotta che riverberavano attraverso la carne della superiora come un terremoto.
Maria Teresa si inarcò con un grido soffocato, il corpo scosso da contrazioni profonde come contrappassi, il clitoride che pulsava contro la lingua di Matilde in un rilascio caldo, viscido e inarrestabile che le colava sul mento, sul collo e tra i seni in rivoli appiccicosi e caldi, il sapore acre e divino di femmina che le riempiva la bocca e le colava in gola come un’ostia profanata.
Manuel, eccitato oltre ogni limite mortale da quello spettacolo di carne tremante, gemiti intrecciati e umori misti, accelerò le spinte in Matilde con una frenesia possessiva e selvaggia.
Le mani che le stringevano i glutei sodi e rotondi per sollevarla leggermente dal banco, permettendogli affondi ancora più profondi ; ma il suo controllo si frantumò presto come vetro sotto martello, si ritrasse all’ultimo istante in un gesto di dominio crudele, il membro eretto, gonfio come una verga infernale che schizzava sperma caldo, denso e abbondante sul ventre piatto e fremente di Matilde, sui seni arrossati e sensibili, sui capezzoli turgidi.
Il suo orgasmo che lo scuoteva in ondate pulsanti, i muscoli che si contraevano in spasmi visibili mentre ansimava rauco e spezzato: “Ecco qui, solo per voi due, sante e dannate… vi riempio di me, vi marchio con il mio seme bollente!”
Esauste ma non sazie, le due suore si rialzarono piano dal banco come dee risorte dal peccato e dal piacere estremo, i corpi nudi e segnati dalla battaglia carnale – Matilde con il seme caldo e appiccicoso che le luccicava sulla pelle come perle luccicanti, colando languidamente verso il suo ombelico e il sesso ancora spalancato; Maria Teresa con le cosce ancora tremanti, il sesso gonfio e rosso che pulsava visibilmente.
Si inginocchiarono insieme davanti a Manuel, che era rimasto in piedi esausto ma trionfante, con il membro semi-eretto che pendeva pesante tra le gambe muscolose, un’asta sensibile e venosa che fremeva al minimo soffio; le loro mani si intrecciarono sul suo petto in una carezza possessiva, scendendo piano in un’esplorazione erotica per accarezzare quel membo alla base con dita intrecciate e tremanti.
Poi le bocche si unirono in un atto finale in un bacio profano: Matilde iniziò con una leccata lenta e languida lungo l’asta sensibile e venosa, raccogliendo i residui del suo piacere misto tracciando linee di fuoco dal basso verso l’alto; Maria Teresa, possessiva e esperta come una matrona, lambiva il glande gonfio con la lingua, succhiando la punta con una delicatezza ritmata che lo faceva indurire di nuovo in un rigonfiamento visibile, i loro respiri affannosi e caldi che si mescolavano in un’armonia rovente e umida.
Le lingue si attorcigliavano intorno al membro intrecciandosi in un balletto bagnato, osceno e ipnotico – quella di Matilde agile e precisa, che roteava sul frenulo sensibile, sfiorando le vene pulsanti con la punta guizzante; e quella di Maria Teresa, che avvolgeva l’asta intera in lambite ampie e avvolgenti, sfiorandosi a vicenda in baci fugaci.
Le loro lingue che si intrecciavano anche tra loro intorno alla carne di lui in un triangolo di saliva viscida e desiderio puro, un vortice dove i sapori si fondevano in un’estasi condivisa e travolgente, il seme residuo che le univa in un filo appiccicoso tra le bocche. Manuel gemette piano, un suono spezzato e estatico che gli sfuggì come un implorazione, mentre le suore lo ripulivano e lo riaccendevano con quella devozione condivisa e sensuale fino al parossismo, le lingue che danzavano in armonia peccaminosa e ritmica fino a farlo indurire completamente di nuovo, un sigillo eterno e pulsante al loro patto carnale nel cuore stesso della cappella, sotto lo sguardo muto e complice del Duomo che vegliava fuori, avvolto nella nebbia autunnale e nel silenzio di un Dio che taceva, forse persino esso eccitato dal loro idillio.
“Signore, che ho fatto? Mi sono lasciata travolgere un'altra volta come una foglia nel vento, ho tradito nuovamente i miei voti, Maria Teresa, me stessa”
Il ricordo di Manuel – il suo membro rude che la dilatava, gli affondi che l’avevano fatta urlare in estasi colpevole, il rapporto orale che aveva iniziato con disgusto e finito in un fervore che la spaventava – le bruciava nella mente come un marchio. "Ero io? Quella donna che implorava di più, che cavalcava il piacere come una cavallerizza impazzita?" Il rimorso la straziava: da un lato, la suora devota che aspirava alla purificazione; dall’altro, una parte di sé risvegliata, che sussurrava "era divino, era vita vera".
Si lavò il viso con acqua fredda dal catino, l’abito monacale che le sembrava una prigione troppo stretta, e decise: doveva confessarsi a Maria Teresa, la sua àncora, la sua amante segreta. Solo lei poteva assolvere quel peso, o almeno condividerlo. Voleva anche ricevere spiegazioni, su come avesse fatto Manuel a sapere del Belgio. Solo lei ne era a conoscenza.
Nel pomeriggio, durante la pausa dopo il pranzo comunitario, Matilde bussò alla porta della cella di Maria Teresa, il cuore che le martellava come un tamburo di guerra. La superiora la accolse con un sorriso stanco, gli occhi neri che scrutavano il suo viso arrossato: “Sorella mia, cosa ti tormenta? Sembri un fantasma” Matilde crollò in ginocchio, le parole che le uscivano in un torrente tremante: “Ho peccato di nuovo, Maria Teresa. Ieri pomeriggio, qui, nella mia cella… Manuel, l’elettricista. Mi ha sorpresa, sapeva di Alex – del Belgio – e mi ha… mi ha presa. Ho resistito, giuro, ma poi… oh, Signore, ho ceduto. Il suo tocco, il suo corpo… mi ha fatto cose che non posso ripetere, e io… io ho goduto, come una dannata!”
Descrisse tutto in sussurri rotti: il rituale crudele delle sue dita, il pompino che aveva iniziato con lacrime e finito con un’urgenza famelica, gli orgasmi multipli che l’avevano scossa in contrazioni violente, il suo abbandono totale mentre lo cavalcava.
Maria Teresa ascoltava, il viso che impallidiva, le mani strette in grembo fino a sbiancare le nocche. “E come poteva saperlo? Di Alex, dei dettagli… solo tu lo sai!” esclamò Matilde, la voce incrinata dal panico.
Maria Teresa esitò, gli occhi che si riempivano di lacrime, e poi crollò: “Il diario… il mio diario. L’ho lasciato aperto, per distrazione, mentre lui riparava la lampada. Deve averlo letto, sia dannata per l'eternità la sua insolenza. Ho scritto tutto, Matilde: la tua confessione, i miei pensieri… la gelosia, l’eccitazione nell'immaginare te con Alex. Signore, perdonami!” Singhiozzò, il corpo imponente che tremava, i seni che si alzavano e abbassavano sotto l’abito austero.
Matilde la strinse a sé, ma il gesto era goffo, contaminato dal tradimento reciproco: “Il tuo diario?! Hai scritto di noi… di me?”
Maria Teresa si ritrasse, il viso distorto dal dolore: “Vai via ora, sorella. Ho bisogno di pregare.” Matilde uscì barcollando, l’animo in un vortice: "L’ho ferita, e lei ha ferito me con quelle parole scritte. Siamo entrambe cadute, ma questo ci divide invece di unirci"
Il gelo si insinuò tra di loro come una nebbia autunnale, un silenzio pesante che durò minuti, ore, giorni.
Nei giorni successivi, il convento divenne un’arena di tensioni silenziose. Manuel, con il suo sorriso sfrontato e i muscoli tesi dal lavoro, non perse tempo a punzecchiare Matilde: durante una riparazione nel refettorio, le sfiorò il braccio di proposito, sussurrando: “Sorella, stanotte sogni quel pompino? O preferisci che ti ricordi come ti stringevi intorno a me?” Lei arrossì furiosamente, balbettando suoni incomprensibili mentre le altre suore chiacchieravano ignare, il cuore che accelerava per un misto di rabbia e brivido proibito.
Durante il rosario nel giardino, lui le passò accanto con un’occhiata complice, mimando un gesto osceno con le dita che solo lei capì, facendola tremare di umiliazione. "Basta, non posso più resistere a questo gioco", pensava Matilde, ma il corpo la tradiva con ormai il solito calore tra le sue cosce.
Maria Teresa, dal canto suo, reagiva sempre peggio: durante le lezioni di teologia, la rimproverava per sciocchezze – “Matilde, la tua pronuncia è pigra, come il tuo spirito!” – con una crudeltà che feriva più delle parole, gli occhi neri che saettavano di gelosia repressa. Le notti di passione condivise svanirono; al loro posto, silenzi gelidi e sguardi obliqui.
Matilde capì di aver esagerato: il suo tradimento con Manuel aveva incrinato il legame più sacro della sua vita, quello con Maria Teresa, la donna che l’aveva introdotta al piacere proibito, che l’aveva fatta sentire amata oltre i voti. "Devo riparare, unirci di nuovo… anche se dovesse significare condividere il fuoco"
Elaborò un piano audace, nato da un mix di rimorso e desiderio: far incontrare Manuel e Maria Teresa, nella cappella interna delle Oblate, quel santuario affrescato con scene bibliche che sembravano giudicare ogni sussurro, alle 19, l’ora del vespro, quando il convento era immerso nel silenzio delle preghiere vespertine.
A Manuel, durante una “riparazione” casuale nel corridoio, sussurrò con finta malizia: “Stasera, cappella, alle 19. Non ce la faccio più… ho ancora voglia di te, di sentirti dentro.” Lui annuì con un ghigno predatorio, gli occhi che brillavano.
A Maria Teresa, invece, durante un momento di pausa in biblioteca, disse con voce tremante di sincerità: “Sorella mia, prego per noi. Incontriamoci in cappella alle 19 per una preghiera comune, per guarire questo gelo. Ti supplico”
Maria Teresa esitò, il viso segnato da occhiaie profonde, ma annuì: “Per te, Matilde… per noi”
Alle 19 Matilde non si presentò subito: si nascose dietro un ingresso secondario della cappella, il cuore che le rimbombava nelle orecchie, lo stomaco annodato dall’ansia. "Signore, guidami in questo abisso. Se è peccato, che sia per amore"
Dentro la cappella, illuminata da candele tremolanti che proiettavano ombre danzanti sulle pareti affrescate – angeli e santi che sembravano voltare lo sguardo – Manuel entrò per primo, con il suo passo sicuro, e il corpo teso dall’attesa. Trovò Maria Teresa inginocchiata sul banco di legno freddo, le mani giunte in preghiera, lo chignon austero che le incorniciava il viso pallido.
La sorpresa lo colpì come un fulmine: “Tu che fai qui? Dove diavolo è Matilde?” ringhiò piano, ma la sua voce era intrisa di quel fascino rude che aveva spezzato Matilde.
Maria Teresa si alzò di scatto, gli occhi neri dilatati: “Che ci fai qui, intruso? Questa è casa di Dio, non il tuo bordello!”
Manuel rise basso, avanzando con la stessa strategia usata giorni prima: un misto di sfida e seduzione, gli occhi fissi nei suoi come per scavare nell’anima. “Oh, sorella, lo so bene cos’è la casa di Dio per te. Il tuo diario non mente: ti trombi Matilde la notte, le tue dita che la fanno godere, le tue tettone che lei bacia come fossero reliquie. Gelosa di quel congolese? E ora di me? Beh, tocca a te. Matilde mi ha succhiato il membro l’altro giorno, con lacrime e poi con fame da lupa. Ora fai lo stesso, superiora – inginocchiati e mostrami quanto desideri ciò che non puoi avere.”
Maria Teresa indietreggiò, il respiro affannoso, le mani che stringevano il rosario come un’arma: “Vattene, demonio! Sono una sposa di Cristo!”
Ma le parole di Manuel erano pugnali precisi, evocando le pagine del diario – la sua ossessione per Matilde, l’eccitazione voyeuristica nell'immaginare lei posseduta – e un calore traditore si accese nel suo basso ventre. "No, non posso… è un sacrilegio" pensò, ma il corpo imponente la tradiva: i capezzoli che si indurivano sotto l’abito, un’umidità che le bagnava le cosce.
Manuel si avvicinò, slacciandosi i pantaloni con lentezza provocatoria, il membro eretto che balzava libero, venoso e imponente, sfregandolo contro il suo palmo chiuso. “Senti come è duro per te. Il diario dice che sogni di essere riempita, di urlare come Matilde. Non fingere, suora – inginocchiati, e leccalo. È il tuo nuovo rosario”
Lei tentennò, le lacrime che le rigavano il viso, un singhiozzo represso: “È sbagliato… il Signore mi castigherà!” Ma cedette, piano, le ginocchia che toccavano il pavimento di pietra fredda, la bocca che si apriva esitante sulla punta, assaporando il sale muschiato con un disgusto che celermente mutava in piacere.
“Brava… succhialo come preghi” mormorò lui, le mani nei suoi capelli neri, guidandola in un ritmo crescente. Maria Teresa iniziò timida, la lingua che lambiva il glande, ma presto lo prese più a fondo, le labbra che si stringevano intorno all’asta, soffocando conati mentre lo venerava con una devozione profana, i gemiti soffocati che vibravano contro di lui. Il suo corpo rispondeva: le mani che accarezzavano la base, la saliva che colava sul mento, un piacere voyeuristico che la consumava – *Sto sbagliando tutto, ma è così vivo, così mio!*
Fuori dalla porta, intanto Matilde spiava il tutto, il fiato corto e mozzo come un rantolo di agonia estatica, una mano che scivolava sotto l’abito monacale con urgenza sacrilega, le dita affusolate che affondavano piano nelle pieghe gonfie e vellutate del suo sesso umido, tracciando cerchi lenti e febbrili intorno al clitoride eretto e pulsante, un nodo di fuoco liquido che le trafiggeva il ventre come una croce capovolta.
"Sì… guardala, Maria Teresa, libera e dissoluta come l’ho sognata nelle mie notti di penitenza ardente, il tuo corpo che si arrende a quel demone di carne" pensò, con il calore che le saliva dal basso ventre in ondate viscerali e inarrestabili, un fiume di lava che le contraeva i muscoli interni in spasmi anticipatori, mentre osservava il fervore crescente e animalesco con cui Maria Teresa succhiava il membro di quel ragazzo sbruffone ma irresistibilmente magnetico, la testa che si muoveva su e giù con un ritmo ipnotico e vorace, le labbra carnose e peccaminose che si tendevano intorno all’asta venosa e turgida, succhiando con un suono bagnato e osceno, mentre la saliva le colava in rivoli lucidi sul mento e sul collo, mescolandosi al sudore che le imperlava la pelle olivastra.
Non resistette più: il piacere voyeuristico la spinse oltre il baratro, entrò nella cappella con passo felino e predatorio, chiudendo la porta con un clic sommesso che suonò come il sigillo di un patto demoniaco, un invito fatale e irresistibile.
I due si voltarono di scatto, sorpresi e trafitti da un desiderio che era una lama rovente – Manuel con un ghigno trionfante e famelico, gli occhi castani che divoravano la sua figura tremante come un lupo affamato di carne sacra; Maria Teresa con la bocca ancora lucida di saliva viscida e pre-eiaculatio, le labbra gonfie e arrossate come petali straziati, gli occhi neri velati di vergogna liquida e un desiderio rovente che le faceva tremare le mani.
Matilde non parlò; il suo corpo era un inno muto e lascivo, un silenzio carico di promesse proibite. Si spogliò con una lentezza torturante e sensuale, un rituale di seduzione che era una litania erotica: le dita tremanti slacciavano l’abito monacale come se fosse una tunica da sacrificare, il tessuto nero e ruvido che scivolava dalle spalle con un fruscio peccaminoso, rivelando i seni sodi che si alzavano e abbassavano con il respiro affannoso e irregolare, i capezzoli rosa e turgidi come boccioli di rose profanate, eretti e imploranti di essere morsi, succhiati, tormentati fino al dolore estatico; poi, con un sospiro tremante e roco che le sfuggì dalle labbra, le mutande intrise di umidità le calarono lungo le cosce affusolate e morbide come seta bagnata, esponendo il sesso, le labbra intime gonfie, rosse e spalancate come un fiore carnivoro, lucide di umidità viscida, il clitoride che spuntava eretto e sensibile come un altare pulsante, un invito rovente sotto la luce tremolante e complice delle candele.
Rimase nuda al centro della cappella, la pelle d’oca per l’aria fresca che le accarezzava i capezzoli e il sesso esposto, e fece segno con un dito tremante, la voce un sussurro rauco, spezzato e implorante che era un’invocazione pagana:
“Venite… entrambi. Prendetemi, fate di me il vostro calice di peccato. Questo ci unirà nel peccato più profondo"
Manuel fu il primo a muoversi, il suo corpo muscoloso e sudato che si ergeva come un dio pagano soddisfatto e insaziabile, con una mano possessiva e rude, le dita callose che sfregavano contro la pelle della superiora, afferrò Maria Teresa per il braccio carnoso, spingendola verso Matilde con una forza che era tenerezza brutale e dominante, mentre con l’altra si accarezzava il membro eretto e lucido di saliva, la pelle tesa e venosa che pulsava come un cuore esposto e famelico.
Maria Teresa, esitò solo un istante – un lampo di resistenza che svanì come nebbia al sole del desiderio – ma lo sguardo di Matilde, colmo di supplica ardente, di lacrime di fuoco liquido e di un desiderio che le faceva luccicare la pelle come olio santo, la sciolse come cera sotto fiamma infernale: “Sorella mia… oh, sì, ti voglio così, nuda e mia, da leccare fino all’oblio,” sussurrò con voce spezzata e vellutata, il tono un misto di resa totale, un raschio basso che le risaliva dalla gola mentre si inginocchiava accanto a Matilde, che si era adagiata sul bordo del banco di legno antico e ruvido, le gambe divaricate in un’offerta lasciva, i talloni piantati sul pavimento freddo e irregolare per inarcare il bacino snello, esponendo il sesso fremente e gocciolante al loro sguardo vorace e predatorio, i capezzoli che sfregavano contro l’aria carica di incenso.
Iniziarono piano, ma con un’intensità che era un crescendo di lava bollente e inarrestabile, un trio di corpi intrecciati in un rituale profano e meticoloso, con Matilde al centro assoluto come un cuore pulsante di carne bagnata e peccaminosa, un epicentro di lussuria che li risucchiava tutti.
Manuel si inginocchiò tra le sue gambe aperte e tremanti come foglie in tempesta, le mani callose e forti che le afferravano le cosce morbide e pallide per sollevarle e divaricarle ulteriormente in un’apertura totale e vulnerabile, con un affondo lento, deliberato e torturante fino al delirio, la penetrò fino in fondo, il membro venoso e rovente come ferro incandescente che la dilatava centimetro per centimetro in un’invasione lenta e crudele,
“Oh sì… riempimi, Manuel, oh Dio maledetto, sì… più a fondo, fammi tua con quel membro duro come il peccato!”
Maria Teresa, inginocchiata al fianco destro di Matilde come una sacerdotessa devota e corrotta fino al midollo, si chinò sul suo petto esposto e fremente, le labbra carnose che catturavano un capezzolo turgido e sensibile come un frutto proibito, succhiandolo con una fame insaziabile, la lingua che roteava in movimenti lenti all’areola ruvida, alternando morsi leggeri ma taglienti come spine di rose, che le strappavano ansiti acuti; la sua mano libera, scivolava sul ventre piatto e fremente di Matilde, sfiorando il clitoride gonfio e scivoloso con il pollice in movimenti insistenti e crudeli, sincronizzati con le spinte potenti di Manuel, che ora accelerava il ritmo in un crescendo selvaggio, ogni affondo la colpiva nel punto più segreto e proibito, facendola contrarre intorno a lui in spasmi sempre più violenti.
Matilde era il fulcro infuocato: il suo corpo fremeva e si contorceva tra i due come una fiamma viva, le gambe affusolate avvolte intorno ai fianchi stretti e sudati di Manuel per tirarlo più a fondo in un abbraccio disperato e possessivo, i talloni che gli premevano contro la sua schiena muscolosa in un uncino di carne, mentre la bocca si apriva in gemiti imploranti che echeggiavano contro le pareti affrescate – “Sì… più forte, vi prego, fate di me ciò che volete… oh, Maria Teresa, mordimi fino al sangue, Manuel, scopami fino a squarciarmi l’anima!” – e le mani si intrecciavano nei capelli setosi di Maria Teresa, guidandola da un seno all’altro con una presa possessiva e tremante, le unghie che le graffiavano il cuoio capelluto in segni di passione febbrile, il piacere che le saliva dal basso ventre in ondate crescenti e inarrestabili.
Dopo minuti di questo ritmo ipnotico e torturante, che sembrava durare un’eternità di estasi negata e prolungata fino al limite della follia, Manuel si ritrasse, un movimento lascivo che risuonò come un’imprecazione, il membro lucido di umori e saliva che pulsava nell’aria fresca come un’arma rovente e gocciolante, e fece cenno a Maria Teresa con un ghigno diabolico e sudato: “Ora tocca a te sentirlo dentro, superiora – ma resta con lei, leccala mentre ti riempio, fatevi venire insieme in un fiume di peccato.”
Maria Teresa, con un singhiozzo di resa totale e passione travolgente che le squassò i seni, si alzò quel tanto che bastava per sollevare l’abito monacale sulle cosce possenti e carnose con un gesto frenetico, rivelando il sesso maturo, le labbra gonfie che luccicavano alla luce delle candele come un frutto proibito; si posizionò a cavalcioni sul viso di Matilde, che era sdraiata supina sul banco con la testa reclinata all’indietro in un abbandono totale e masochista, le gambe ancora divaricate e tremanti verso Manuel.
La superiora abbassò il bacino con una lentezza esasperante, un movimento ondulatorio che sfregava il suo sesso umido e profumato di devozione corrotta contro le labbra di Matilde, che lo accolse avidamente con la lingua affamata e guizzante, leccando le pieghe gonfie e vellutate in lambite lunghe, dal basso verso l’alto in tracciati di fuoco preciso lungo il perineo sensibile e contratto, concentrandosi sul clitoride eretto con la punta della lingua in vibrazioni rapide che erano un tormento delizioso, succhiandolo come un nettare divino mentre le labbra lo sigillavano in un bacio bagnato e voracei suoi gemiti profondi e gutturali che rimbombavano come preghiere profanate e spezzate, un coro di “Matilde… sì, sorella mia, leccami così, la tua bocca è il mio inferno dolce… più a fondo, succhiami il clitoride fino a farmelo esplodere, fammi tua”
Manuel, riprese la sua posizione tra le gambe spalancate e fradice di Matilde, penetrandola di nuovo da quell’angolazione profonda e intima – lei sdraiata, lui in piedi che la teneva per i fianchi snelli con mani ferree e possessive – con affondi più rapidi e voraci, un ritmo carnale, il bacino che sbatteva contro il suo ,il pube ruvido e sudato che sfregava il clitoride di Matilde a ogni spinta potente e rotante.
Matilde, al centro di quell’uragano sensuale e annichilente, era travolta da un piacere doppio e divorante: la bocca occupata dal sapore salato, dolce e inebriante di Maria Teresa sotto, il membro di Manuel che la riempiva e la dilatava fino al limite della rottura, colpendo quel punto interno segreto con una precisione brutale e implacabile che le mandava scintille di estasi pura.
Il piacere montava sincronizzato come una sinfonia proibita: Matilde sentì il primo orgasmo travolgerla come una tempesta devastante, un’esplosione che le squassò il corpo intero, un fiotto caldo e abbondante di umidità che le sfuggiva in spruzzi liquidi e incontrollabili mentre urlava contro il sesso di Maria Teresa – “Sto venendo…" le vibrazioni della sua voce rotta che riverberavano attraverso la carne della superiora come un terremoto.
Maria Teresa si inarcò con un grido soffocato, il corpo scosso da contrazioni profonde come contrappassi, il clitoride che pulsava contro la lingua di Matilde in un rilascio caldo, viscido e inarrestabile che le colava sul mento, sul collo e tra i seni in rivoli appiccicosi e caldi, il sapore acre e divino di femmina che le riempiva la bocca e le colava in gola come un’ostia profanata.
Manuel, eccitato oltre ogni limite mortale da quello spettacolo di carne tremante, gemiti intrecciati e umori misti, accelerò le spinte in Matilde con una frenesia possessiva e selvaggia.
Le mani che le stringevano i glutei sodi e rotondi per sollevarla leggermente dal banco, permettendogli affondi ancora più profondi ; ma il suo controllo si frantumò presto come vetro sotto martello, si ritrasse all’ultimo istante in un gesto di dominio crudele, il membro eretto, gonfio come una verga infernale che schizzava sperma caldo, denso e abbondante sul ventre piatto e fremente di Matilde, sui seni arrossati e sensibili, sui capezzoli turgidi.
Il suo orgasmo che lo scuoteva in ondate pulsanti, i muscoli che si contraevano in spasmi visibili mentre ansimava rauco e spezzato: “Ecco qui, solo per voi due, sante e dannate… vi riempio di me, vi marchio con il mio seme bollente!”
Esauste ma non sazie, le due suore si rialzarono piano dal banco come dee risorte dal peccato e dal piacere estremo, i corpi nudi e segnati dalla battaglia carnale – Matilde con il seme caldo e appiccicoso che le luccicava sulla pelle come perle luccicanti, colando languidamente verso il suo ombelico e il sesso ancora spalancato; Maria Teresa con le cosce ancora tremanti, il sesso gonfio e rosso che pulsava visibilmente.
Si inginocchiarono insieme davanti a Manuel, che era rimasto in piedi esausto ma trionfante, con il membro semi-eretto che pendeva pesante tra le gambe muscolose, un’asta sensibile e venosa che fremeva al minimo soffio; le loro mani si intrecciarono sul suo petto in una carezza possessiva, scendendo piano in un’esplorazione erotica per accarezzare quel membo alla base con dita intrecciate e tremanti.
Poi le bocche si unirono in un atto finale in un bacio profano: Matilde iniziò con una leccata lenta e languida lungo l’asta sensibile e venosa, raccogliendo i residui del suo piacere misto tracciando linee di fuoco dal basso verso l’alto; Maria Teresa, possessiva e esperta come una matrona, lambiva il glande gonfio con la lingua, succhiando la punta con una delicatezza ritmata che lo faceva indurire di nuovo in un rigonfiamento visibile, i loro respiri affannosi e caldi che si mescolavano in un’armonia rovente e umida.
Le lingue si attorcigliavano intorno al membro intrecciandosi in un balletto bagnato, osceno e ipnotico – quella di Matilde agile e precisa, che roteava sul frenulo sensibile, sfiorando le vene pulsanti con la punta guizzante; e quella di Maria Teresa, che avvolgeva l’asta intera in lambite ampie e avvolgenti, sfiorandosi a vicenda in baci fugaci.
Le loro lingue che si intrecciavano anche tra loro intorno alla carne di lui in un triangolo di saliva viscida e desiderio puro, un vortice dove i sapori si fondevano in un’estasi condivisa e travolgente, il seme residuo che le univa in un filo appiccicoso tra le bocche. Manuel gemette piano, un suono spezzato e estatico che gli sfuggì come un implorazione, mentre le suore lo ripulivano e lo riaccendevano con quella devozione condivisa e sensuale fino al parossismo, le lingue che danzavano in armonia peccaminosa e ritmica fino a farlo indurire completamente di nuovo, un sigillo eterno e pulsante al loro patto carnale nel cuore stesso della cappella, sotto lo sguardo muto e complice del Duomo che vegliava fuori, avvolto nella nebbia autunnale e nel silenzio di un Dio che taceva, forse persino esso eccitato dal loro idillio.
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