Sonia & Tommaso

di
genere
confessioni

🌹 Prologo

Narrato da Sonia
Mi chiamo Sonia e, all'epoca dei fatti che sto per raccontare, avevo solo vent'anni. Quel numero, venti, suonava come una promessa non mantenuta, come l'inizio di qualcosa che si prospettava grande, ma che era rimasto confinato tra le mura opache della mia vita a Cremona.
Ero nata li e li vivevo, in una quiete che, per la maggior parte del tempo, mi sembrava una camicia di forza. Ero fidanzata con Tommaso già da tre anni. Tre anni di rassicurante e, lo devo ammettere, prevedibile affetto. Eravamo la classica coppia perfetta, pulita e ben vista.
Dopo aver terminato gli studi superiori, Papà Giorgio, che era il direttore di una piccola ma rispettabile filiale di banca in città, mi aveva trovato un impiego come impiegata. Una posizione sicura, onesta, in una ditta di autotrasporti con cui aveva rapporti di lavoro. Aveva fatto in modo che mi assumessero, e io avevo ricambiato quel favore con dedizione e intelligenza, dimostrandomi brava e diligente. Il lavoro era stabile, la paga sufficiente, ma la routine mi stava già strozzando l'anima.
Vivevo con i miei genitori—Papà Giorgio e Mamma Maria—e mia sorella Chiara, di appena un anno più giovane di me. Eravamo una normalissima famiglia borghese, e persino l'aggettivo normalissima mi dava la nausea. La nostra era una vita così tranquilla da rasentare la catalessi, scandita da regole non dette e da una fede cattolica che imponeva ordine. Sotto il mio tailleur da ufficio sentivo già il bisogno di qualcosa che rompesse quella geometria perfetta.
Ogni domenica, il rito era lo stesso. Ci alzavamo, ci preparavamo con abiti discreti e curati — io e Chiara, con la nostra bellezza fresca, eravamo perfette in quel contesto — e andavamo a Messa. Non eravamo mai sole, perché la nostra piccola parata di rispettabilità includeva Tommaso e Francesco, il fidanzato di Chiara. Osservavo Francesco, così per bene, così innamorato e onesto con mia sorella, e sentivo un’inspiegabile irritazione. Era l'incarnazione della quiete che io volevo distruggere.
Dopo la funzione, tornavamo tutti a casa per il pranzo domenicale. Ore di conversazioni educate, di posate che tintinnavano e di risate pacate. Il pomeriggio trascorreva in famiglia, tra chiacchiere soporifere e l'odore rassicurante del caffè. Mi sentivo intrappolata in un quadro perfetto, ma vuoto. Come se la mia vita fosse una bellissima scatola di seta che conteneva solo polvere.
Mi sedevo sul divano accanto a Tommaso, la sua mano ferma sulla mia coscia, e il suo affetto mi arrivava come una coperta troppo calda, soffocante. Sentivo che sotto la mia apparenza di brava ragazza e fidanzatina modello, c'era qualcosa di molto, molto più vivo e affamato che stava per esplodere. Non sapevo cosa, ma sapevo che doveva succedere. La noia era il mio peggior nemico, e l'unica cosa che sapevo con certezza era che avevo bisogno di un brivido. Un brivido che facesse scorrere il mio umore sessuale, finalmente.
Anche la mia relazione con Tommaso, non era certo un elemento che poteva definirsi eccitante. I nostri incontri erano una perfetta rappresentazione della nostra vita a Cremona. Quando uscivamo, la solita pizzeria, il solito pub, i soliti amici e amiche. Tutto era pianificato, prevedibile e piatto come l'orizzonte della Pianura Padana.
Lui era un ragazzo dolce e generoso. Di indole estroversa, faceva amicizia con chiunque, e tutti lo adoravano, specialmente Mamma. Per mia madre, Tommaso era quasi un figlio; sembrava quasi che venisse prima di me. Questa sua popolarità borghese era rassicurante e, al contempo, mi faceva sentire invisibile. Ero la sua fidanzata, l'accessorio perfetto per la sua vita perfetta.
Prima di conoscerlo, io non avevo avuto molti ragazzi. La mia sessualità era ancora un territorio appena esplorato, quasi per sentito dire. I primi baci, qualche toccatina, e, dai più intraprendenti, mi ero lasciata fare qualche ditalino nel buio complice di qualche cinematografo. Avevo concesso qualche sega ai più insistenti, ma niente di più. Il sesso, quello vero, completo, era ancora un mistero teorico, un atto che avevo rimandato per la persona giusta, la situazione giusta, la vita giusta.
Mia sorella invece, Chiara, era diversa. Prima di Francesco, con cui era assieme da un anno, aveva già avuto vari ragazzi. Lei, pur crescendo nello stesso ambiente cattolico e controllato, aveva sempre mostrato un'irrequietezza più palese, meno repressa della mia. Mamma, preoccupata, l'aveva messa in guardia di darsi una calmata. E così, Chiara si era rassegnata a Francesco. Lui era sicuramente bravissimo, onesto, la persona ideale per ristabilire l'ordine, ma non la vedevo felice. I suoi occhi avevano lo stesso velo di noia che sentivo io, un'ombra che la sua bellezza giovanile non riusciva a mascherare. La sua tristezza era un eco della mia fame.
Tra me e Chiara, a dispetto dell'anno di differenza, non c'era mai stato un legame molto stretto. Non eravamo use a confidarci a vicenda. Eravamo due satelliti che orbitavano attorno allo stesso sole familiare, ciascuna intrappolata nella propria silenziosa insoddisfazione.
Eravamo due brave ragazze, e il nostro corpo, era fondamentalmente una tela bianca. Questo era il problema: la tela era troppo bianca, troppo pulita, e io avevo un bisogno fisico e mentale che qualcuno, o qualcosa, iniziasse a disegnare su di essa i contorni della mia vera identità. Un'identità fatta di desiderio e libertà.
Finalmente arrivò agosto e con esso, il meritato respiro delle vacanze. La ditta di autotrasporti chiudeva per tre settimane e pure quella del padre di Tommaso, presso la quale lui lavorava. Si prospettava un periodo di totale inattività, che per la Mamma significava un'unica cosa: il rischio della noia.
Ma questo agosto aveva un sapore speciale. Per noi, era la prima vacanza assieme, da soli. Intendo, io e Tommaso, finalmente senza i miei genitori. Solo l'ascendente che Tommaso aveva su Mamma poteva compiere un miracolo di tale portata. Mai Mamma Maria mi avrebbe mandato in vacanza sola con un ragazzo, non fosse stato per l'impeccabile reputazione di Tommaso. Lui era così affidabile, così pulito, che la sua presenza era considerata una garanzia di decoro.
Questo permesso, però, a Chiara fu negato. Mi ricordo ancora la sua espressione di stizza. Mamma aveva sostenuto la sua decisione con la solita logica inattaccabile della borghesia benpensante:
«Lei e Tommaso, sono fidanzati già da tre anni. Ma tu e Francesco, solo da uno. Non è la stessa cosa, non è il momento.»
Inutile dire che la mia sorellina ci rimase male. Francesco era un bravo ragazzo quanto Tommaso, ma a Chiara era stata negata la sua prima, attesa fuga. Mentre la vedevo ingoiare l'amarezza, ho provato un misto di trionfo e un'ombra di senso di colpa. Il mio status di fidanzata di lungo corso era la mia prima, involontaria carta vincente per ottenere la libertà.
Ero pronta per partire. Non avevo la minima idea che quella valigia che stavo preparando non conteneva solo bikini e creme solari, ma in realtà sarebbe stata la mia prima vera porta verso l'espansione della mia vita.
scritto il
2025-11-18
1 0 3
visite
4
voti
valutazione
6.5
il tuo voto
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.