Perdere l’innocenza in famiglia
di
Marcela1979
genere
incesti
Avevo ventun anni e la testa piena di voglie che non avevano più niente a che fare con l’innocenza. Zio Franco era stato il primo a capirmi davvero, quello che aveva aperto la porta del mio corpo e ci era entrato con naturalezza, come se fosse sempre stato suo. Con lui non esistevano confini, né regole, né pudore. E io adoravo essere la sua cosa, il suo giocattolo preferito.
Quel pomeriggio me lo ricorderò finché campo.
Mi disse di seguirlo in camera sua, e io ci andai, già con la pelle che bruciava. Mi fece sdraiare sul letto, mi tolse gli slip e prese la schiuma da barba. La spruzzò lenta tra le cosce, fresca, profumata, poi sfiorò il rasoio sulla mia pelle tesa. Ogni passaggio era un ordine non detto, un invito a spalancarmi di più.
Mi guardava come si guarda qualcosa che sta per essere usata.
E a me piaceva. Dio, quanto mi piaceva.
Quando finì, mi fece alzare e mi girò verso lo specchio.
Liscia. Aperta. Pronta.
«Così, quando ti tocchi, ti sembrerà di sprofondare in acqua benedetta» mi disse con quella voce bassa che mi scioglieva le ginocchia.
Mi fece mettere una vestaglia di pile. «Senza mutandine.»
Poi mi legò i capelli, mi bendò e mi prese i polsi, stringendoli dietro la schiena. Le dita che stringevano la corda mi fecero tremare.
«Stai ferma, Pasqualina. Sarà un pomeriggio divino.»
Mi lasciò seduta sul letto, nuda sotto la vestaglia, occhi coperti e mani prigioniere. Ascoltai il suo respiro vicino all’orecchio. La sua voce raschiò la mia spina dorsale.
«Respira. Non ti deluderò.»
Sentii la porta aprirsi. Un odore noto. Un profumo maschile che avevo sentito centinaia di volte in casa. Mi irrigidii.
Walter.
Mio fratello maggiore. Trent’anni, corpo massiccio, fiato caldo, voce che ti entra sotto pelle.
«No» sussurrai.
La negazione più finta del mondo, perché dentro di me si stava spalancando un abisso.
La mano che mi afferrò il seno non era quella di zio. La riconobbi. Forte, sicura, possessiva. Mi strinse il capezzolo, tirandolo fin quasi a farmi gemere.
La vestaglia scivolò sulle spalle.
Ero nuda davanti a lui.
Nuda, legata e bendata.
Zio non disse niente. Guardava. Aveva orchestrato tutto.
Walter mi tolse la benda.
Il suo sguardo mi bucò la pelle.
«Sei magnifica, Pasqualina» disse.
Una sentenza, non un complimento.
Mi slacciò la corda ai polsi senza smettere di guardarmi.
Io respiravo forte, una bestia in gabbia che vuole essere presa.
Si spogliò. Il suo cazzo era in erezione completa, lungo, spesso, pesante. Un’ombra scura che pulsava come un cuore.
Zio lo osservava con la bocca socchiusa, compiaciuto del suo “regalo”.
Presi il cazzo di Walter in mano. Caldo. Vivo.
Mi riempiva il palmo.
«Pasqualina… così mi fai venire subito» disse, mordendosi il labbro.
Mi afferrò per i fianchi e mi buttò sul letto come una preda.
Affondò la faccia tra le mie cosce lisce, mi leccò la figa con una fame animalesca.
La sua lingua premeva sul mio clitoride, saliva e scendeva, entrava e usciva.
Sbattei la testa sul materasso.
«Sì… sì… così…»
Venne un orgasmo violento, improvviso, che mi scosse tutta.
Walter alzò la testa con la bocca bagnata dei miei umori.
«Adesso vedi quanto ti volevo.»
Mi prese le caviglie, me le sollevò e mi divaricò come una bambola rotta.
Entrò nella mia figa con un colpo unico.
Gridai.
Non per dolore.
Perché mi entrò fino all’anima.
Mi apriva come se volesse abitarmi.
Ogni spinta era una bestemmia della carne.
«Zio non poteva tenerti solo per sé» ringhiò. «Era giusto che ti scopassi pure io.»
Zio si avvicinò al letto.
«Girati» ordinò.
Mi voltai a carponi, il culo alto, la figa aperta e bagnata.
Walter tornò dentro me come un martello. Mi allargò le chiappe con le mani, facendomi gemere e gocciolare.
Poi si fermò.
Zio prese il suo posto. Si sdraiò sotto di me.
«Sali.»
Mi inginocchiai sopra il suo cazzo. Grosso, pesante, pronto.
Walter prese una crema dal comodino.
Riconobbi il suono della confezione.
«Walter… piano» sussurrai.
Lui non rispose.
Sentii il suo dito unto spingere nel mio culo.
Mi inarcai.
Un secondo dito.
Poi la punta del suo cazzo che cercava l’ingresso stretto.
«Respira, Pasqualina.»
Come se il respiro servisse a qualcosa quando due uomini adulti decidono di infilarsi entrambi dentro di te.
Walter affondò.
Un colpo secco.
Il mio culo cedette.
Mi urlò la spina dorsale.
Nello stesso istante zio mi prese la figa, mi entrò dentro, mi spalancò tutta.
Due cazzi insieme.
Due forze opposte.
Io in mezzo.
Aperta come un altare pagano.
Gridai.
«Fermatevi…»
Nessuno si fermò.
E grazie a Dio.
Mi devastarono.
Mi presero.
Mi usarono.
E venni.
Venni da rovesciarmi la vista, da far vibrare il letto, da farmi tremare le ossa.
Walter esplose nel mio culo. Un’ondata calda che mi colò lungo le natiche.
Zio venne nella mia figa un secondo dopo, riempiendomi da dentro.
Il mio corpo cedette, molle, sudato, tremante.
Poi la porta si aprì.
Mamma.
Sessantacinque anni, corpo segnato dalle gravidanze, ma occhi pieni di fuoco.
Ci guardava come una peccatrice sorpresa davanti all’altare.
La sua mano era già sotto la gonna.
Le sue dita nel sesso.
Si masturbava guardandoci.
Walter e zio la videro.
E si eccitarono ancora.
Quel pomeriggio me lo ricorderò finché campo.
Mi disse di seguirlo in camera sua, e io ci andai, già con la pelle che bruciava. Mi fece sdraiare sul letto, mi tolse gli slip e prese la schiuma da barba. La spruzzò lenta tra le cosce, fresca, profumata, poi sfiorò il rasoio sulla mia pelle tesa. Ogni passaggio era un ordine non detto, un invito a spalancarmi di più.
Mi guardava come si guarda qualcosa che sta per essere usata.
E a me piaceva. Dio, quanto mi piaceva.
Quando finì, mi fece alzare e mi girò verso lo specchio.
Liscia. Aperta. Pronta.
«Così, quando ti tocchi, ti sembrerà di sprofondare in acqua benedetta» mi disse con quella voce bassa che mi scioglieva le ginocchia.
Mi fece mettere una vestaglia di pile. «Senza mutandine.»
Poi mi legò i capelli, mi bendò e mi prese i polsi, stringendoli dietro la schiena. Le dita che stringevano la corda mi fecero tremare.
«Stai ferma, Pasqualina. Sarà un pomeriggio divino.»
Mi lasciò seduta sul letto, nuda sotto la vestaglia, occhi coperti e mani prigioniere. Ascoltai il suo respiro vicino all’orecchio. La sua voce raschiò la mia spina dorsale.
«Respira. Non ti deluderò.»
Sentii la porta aprirsi. Un odore noto. Un profumo maschile che avevo sentito centinaia di volte in casa. Mi irrigidii.
Walter.
Mio fratello maggiore. Trent’anni, corpo massiccio, fiato caldo, voce che ti entra sotto pelle.
«No» sussurrai.
La negazione più finta del mondo, perché dentro di me si stava spalancando un abisso.
La mano che mi afferrò il seno non era quella di zio. La riconobbi. Forte, sicura, possessiva. Mi strinse il capezzolo, tirandolo fin quasi a farmi gemere.
La vestaglia scivolò sulle spalle.
Ero nuda davanti a lui.
Nuda, legata e bendata.
Zio non disse niente. Guardava. Aveva orchestrato tutto.
Walter mi tolse la benda.
Il suo sguardo mi bucò la pelle.
«Sei magnifica, Pasqualina» disse.
Una sentenza, non un complimento.
Mi slacciò la corda ai polsi senza smettere di guardarmi.
Io respiravo forte, una bestia in gabbia che vuole essere presa.
Si spogliò. Il suo cazzo era in erezione completa, lungo, spesso, pesante. Un’ombra scura che pulsava come un cuore.
Zio lo osservava con la bocca socchiusa, compiaciuto del suo “regalo”.
Presi il cazzo di Walter in mano. Caldo. Vivo.
Mi riempiva il palmo.
«Pasqualina… così mi fai venire subito» disse, mordendosi il labbro.
Mi afferrò per i fianchi e mi buttò sul letto come una preda.
Affondò la faccia tra le mie cosce lisce, mi leccò la figa con una fame animalesca.
La sua lingua premeva sul mio clitoride, saliva e scendeva, entrava e usciva.
Sbattei la testa sul materasso.
«Sì… sì… così…»
Venne un orgasmo violento, improvviso, che mi scosse tutta.
Walter alzò la testa con la bocca bagnata dei miei umori.
«Adesso vedi quanto ti volevo.»
Mi prese le caviglie, me le sollevò e mi divaricò come una bambola rotta.
Entrò nella mia figa con un colpo unico.
Gridai.
Non per dolore.
Perché mi entrò fino all’anima.
Mi apriva come se volesse abitarmi.
Ogni spinta era una bestemmia della carne.
«Zio non poteva tenerti solo per sé» ringhiò. «Era giusto che ti scopassi pure io.»
Zio si avvicinò al letto.
«Girati» ordinò.
Mi voltai a carponi, il culo alto, la figa aperta e bagnata.
Walter tornò dentro me come un martello. Mi allargò le chiappe con le mani, facendomi gemere e gocciolare.
Poi si fermò.
Zio prese il suo posto. Si sdraiò sotto di me.
«Sali.»
Mi inginocchiai sopra il suo cazzo. Grosso, pesante, pronto.
Walter prese una crema dal comodino.
Riconobbi il suono della confezione.
«Walter… piano» sussurrai.
Lui non rispose.
Sentii il suo dito unto spingere nel mio culo.
Mi inarcai.
Un secondo dito.
Poi la punta del suo cazzo che cercava l’ingresso stretto.
«Respira, Pasqualina.»
Come se il respiro servisse a qualcosa quando due uomini adulti decidono di infilarsi entrambi dentro di te.
Walter affondò.
Un colpo secco.
Il mio culo cedette.
Mi urlò la spina dorsale.
Nello stesso istante zio mi prese la figa, mi entrò dentro, mi spalancò tutta.
Due cazzi insieme.
Due forze opposte.
Io in mezzo.
Aperta come un altare pagano.
Gridai.
«Fermatevi…»
Nessuno si fermò.
E grazie a Dio.
Mi devastarono.
Mi presero.
Mi usarono.
E venni.
Venni da rovesciarmi la vista, da far vibrare il letto, da farmi tremare le ossa.
Walter esplose nel mio culo. Un’ondata calda che mi colò lungo le natiche.
Zio venne nella mia figa un secondo dopo, riempiendomi da dentro.
Il mio corpo cedette, molle, sudato, tremante.
Poi la porta si aprì.
Mamma.
Sessantacinque anni, corpo segnato dalle gravidanze, ma occhi pieni di fuoco.
Ci guardava come una peccatrice sorpresa davanti all’altare.
La sua mano era già sotto la gonna.
Le sue dita nel sesso.
Si masturbava guardandoci.
Walter e zio la videro.
E si eccitarono ancora.
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