Suor Matilde e Paul

di
genere
etero

Firenze, con il suo eterno fascino rinascimentale, pulsava di vita sotto un sole primaverile che illuminava le acque dell'Arno e i tetti rossi del centro storico. La Biblioteca delle Oblate era diventata per Suor Matilde un rifugio dove sacro e profano si mescolavano con naturalezza.

Matilde aveva accettato quella dualità: la devozione la nutriva durante il giorno, tra preghiere e catalogazione di testi antichi, mentre la notte – o i momenti rubati – le offriva sfoghi carnali che la rendevano viva, completa. Suor Maria Teresa, la sua superiora e amante occasionale, si era rassegnata a quella libertà: "Matilde è come un fiume – non si può arginare," pensava spesso, accettando che la giovane bionda non fosse solo sua, ma uno spirito libertino che vagava tra le braccia di chi la attraeva. Quel mattino, prima di uscire per una commissione in centro, Matilde cedette di nuovo a Manuel. L'elettricista, con i muscoli tesi e il sorriso sfrontato, era diventato una presenza costante nelle sue giornate – un desiderio che la chiamava in maniera irresistibile.

Lo incontrò in un corridoio deserto delle Oblate, con la solita scusa banale: "Ho bisogno di un consiglio per un guasto elettrico nella cella." Lui entrò con un ghigno, chiudendo la porta: "Sappiamo entrambi perché mi hai chiamato, suora." Matilde non oppose resistenza, il corpo già fremente: lo spinse contro il muro, le mani che slacciavano i pantaloni, il membro eretto che balzava libero, duro e venoso. Lo prese in bocca con avidità, la lingua che esplorava la punta, succhiando con ritmo profondo mentre lui gemiva, le mani nei suoi capelli biondi, il sapore salato che la inebriava. Poi si girò, sollevando l'abito, offrendogli un panorama favoloso: lui la penetrò con affondi violenti, il membro che le riempiva la figa in un'estasi immediata, ogni spinta che sfregava contro le pareti interne con frizione intensa, facendola ansimare, i muscoli che si contraevano in spasmi ritmici attorno a lui, un orgasmo rapido che la travolse in ondate mentre lui si riversava dentro di lei.

"Sei un'insaziabile, maiala" ringhiò lui, e lei rise piano: "E tu il mio vizio preferito."

Si separarono in fretta, Matilde sistemando l'abito, il corpo appagato ma già pronto per nuovi orizzonti. Quel pomeriggio, dopo aver concluso una lettura biblica nella cappella interna delle Oblate, Matilde decise di prendere l'autobus per una commissione in centro: doveva ritirare un volume raro da una libreria vicino a Piazza della Signoria. Il bus era affollato, con turisti chiassosi e fiorentini stanchi dopo il lavoro, l'aria intrisa dell'odore di caffè e pane fresco dalle panetterie vicine. Matilde si sedette vicino al finestrino, l'abito monacale che le dava un'aura di distacco, ma i suoi occhi castani osservavano il mondo con curiosità viva. Fu allora che notò Paul, un inglese sui 30 anni, con capelli lunghi e arruffati da hippie, una borsa a tracolla piena di schizzi e pennelli, un sorriso rilassato che parlava di viaggi e libertà. Sedeva di fronte a lei, le gambe allungate con noncuranza. Paul non perse tempo: "Scusa, suora, ma il tuo viso... è come una Madonna rinascimentale. Sei di Firenze?" disse con un accento britannico morbido, gli occhi verdi che la fissavano con genuina ammirazione. Matilde sorrise, abituata a commenti sul suo aspetto etereo: "Sì, lavoro alle Oblate. E tu, viaggiatore?" Lui rise, tirando fuori un taccuino: "Paul, artista nomade. Dipingo ispirandomi alla spiritualità – abbazie, santi, ma con un tocco moderno. Firenze mi ha chiamato, è una città magnetica"

La conversazione fluì naturale, un scambio su arte e fede che la intrigava – lui parlava di Botticelli come di un hippie ante litteram, lei di come la bellezza divina si manifestasse nei dettagli quotidiani. Matilde sentiva un brivido familiare, ma lo accoglieva senza resistenza: il sacro e il profano erano ormai compagni di viaggio nella sua vita. Scesero alla stessa fermata, e Paul propose: "Un caffè? Voglio schizzare il tuo profilo – è perfetto per un mio progetto su suore moderne." Matilde, con un sorriso complice, accettò: "Solo un caffè – la mia vita è fatta di preghiere, non pose."

Al bar vicino a Piazza della Signoria, con vista sul Palazzo Vecchio, lui le mostrò schizzi di abbazie belghe, che fecero riaffiorare ricordi inequivocabili in Matilde.

Il pomeriggio si trasformò in una passeggiata lungo l'Arno, i dialoghi che viravano sul personale: "La tua fede ti isola?" le chiese lui, e lei rispose con onestà: "A volte, ma mi rende libera in modi inaspettati."

Il sole tramontava, tingendo l'acqua di arancio, e Paul la condusse in un parco vicino, un'oasi verde tra i palazzi antichi, dove gli alberi secolari formavano un baldacchino di foglie che filtrava la luce morente del giorno, creando un'atmosfera intima e isolata, lontana dal brusio della città. L'aria era fresca, intrisa dell'odore di terra umida e fiori tardivi, e il rumore distante del traffico sull'Arno sembrava un sussurro remoto, come se il mondo esterno avesse concesso loro un momento privato.

Si sedettero su una panchina di pietra consumata dal tempo, sotto un olmo antico le cui radici affioravano dal suolo come vene della terra. Paul si voltò verso di lei, il suo corpo rilassato ma vicino, le gambe che sfioravano appena le sue attraverso l'abito monacale. "Libera in modi inaspettati... dimmi di più, Matilde. Cosa ti rende libera oltre la fede?" chiese, la voce bassa e avvolgente, gli occhi verdi che si fissavano nei suoi castani con una curiosità che sembrava genuina, ma carica di un sottotesto che le mandava un brivido lungo la schiena.

Matilde esitò, sentendo quel calore familiare salire dal petto, un'attrazione che cresceva dal suo spirito libero, ma lo accoglieva con calma: "La fede mi dà struttura, Paul, ma la vita... la vita mi insegna che il divino è anche nelle connessioni umane."

Lui annuì, la mano che si posava sul dorso della panchina dietro di lei, le dita che sfioravano appena la sua spalla, un tocco che le accelerò il polso. "Connessioni come questa? Io viaggio per questo – per incontrare anime che mi ispirano. Tu sei una di quelle, Matilde. Il tuo abito è come un velo su un capolavoro." Le sue parole erano un complimento velato, ma il tono era intimo, come se stessero condividendo un segreto, e lui si avvicinò leggermente, il respiro caldo che le sfiorava l'orecchio.

Matilde rise piano, un suono nervoso ma intrigato, spostandosi impercettibilmente più vicina: "Attento, Paul – i voti sono il mio scudo." Ma il suo corpo la tradiva, le guance che arrossivano, un calore che si diffondeva dal punto di contatto, il suo animo che accoglieva quell'attrazione senza resistenza, come un fiume che segue il suo corso.

Lui non insistette subito, ma prolungò il momento con una storia: "A Londra, in un'abbazia, ho dipinto una suora anziana – il suo viso raccontava anni di devozione. Ma tu... tu hai un fuoco negli occhi, Matilde. Lasciami catturarlo."
Tirò fuori il taccuino dalla borsa, iniziando a schizzare il suo profilo con tratti rapidi del carboncino, le mani che si muovevano con grazia, gli occhi che guizzavano dal foglio al suo viso, un'intensità che la faceva sentire osservata, desiderata.

"Girati un po' verso di me," le chiese, e quando lei obbedì, la sua mano sfiorò il suo mento per aggiustare la posa, un tocco leggero ma elettrico che le mandò un fremito giù per la spina dorsale. "Perfetta," mormorò, il pollice che indugiava un istante sulla sua guancia, un gesto che si trasformava in carezza, gli occhi che si fissavano nei suoi con un desiderio crescente.

Il sole era quasi tramontato, l'aria si raffreddava, e il parco si svuotava di passeggiatori, lasciando loro in un isolamento sempre più intimo. Paul posò il taccuino, la mano che scivolava dalla guancia al collo: "Matilde, in te vedo non solo una suora, vedo una donna – viva, appassionata. La tua fede ti rende radiosa, ma cosa succederebbe se lasciassi entrare un po' di mondo?"

Le sue parole erano un sussurro, il corpo che si inclinava verso di lei, il respiro caldo sul suo viso, un'intensità che cresceva come una fiamma alimentata dal vento. Matilde sentì il calore diffondersi, il suo corpo che rispondeva con un fremito involontario: "Paul, Paul, fai il bravo..." mormorò, ma la voce era incrinata, il suo animo che accoglieva quell'attrazione senza lotta, come un fiume che segue il suo corso.

"I voti sono sacri, ma l'umano è divino – un bacio non è peccato, è connessione, quello che cerchi."

La sua mano le accarezzò la nuca, le dita che si intrecciavano nei capelli biondi, tirandola piano verso di sé, gli occhi che si chiudevano mentre le labbra si posavano sulle sue con tenerezza insistente e lingue che si sfiorarono piano.


Paul la guidò dolcemente sull'erba umida ai piedi dell'albero, le mani che slacciavano l'abito monacale con movimenti rispettosi, esponendo prima le spalle, poi i seni sodi, i capezzoli eretti al contatto con l'aria fresca della sera.

"Sei bellissima," mormorò, le labbra che scivolavano sul collo, tracciando una linea di baci umidi verso il petto, la lingua che lambiva un capezzolo in modo lento e insistente, succhiandolo piano mentre l'altra mano accarezzava l'altro seno, pizzicando leggermente il capezzolo con pollice e indice, facendola inarcare con un gemito soffocato. Matilde tremava, le mani nei suoi capelli lunghi, il corpo che si tendeva verso di lui, un calore che si diffondeva dal basso ventre. Paul scese più in basso, le mani che le sollevavano l'abito dalle gambe affusolate, esponendo la pelle liscia delle cosce, risalendo verso il centro umido, sfregando il clitoride attraverso il tessuto sottile delle mutandine con pressioni alternate, facendola ansimare. "Paul... sì," mormorò lei, il desiderio che la consumava.

Le sfilò le mutandine con gentilezza, le gambe che si aprivano al suo tocco, la lingua che lambiva l'interno delle cosce con leccate lente e alternate, risalendo verso il clitoride con pressioni crescenti, movimenti ritmici che la facevano tremare, affondi della lingua che esploravano ogni piega umida, il suo aroma muschiato che lo inebriava, le dita che penetravano piano il calore stretto, curvandosi per sfregare il punto sensibile all'interno, un orgasmo che la travolse in ondate violente, i muscoli interni che si contraevano in spasmi ritmici attorno alle dita, il corpo che si arcuava in estasi mentre gridava piano, un culmine che la lasciava ansimante, il suo animo che assaporava quella liberazione come un atto di ribellione alla vocazione.

Matilde, ribaltò i ruoli con audacia crescente: lo spinse sull'erba, le mani che esploravano il petto, la lingua che passava sull'addome definito, scendendo verso il membro eretto – grosso, spesso e lungo, che la lasciò senza fiato, un misto di stupore e eccitazione che la fece impazzire, il suo animo che virava verso l'ossessione: "È enorme – mi riempirà completamente, mi farà sentire piena come mai," pensò, le mani che lo accarezzavano, la bocca che lo avvolgeva con succhiate profonde, la lingua che esplorava ogni vena, succhiandolo con ritmo alternato, il sapore che la inebriava, Alex che ansimava: "Matilde... sei incredibile," il suo corpo che si tendeva sotto di lei.

Lo cavalcò con i fianchi ondulanti, il suo calore che lo avvolgeva stretto, affondi che la facevano gemere per le dimensioni che la dilatavano, la portavano al limite tra dolore e estasi.

Un piacere acuto la travolgeva, un secondo orgasmo che la scuoteva mentre lui si riversava dentro di lei in fiotti caldi, il sudore che li univa in un groviglio carnale, emozioni che la dilaniavano – liberazione dal ritiro, un brivido nuovamente riprovato che la faceva sentire viva oltre la vocazione, un culmine che la lasciava appagata, il corpo che tremava per l'intensità di quell'organo imponente che la aveva riempita come mai prima.

Rimasero lì, ansimanti tra l'erba umida, Matilde con un sorriso appagato: "Non posso farne a meno, adoro essere scopata" pensò.

Al ritorno alle Oblate, la biblioteca l'attendeva, ma il suo animo ormai era rassegnato, il sacro e il profano intrecciati per sempre.
scritto il
2025-11-17
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