Sulla pelle di Eva Capitolo I

di
genere
confessioni

Michele, il fratello maggiore di Aldo, mio marito, era diventato parte integrante della nostra famiglia dopo la scomparsa di Luisa — sua madre e mia suocera — che si era sempre dedicata a lui. La sua presenza non gravava: Michele era un uomo tranquillo, incredibilmente ordinato, con poche esigenze, se non quella di seguire la sua routine quotidiana. Un vero pilastro del suo equilibrio.
Michele era speciale, un uomo intrappolato in una dimensione infantile. Nonostante i suoi quarant'anni, conviveva con un disturbo dissociativo dello sviluppo, diagnosticato in tenera età, che lo ancorava a comportamenti tipici dell'infanzia.
Quando Aldo mi propose di accogliere suo fratello eravamo sposi novelli, e la nostra casa profumava ancora di nuovo. Tuttavia, accettai con gioia. Amavo Michele, forse perché risvegliava il mio istinto di crocerossina, sempre pronta a soccorrere chiunque: dal cane abbandonato al senzatetto. Ironia della sorte, fu proprio il volontariato a farci incontrare tutti e tre.
Come accennavo, Michele aveva le sue manie: metodico, ordinato, ossessionato dall'organizzazione e dagli schemi. Così, per quieto vivere e per un tornaconto personale (io, disordinata per natura), accettai con entusiasmo la sua proposta di collaborare alle faccende domestiche.
Tutto procedeva senza intoppi. La casa era impeccabile e Michele mi aiutava persino in cucina. Aldo, buongustaio impenitente, non poteva che esserne felice. Un quadretto idilliaco: un ménage à trois in perfetta armonia.
Certo, la convivenza forzata portò con sé qualche piccolo incidente imbarazzante. Capitava, con una certa frequenza, di trovarmi Michele davanti nei momenti più intimi: irruzioni in camera mentre mi vestivo, incursioni in bagno durante la doccia o in attività ancora più personali. Col tempo mi aveva vista in versione "nature" così tante volte che sviluppai una sorta di assuefazione, attenuando il mio pudore e le mie timidezze, fino ad arrivare a fare davanti a lui cose che sarebbero state naturali davanti a un marito o, al massimo, a un fratello con cui si ha grande intimità.
Sapevo che Michele, nonostante la sua innocenza apparente, era pur sempre un uomo e, come tale, sensibile a certe "grazie". Mi aveva espresso apertamente — all’inizio in maniera galante, poi sempre più esplicita e a volte volgare — la sua ammirazione. Ammetto che le sue attenzioni stavano cominciando a lusingarmi. Aldo mi amava, me lo dimostrava ogni giorno, ma era poco incline agli atti di affetto e a certi complimenti. E anche se consideravo quelle di Michele innocenti manifestazioni infantili, erano comunque qualcosa di cui, in quanto donna, sentivo di aver bisogno. Finivo così per apprezzare anche le manifestazioni un po' oscene, trovandole persino gratificanti.
Almeno finché mio cognato non passò, come si suol dire, dalle parole ai fatti.
Inizialmente, non diedi peso alla cosa. Michele, forse anche a causa della sua condizione particolare, aveva sempre manifestato un bisogno costante di contatto fisico, di intimità. Consideravo certi atteggiamenti come eccessi di affetto, o innocui incidenti: abbracci prolungati che sfociavano in "tastatine" furtive in special modo sulle mie natiche che prediligeva e non smetteva mai di saggiare, di assillare, ogni volta che ne aveva la possibilità, oppure baci pericolosamente vicini alle labbra. Nemmeno la presenza di altre persone, o persino di Aldo, sembrava dargli un freno.
Una mattina, decisamente presto ma non per lo standard dei miei ospiti, davanti a mia Madre e al suo nuovo fidanzato Vittorio ,un signore dal fascino innegabile di sessant'anni ,dall’aria arzilla dagli occhi di un intenso azzurro , Michele diede il meglio di sé.
Aldo era in bagno sotto la doccia, io intrattenevo i miei ospiti in cucina e ne approfittavo per fare colazione.
Stavo china sul ripiano di marmo della penisola al centro di essa, sorseggiando il mio latte di soia macchiato, mia madre e Vittorio dall’altro lato bevevano il caffè che gli avevo offerto, conversavamo amorevolmente, Michele ci faceva compagnia ed era parecchio su di giri e non mi staccava gli occhi di dosso.
Avevo cercato senza successo una notte romantica con mio Marito, visto l’ora e la sorpresa di quella visita non annunciata, non avevo avuto il tempo di cambiarmi, nel tentativo di sedurlo avevo indossato per l’occasione un completino intimo audace, aggressivo, che copriva meno del dovuto e che pur se celato sotto la vestaglietta corta in raso si lasciava intravedere.
Mia madre era abituata a vedermi vestire in quel modo e il suo compagno sembrava gradire parecchio, non sentivo il bisogno di andarmi a cambiare, alemeno non prima di aver fatto la mia quotidiana doccia.
Michele a differenza di suo fratello, sembrò subire particolarmente gli effetti del mio outfit pensato per sedurre ,mise da parte gli indugi, suscitando sconcerto in mia Madre e un certo divertimento nel suo compagno, una volta posizionato dietro di me, tenendomi saldamente per i fianchi mi impose la propria erezione e prese a simulare l’atto del coito.
I nostri corpi incollati l’uno all’altra, erano separati solo dal sottile strato del tessuto e con dettaglio che, tra imbarazzo e un emozione che oggi non posso far altro che descrivere come eccitazione,sfiorava lo smarrimento. Inappagata dalla mancata notte di intimità con mio marito ma ancora desiderosa di quel contatto fisico che mi era stato negato, il mio corpo aveva reagito d'istinto e il tassello del mio intimo si impregnò dei miei umori.
Mentre mi tenevo al riparo cercando di tranquillizzarlo ,Michele spingeva dietro di me, potevo sentire ogni sfumatura della sua virilità imporsi strofinandosi contro il mio perineo alternandosi tra ano e vagina.
Fu solo l’intervento di mia madre, un attimo prima che Aldo entrasse in cucina, che ci separò ad impedire l’inevitabile.
Seguì un certo imbarazzo generale a cui mio marito non sapeva dare spiegazione, la cosa venne archiviata nel lungo elenco di incidenti imbarazzanti e fu messa da parte ma, non fu l’ultima volta che le cose tra me e mio cognato si fecero preoccupantemente calde.
Una sera, rientrando in auto dopo una cena con amici, avevo bevuto più del dovuto. Non ero una gran bevitrice, ma ero stata con vecchi compagni dell’università, con cui c’era da sempre un gran feeling, tanti ricordi piacevoli da rievocare, e volevo festeggiare.
Ubriaca e provata dal mal d’auto, mi ero seduta dietro con mio cognato, mentre Aldo guidava. Spinta dai fumi dell’alcol, mi ero resa fin troppo disponibile nei confronti di Michele, un abbraccio dopo l’altro, una carezza, un bacio sulla guancia a cui ne seguiva un altro e un altro ancora.
Era stata una serata informale, quindi indossavo dei leggings di pelle nera e un maglioncino largo. Per tutto il viaggio, nel dormiveglia tra il serio e il faceto, mentre Aldo restava ignaro e ci riportava a casa, Michele saggiò l’elasticità del tessuto dei miei pantaloni e della mia carne sotto di essi, e io lasciai che accadesse.
Non so bene cosa successe dopo. Ma la mattina seguente, cercando di combattere un violento mal di testa, sintomi postumi della sbronza, e con una strana sensazione di bruciore dentro l’ano, mentre preparavo la lavatrice, su quei leggings, nella zona posteriore e sul cavallo e sulla coscia sinistra, trovai gli evidenti segni di quello che era, inconfondibilmente, il seme di un uomo.
Non dissi nulla, non potevo lanciare accuse, potevo solo fare supposizioni, né sapevo come gestire la situazione, e decisi di soprassedere.
Quella di lì in poi sarebbe stata la mia linea di condotta, ma la mia arrendevolezza, il mio silenzio, finì per spingere Michele, che da quel giorno si fece sempre più audace, a spingersi un po' più in là, così facendo testava se stesso e la mia disponibilità.
Una mattina, tornando dallo shopping, lo trovai disteso sul mio letto, nudo dalla cintola in giù, circondato dalla mia biancheria intima, mutandine, perizomi, tanga, i pezzi più pregiati della mia smisurata collezione sparsi come petali su un altare. Ne stringeva alcuni tra le dita, li portava al viso, li annusava con una devozione quasi infantile. Altri erano stretti sotto l’altra mano e con essi si muoveva con foga crescente sulla sua erezione, come se cercasse di afferrare qualcosa che gli sfuggiva. Rimasi immobile sull’uscio della mia camera, trattenendo il respiro, scioccata e al contempo attratta da quello spettacolo, mentre Michele, attraverso il mio intimo, trovava piacere. All'apice di quel piacere, il suo corpo si irrigidì in un fremito improvviso. Un gemito basso, quasi un sospiro spezzato, un lamento o forse un'invocazione, nel quale percepii sussurrato il mio nome, e poi l’abbandono: un'ondata, un fremito lo attraversò dalla punta dei piedi alla testa e poi lo lasciò esausto, il ventre segnato da tracce calde e dense, come se il desiderio avesse lasciato una firma liquida sul suo corpo e sulla mia biancheria intima, come l’inchiostro di un calamaio su una pergamena.
Mi ritirai prima che lui potesse accorgersi di me. Andai in cucina, con mani tremanti bevvi un bicchiere d’acqua per schiarirmi le idee, poi corsi in bagno, chiusi la porta a chiave e mi appoggiai contro il legno freddo. Avevo il viso in fiamme. Il corpo reagì prima della mente, prima ancora che potessi razionalizzare ciò che avevo appena visto. Un calore lento, profondo, mi risaliva dalle viscere, sciogliendo ogni pensiero in qualcosa di più primitivo. Le gambe si fecero leggere, quasi non fossero più in grado di sostenere il mio peso, il respiro si fece denso, e sotto la pelle, lì dove nessuno poteva vedere, qualcosa si era acceso. Non era fame, né bisogno. Era un riconoscimento muto, un richiamo antico, come se il mio corpo avesse ricordato un linguaggio troppo a lungo messo da parte. Rimasi ferma contro la porta, come a impedire a chiunque di entrare, o forse a me stessa di uscire da quella stanza che si era trasformata in rifugio. Gli istanti sembravano attimi interminabili, dentro di me, tutto si muoveva. Sentivo il cuore battermi in gola, gonfiarmi le vene, il sangue scorrere veloce e scaldarmi il seno fino a irrorandoli, inturgidire i capezzoli, la pancia si avvampò, poi le cosce, il calore divampò sotto ogni centimetro della mia pelle, dentro ogni fibra dei miei muscoli, per poi concentrare la sua fiamma tra le gambe. Ultimamente Aldo aveva trascurato l’intimità del nostro letto ed era stato avaro di attenzioni, e ritrovarmi oggetto del desiderio di un altro uomo, per quanto inaccettabile, aveva riacceso in me un fuoco che avevo troppo a lungo sopito. Insicura sulle mie gambe, feci qualche passo nella stanza, evitando lo specchio. Non volevo vedermi. Non volevo leggere negli occhi il riflesso di ciò che stavo provando, del desiderio carnale, laido, che mi stava divorando. Anche se solo con il pensiero, anche se solo per un istante, mi sentivo in colpa come se stessi tradendo Aldo con suo fratello. Eppure, era stato proprio Michele, quel ragazzo sempre gentile e un po' speciale, l’innesco di quella mia condizione. Quel pensiero mi tormentava, mi eccitava. Cercai di riprendere il controllo, ma il bisogno di svuotarmi la vescica si fece improvviso e impellente, un bisogno fisico e mentale. Mi sedetti sul water, sollevai l’elegante gonna plissé del vestito che indossavo, lasciai scivolare gli slip fino alle ginocchia e, a riprova della mia vergogna, mi scoprii completamente bagnata.
Non ero molto avvezza all’autoerotismo. A differenza degli uomini, che sembrano trovarvi una via diretta e risolutiva, per me era sempre stato un percorso incerto, più mentale che fisico, spesso frustrante, poco appagante, o almeno era così da quando alle superiori avevo scoperto i benefici del sesso di coppia. Ma quella volta non cercavo piacere: cercavo un appiglio, un modo per non sentirmi travolta.
Le dita scivolarono tra le mie gambe dischiuse, si mossero con cautela, quasi con pudore, come se non volessero disturbare. Provai a pensare ad Aldo, al suo tocco, al suo corpo familiare, al modo in cui mi stringeva nei primi tempi. Ma era come evocare un ricordo sbiadito, una fotografia ingiallita. Il mio corpo non rispondeva, o meglio, non a lui. Invece, senza volerlo, riaffiorò l’immagine di Michele, il suo volto genuino e un po' ingenuo, i suoi occhi grandi e profondi, le sue mani che avevo quasi per scherzo sentito su di me si sovrapposero all’immagine di mio marito.
La memoria si riaccese e lo rividi lì, in una stanza appena illuminata da un'unica finestra aperta, disteso sul letto, nudo, circondato dalla mia biancheria. Il gesto frenetico della mano, il volto contratto nel piacere, piacere che ero io, il mio odore a suscitargli. Michele, crudelmente, senza nemmeno saperlo, mi escludeva dall’atto e, allo stesso tempo, ne ero la forza motrice. Era come se la mia assenza, anche se era ignaro che fossi lì a pochi passi da lui, gli permettesse di desiderarmi senza ostacoli, senza vergogna, senza i vincoli sociali e morali, senza il vincolo familiare, e io, lì ferma, invisibile, sentivo quel desiderio attraversarmi come una scossa elettrica, dissolvendo i confini tra chi guarda e chi è guardato, il suo viso che mi suscitava tenerezza trasformarsi in una maschera di passione, la tensione che si scioglieva in quell’onda calda e disordinata. Cercai più e più volte di scacciare quella visione, ma più saliva il ritmo delle mie dita tra le mie gambe, più essa tornava decisa a farsi spazio dentro di me. Mi sentii sporca, sleale eppure incapace di fermarmi. Era una lotta impari, più cercavo di allontanarla, più prendeva forma, mi aggrediva. Il mio corpo, traditore, sembrava volerla trattenere a sé, farla propria. E allora mi arresi. Lasciai che la fantasia completasse ciò che la realtà aveva appena suggerito. Immaginai lì, sul letto accanto a lui, partecipe al suo piacere, condividerne l’esperienza. Immaginai il suo sguardo, non più ingenuo ma consapevole, mentre all’unisono, l'uno di fianco all'altro, muovevamo le nostre mani, prima ognuno per sé, poi l’una per l’altro, alla ricerca del piacere che entrambi nella mia mente anelavano, ed alla fine esso arrivò come un’onda lenta, non violenta, ma profonda, densa. E con esso, quasi all’unisono, un senso di colpa che mi strinse il petto. Rimasi lì, immobile, con le mani abbandonate tra le cosce, la testa gettata indietro e il respiro ancora spezzato. All’estasi si mescolò la resa. Avevo cercato conforto, e avevo trovato confusione. Avevo cercato Aldo, e avevo trovato Michele. E non sapevo più se la colpa fosse nel desiderio… o nel sollievo che quella fantasia mi aveva dato.
scritto il
2025-10-21
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