Suor Matilde e Padre Ernesto
di
Matilde25
genere
sadomaso
Firenze, eterna musa del Rinascimento, si destava sotto un velo di nebbia autunnale che avvolgeva le acque torbide dell'Arno, mentre i raggi obliqui del sole tingevano di un rosso sanguigno i tetti antichi e le torri medievali del centro storico, evocando un'aura di passione repressa e segreti sepolti.
Quel mattino, dopo aver concluso una lettura biblica nella cappella interna delle Oblate, Matilde avvertì una sola priorità: non un semplice desiderio di peccato, ma un bisogno viscerale di confessione, come se i suoi incontri accumulati le artigliassero l'anima. I suoi amplessi – la passione saffica con Suor Maria Teresa nella cella umida, la notte selvaggia con Daniele, l'avventura esotica con Alex in Belgio, la brutalità animale di Manuel l'elettricista, e l'ultima estasi con Paul l'artista nel parco – le pesavano come catene roventi, non per rimpianto, ma per il desiderio di scaricarle, di riviverle nelle parole per liberarsi e abbracciare il suo desiderio senza più ombre. "Confesserò tutto," pensò, il cuore che martellava come un tamburo di guerra, un brivido elettrico che le saliva dal basso ventre, indurendole i capezzoli al solo pensiero di quelle memorie carnali. Scelse Padre Ernesto, un confessore noto per la sua severità inflessibile, che officiava in una piccola chiesa vicino a Piazza della Signoria, un antro discreto dove poteva vomitare i suoi segreti senza freni.
Padre Ernesto, 56 anni, capelli castani corti e un fisico asciutto, scolpito da digiuni ossessivi e preghiere flagellanti, la accolse nel confessionale con voce ferma e tagliente come una lama: "Dimmi i tuoi peccati, figlia mia. Il Signore vede tutto, e io sono il suo strumento di giudizio." Matilde, dietro la grata che odorava di legno antico e incenso stantio, iniziò con un sussurro roco, la voce tremante ma intrisa di una strana eccitazione:
"Padre, ho peccato di lussuria... tante volte, in modi che mi consumano l'anima. Tutto è iniziato con Suor Maria Teresa, la mia superiora. Ci siamo unite nel peccato più proibito, Padre. Le sue labbra carnose sulle mie, morbide e insistenti, la sua lingua esperta che danzava sul mio clitoride gonfio con movimenti lenti, facendomi inarcare il bacino in preda a un desiderio famelico. Le sue dita affusolate mi penetravano profondamente, curvandosi dentro di me per sfregare quel punto sensibile che mi faceva impazzire, mentre la mia lingua affondava tra le sue labbra intime, succhiando con avidità. I nostri corpi nudi si sfregavano in un ritmo ondulante e febbrile, i seni premuti l'uno contro l'altro, i capezzoli duri che si stuzzicavano a vicenda, i fianchi che si muovevano in sincronia perfetta, sudati e scivolosi, portando a orgasmi simultanei che ci travolgevano in un turbine di gemiti soffocati e urla represse, i nostri corpi che tremavano all'unisono in un'estasi proibita, contrazioni violente che mi facevano pulsare dal profondo, lasciandomi esausta ma assetata di più."
Padre Ernesto si mosse sulla sedia con un fruscio inquieto, la voce che si induriva: "Una superiora? Questo è un abominio contro l'ordine sacro, un affronto al celibato e alla purezza! Come hai potuto tradire i tuoi voti in tal modo, figliola? Hai sentito il demonio sussurrarti all'orecchio mentre le sue mani ti profanavano? Dimmi, hai implorato il suo tocco, o è stata lei a sedurti? Continua, ma sappi che il Signore giudica non solo le azioni, ma i desideri oscuri del cuore. Ogni dettaglio che riveli aggrava la tua colpa – procedi, peccatrice!"
Matilde, incoraggiata dal suo tono inquisitorio che le accendeva un fuoco tra le cosce, continuò con voce più ferma e sensuale, il brivido del ricordo che le bagnava l'intimità sotto l'abito: "Sì, Padre, il piacere era travolgente, un'onda che mi sommergeva senza pietà, e non ho sentito rimorso, solo fame. Poi, è successo ancora, con un giovane di nome Daniele. Un giovanotto sempre presente in Biblioteca per studia. Una sera mi abbandonai a lui completamente, nuda e vogliosa. Mi baciò con passione febbrile, la sua bocca che divorava la mia, la lingua che invadeva ogni angolo, mentre le sue mani ruvide esploravano ogni curva del mio corpo, strizzando i seni con forza, torcendo i capezzoli fino a farmi gemere di dolore misto a piacere, scendendo verso il basso ventre per sfregare il mio clitoride gonfio. Io lo accolsi dentro di me, il suo membro duro e venoso che mi riempiva con affondi ritmici e profondi, ogni spinta che mi squassava, il mio corpo che si inarcava sotto di lui come una bestia in calore, le unghie che gli graffiavano la schiena lasciando solchi rossi, i miei gemiti che echeggiavano nella stanza. Venni più volte, Padre, contrazioni violente e spasmodiche che mi scuotevano l'anima, ondate di piacere che mi lasciavano senza fiato, il mio sesso che pulsava attorno a lui, stringendolo in una morsa umida, mentre lui accelerava, martellandomi senza sosta, portandomi a un culmine che mi fece urlare il suo nome in un'estasi primordiale."
Padre Ernesto inspirò bruscamente, la fronte imperlata di sudore freddo, interrompendola con un sibilo: "Basta con questi dettagli lascivi e depravati! Stai rivivendo il peccato invece di pentirtene, figlia? I tuoi racconti infiammano l'aria stessa del confessionale, risvegliando demoni che dovrebbero rimanere sepolti. Hai descritto il suo membro come un'arma di tentazione – lo hai implorato, vero? Hai spalancato le gambe per lui come una meretrice? Procedi, ma misura le parole – il Signore non tollera l'indulgenza nel vizio. Cos'altro hai commesso, anima perduta? Parla, o il silenzio ti condannerà ancor di più!"
Matilde insistette, la voce che si faceva più bassa e intensa, un calore umido che le colava tra le gambe al ricordo: "Sì, Padre, devo confessare tutto per essere libera, per espellere questo veleno dal mio corpo. In Belgio, durante un ritiro, incontrai Alex, un congolese dalla pelle ebano e muscoli scolpiti. La sua presenza mi attrasse piano, le passeggiate bosco umido, i dialoghi sulla fede che viravano sul personale, diventando sussurri intimi carichi di promessa. Quella notte, il suo membro imponente e nero mi dilatò in estasi, strappandomi un urlo iniziale di dolore che si trasformò in piacere puro, i suoi affondi potenti e ritmati che mi facevano urlare come una posseduta, il ritmo che aumentava fino a farmi tremare in orgasmi multipli che mi scuotevano in contrazioni violente e incontrollabili, il suo respiro affannato contro il mio collo mentre mi teneva per i capelli, tirandoli con forza per controllarmi."
Padre Ernesto, le mani strette sui braccioli, replicò con voce tremante di rabbia repressa: "Uno straniero? Hai contaminato il tuo corpo con impurità esterne? Questo aggrava la tua colpa oltre ogni misura – hai goduto della sua brutalità, vero? Hai implorato di più, spalancando te stessa al suo vigore? Continua, ma sappi che la misericordia divina ha limiti, e tu li stai sfiorando con le tue parole oscene!"
Matilde proseguì, il cuore che batteva forte come un martello sull'incudine, l'eccitazione che le induriva i capezzoli contro il tessuto ruvido: "Poi Manuel, l'elettricista – mi prese con brutalità in un momento di debolezza assoluta, il suo membro spesso e calloso che mi riempiva senza pietà né preliminari, ogni spinta violenta che mi portava al limite del dolore lancinante e del piacere estremo, i suoi grugniti animaleschi mentre mi teneva per i capelli con una morsa ferrea, tirandoli fino a strapparmi lacrime, il suo corpo che schiacciava il mio contro il muro, un orgasmo che mi travolse mentre lui si riversava dentro di me con getti caldi e abbondanti, lasciandomi esausta, dolorante e perversamente appagata.
E infine Paul, l'artista nomade – nel parco buio, la sua tenerezza hippie che si trasformò in passione selvaggia, la lingua ruvida che lambiva il mio clitoride, leccando e succhiando fino a farmi contorcere, i fianchi ondulanti mentre lo cavalcavo con foga, sfregandomi contro di lui, un secondo orgasmo che mi scuoteva mentre lui si riversava dentro di me con un gemito roco, i nostri corpi che si fondevano in un'armonia."
Padre Ernesto, con la voce che tremava di furia contenuta come un vulcano sul punto di eruttare: "Basta, figlia! Questi peccati sono osceni, un'offesa al Signore che grida vendetta. Non posso assolverti qui – qualcuno potrebbe sentire ulteriori abominazioni rivoltanti. Andiamo in sacrestia, lì parleremo con calma, lontano da orecchie indiscrete, e deciderò il tuo destino."
Matilde lo seguì nella sacrestia, una stanza buia e opprimente con odore di incenso acre e cera bruciata, il crocifisso imponente che vegliava su un altare improvvisato come un giudice severo, la luce fioca di una candela che proiettava ombre danzanti e minacciose sulle pareti umide. Padre Ernesto chiuse la porta con un tonfo violento, sbattendola con forza tale da far tremare il telaio, il viso distorto da una furia mista a un desiderio oscuro e represso, gli occhi che saettavano su di lei con intensità predatoria, le vene del collo pulsanti: "Hai peccato come una figlia perduta di Sodoma, Matilde! Confessi con dettagli che infiammano l'anima e il corpo – sei una peccatrice incallita, un'anima traviata dal demonio della lussuria più nera! Come osi entrare nel confessionale e descrivere questi atti immondi come se fossero poesie erotiche? Hai tradito Dio, la Chiesa, e te stessa"
Matilde replicò con voce tremante ma sfidante: "Padre, cerco assoluzione – i miei peccati sono gravi, ma il mio desiderio è parte di me, una fiamma che mi consuma e mi rigenera. Non posso negarlo, mi rende viva, mi fa sentire completa in un modo che le preghiere non possono. Aiutatemi a trovare la pace, vi prego – punitemi se necessario, ma liberatemi."
Lui, gli occhi fiammeggianti come carboni ardenti, si avvicinò di più, il respiro affannato e caldo sul suo viso, le mani che tremavano per la rabbia: "Assoluzione? Dopo tali oscenità rivoltanti? Hai descritto amplessi come se fossero preghiere blasfeme – sei una tentatrice, una sirena in abito monacale! Dimmi, hai goduto in ogni momento, vero? Hai pregato il demonio mentre i tuoi amanti ti squarciavano? Hai spalancato le gambe per loro, implorando di essere riempita? Rispondi, o ti denuncerò alla congregazione, alla tua superiora lesbica, a Firenze intera – ti rovinerò!"
Matilde, sentendo un brivido di sfida e desiderio masochistico, confessò con voce bassa e ansimante: "Sì, Padre, ho goduto immensamente, fino all'ultima goccia. Con Maria Teresa, il suo tocco era gentile ma possessivo, mi faceva tremare di desiderio e bagnarmi copiosamente. Con Daniele, la sua giovinezza mi ha travolta, ogni affondo era una liberazione esplosiva. Non rimpiango nulla, ma voglio essere libera dal peso – fatemi espiare."
Padre Ernesto gridò con voce tonante: "Libera? Sei schiava del tuo corpo depravato! Hai contaminato il sacro con il profano – ora pagherai amaramente!" Il suo corpo si tendeva come una molla, un desiderio represso che lo travolgeva nonostante la vocazione, trasformando la sua rabbia in una lussuria brutale e sadica, un mostro interiore che rompeva le catene.
Il dialogo si fece più teso e ossessivo "Padre, ascoltami – con Maria Teresa fu passione condivisa, le nostre lingue che si intrecciavano in un bacio infinito e salivoso, i corpi che si sfregavano con urgenza febbrile, i suoi denti che mi mordevano i capezzoli fino a farli sanguinare leggermente," disse lei, e lui interruppe con veemenza rabbiosa: "Basta! Ogni parola è un veleno che mi avvelena l'anima – hai tradito il Signore con corpi estranei, con una donna del tuo ordine! Sei un'abominazione ambulante, una maledetta pervertita!" Matilde continuò, gli occhi lucidi di lacrime e desiderio: "Con Alex, il suo vigore mi ha dilatata, ogni spinta un'esplosione di piacere crudo e doloroso..." Lui, la voce rotta dalla rabbia e dall'eccitazione repressa: "Silenzio! Stai tentando me, demonio in forma di suora! Non meriti pietà, solo castigo – implora il mio perdono, o ti distruggerò!"
Il dialogo culminò in un'esplosione di violenza quando Padre Ernesto, con gli occhi colmi di furia incontrollata e lussuria selvaggia, si slacciò i pantaloni con mani tremanti e brutali, strappando i bottoni in un gesto di rabbia, tirando fuori il membro eretto, venoso, pulsante e gonfio di vene bluastre: "Assoluzione? Succhia questo!" ordinò afferrandola per la gola con una mano ferrea e spingendola con forza contro il muro freddo, il crocifisso che oscillava sopra di loro come un testimone muto.
Matilde esitò, gli occhi dilatati che si fissavano sul membro imponente e minaccioso, un misto di terrore puro e desiderio masochistico che le attanagliava lo stomaco e le bagnava l'intimità: "Padre, no... è peccato mortale, è contro tutto ciò che siete, vi prego," mormorò con voce strozzata, ma lui la afferrò per i capelli con una morsa sadica, tirandoli con brutalità fino a strapparle un urlo di dolore, costringendola in ginocchio sul pavimento duro: "Fallo, peccatrice incallita – o la tua vita è finita! Assolviti con la bocca, ingoia il tuo castigo divino, succhia come la meretrice che confessi di essere!" Le schiaffeggiò il viso con il membro eretto, lasciando una scia umida sulla guancia, prima di infilarlo con forza tra le sue labbra.
Lei cedette con un gemito soffocato, la bocca che si apriva attorno a lui con riluttanza iniziale, ma presto la lingua danzava sulla punta sensibile e salata, succhiando con ritmo crescente e disperato mentre lui gemeva, le mani nei suoi capelli che la spingevano più a fondo con violenza, quasi soffocandola, il membro che le arrivava in gola facendola tossire: "Così, incallita nel peccato – prendi tutto, fino in gola, sentilo pulsare contro la tua lingua traditrice e sporca! Succhia più forte!" Matilde sentiva un calore traditore e umido tra le gambe, il suo corpo che rispondeva nonostante la violenza, un piacere colpevole e masochistico che la faceva godere attorno a lui, la sua intimità che pulsava di desiderio mentre la bocca veniva usata come un oggetto.
Non contento, la girò bruscamente strappandole l'abito con gesti rabbiosi e violenti, esponendo la sua nudità, spingendola contro l'altare con forza tale da farle sbattere le costole contro il legno: "Ora ti sodomizzo, figlia traviata – questo è il tuo vero castigo, la punizione che meriti per la tua lussuria immonda!" disse, lubrificandosi con la saliva in modo frettoloso e animale, penetrandola da dietro con affondi lenti ma brutali e spietati, il membro che la dilatava in un'estasi dolorosa e straziante, ogni spinta che sfregava contro le pareti interne,, facendola urlare in un misto di agonia lancinante e piacere travolgente.
"Ti piace, eh? Peccatrice incallita, il tuo corpo tradisce la tua anima – grida per me, implora il mio perdono" mormorò lui con voce gutturale, le mani che le stringevano i fianchi, le unghie che affondavano nella carne lasciando segni rossi, schiaffeggiandole il fondoschiena con colpi secchi e ripetuti come frustate, ogni urlo echeggiava nella stanza e le mandava ondate di piacere misto a dolore lancinante, il suono umido degli schiaffi che si mescolava ai suoi gemiti rotti.
Matilde godeva tantissimo nonostante la brutalità sadica, un orgasmo che la travolgeva in ondate violente e incontrollabili, i muscoli che si contraevano in spasmi ritmici attorno a lui, realizzando inequivocabilmente quanto le piacesse scopare in quel modo crudo, un brivido di dipendenza masochistica che la rendeva schiava del suo desiderio più oscuro e perverso, il piacere che la scuoteva fino al midollo, facendola urlare in estasi: "Sì, Padre... più forte, punitemi" Il dolore si fondeva con il godimento in un turbine, le lacrime che mescolavano rimpianto e appagamento, il suo clitoride che pulsava mentre lui le scopava il culo.
Lui accelerò, le spinte sempre più feroci e animalesche"Prendi il mio seme, questo è il tuo battesimo nel vizio più oscuro, ingoialo con il tuo culo peccaminoso!" e si riversò dentro di lei con un ruggito, getti caldi e abbondanti che la riempivano, lasciandola ansimante, tremante e dolorante sull'altare, ma con il corpo appagato e un sorriso distorto sulle labbra.
Rimasero lì, il silenzio rotto solo dai respiri affannati, Matilde con appagamento masochistico disse "Grazie, Padre – questa è la mia assoluzione. Ora sono libera, nel peccato, nel dolore e nel piacere eterno."
Quel mattino, dopo aver concluso una lettura biblica nella cappella interna delle Oblate, Matilde avvertì una sola priorità: non un semplice desiderio di peccato, ma un bisogno viscerale di confessione, come se i suoi incontri accumulati le artigliassero l'anima. I suoi amplessi – la passione saffica con Suor Maria Teresa nella cella umida, la notte selvaggia con Daniele, l'avventura esotica con Alex in Belgio, la brutalità animale di Manuel l'elettricista, e l'ultima estasi con Paul l'artista nel parco – le pesavano come catene roventi, non per rimpianto, ma per il desiderio di scaricarle, di riviverle nelle parole per liberarsi e abbracciare il suo desiderio senza più ombre. "Confesserò tutto," pensò, il cuore che martellava come un tamburo di guerra, un brivido elettrico che le saliva dal basso ventre, indurendole i capezzoli al solo pensiero di quelle memorie carnali. Scelse Padre Ernesto, un confessore noto per la sua severità inflessibile, che officiava in una piccola chiesa vicino a Piazza della Signoria, un antro discreto dove poteva vomitare i suoi segreti senza freni.
Padre Ernesto, 56 anni, capelli castani corti e un fisico asciutto, scolpito da digiuni ossessivi e preghiere flagellanti, la accolse nel confessionale con voce ferma e tagliente come una lama: "Dimmi i tuoi peccati, figlia mia. Il Signore vede tutto, e io sono il suo strumento di giudizio." Matilde, dietro la grata che odorava di legno antico e incenso stantio, iniziò con un sussurro roco, la voce tremante ma intrisa di una strana eccitazione:
"Padre, ho peccato di lussuria... tante volte, in modi che mi consumano l'anima. Tutto è iniziato con Suor Maria Teresa, la mia superiora. Ci siamo unite nel peccato più proibito, Padre. Le sue labbra carnose sulle mie, morbide e insistenti, la sua lingua esperta che danzava sul mio clitoride gonfio con movimenti lenti, facendomi inarcare il bacino in preda a un desiderio famelico. Le sue dita affusolate mi penetravano profondamente, curvandosi dentro di me per sfregare quel punto sensibile che mi faceva impazzire, mentre la mia lingua affondava tra le sue labbra intime, succhiando con avidità. I nostri corpi nudi si sfregavano in un ritmo ondulante e febbrile, i seni premuti l'uno contro l'altro, i capezzoli duri che si stuzzicavano a vicenda, i fianchi che si muovevano in sincronia perfetta, sudati e scivolosi, portando a orgasmi simultanei che ci travolgevano in un turbine di gemiti soffocati e urla represse, i nostri corpi che tremavano all'unisono in un'estasi proibita, contrazioni violente che mi facevano pulsare dal profondo, lasciandomi esausta ma assetata di più."
Padre Ernesto si mosse sulla sedia con un fruscio inquieto, la voce che si induriva: "Una superiora? Questo è un abominio contro l'ordine sacro, un affronto al celibato e alla purezza! Come hai potuto tradire i tuoi voti in tal modo, figliola? Hai sentito il demonio sussurrarti all'orecchio mentre le sue mani ti profanavano? Dimmi, hai implorato il suo tocco, o è stata lei a sedurti? Continua, ma sappi che il Signore giudica non solo le azioni, ma i desideri oscuri del cuore. Ogni dettaglio che riveli aggrava la tua colpa – procedi, peccatrice!"
Matilde, incoraggiata dal suo tono inquisitorio che le accendeva un fuoco tra le cosce, continuò con voce più ferma e sensuale, il brivido del ricordo che le bagnava l'intimità sotto l'abito: "Sì, Padre, il piacere era travolgente, un'onda che mi sommergeva senza pietà, e non ho sentito rimorso, solo fame. Poi, è successo ancora, con un giovane di nome Daniele. Un giovanotto sempre presente in Biblioteca per studia. Una sera mi abbandonai a lui completamente, nuda e vogliosa. Mi baciò con passione febbrile, la sua bocca che divorava la mia, la lingua che invadeva ogni angolo, mentre le sue mani ruvide esploravano ogni curva del mio corpo, strizzando i seni con forza, torcendo i capezzoli fino a farmi gemere di dolore misto a piacere, scendendo verso il basso ventre per sfregare il mio clitoride gonfio. Io lo accolsi dentro di me, il suo membro duro e venoso che mi riempiva con affondi ritmici e profondi, ogni spinta che mi squassava, il mio corpo che si inarcava sotto di lui come una bestia in calore, le unghie che gli graffiavano la schiena lasciando solchi rossi, i miei gemiti che echeggiavano nella stanza. Venni più volte, Padre, contrazioni violente e spasmodiche che mi scuotevano l'anima, ondate di piacere che mi lasciavano senza fiato, il mio sesso che pulsava attorno a lui, stringendolo in una morsa umida, mentre lui accelerava, martellandomi senza sosta, portandomi a un culmine che mi fece urlare il suo nome in un'estasi primordiale."
Padre Ernesto inspirò bruscamente, la fronte imperlata di sudore freddo, interrompendola con un sibilo: "Basta con questi dettagli lascivi e depravati! Stai rivivendo il peccato invece di pentirtene, figlia? I tuoi racconti infiammano l'aria stessa del confessionale, risvegliando demoni che dovrebbero rimanere sepolti. Hai descritto il suo membro come un'arma di tentazione – lo hai implorato, vero? Hai spalancato le gambe per lui come una meretrice? Procedi, ma misura le parole – il Signore non tollera l'indulgenza nel vizio. Cos'altro hai commesso, anima perduta? Parla, o il silenzio ti condannerà ancor di più!"
Matilde insistette, la voce che si faceva più bassa e intensa, un calore umido che le colava tra le gambe al ricordo: "Sì, Padre, devo confessare tutto per essere libera, per espellere questo veleno dal mio corpo. In Belgio, durante un ritiro, incontrai Alex, un congolese dalla pelle ebano e muscoli scolpiti. La sua presenza mi attrasse piano, le passeggiate bosco umido, i dialoghi sulla fede che viravano sul personale, diventando sussurri intimi carichi di promessa. Quella notte, il suo membro imponente e nero mi dilatò in estasi, strappandomi un urlo iniziale di dolore che si trasformò in piacere puro, i suoi affondi potenti e ritmati che mi facevano urlare come una posseduta, il ritmo che aumentava fino a farmi tremare in orgasmi multipli che mi scuotevano in contrazioni violente e incontrollabili, il suo respiro affannato contro il mio collo mentre mi teneva per i capelli, tirandoli con forza per controllarmi."
Padre Ernesto, le mani strette sui braccioli, replicò con voce tremante di rabbia repressa: "Uno straniero? Hai contaminato il tuo corpo con impurità esterne? Questo aggrava la tua colpa oltre ogni misura – hai goduto della sua brutalità, vero? Hai implorato di più, spalancando te stessa al suo vigore? Continua, ma sappi che la misericordia divina ha limiti, e tu li stai sfiorando con le tue parole oscene!"
Matilde proseguì, il cuore che batteva forte come un martello sull'incudine, l'eccitazione che le induriva i capezzoli contro il tessuto ruvido: "Poi Manuel, l'elettricista – mi prese con brutalità in un momento di debolezza assoluta, il suo membro spesso e calloso che mi riempiva senza pietà né preliminari, ogni spinta violenta che mi portava al limite del dolore lancinante e del piacere estremo, i suoi grugniti animaleschi mentre mi teneva per i capelli con una morsa ferrea, tirandoli fino a strapparmi lacrime, il suo corpo che schiacciava il mio contro il muro, un orgasmo che mi travolse mentre lui si riversava dentro di me con getti caldi e abbondanti, lasciandomi esausta, dolorante e perversamente appagata.
E infine Paul, l'artista nomade – nel parco buio, la sua tenerezza hippie che si trasformò in passione selvaggia, la lingua ruvida che lambiva il mio clitoride, leccando e succhiando fino a farmi contorcere, i fianchi ondulanti mentre lo cavalcavo con foga, sfregandomi contro di lui, un secondo orgasmo che mi scuoteva mentre lui si riversava dentro di me con un gemito roco, i nostri corpi che si fondevano in un'armonia."
Padre Ernesto, con la voce che tremava di furia contenuta come un vulcano sul punto di eruttare: "Basta, figlia! Questi peccati sono osceni, un'offesa al Signore che grida vendetta. Non posso assolverti qui – qualcuno potrebbe sentire ulteriori abominazioni rivoltanti. Andiamo in sacrestia, lì parleremo con calma, lontano da orecchie indiscrete, e deciderò il tuo destino."
Matilde lo seguì nella sacrestia, una stanza buia e opprimente con odore di incenso acre e cera bruciata, il crocifisso imponente che vegliava su un altare improvvisato come un giudice severo, la luce fioca di una candela che proiettava ombre danzanti e minacciose sulle pareti umide. Padre Ernesto chiuse la porta con un tonfo violento, sbattendola con forza tale da far tremare il telaio, il viso distorto da una furia mista a un desiderio oscuro e represso, gli occhi che saettavano su di lei con intensità predatoria, le vene del collo pulsanti: "Hai peccato come una figlia perduta di Sodoma, Matilde! Confessi con dettagli che infiammano l'anima e il corpo – sei una peccatrice incallita, un'anima traviata dal demonio della lussuria più nera! Come osi entrare nel confessionale e descrivere questi atti immondi come se fossero poesie erotiche? Hai tradito Dio, la Chiesa, e te stessa"
Matilde replicò con voce tremante ma sfidante: "Padre, cerco assoluzione – i miei peccati sono gravi, ma il mio desiderio è parte di me, una fiamma che mi consuma e mi rigenera. Non posso negarlo, mi rende viva, mi fa sentire completa in un modo che le preghiere non possono. Aiutatemi a trovare la pace, vi prego – punitemi se necessario, ma liberatemi."
Lui, gli occhi fiammeggianti come carboni ardenti, si avvicinò di più, il respiro affannato e caldo sul suo viso, le mani che tremavano per la rabbia: "Assoluzione? Dopo tali oscenità rivoltanti? Hai descritto amplessi come se fossero preghiere blasfeme – sei una tentatrice, una sirena in abito monacale! Dimmi, hai goduto in ogni momento, vero? Hai pregato il demonio mentre i tuoi amanti ti squarciavano? Hai spalancato le gambe per loro, implorando di essere riempita? Rispondi, o ti denuncerò alla congregazione, alla tua superiora lesbica, a Firenze intera – ti rovinerò!"
Matilde, sentendo un brivido di sfida e desiderio masochistico, confessò con voce bassa e ansimante: "Sì, Padre, ho goduto immensamente, fino all'ultima goccia. Con Maria Teresa, il suo tocco era gentile ma possessivo, mi faceva tremare di desiderio e bagnarmi copiosamente. Con Daniele, la sua giovinezza mi ha travolta, ogni affondo era una liberazione esplosiva. Non rimpiango nulla, ma voglio essere libera dal peso – fatemi espiare."
Padre Ernesto gridò con voce tonante: "Libera? Sei schiava del tuo corpo depravato! Hai contaminato il sacro con il profano – ora pagherai amaramente!" Il suo corpo si tendeva come una molla, un desiderio represso che lo travolgeva nonostante la vocazione, trasformando la sua rabbia in una lussuria brutale e sadica, un mostro interiore che rompeva le catene.
Il dialogo si fece più teso e ossessivo "Padre, ascoltami – con Maria Teresa fu passione condivisa, le nostre lingue che si intrecciavano in un bacio infinito e salivoso, i corpi che si sfregavano con urgenza febbrile, i suoi denti che mi mordevano i capezzoli fino a farli sanguinare leggermente," disse lei, e lui interruppe con veemenza rabbiosa: "Basta! Ogni parola è un veleno che mi avvelena l'anima – hai tradito il Signore con corpi estranei, con una donna del tuo ordine! Sei un'abominazione ambulante, una maledetta pervertita!" Matilde continuò, gli occhi lucidi di lacrime e desiderio: "Con Alex, il suo vigore mi ha dilatata, ogni spinta un'esplosione di piacere crudo e doloroso..." Lui, la voce rotta dalla rabbia e dall'eccitazione repressa: "Silenzio! Stai tentando me, demonio in forma di suora! Non meriti pietà, solo castigo – implora il mio perdono, o ti distruggerò!"
Il dialogo culminò in un'esplosione di violenza quando Padre Ernesto, con gli occhi colmi di furia incontrollata e lussuria selvaggia, si slacciò i pantaloni con mani tremanti e brutali, strappando i bottoni in un gesto di rabbia, tirando fuori il membro eretto, venoso, pulsante e gonfio di vene bluastre: "Assoluzione? Succhia questo!" ordinò afferrandola per la gola con una mano ferrea e spingendola con forza contro il muro freddo, il crocifisso che oscillava sopra di loro come un testimone muto.
Matilde esitò, gli occhi dilatati che si fissavano sul membro imponente e minaccioso, un misto di terrore puro e desiderio masochistico che le attanagliava lo stomaco e le bagnava l'intimità: "Padre, no... è peccato mortale, è contro tutto ciò che siete, vi prego," mormorò con voce strozzata, ma lui la afferrò per i capelli con una morsa sadica, tirandoli con brutalità fino a strapparle un urlo di dolore, costringendola in ginocchio sul pavimento duro: "Fallo, peccatrice incallita – o la tua vita è finita! Assolviti con la bocca, ingoia il tuo castigo divino, succhia come la meretrice che confessi di essere!" Le schiaffeggiò il viso con il membro eretto, lasciando una scia umida sulla guancia, prima di infilarlo con forza tra le sue labbra.
Lei cedette con un gemito soffocato, la bocca che si apriva attorno a lui con riluttanza iniziale, ma presto la lingua danzava sulla punta sensibile e salata, succhiando con ritmo crescente e disperato mentre lui gemeva, le mani nei suoi capelli che la spingevano più a fondo con violenza, quasi soffocandola, il membro che le arrivava in gola facendola tossire: "Così, incallita nel peccato – prendi tutto, fino in gola, sentilo pulsare contro la tua lingua traditrice e sporca! Succhia più forte!" Matilde sentiva un calore traditore e umido tra le gambe, il suo corpo che rispondeva nonostante la violenza, un piacere colpevole e masochistico che la faceva godere attorno a lui, la sua intimità che pulsava di desiderio mentre la bocca veniva usata come un oggetto.
Non contento, la girò bruscamente strappandole l'abito con gesti rabbiosi e violenti, esponendo la sua nudità, spingendola contro l'altare con forza tale da farle sbattere le costole contro il legno: "Ora ti sodomizzo, figlia traviata – questo è il tuo vero castigo, la punizione che meriti per la tua lussuria immonda!" disse, lubrificandosi con la saliva in modo frettoloso e animale, penetrandola da dietro con affondi lenti ma brutali e spietati, il membro che la dilatava in un'estasi dolorosa e straziante, ogni spinta che sfregava contro le pareti interne,, facendola urlare in un misto di agonia lancinante e piacere travolgente.
"Ti piace, eh? Peccatrice incallita, il tuo corpo tradisce la tua anima – grida per me, implora il mio perdono" mormorò lui con voce gutturale, le mani che le stringevano i fianchi, le unghie che affondavano nella carne lasciando segni rossi, schiaffeggiandole il fondoschiena con colpi secchi e ripetuti come frustate, ogni urlo echeggiava nella stanza e le mandava ondate di piacere misto a dolore lancinante, il suono umido degli schiaffi che si mescolava ai suoi gemiti rotti.
Matilde godeva tantissimo nonostante la brutalità sadica, un orgasmo che la travolgeva in ondate violente e incontrollabili, i muscoli che si contraevano in spasmi ritmici attorno a lui, realizzando inequivocabilmente quanto le piacesse scopare in quel modo crudo, un brivido di dipendenza masochistica che la rendeva schiava del suo desiderio più oscuro e perverso, il piacere che la scuoteva fino al midollo, facendola urlare in estasi: "Sì, Padre... più forte, punitemi" Il dolore si fondeva con il godimento in un turbine, le lacrime che mescolavano rimpianto e appagamento, il suo clitoride che pulsava mentre lui le scopava il culo.
Lui accelerò, le spinte sempre più feroci e animalesche"Prendi il mio seme, questo è il tuo battesimo nel vizio più oscuro, ingoialo con il tuo culo peccaminoso!" e si riversò dentro di lei con un ruggito, getti caldi e abbondanti che la riempivano, lasciandola ansimante, tremante e dolorante sull'altare, ma con il corpo appagato e un sorriso distorto sulle labbra.
Rimasero lì, il silenzio rotto solo dai respiri affannati, Matilde con appagamento masochistico disse "Grazie, Padre – questa è la mia assoluzione. Ora sono libera, nel peccato, nel dolore e nel piacere eterno."
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